Mare interno compreso fra le coste meridionali dell’Europa, settentrionali dell’Africa e occidentali dell’Asia Anteriore. Si estende per circa 2.505.000 km2 (non considerando il Mar Nero e il Mar di Marmara), con una profondità media di 1430 m e una massima, presso le coste sud-occidentali del Peloponneso, di 5121 m.
Geograficamente il M. è compreso tra 30° e 47° di latitudine N e tra 5° di longitudine O e 35° di longitudine E; viene suddiviso in due settori: occidentale e orientale (a loro volta comprendenti una serie di mari secondari) con un limite posto lungo la congiungente Capo Bon-Capo Boeo, che attraversa in direzione OSO-ENE il Canale di Sicilia. Il M. Occidentale si estende dallo Stretto di Gibilterra fino alle coste occidentali della penisola italiana ed è suddiviso, da O verso E, in Mare di Alborán, tra le coste settentrionali del Marocco e dell’Algeria e quelle meridionali della Spagna; Mare delle Baleari e Mare di Sardegna, tra le Isole Baleari e la Sardegna; Mar Ligure, lungo le coste della Liguria, della Corsica occidentale e della Toscana settentrionale; Mar Tirreno, tra le coste orientali della Corsica e della Sardegna, quelle settentrionali della Sicilia e quelle occidentali dell’Italia centro-meridionale. Il M. Orientale si estende invece dal Canale di Sicilia fino alle coste occidentali del Libano e di Israele: comprende il Canale di Sicilia, fra Tunisia e Sicilia; il Mar Adriatico, tra le coste orientali italiane e quelle occidentali della Penisola Balcanica; il Mar Ionio tra la Sicilia, la Calabria e le coste occidentali della Grecia; il Mar Egeo, a sud della Penisola Balcanica tra Grecia e Turchia; il Mar di Levante, tra l’Egitto a sud e la Turchia a nord.
Il M. è un mare semichiuso, che comunica con l’Oceano Atlantico attraverso lo Stretto di Gibilterra e con l’Oceano Indiano attraverso il Mar Rosso mediante il canale artificiale di Suez. Ha inoltre uno scambio di acque con il Mar Nero attraverso lo Stretto dei Dardanelli, il Mar di Marmara e lo Stretto del Bosforo. Le coste sono nella maggioranza dei casi alte e rocciose mentre si presentano piuttosto basse e sabbiose in corrispondenza degli apparati deltizi dei fiumi principali (Ebro, Rodano, Po e Nilo) e secondari che sboccano nel Mediterraneo. Numerose sono inoltre le isole, alcune di notevole estensione come la Sicilia, la Sardegna, la Corsica, Cipro e Creta, altre molto più piccole, spesso di origine vulcanica.
I caratteri batimetrici e morfologici del M. rispecchiano l’assetto geologico e tettonico di quest’area, che si è andato delineando negli ultimi 5 milioni di anni. Nel settore occidentale abbiamo il vasto Bacino Algero-Provenzale che è compreso tra le coste occidentali della Corsica e della Sardegna, quelle orientali e nord-orientali della Spagna e della Francia e quelle settentrionali del Marocco e dell’Algeria. Esso costituisce un’ampia zona batiale, con pendenza quasi nulla e profondità massima compresa tra 2800 e 2900 m, che si raccorda alle aree di piattaforma della Sardegna, attraverso una scarpata continentale piuttosto accidentata anche se non molto inclinata, e della Corsica, attraverso invece una scarpata molto ripida e incisa da numerosi canyon. La piattaforma continentale sia nel settore occidentale (coste spagnole e francesi) sia in quello meridionale è poco estesa; fanno eccezione le aree di fronte agli apparati deltizi dell’Ebro e del Rodano.
Il settore settentrionale del Bacino Algero-Provenzale è rappresentato dal Mar Ligure, che costituisce la diretta prosecuzione verso N del Mare di Sardegna. Esso presenta margini continentali piuttosto stretti e inclinati, incisi da canyon sottomarini, sui lati NO e SE mentre a E e NE la piattaforma continentale è molto più ampia e lo stesso margine risulta meno accidentato. A sud il Mare di Alborán è suddiviso in due bacini minori dove si raggiungono profondità superiori a 2000 m (Bacino Occidentale e Bacino Orientale di Alborán), i quali sono separati da una soglia in corrispondenza dell’isola di Alborán. La piattaforma continentale è poco estesa e i margini si presentano inoltre piuttosto irregolari e solcati da canyon sottomarini.
Il Mar Tirreno viene suddiviso in settentrionale e centro-meridionale poiché a questa ripartizione corrispondono una differente fisiografia e storia geologica. Il limite di separazione tra i due è posto convenzionalmente in corrispondenza del parallelo di 41° N. Il Tirreno settentrionale è compreso tra detto limite e l’allineamento Capo Corso-Capraia-Elba; esso è impostato su di un margine continentale e presenta una morfologia piuttosto accidentata nel settore meridionale dove raggiunge profondità massime di 2000-2200 m. Sul lato occidentale è presente un esteso bacino (Bacino della Corsica) che è delimitato verso E da una dorsale poco rilevata (Dorsale dell’Elba); seguono poi una serie di depressioni e di rilievi che mostrano una orientazione preferenziale N-S. Il Tirreno centro-meridionale comprende l’intera piana batiale tirrenica (profondità massima variabile da 2900 a 3600 m), dalla quale si elevano numerosi rilievi sottomarini interessati da attività vulcanica, alcuni dei quali emergono formando isole (per es., le Eolie). I margini del bacino sono piuttosto ripidi e irregolari e in qualche caso interessati da profonde incisioni; si presentano paralleli o subparalleli a quelli delle terre emerse e sono caratterizzati dalla presenza di una serie di depressioni strette e allungate (bacini peritirrenici) delimitate a loro volta da una serie di dorsali (rilievi peritirrenici). La piattaforma continentale è poco sviluppata lungo il margine occidentale della Sardegna e lungo quello settentrionale della Sicilia e della Calabria, mentre ha un maggiore sviluppo lungo il margine costiero laziale e campano.
Nel M. Orientale il Canale di Sicilia è limitato a O dai fondali poco profondi del Banco Skerki e a E dalla scarpata sottomarina siciliano-maltese. Presenta una profondità media di 350 m, anche se nella sua zona centrale, in alcune depressioni, supera abbondantemente 1000 m, raggiungendo 1317 m nel Bacino di Pantelleria, 1529 m nel Bacino di Linosa e 1721 m nel Bacino di Malta. È presente un’estesa piattaforma continentale sia dal lato della Tunisia sia a SO e a SE della Sicilia; quest’ultima si raccorda con le parti più profonde del canale attraverso una scarpata continentale che si presenta piuttosto irregolare, essendo la sede di alcuni bacini orientali NO-SE (per es. Bacino di Gela) e di banchi poco profondi.
Il Mar Adriatico nel suo settore settentrionale presenta fondali piuttosto regolari con lievi pendenze (0,35 m/km); a nord di Ancona essi non superano mai 75 m di profondità, mentre nella zona mediana, da Ancona fino al Gargano, la profondità aumenta e raggiunge circa 130 m in corrispondenza della Soglia di Pelagosa, all’altezza dell’allineamento Gargano-Lagosta. La massima profondità dell’Adriatico settentrionale (270 m ca.) viene raggiunta nella cosiddetta depressione mesoadriatica o Fossa di Pomo, che è orientata NE-SO ed è costituita da due più piccoli bacini separati da una sella. L’Adriatico meridionale, che si estende a sud del Gargano fino al parallelo di 40° N, ha fondali sempre piuttosto regolari, con solo qualche raro rilievo sottomarino; tuttavia essi si presentano decisamente più profondi arrivando fino a circa 1200 m nel Bacino dell’Adriatico Meridionale e a circa 1500 m nel Bacino di Corfù. Quest’ultimo termina piuttosto bruscamente in corrispondenza della Scarpata di Cefalonia. La piattaforma continentale è estesa sia sul versante pugliese che su quello albanese.
Nel Mar Ionio la piattaforma continentale è piuttosto ristretta e in alcune aree, come di fronte alle coste calabre, è talora assente. La scarpata continentale si presenta ripida e solcata da diversi canyon e passa al largo ad una piana batiale, dove si raggiungono profondità di 3500-4000 m, dalla quale si elevano alcuni monti sottomarini (seamounts di Medina e Cirene). A oriente le massime profondità (intorno a 5000 m) si raggiungono nella Fossa Ellenica che corre lungo il margine orientale di questo bacino e, seguendo il bordo del Peloponneso, si spinge fino a Creta. Più a N la Scarpata di Cefalonia, orientata NNE-SSO, separa la Dorsale Apula dalla fossa dell’arco ellenico mentre a S, parallelamente a questa fossa, è presente invece la Dorsale Mediterranea, costituita da una serie di rilievi sottomarini allineati in direzione NO-SE. A oriente delle coste siciliane è presente la Scarpata di Malta, un elemento fisiografico di origine tettonica, orientato N-S, che si estende per circa 200 km e che separa il plateau continentale siculo-maltese dalla piana abissale. A N esso risulta affiancato dal rialzo di Messina, un’area piuttosto estesa che scende fino a una profondità di 3000 m. Il Golfo di Taranto, che rappresenta un elemento fisiografico importante del Mar Ionio, costituisce la prosecuzione a mare dell’avanfossa appenninica e presenta una morfologia piuttosto articolata connessa al suo assetto strutturale. Il settore centrale del golfo è occupato da una depressione (Valle di Taranto), orientata NO-SE, larga da 2 fino a 8 km, che si estende fino alla piana batiale ionica, partendo da una profondità di 900 m e che divide il settore occidentale da quello orientale del golfo. Il primo comprende l’area tra le coste calabro-lucane e il bordo occidentale della Valle di Taranto; si tratta di una zona dove la piattaforma continentale è piuttosto irregolare, avendo il ciglio posto a una profondità variabile fra 30 m e 150 m e una larghezza variabile da 1 km fino a 14 km. La scarpata continentale di questo settore si estende fino a una profondità di 1000-1500 m; essa è solcata da numerosi canyon ed è sede di due bacini sedimentari (quello di Corigliano, posto a ridosso della piattaforma continentale, e quello dell’Amendolara, che si trova a maggiore profondità) separati dalla cosiddetta Dorsale dell’Amendolara. Il settore orientale è compreso tra la Valle di Taranto e la costa pugliese; si tratta di un’area piuttosto regolare, dove la piattaforma continentale ha il suo margine a una profondità media di 110 m e una morfologia terrazzata. Essa è estesa per circa 4 km fra Taranto e Torre dell’Ovo, mentre l’estensione varia tra 8 e 20 km tra Torre dell’Ovo e Santa Maria di Leuca. La scarpata continentale scende fino a una profondità di 1000 m ed è, anche in questo caso, sede di due bacini sedimentari: uno piuttosto piccolo, posto a una profondità di circa 1000 m (Bacino di Torre dell’Ovo), l’altro, molto più esteso e meno profondo (Bacino di Gallipoli), posto tra Torre dell’Ovo e Santa Maria di Leuca, a ridosso della piattaforma continentale. Sulla scarpata sono presenti inoltre delle incisioni sottomarine.
Il Mar Egeo presenta una morfologia del fondale piuttosto irregolare, con diverse aree sollevate, buona parte delle quali, emergendo, costituiscono le numerose isole che costellano questo mare. Le coste risultano frastagliate e la piattaforma continentale è molto discontinua, presentando maggiori estensioni soltanto in corrispondenza dei principali fiumi che sboccano nell’Egeo. Le massime profondità in questo mare si raggiungono a N delle Sporadi settentrionali (1491 m), a S della Tracia (1611 m) e a N di Creta (2295 m). Il Mar di Levante presenta una morfologia accidentata; la piattaforma continentale non è molto estesa, mentre si spinge verso mare, per oltre 50 km, in corrispondenza del delta del Nilo, il quale alimenta un esteso conoide sottomarino che si sviluppa fino a circa 2000 m di profondità. La scarpata continentale è ripida e passa al largo a una piana dove si raggiungono profondità di circa 4000 m. A S delle coste dell’Anatolia sono presenti i due bacini di Adalia e di Rodi e l’isola di Cipro.
La scarsa comunicazione del M. sia con l’Oceano Atlantico sia con l’Oceano Indiano, nonché la forte evaporazione, fanno sì che le sue acque siano molto salate; la salinità media si aggira sul 38,5‰ e può raggiungere il 39‰ nel Mar di Levante. Nel M. Occidentale la salinità tende invece a diminuire attestandosi sul 36‰. Valori medi di salinità del 35‰ si riscontrano nell’Adriatico settentrionale e nell’Egeo settentrionale. Per quanto riguarda le temperature, nella stagione invernale le acque superficiali registrano valori medi di 13,5 °C nel M. Orientale (con esclusione dell’Adriatico settentrionale e dell’Egeo settentrionale dove si hanno valori di solo 7 °C) e di 12,5 °C in quello occidentale. Nella stagione estiva invece la temperatura media complessiva dell’intero bacino si mantiene sui 25 °C, scendendo intorno a 21-23 °C in vicinanza degli stretti di Gibilterra e dei Dardanelli e aumentando a 28 °C nell’Adriatico settentrionale, nel Golfo della Sirte e nel Mar di Levante, lungo le coste dell’Anatolia. La differenza di densità tra le acque del M. e dell’Atlantico è particolarmente importante; quelle del M. infatti, essendo più salate, sono anche più dense, con il risultato che il livello medio delle acque nel M. è più basso di quello dell’Atlantico. Questo gradiente fa sì che le acque dell’Atlantico vengano richiamate nel M.; si genera così una corrente che fluisce in superficie lungo le coste dell’Africa settentrionale fino alla Palestina, mitigando il clima delle coste marocchine e algerine. Un’altra corrente superficiale, più calda e salata rispetto a quella precedente (Corrente Levantina), scorre da Cipro verso E per poi risalire lungo le coste dell’Egeo e dell’Adriatico; questa corrente mitiga in particolar modo il clima delle coste dalmate in inverno. A maggiore profondità (100-500 m), una corrente fluisce nello stesso verso di quella levantina; essa si inoltra anche nel Tirreno e nel Mare delle Baleari, fuoriuscendo poi da Gibilterra dal lato settentrionale. Questo tipo di circolazione rende il M. uno tra i mari meno ricchi di sostanze nutritive, in quanto all’afflusso di acqua superficiale di origine atlantica vi è un corrispettivo deflusso di acqua profonda, più ricca di fosfati e nitrati, che così vengono allontanati dal M., andando a fertilizzare l’Atlantico.
Il regime dei venti nel M. si alterna con il variare delle stagioni: in estate e in autunno prevalgono quelli dei quadranti meridionali, in inverno e in primavera quelli dei quadranti settentrionali. Questo ha una diretta influenza sulla circolazione delle correnti che fluiscono nella direzione dei meridiani poiché, in relazione alle mutate provenienze dei venti, vengono favorite quelle ascendenti o discendenti, mentre le correnti che si propagano secondo la direzione dei paralleli subiscono solo leggeri spostamenti. Le maree nel M. sono generalmente semidiurne o miste e hanno escursioni piuttosto limitate (in media 20-30 cm), anche se in alcuni golfi, come quelli di Gabès e di Venezia, si può raggiungere il metro di ampiezza. Le correnti di marea in generale sono anch’esse di lieve entità e raggiungono, solo negli stretti (Gibilterra e Messina) e in corrispondenza di bocche lagunari (Laguna di Venezia), velocità di 1,5 m/s.
Le coste del M. e le aree immediatamente retrostanti sono per la maggior parte fittamente abitate, con densità particolarmente alte in alcuni tratti della Spagna e, ancor più, dell’Italia. Fa eccezione il litorale africano corrispondente alla Libia e all’Egitto, dove i caratteri climatici sahariani arrivano fino al mare (e sul quale tuttavia si affacciano la metropoli di Alessandria d’Egitto e qualche altra grande agglomerazione urbana). Il processo di addensamento lungo le coste, sensibile fin dall’antichità, è stato dovuto in parte a una certa repulsione esercitata dalle zone interne, spesso montuose fino in prossimità del mare, in parte all’attrazione del mare stesso quale tramite di traffici; tale processo si è accentuato nel corso del 20° secolo, sia per la bonifica di talune piane costiere paludose sia per l’intenso esodo da aree interne, montane e collinari, e per la migrazione verso centri litoranei sempre più valorizzati dalla crescita delle attività industriali, commerciali, turistiche. Sulle rive del M. sorgono numerosissime città: tra le maggiori, Barcellona, Marsiglia, Napoli, Atene, Alessandria d’Egitto, Algeri.
I porti sono stati sempre numerosi nel M., mare che, nonostante vari periodi di decadenza, è risultato sempre interessato da traffici intensi. Quasi tutte le maggiori città costiere, specialmente quelle europee, svolgono importanti funzioni portuali e sono toccate da linee di navigazione che collegano i paesi mediterranei tra loro e con il resto del mondo. Emergono, tra i porti del M., Marsiglia, Genova e il Pireo (il grande sobborgo portuale di Atene), ma fanno registrare un notevole movimento marittimo e commerciale anche i porti spagnoli di Barcellona, Valencia, Algeciras, quelli italiani di Venezia, Trieste, Taranto, Napoli, Livorno, Palermo, e ancora Fiume, Salonicco, Haifa, Alessandria d’Egitto, Porto Said, Tunisi, Arzew, Algeri. A partire dalla metà del 20° sec., i traffici mediterranei hanno attraversato un periodo di rapida crescita (peraltro più volte interrotto a causa dei conflitti arabo-israeliani e delle chiusure del Canale di Suez) per il vertiginoso aumento della produzione petrolifera vicino-orientale e nordafricana e il trasporto del greggio in Europa.
Dal punto di vista della navigazione mercantile, il M. non è certo paragonabile alle aree marittime di più intenso traffico, che spettano all’Oceano Atlantico e, a partire dalla fine del 20° sec., soprattutto al Pacifico. Tuttavia, il movimento commerciale, soprattutto quello degli idrocarburi, è assai vivace. L’economia petrolifera interessa il M. anche come area di prospezione e di estrazione. Per le favorevoli condizioni meteo-marine e per la probabile presenza di serbatoi di idrocarburi superficiali e profondi, il M. è considerato uno dei mari più significativi per l’attività offshore, lungo le coste nordafricane (egiziane, libiche e tunisine) e turche, intorno a Malta e, per quanto riguarda i mari italiani, nell’Adriatico, nello Ionio e nel Mare di Sicilia. L’intenso traffico alimenta il movimento di numerosi porti: il maggiore di essi resta Marsiglia, soprattutto in virtù delle sue attrezzature per l’attracco delle petroliere e delle navi portacontainer. Tra i porti di esportazione degli idrocarburi emerge quello algerino di Arzew, tra quelli di importazione Algeciras in Spagna, Augusta e Cagliari-Sarroch in Italia.
Sebbene le caratteristiche fisiche del M. non siano molto favorevoli allo sviluppo della fauna marina, che conta in questo mare numerose specie ma un numero relativamente modesto di individui, tuttavia la pesca è stata sempre praticata da quasi tutte le popolazioni rivierasche: fino a tempi recenti prevalentemente da quelle europee, a partire dalla seconda metà del 20° sec. anche da quelle del mondo islamico (soprattutto da Turchi, Libici e Tunisini). L’inquinamento delle acque e l’eccessiva intensità dello sfruttamento hanno ulteriormente depauperato il patrimonio ittico del M., che è oggi notevole solo in alcune parti dell’Adriatico e nel Mar di Sicilia. Le specie più pescate sono quelle utilizzate per l’industria della conservazione (sardine, acciughe), discretamente presenti nel M. occidentale. In passato era molto diffusa la pesca del tonno, tipica soprattutto della Sicilia occidentale, ma praticata pure lungo le coste sarde, spagnole e nordafricane, ora drasticamente diminuita. Sono ormai in regresso anche altre attività pescherecce, come la raccolta delle spugne e dei coralli.
È invalso, a partire dagli ultimi anni del Novecento, l’uso di distinguere i paesi rivieraschi del M. in paesi della riva nord (europei) e della riva sud (afroasiatici); distinzione che utilizza approssimativamente i termini nord e sud per quanto riguarda la posizione geografica (la costa del Vicino Oriente asiatico dovrebbe indicarsi piuttosto come «riva est»), ma che, in compenso, richiama opportunamente le espressioni «Nord» e «Sud» del mondo, da tempo comunemente adoperate, rispettivamente, per i paesi industrializzati e per quelli definiti in via di sviluppo. In effetti, nettissima è la differenza di livello socioeconomico tra la quasi totalità dei paesi della riva sud e almeno una parte di quelli della riva nord, che è all’origine di un flusso migratorio da decenni rilevante per alcuni Stati (in particolare per la Turchia) e successivamente divenuto imponente per quasi tutti quelli della riva sud. È un flusso che in parte è diretto verso paesi dell’Europa mediana (specialmente la Germania) e in parte, invece, si esaurisce all’interno della regione mediterranea stessa (Francia, Italia, Spagna e da qualche tempo anche Portogallo e Grecia).
La mitezza del clima, il tepore delle acque, la bellezza dei paesaggi hanno rappresentato un’attrazione turistica rilevante, e molte coste mediterranee sono divenute meta di villeggianti e visitatori, provenienti non solo dalle zone interne dei paesi dello stesso M. ma anche, e soprattutto, da molti Stati dell’Europa centro-occidentale, primo fra tutti la Germania. Il turismo, che costituisce certamente un introito importante, ma anche, spesso, un fattore di turbamento di equilibri dell’ambiente naturale e culturale, è particolarmente incisivo in Spagna (Costa Blanca, Costa del Sol, Costa Brava), Francia (Costa Azzurra), Italia (riviere ligure e romagnola, Versilia, Sardegna), Grecia, Turchia, Tunisia.
Il ricambio molto lento delle acque, il cui tempo di rinnovo è di circa 80 anni, rende il M. molto vulnerabile all’inquinamento dovuto ai fattori di pressione di origine antropica (crescita della popolazione con tendenza all’addensamento lungo le coste, elevati flussi turistici, alta densità del traffico marittimo).
Sul M. si affacciano una ventina di paesi la cui popolazione complessiva mostra un tasso di crescita abbastanza elevato. Nei territori costieri, alla pressione esercitata dal carico demografico si aggiunge quella conseguente agli insediamenti industriali, soprattutto raffinerie di petrolio (fig. 1), complessi petrolchimici, impianti siderurgici. Occorre tenere conto, altresì, dell’inquinamento delle acque superficiali (e del conseguente trasferimento di inquinanti nelle acque costiere) provocato dalle attività agricole e zootecniche (residui agroalimentari, liquami e rifiuti animali, fertilizzanti, fitofarmaci).
Nonostante ogni anno vengano riversate nel M. tonnellate di inquinanti e il carico di nutrienti sia elevato, il M. mantiene caratteristiche di spiccata oligotrofia, con l’eccezione delle zone in prossimità dello sbocco dei grandi fiumi dove, come accade per l’Adriatico settentrionale per effetto dei nutrienti provenienti dal bacino del Po, possono generarsi problemi di eutrofizzazione delle acque. Le caratteristiche oligotrofiche del M. dipendono dallo scambio con l’Oceano Atlantico, da cui il M. riceve acque di superficie a basso tenore di sostanze nutritive e in cui immette acque profonde ricche di nutrienti.
Il M. è una delle aree di maggior interesse turistico del mondo. Ciò costituisce un fattore di pressione sull’ambiente di significativa entità: il turismo contribuisce almeno per il 7% all’inquinamento del bacino. La crescita disordinata degli insediamenti turistici, oltre a creare problemi stagionali può creare situazioni croniche di danno ambientale, quali la scomparsa delle dune, delle paludi costiere, delle praterie di Posidonia oceanica, l’eliminazione di buona parte della vegetazione e della fauna ittica e avicola nidificante, la contaminazione delle acque con inquinanti provenienti dalle imbarcazioni da diporto ecc.
Il M., pur rappresentando meno dell’1% della superficie complessiva di tutti i mari del pianeta, accoglie oltre il 20% del traffico mondiale marittimo di prodotti petroliferi. Ciò comporta un forte inquinamento delle acque a causa dell’elevata immissione di idrocarburi. Gli apporti di idrocarburi nel M. provengono per oltre il 50% dalla navigazione (rilasci dovuti a incidenti, acque di lavaggio delle cisterne); contributi significativi sono attribuibili anche alle raffinerie, agli scarichi civili, alle deposizioni atmosferiche (dovute a combustione incompleta di carburanti per autotrazione e di combustibili per riscaldamento nei territori rivieraschi). Occorre considerare, altresì, il fattore di turbamento rappresentato dalle aree offshore di esplorazione e sfruttamento degli idrocarburi. Per quanto riguarda l’Italia, l’inquinamento da idrocarburi è particolarmente avvertito nel Mar Ligure, nell’Adriatico settentrionale e nei mari litoranei siciliani e sardi, a causa sia delle numerose raffinerie installate lungo le coste sia della forte movimentazione di prodotti petroliferi nei porti italiani.
La salvaguardia di un ecosistema così delicato e vulnerabile come quello mediterraneo, giunto ormai a un livello molto alto di sofferenza ambientale, richiede un vasto piano di interventi di risanamento e di prevenzione.
Il fattore di perturbazione rappresentato dall’elevato carico demografico costiero può essere controllato soltanto attraverso la predisposizione di opere adeguate sia di smaltimento di rifiuti solidi urbani sia di collettamento fognario e depurazione delle acque reflue, tenendo conto delle fluttuazioni di popolazione dovute ai flussi turistici e degli apporti inquinanti degli insediamenti industriali.
Per limitare l’inquinamento di origine agricola occorre razionalizzare le modalità d’uso e le quantità di prodotti impiegati (fertilizzanti, fitofarmaci), disciplinare i regimi d’acqua per minimizzare la lisciviazione verso le acque superficiali, ottimizzare il rapporto fra capi allevati e superfici di terreni agricoli disponibili per lo spandimento dei liquami e dei rifiuti animali.
Il quadro degli interventi per limitare l’inquinamento da idrocarburi prevede: lo svecchiamento della flotta petrolifera, in quanto l’utilizzo sistematico del doppio scafo nelle flotte cisterniere dovrebbe consentire un drastico abbattimento del rischio di sversamento del greggio; il rispetto delle regole internazionali sulla navigazione marittima, in particolare la prescrizione di attrezzare i terminali di scarico con impianti di stoccaggio e trattamento delle acque inquinate da idrocarburi; la messa a punto di efficaci piani di emergenza nel caso di incidenti; la riduzione dei consumi petroliferi, anche tramite graduale e costante aumento del consumo del gas naturale; la creazione e il mantenimento di zone protette (riserve marine e costiere); il potenziamento delle attività di ricerca e sviluppo per mettere a punto processi innovativi di recupero biologico delle acque e delle coste inquinate (i metodi tradizionali basati sul contenimento con barriere e sull’uso di agenti disperdenti ed emulsionanti sono poco efficaci).
In geologia il M. e più in generale l’area mediterranea costituiscono una zona piuttosto complessa, in quanto in essa si fronteggiano due sistemi di catene montuose, una a vergenza europea e l’altra a vergenza africana, formatesi in seguito alla collisione tra le due zolle continentali arabo-africana a S e euroasiatica a N. La prima catena parte da Gibilterra e continua con la Cordigliera Betica e il suo prolungamento in mare fino alle Baleari, dove è interrotta in corrispondenza del Bacino Algero-Provenzale. Essa prosegue poi con le Alpi e con l’arco carpato-balcanico. La catena a vergenza africana, sempre partendo da Gibilterra, passa per il settore settentrionale del Marocco, dell’Algeria, della Tunisia e della Sicilia. In corrispondenza dell’arco calabro la catena subisce una torsione e si orienta NO-SE, formando l’Appennino. Questa catena continua poi nel sottosuolo della Pianura Padana e riaffiora nuovamente nelle Alpi meridionali, questa volta con direzione O-E; quindi subisce una nuova torsione in corrispondenza del confine tra l’Italia e la Slovenia per andare a formare i rilievi delle Dinaridi-Ellenidi. Appartenente sempre all’area mediterranea è inoltre la catena dei Pirenei, che costituisce il prodotto della collisione tra il blocco europeo e il blocco iberico.
Anche da un punto di vista geologico il bacino mediterraneo può essere suddiviso in occidentale e orientale, a ognuno dei quali corrispondono una serie di bacini minori.
Il vasto Bacino Algero-Provenzale presenta margini costituiti da sistemi di faglie subverticali disposte a gradinata, e da faglie listriche normali che risultano parallele o subparallele alla costa. Faglie trascorrenti e trasformi caratterizzano inoltre le parti più profonde del bacino. I dati sismologici indicano che l’area è interessata da sismi deboli a ipocentro poco profondo; lo spessore crostale in corrispondenza della piana batiale varia in genere da 10 km a circa 15 km, mentre aumenta in corrispondenza della Sardegna e della Corsica (25-35 km) fino ad arrivare a circa 50 km in prossimità della Provenza e delle Alpi Marittime. La litosfera, spessa meno di 30 km nelle zone batiali, aumenta a oltre 70 km verso i margini. In corrispondenza di questi ultimi il basamento è costituito da crosta continentale, mentre la zona assiale del bacino è costituita invece da crosta di tipo oceanico, con basalti tholeiitici e alcalini di età miocenica. La piana batiale è caratterizzata da valori positivi delle anomalie gravimetriche di Bouguer (oltre 200 mgal). I dati magnetometrici indicano che questo settore del M. occidentale è caratterizzato da un’alternanza di anomalie positive e negative che in alcune zone, come per es. tra la Sardegna e l’Algeria, hanno andamenti lineari tipici di una crosta oceanica. La copertura sedimentaria è formata da 3 unità stratigrafiche principali: la prima (la più antica) è costituita da sedimenti terrigeni di età oligo-miocenica (spessore 3-5 km); la seconda da depositi evaporitici di età messiniana (spessore 2-3 km) e la terza da sedimenti marini del Pliocene e del Quaternario (1 km).
Il bacino tirrenico presenta margini continentali interessati da una tettonica distensiva, con sistemi di faglie sia dirette sia listriche, spesso associate con faglie trascorrenti.
Nel Tirreno settentrionale i dati sismologici indicano la presenza di sismi deboli a ipocentro poco profondo, concentrati in particolar modo lungo la costa italiana. La crosta ha spessori che si aggirano sui 20-25 km, mentre la litosfera è spessa da 40 a 50 km e aumenta fino a circa 70 km verso il margine occidentale della penisola italiana. L’area bacinale presenta un’anomalia positiva di Bouguer che aumenta verso S fino a +150 mgal, mentre diminuisce spostandosi verso i margini della Corsica e della costa tosco-laziale. I dati magnetometrici indicano la presenza di anomalie positive connesse al magmatismo che ha interessato l’area a partire dal Miocene medio, come per es. le manifestazioni plutoniche granodioritiche e granitiche delle isole d’Elba e Montecristo, il monte sottomarino Vercelli, le vulcaniti di natura andesitico-latitica riscontrate nell’isola di Capraia. I valori del flusso di calore sono tipici di una crosta continentale; verso la Corsica sono stati misurati circa 2 HFU (heat flow unit «unità di flusso termico»), mentre verso le coste italiane i valori sono superiori a 3,6 HFU. Sul basamento, costituito da unità alpine interessate da una tettonica compressiva a vergenza appenninica, poggia discordantemente la copertura sedimentaria, suddivisa in 3 intervalli; il più antico è costituito da sedimenti di età compresa tra il Miocene medio e il Tortoniano (lo spessore massimo, da 5 a 8 km, è stato riscontrato nel Bacino della Corsica); si hanno poi i sedimenti evaporitici di età messiniana, che occupano generalmente il fondo delle depressioni tettoniche, e infine i sedimenti postevaporitici di età pliocenica e quaternaria, che hanno spessori intorno a 1000 m.
Nel Tirreno centro-meridionale, a ridosso dell’arco calabro, i dati sismologici indicano la presenza di terremoti a ipocentri intermedi e profondi che individuano una zona sismicamente attiva, immergente a NO, lunga circa 200 km, spessa 50 km e che arriva a una profondità di 500 km; essa ha una forma concava e segue l’andamento curvilineo dell’arco calabro-peloritano. La massima attività sismica è concentrata a una profondità compresa tra 250 e 300 km. Nella piana batiale la crosta ha spessori variabili da 9 a 15 km, mentre la litosfera è spessa circa 30 km. Questo notevole assottigliamento indica l’esistenza di un attivo processo di oceanizzazione del Mar Tirreno che ha portato alla formazione di due bacini: uno caratterizzato da un vulcanismo con lave a chimismo tholeiitico (settore centrale, bacino del Magnaghi-Vavilov) e l’altro con prodotti vulcanici ad affinità calcalcalina (settore sud-orientale, bacino del Marsili e di Palinuro, Isole Eolie). Verso le aree marginali del bacino gli spessori della crosta aumentano fino a 35-40 km e quelli della litosfera fino a 60 km, raggiungendo oltre 70 km al di sotto delle aree continentali. Le misure gravimetriche indicano una forte anomalia positiva di Bouguer (+250 mgal) in corrispondenza della piana batiale. I dati magnetometrici permettono invece di differenziare due zone: una che caratterizza la piana batiale occidentale, dove si riscontrano anomalie positive molto intense ma isolate, in genere associate a corpi o apparati vulcanici, e un’altra tipica del settore sud-orientale con anomalie di forma lineare e molto ravvicinate tra loro che assomigliano alle anomalie riscontrate in ambiente oceanico. Il flusso di calore presenta valori inferiori a 3,6 HFU nella piana batiale occidentale e valori superiori a 3,6 HFU in quella sud-orientale. La copertura sedimentaria giace discordantemente sul basamento, costituito da rocce basaltiche nella piana batiale centrale e sud-orientale; rocce metamorfiche erciniche costituiscono invece il basamento del Bacino della Sardegna, mentre verso il margine campano e siciliano il basamento è rappresentato da unità litologiche appartenenti alla catena appenninica e a quella siciliana-maghribina. La copertura è suddivisa sempre in 3 parti: sedimenti terrigeni preevaporitici (Miocene inferiore-Tortoniano), spessi fino a 2600 m sul margine sardo e nella piana batiale centro-occidentale; sedimenti evaporitici (Messiniano), spessi circa 1800 m nella piana batiale occidentale, meno sviluppati in quella meridionale e assenti nella piana batiale centrale e sud-orientale; sedimenti postevaporitici (Plio-Quaternario), con spessori fino a 3600 m nei bacini peritirrenici e di circa 1000 m nella piana batiale.
Il Mar Adriatico presenta una crosta tipicamente continentale; il suo spessore si aggira sui 25-30 km, aumentando fino a 35 km sotto la Puglia e a oltre 40 km verso la Penisola Balcanica. La litosfera ha spessori superiori a 70 km e raggiunge il valore massimo di 130 km nel settore settentrionale. I dati sismologici rivelano la presenza di sismi con ipocentri localizzati nella crosta, connessi con gli attuali movimenti dell’Appennino e delle Dinaridi. I rilievi sismici hanno inoltre evidenziato che tutto il settore mediano-longitudinale di questo bacino rappresenta una sorta di dorsale che separa e allo stesso tempo individua le due avanfosse che bordano le catene a opposta vergenza dell’Appennino e delle Dinaridi. In particolar modo l’avanfossa appenninica comprende i seguenti settori: l’area della Pianura Padana, il suo prolungamento in Adriatico fino alle Tremiti, la Fossa Bradanica e il suo prolungamento in mare nel Golfo di Taranto. La copertura sedimentaria giace su un basamento cristallino di età paleozoica; la successione inizia con depositi evaporitici di età permico-triassica che passano verso l’alto a sedimenti carbonatici mesozoici, sui quali sono presenti depositi terrigeni di età cenozoica. I depositi plio-quaternari sono spessi più di 7000 m nel settore prossimo alla Pianura Padana e diminuiscono di spessore fino a 2000 m nella zona mediana del bacino. Le anomalie gravimetriche di Bouguer sono principalmente negative e variano da −100 mgal (settore settentrionale) a −70 mgal (settore mediano). Tra le anomalie magnetiche ve ne è una con valori medi di 20-40 gamma che si estende in senso longitudinale per tutto il bacino. Anomalie magnetiche positive da +140 gamma a +320 gamma sono state rilevate di fronte ad Ancona, a S di Pescara e al largo di Zara. Il flusso di calore è piuttosto basso (<1HFU).
Nell’Adriatico meridionale il margine apulo è interessato da una serie di faglie a gradinata, orientate NO-SE, che lo ribassano verso il bacino profondo. Tale margine è costituito in prevalenza da sedimenti carbonatici di piattaforma di età cretacea, che sono a loro volta ricoperti da depositi clastici di età compresa tra l’Oligocene superiore e il Plio-Pleistocene. Il Canale di Sicilia costituisce la diretta prosecuzione in mare della catena siciliana-maghribina, a vergenza africana. I dati sismologici indicano la presenza di terremoti a ipocentro poco profondo e una crosta spessa intorno a 20 km sotto Pantelleria, che aumenta fino a 30-35 km sotto la Sicilia. I dati sullo spessore della litosfera sono più incerti, tuttavia esso dovrebbe aggirarsi sui 70 km. Le misure gravimetriche evidenziano la presenza di un’anomalia positiva di Bouguer (+90 mgal) nel settore centrale, dove sono presenti i più importanti graben. Le anomalie magnetiche riscontrate sono essenzialmente locali e in particolar modo connesse all’attività vulcanica dell’area. Il flusso di calore ha i suoi valori massimi (1-2,5 HFU) in corrispondenza del Bacino di Pantelleria. Le indagini sismiche hanno evidenziato la presenza di un basamento cristallino, non raggiunto da perforazioni, sul quale è presente una successione di rocce carbonatiche di età mesozoica e terziaria, che è spessa tra la Sicilia e Malta almeno 5 km. Questa successione, che risulta deformata, è ricoperta da sedimenti neogenico-quaternari con spessori che variano da 0 fino a oltre 2 km. Vulcaniti sono state rilevate sia nella successione carbonatica giurassico-cretacica sia nella copertura neogenico-quaternaria. Rocce basaltiche sono state raccolte sul Banco Avventura, sul Banco Senza nome e sul Banco di Graham. L’attività vulcanica si è protratta fino a tempi recenti: sono documentate storicamente sia l’eruzione dell’Isola Ferdinandea del 1831 sia quella del Vulcano Foerstner, a N di Pantelleria, del 1891. La serie di faglie verticali a prevalente direzione NO-SE, riscontrate nel settore centrale del canale, delimita i Graben che costituiscono i bacini di Linosa, di Pantelleria e di Malta; la loro presenza evidenzia un’attiva tettonica tensionale (distensiva) che ha interessato l’area a partire dal tardo Miocene e che ha permesso la risalita e la fuoriuscita di magmi a composizione basaltica.
Il Mar Ionio presenta caratteri geologici peculiari legati alla presenza di strutture come gli archi calabrese ed ellenico. La sismologia indica che in questo bacino si riscontrano sismi a ipocentro poco profondo (crostali) in prossimità delle coste e delle isole greche; la crosta ha spessori superiori a 25 km al di sotto della piana batiale e aumenta fino a 40 km in vicinanza dell’arco calabro. Lo spessore della litosfera si aggira tra 60 e 80 km; le proprietà elastiche evidenziano in ogni caso che si tratta di una litosfera continentale. Le anomalie gravimetriche di Bouguer sono essenzialmente negative. I dati magnetometrici indicano l’assenza di forti anomalie tranne che nelle aree dove sono presenti corpi magmatici. I valori del flusso di calore non sono elevati e risultano minori di 1 HFU. Le indagini sismiche hanno evidenziato la presenza di un basamento sul quale è presente una copertura sedimentaria che raggiunge 10-12 km nella piana batiale. In questa copertura sono state differenziate sempre tre unità costituite da depositi pre-messiniani, evaporiti messiniane e sedimenti plio-quaternari. In prossimità dell’arco calabro esterno questa copertura risulta notevolmente caoticizzata e dà luogo ad una morfologia del fondo piuttosto irregolare, che è interpretata come l’effetto dei fenomeni compressivi che caratterizzerebbero l’area.
Il Golfo di Taranto è considerato parte dell’attuale avanfossa dell’Appennino Meridionale e comprende la prosecuzione a mare sia delle unità alloctone dell’Appennino, a O, sia della piattaforma apula, a E (Dorsale Apula). Quest’ultima è costituita da una successione sedimentaria calcarea di età mesozoica ed è interessata da numerose faglie dirette a direzione NO-SE e NNO-SSE che ribassano la struttura verso l’area di catena, dove va a costituire il substrato dell’avanfossa (Valle di Taranto) sul quale si appoggiano le unità alloctone dell’Appennino.
Il margine orientale del Mar Ionio è caratterizzato da due settori con differente evoluzione strutturale e sedimentaria. Il primo si estende tra le isole di Corfù e Cefalonia; è sede di una spessa successione sedimentaria poco deformata di età compresa tra il Miocene e l’attuale. Il secondo, che si estende da Cefalonia lungo tutto il margine del Peloponneso e continua poi oltre l’isola di Creta, è caratterizzato invece dalla presenza della Fossa ellenica. Questi due settori sono separati dalla Scarpata di Cefalonia; a S di questa, la presenza della Fossa ellenica indica un attivo processo di subduzione tra bacino ionico e dominio egeo, che rappresenta la risposta alla convergenza tra le due zolle africana ed eurasiatica. L’intensa deformazione che caratterizza questa zona è espressa dalla presenza di un’area rilevata a morfologia irregolare, posta di fronte alla Fossa ellenica (zona a cobblestones), che costituisce la Dorsale Mediterranea. È stato rilevato che sulla dorsale, a S dell’isola di Creta, sono presenti due campi di domi, costituiti da materiale argilloso brecciato; questi domi sono interpretati come il prodotto di una intrusione diapirica di sedimenti che sono strizzati a causa della notevole compressione tra le due zolle africana ed euroasiatica.
Il Mar Egeo presenta una crosta tipicamente continentale con spessori di circa 32 km verso il settore settentrionale e 26 km in quello meridionale. La litosfera, spessa da 30 a 50 km sotto Creta, aumenta fino a un massimo di 105 km nell’area compresa tra Creta e l’Egeo centrale. I dati geofisici indicano un’intensa attività sismica con terremoti a ipocentro intermedio e profondo. Di particolare rilevanza è la forte anomalia gravimetrica negativa (inferiore anche a −100 mgal) riscontrata lungo l’arco ellenico, mentre un’anomalia positiva (anche maggiore di 100 mgal) caratterizza l’area a N di Creta. La stratigrafia sismica ha evidenziato la presenza di un basamento cristallino, che affiora sulla terraferma nelle isole Cicladi, sul quale è presente una copertura sedimentaria spessa circa 1-1,5 km. Nel complesso l’Egeo è caratterizzato dalla presenza di bacini sedimentari piuttosto frammentati e irregolarmente disseminati. Inoltre la posizione che esso occupa rispetto all’antistante Fossa ellenica fa sì che venga interpretato come un bacino di retroarco; a favore di questa interpretazione sono sia la presenza di una fossa, all’interno della quale si attua il processo di subduzione della zolla africana al di sotto di quella eurasiatica e del prisma di accrezione a essa collegato, rappresentato dalla Dorsale Mediterranea, sia l’intensa attività sismica e vulcanica dell’area, che ha avuto momenti parossistici di notevole intensità anche in tempi storici (collasso della caldera di Santorino, circa 3500 anni fa).
Il Mar di Levante è impostato su crosta continentale che di fatto appartiene alla zolla africana; l’area è occupata da una serie di bacini sedimentari dove i dati geofisici hanno rilevato ingenti spessori di sedimenti che producono anomalie gravimetriche negative di Bouguer. Nel settore sud-orientale dell’Anatolia la fascia corrugata durante l’orogenesi alpina è suddivisa in una serie di bacini stretti e allungati (Bacino di Adalia, Bacino di Adana, Bacino di Iskenderun) che sono separati da aree sollevate costituite da pieghe e thrust. Tra le coste egiziane a S e quelle dell’isola di Cipro a N si estende invece il Bacino levantino, posto a oriente del Monte di Eratostene. Le perforazioni e le indagini sismiche hanno evidenziato che in questi bacini la copertura sedimentaria premiocenica risulta notevolmente deformata, mentre i depositi successivi sono solo lievemente disturbati. Quasi tutti i bacini hanno un riempimento costituito da spesse pile di evaporiti mioceniche. Nei bacini di Adana e Iskenderun è stata riscontrata, per es., una sequenza di sedimenti preevaporitici spessi 5-6 km e costituiti in prevalenza da marne a globigerina, sui quali sono presenti circa 1,5 km di evaporiti messiniane che formano numerosi domi salini. Queste evaporiti sono a loro volta sormontate da una successione di sedimenti pliocenici e quaternari, con uno spessore di 2-3 km nei settori centrali dei bacini, in diminuzione verso le zone marginali. Una serie di dati geofisici (sismica, gravimetria, magnetometria) ha inoltre evidenziato, lungo la costa israeliana, la presenza di almeno 3 fasce orientate ONO-ESE che mostrano differenti depositi e proprietà geofisiche: quella più settentrionale è caratterizzata da un marcato diapirismo salino; la fascia centrale si presenta interessata da numerose faglie inverse che hanno determinato una topografia del fondale marino piuttosto accidentata, mentre la fascia più meridionale presenta ingenti spessori di sedimenti plio-pleistocenici valutati intorno a 3-4 km.
L’evoluzione geodinamica del M. si inquadra in quella più generale della Tetide, cioè dell’oceano che nel Giurassico separava l’Europa dal blocco Africa-Arabia. Le fasi di rifting tra le due zolle iniziarono infatti circa 190 milioni di anni fa; durante questo processo si ebbero una risalita dell’astenosfera e un assottigliamento della crosta continentale. L’intensa fratturazione e la risalita del mantello astenosferico dettero luogo alla formazione di dorsali oceaniche e allo sviluppo di una crosta di tipo oceanico, caratterizzata dall’associazione di particolari rocce sedimentarie, vulcaniche e intrusive conosciute con il nome di ofioliti. Attualmente relitti di questa crosta si rinvengono, anche se estremamente tettonizzati, nelle falde della catena alpina.
Alla fase di rifting seguì poi la fase di espansione (spreading) tra le due zolle che, allontanandosi, permisero lo sviluppo di un’area oceanica tra le due masse continentali (135 milioni di anni fa). Questo oceano iniziò a chiudersi a partire dal Cretaceo superiore (80 milioni di anni fa ca.) in seguito al riavvicinamento tra le due zolle africana ed eurasiatica, a sua volta connesso all’apertura dell’Oceano Atlantico. La crosta oceanica venne consumata nelle zone di subduzione, che secondo alcuni autori erano presenti su entrambi i margini delle due zolle, mentre secondo altri doveva essere presente una sola zona di subduzione, localizzata in corrispondenza del margine europeo. Circa 35 milioni di anni fa (passaggio Eocene-Oligocene) la completa scomparsa della crosta oceanica portò alla collisione continentale delle due zolle e alla formazione della catena alpina. Durante il Neogene importanti fasi deformative interessarono l’area mediterranea; queste fasi, che sono proseguite fino all’attuale, hanno dato luogo sia alla nascita delle principali catene circummediterranee (Maghribidi, Appennini, Arco Ellenico) sia alla formazione dei principali bacini del Mediterraneo. È infatti dell’Oligocene medio-Aquitaniano la formazione del Bacino delle Baleari, formatosi in seguito alla distensione connessa alla rotazione antioraria del blocco sardo-corso.
Il Mar Tirreno inizia invece ad aprirsi nel Miocene medio-superiore lungo un rift a direzione N-S localizzato in corrispondenza della Corsica e della Sardegna. Il rifting, connesso con un sollevamento astenosferico, ha prodotto l’assottigliamento della litosfera ed è andato migrando verso E contemporaneamente alla migrazione del fronte compressivo della catena appenninica. Il rifting tirrenico quindi non è stato contemporaneo in tutto il bacino ma si è propagato, in tempi diversi, da O verso E: nel Tirreno occidentale si è verificato tra il Tortoniano superiore e il Messiniano; nel Tirreno centro-meridionale (Bacino di Magnaghi-Vavilov) tra il Messiniano e il Pliocene medio, mentre nel Tirreno sud-orientale (Bacino del Marsili) tra il Pliocene superiore e il Pleistocene.
L’evento paleogeografico più importante dell’area mediterranea è tuttavia rappresentato dalla crisi di salinità del Messiniano, durante il quale il M. rimane completamente isolato e si dissecca, permettendo così la deposizione di notevoli spessori di calcare, gesso e salgemma. I sali evaporitici sono stati riscontrati in tutti i bacini e costituiscono un orizzonte sismico riflettente di notevole importanza stratigrafica. Nell’area mediterranea sono attivi sia processi di raccorciamento e ispessimento crostale in alcuni settori della catena alpino-appenninica sia processi di distensione e assottigliamento crostale nei bacini tirrenico e algero-provenzale, sia processi di subduzione nell’area dell’arco ellenico. Tutti questi processi sono guidati dal campo di stress che caratterizza l’intera area, il quale è provocato dalla convergenza, secondo direttrici N-S e NNO-SSE, delle due zolle eurasiatica e afro-arabica.
Gli eventi storici e le odierne condizioni ecologiche sono alla base dell’attuale situazione biogeografica del Mediterraneo. Lo studio del benthos litorale porta a considerare il M. come una sottoprovincia della provincia nordatlantica; esso confina tramite lo Stretto di Gibilterra con le due sottoprovince lusitanica e mauritanica, che vengono in contatto all’altezza del medesimo. La presenza di organismi provenienti dalle due sottoprovince sopracitate si giustifica con l’andamento di due correnti marine, una calda che sfiora le coste europee e l’altra fredda lungo le coste africane. A parte l’elemento nordatlantico, sicuramente il più cospicuo, nel M. si identificano altri tre gruppi biogeografici (endemico, senegalese e boreale) la cui presenza dipende dal susseguirsi degli eventi geologici. Si pensa che le specie presenti diversi milioni di anni fa nella zona mediterranea della Tetide si siano evolute in loco, originando così l’elemento endemico del M., rappresentato dagli stessi generi della regione indopacifica, ma con specie diverse.
Successivamente, trascorso il Pliocene, nuovi cambiamenti climatici hanno trasformato il M. in un mare temperato; gli elementi nordatlantici hanno così potuto penetrare e il M. ha iniziato ad assumere la sua attuale facies zoogeografica. Anche i periodi glaciali e interglaciali dal Quaternario hanno svolto un ruolo importante. Durante le fasi glaciali, le temperature erano basse e nel Mare M. sono penetrati elementi di faune settentrionali o boreali; alcuni rappresentanti di questi gruppi sono sopravvissuti fino a oggi in zone particolari, la maggior parte è però scomparsa durante gli interglaciali a causa della temperatura più mite e della maggiore salinità dovuta all’aumento dell’evaporazione. Durante i periodi interglaciali pleistocenici il M. ha invece visto la penetrazione di elementi della sottoprovincia senegalese, con forme tipiche di piccola profondità che preferiscono acque calde a elevata salinità.
Il susseguirsi dei diversi complessi faunistici mediterranei e la comparsa di nuovi componenti sono anche legati al regime delle correnti che attraversano lo Stretto di Gibilterra. Durante gli interglaciali la diminuita piovosità e la forte evaporazione determinano la comparsa, sempre attraverso lo Stretto di Gibilterra, di una forte corrente superficiale dall’Atlantico verso il M., con conseguente spostamento a N delle isoterme e comparsa di elementi senegalesi. Durante le fasi di glaciazione si verificano condizioni opposte; la scarsa evaporazione e l’aumento di livello delle acque del M. inducono la formazione di una corrente di superficie dal M. all’Atlantico; parallelamente si stabilisce una corrente profonda opposta che porterà nel M., per lo spostamento a S delle isoterme, specie boreali adattate a maggiori profondità e temperature più basse. La penetrazione attraverso lo Stretto di Gibilterra è tuttora in atto: gli organismi così giunti si installano soprattutto lungo le coste del Marocco; per questo, fra le coste marocchine e quelle spagnole è possibile distinguere un peculiare distretto biogeografico del M., il Mare di Alborán. Un’ultima immigrazione è da attribuire all’apertura del Canale di Suez: attraverso il quale sono comparsi numerosi nuovi elementi della regione indopacifica (elementi lessepsiani), provenienti dal Mar Rosso.
Gli eventi paleogeografici e i fenomeni di immigrazione citati hanno permesso di caratterizzare nel bacino del M. 4 distretti biogeografici: il Mare di Alborán; il M. Occidentale; il M. Orientale, il più ricco di endemismi e con le maggiori affinità indopacifiche; l’Adriatico, che nella sua porzione settentrionale rappresenta un’area di rifugio per gli ultimi elementi boreali sopravvissuti.
Le antiche lingue del bacino del M. romano precedenti o comunque indipendenti dalle lingue indoeuropee, semitiche e camitiche. Queste parlate, continuate in una sola lingua ancora vivente, il basco, sono documentate dall’etrusco, dal ligure, dall’iberico, dall’eteocretese, dal cario, dal licio e dal lidio ecc.
Il mediterraneo, ricostruito dal basco e dalle iscrizioni antiche, dai relitti lessicali in lingue storiche (gr. οἲνος, lat. vīnum) e soprattutto dalla toponomastica (*alba «altura», *gava «corso d’acqua», *tauro «monte»), resta tuttavia un’ipotesi di studio e non permette ancora una descrizione grammaticale.
Per la sua posizione fra Africa, Asia ed Europa, per la facilità delle comunicazioni e degli scambi, il M. è il mare che ha visto svolgersi più numerosi e decisivi eventi storici: a partire dall’età neolitica intere civiltà fiorirono intorno a questo mare. Dopo le civiltà sorte nel 5° e 4° millennio a.C. sulle rive del Nilo, del Tigri e dell’Eufrate, una posizione di rilievo acquistò nell’Egeo, con centro a Creta, il popolo minoico (3° millennio-metà del 2° millennio a.C.), che creò nel M. orientale una sua potenza mercantile fra Asia, Africa ed Europa. Il brusco crollo della civiltà cretese (verso il 1400 a.C.) coincise con il sorgere di quella ittita (Asia Minore e Siria) e quella micenea, nella regione intorno all’Argolide: è di questo periodo (15°-12° sec. a.C.) la prima ondata colonizzatrice delle stirpi abitanti la Grecia verso il M. orientale. Tramontate queste due civiltà verso il 12° sec. per i sommovimenti causati dalle migrazioni dei ‘popoli del mare’, si aprì un periodo tumultuoso contrassegnato da una parte dalla rapida ascesa dei Fenici che da Tiro e Sidone irradiarono le loro colonie fino nel M. occidentale (Cartagine, Spagna, Sardegna, Sicilia ecc.), dall’altra da un’espansione della nazionalità ‘ellenica’ che disseminò di colonie (8°-6° sec.) il M. occidentale (Sicilia, Magna Grecia, Cirenaica, e in piccola parte, Gallia meridionale e Spagna). L’affermarsi della potenza persiana, il cui dominio si estese rapidamente dal regno di Lidia all’Egitto, aprì una lunga lotta per il predominio del M. orientale, conclusasi sullo scorcio del 4° sec. con la campagna d’Asia di Alessandro Magno. Riunite sotto di sé in una forte monarchia militare le genti elleniche, abbattuto l’impero degli Achemenidi, Alessandro creò una compagine che dai Balcani e dall’Egitto incluse tutte le terre gravitanti nel bacino orientale del M.: popoli diversi per cultura e civiltà subirono l’influenza della civiltà greca.
Sulle monarchie ellenistiche sorte alla morte di Alessandro (323 a.C.) dalla dissoluzione dell’impero, si affermò la potenza romana, dopo aver conquistato su Cartagine il predominio nel M. occidentale (265-146 a.C.): il M., dalla Spagna alla Gallia, alla Grecia, all’Asia Minore, all’Africa settentrionale divenne un ‘lago romano’, posto sotto un’unica autorità politica (fig. 2): la vita e la storia del mare coincisero per 4 secoli circa con le vicende di Roma, anche per ciò che riguarda la diffusione del cristianesimo.
Il crollo dell’Impero romano e le invasioni barbariche segnarono lo sgretolamento definitivo dell’unità del M., vagheggiata tuttavia dagli Arabi, principale potenza del M. nel 7°-11° secolo. Pur fermato a E da Bisanzio e a O da Carlo Martello, l’Islam, controllando le grandi isole da Cipro alle Baleari, rimase padrone di Siria, Africa settentrionale e Spagna e creò, nella zona meridionale del M., centri luminosi di cultura con cui, solo a stento, poteva reggere il paragone Costantinopoli. Il mondo cristiano del M. occidentale solo nel 12°-13° sec., sulle orme delle repubbliche marinare italiane e delle crociate, poté stabilire scambi di cultura, di civiltà ed economici con il M. musulmano e con quello bizantino.
Favorita dalla sua posizione centrale, l’Italia diede vita agli splendori del Rinascimento, espressione di nuovi sviluppi di civiltà che dal M. s’irradiarono in Europa. Intanto, nel M. occidentale si rafforzavano le monarchie nazionali di Spagna e Francia, mentre nel M. orientale, dall’Asia Minore ai Balcani, i Turchi ottomani dal 1453 si presentavano come eredi di Bisanzio. Nel 15°-16° sec. il M. era diviso fra un predominio ottomano a E e uno spagnolo a O. Le scoperte geografiche, le vie aperte ai traffici da Colombo verso le Americhe e dai Portoghesi verso l’Asia, spostarono il centro dell’attività economica europea oltre lo Stretto di Gibilterra, segnando l’inizio della decadenza dei traffici nel Mediterraneo.
Nel 18° sec. l’Inghilterra diventò la più forte potenza marinara e coloniale del mondo, e con l’occupazione di Gibilterra e Minorca (pace di Utrecht, 1713) s’insediò nel M. occidentale. Nel M. orientale, la crisi dell’Impero ottomano spinse la Russia, dal 1711 in poi, a contendere ai Turchi l’eredità bizantina, facendo leva anche sulla solidarietà degli Slavi ortodossi dei Balcani; per contro, l’Austria orientò le sue linee di espansione verso il Danubio e l’Adriatico: emersero così i motivi di fondo di quella che sarà la ‘questione d’Oriente’ destinata a influire sull’equilibrio politico del Mediterraneo.
Tra 18° e 19° sec. l’azione di Napoleone sconvolse anche la situazione mediterranea: contro una Francia che aveva esteso il suo dominio alle penisole (Spagna, Italia e coste orientali dell’Adriatico), l’Inghilterra a Gibilterra aggiunse Malta, Sardegna e Sicilia, mentre la Russia puntava sempre più su Costantinopoli e gli Stretti.
Crollate con i trattati di Vienna (1815) le posizioni mediterranee della Francia, fino alla Prima guerra mondiale si ebbe un netto predominio della Gran Bretagna, col possesso di Gibilterra e di Malta, il protettorato sulle Isole Ionie e un deciso indirizzo volto a impedire, con l’appoggio dell’Austria, l’espansionismo russo nei Balcani e verso il M. orientale da un lato, l’influenza francese nella penisola italiana dall’altro. Intanto, la spinta dell’idea di nazionalità aveva investito anche le regioni del M., portando alla formazione di nuovi Stati indipendenti o semindipendenti: indipendenza della Grecia (1829); formazione del Regno d’Italia (1861); dapprima accentuata autonomia, poi indipendenza della Serbia, del Montenegro e della Romania (1878); indipendenza della Bulgaria (1908); inizio del distacco dell’Egitto dall’Impero ottomano (1841).
L’apertura del Canale di Suez (1869) tornò a dare al M. grande importanza. La Gran Bretagna volle garantire la sicurezza delle comunicazioni verso il proprio impero attraverso il canale assicurandosi il dominio strategico del M.: dopo Gibilterra e Malta, nel 1878 occupò Cipro e nel 1882 l’Egitto, spingendo la Francia in Tunisia nel 1881 a danno dell’Italia, per impedire che le due sponde del Canale di Sicilia fossero nelle mani di una sola potenza. Le altre potenze mediterranee cercarono di riequilibrare la situazione: la Francia (dal 1830 in Algeria), dopo il protettorato su Tunisi (1881) estese la sua influenza al Marocco (1911), diviso con la Spagna, lasciando a Tangeri un regime internazionale; l’Italia nel 1912 si insediò in Libia e nelle Isole dell’Egeo. Di contro, la Germania guglielmina aveva già esteso la propria influenza a Costantinopoli e nell’Asia Anteriore, e sollecitava il Drang nach Osten austriaco, sottolineato dall’annessione della Bosnia-Erzegovina (1908).
La fine della Prima guerra mondiale aprì una nuova fase: venuto meno il dominio nei Balcani, dove nasceva il nuovo Stato iugoslavo, la Turchia conservò in Europa il possesso della Tracia orientale e continuò a controllare gli Stretti; il rafforzamento delle posizioni britanniche e francesi nel M. orientale fu sancito dai mandati della Società delle Nazioni, mentre nuovi fermenti nazionali si affermavano nel mondo arabo e l’immigrazione ebraica in Palestina poneva le premesse per il futuro conflitto arabo-israeliano.
Dopo la Seconda guerra mondiale i paesi arabi del M. (con l’eccezione della Palestina) raggiungevano l’indipendenza: Siria, Libano e Giordania nel 1946, la Libia nel 1951, Tunisia e Marocco nel 1956, l’Algeria nel 1962; l’Egitto, formalmente indipendente fin dal 1922, si liberò definitivamente della tutela britannica e dal 1956 assunse il controllo del Canale di Suez. Con l’indipendenza di Cipro (1960) e di Malta (1964), pur nell’ambito del Commonwealth, la Gran Bretagna perdeva le due ultime posizioni nel M. orientale, mentre la sua permanenza a Gibilterra dava vita a una lunga controversia con la Spagna. Al declino, soprattutto dopo la crisi di Suez del 1956, della tradizionale influenza britannica e francese nel M. si è accompagnato una forte crescita della presenza statunitense, nel quadro del più generale confronto con l’Unione Sovietica.
Il principale fattore di tensione e di instabilità, dopo la Seconda guerra mondiale, è stato il conflitto arabo-israeliano, sviluppatosi a partire dal 1948, con la fine del mandato britannico sulla Palestina e la nascita dello Stato d’Israele. Tra le conseguenze di tale conflitto, va annoverata anche la chiusura del Canale di Suez (1967-75); la rilevanza di quest’ultimo, e più in generale del M. orientale, come via d’accesso al Medio Oriente, è risultata sempre più legata alle risorse petrolifere della regione. L’accentuato interesse per questa regione da parte degli Stati Uniti e degli alleati europei ha contribuito, soprattutto dopo la crisi della potenza sovietica all’inizio degli anni 1990, a uno spostamento verso S dell’area di interessi della NATO, con una crescita conseguente dell’importanza del M. e del ruolo degli Stati rivieraschi tra i membri dell’alleanza.
Un momento importante è stato segnato dalla Convenzione di Barcellona del 1995, con la quale 27 paesi dell’Unione Europea e del M. hanno adottato congiuntamente un approccio di cooperazione, inteso a dare una nuova dimensione alle loro relazioni, con l’obiettivo di creare un’Area mediterranea di libero scambio (partnership euromediterranea).
Giochi del M. Complesso di gare sportive che si svolgono, a partire dal 1951, con partecipazione maschile e femminile, ogni 4 anni (nell’anno che precede le Olimpiadi), in una sede diversa tra atleti di paesi rivieraschi, impegnati nella maggior parte delle discipline olimpiche.