Deposito di materiali detritici, fini o grossolani, formato da un fiume allo sbocco nel mare (d. marini), o in ampi bacini lacustri (d. lacustri), in condizioni aeree e subacquee. La parte emersa del d. costituisce la piana del d., continuazione della piana alluvionale, mentre quella subacquea comprende, spostandosi dalla costa verso il largo, la piattaforma e la scarpata di prodelta. Il termine fu usato originariamente dai Greci per indicare la regione delle foci del Nilo con allusione alla sua forma triangolare.
La deposizione dei materiali in un d. marino è condizionata dalla interazione idrodinamica tra le acque fluviali e quelle marine. Gli effetti che si realizzano sono l’espansione del flusso e il galleggiamento dovuto alla differenza di densità tra acqua salata e acqua dolce. In questo modo la corrente fluviale che si immette nella massa d’acqua salata, si espande per inerzia, e ciò provoca una diminuzione della velocità e della capacità di trasporto, che causa la deposizione del sedimento più grossolano trasportato dal fiume (barra di foce). Quest’ultima, ostacolando il libero flusso dell’acqua, tende a dividere la corrente in due rami, che col tempo diventano due canali distributori, ognuno dei quali riprodurrà lo stesso processo, permettendo una continua ramificazione (fig. 1). L’effetto di galleggiamento (che manca nei laghi, avendosi qui la stessa densità rispetto all’acqua fluviale) contribuisce, in ambiente marino, a disperdere i materiali più fini al largo, permettendone la sedimentazione sul prodelta. Lo sviluppo e la forma di un d. riflettono i rapporti tra processi fluviali e marini (onde e maree). In relazione a ciò si possono distinguere d. costruttivi e d. distruttivi (fig. 2). Nei primi (d. lobati, digitati: Mississippi), processi e apporti fluviali predominano su quelli marini; nei secondi (d. cuspidati, arcuati: Tevere, Rodano; a estuario: Gange-Brahmaputra) i processi marini sono predominanti su quelli fluviali.
Nei d. lacustri il modello geometrico è caratterizzato da 3 gruppi di strati tra loro discordanti: gli strati di tetto aerei, gli strati frontali o inclinati e gli strati di fondo subacquei. Questo tipo di geometria è il risultato dell’abbandono del sedimento (prevalentemente grossolano) su una scarpata subacquea la cui inclinazione dipende dall’angolo di riposo del materiale e dalla morfologia del bacino.
Le piane del d., piatte, paludose, spesso malsane, sono state in molti casi profondamente trasformate dall’azione dell’uomo, manifestatasi soprattutto con opere di bonifica idraulica. Così, mentre alcuni d. continuano a essere sfavorevoli all’insediamento e alle attività economiche, molti altri sono divenuti spazi profondamente umanizzati. Il più celebre di tutti, quello del Nilo (oltre 20.000 km2), è un’area di fittissimo popolamento (più di 1000 ab. per km2) e di ricca agricoltura (in particolare risicoltura). I grandi d. dell’Asia monsonica, tra i quali emerge quello amplissimo del Gange (oltre 60.000 km2), sono aree di elezione della coltura del riso e sono anch’essi densissimamente popolati: quello del Fiume Rosso, nel Tonchino, ha densità dello stesso ordine di quelle del d. del Nilo. Pure il d. del Mississippi è intensamente coltivato, a riso e a cotone. Per contro, quello della Lena, sulla fredda e inospite costa siberiana, è pressoché del tutto spopolato. In genere i rami deltizi non sono adatti alla navigazione e allo sviluppo di grandi porti, anzi, talora il processo di deltazione ha portato all’interrimento di vecchi porti e alla decadenza di città fluvio-marittime, come Aquileia sul Natisone o Spina sul Po. Altre volte, però, i vantaggi della posizione hanno indotto a eseguire lavori per costruire o salvaguardare porti di città sui d., specialmente quando l’attività alluvionatrice del fiume è contenuta (per es., a Calcutta, sul Gange).