Nome comune di Oryza sativa (v. fig.), pianta annua della famiglia delle Poacee.
Il r. ha radici fascicolate e culmi alti anche oltre 1 m, foglie ricoperte di peli corti e rigidi; l’infiorescenza può avere portamento eretto o pendulo a seconda delle varietà, con numero vario di spighette; ogni spighetta ha 2 glume molto piccole e 2 glumette molto sviluppate, di cui l’inferiore in certe varietà è aristata; il fiore ha 6 stami e un ovario con stimma a 2 lobi piumosi. Il frutto è una cariosside allungata, ellissoidale, che a maturazione si stacca insieme con le glumette che vi aderiscono fortemente (r. greggio, detto anche r. vestito, r. in paglia, risone o paddy); per mezzo di varie lavorazioni il risone viene privato delle glumette (sbramatura) e poi del pericarpo, pellicola leggermente bruna, con grandi cellule aleuroniche ricche di fosforo e lipidi, che avvolge la cariosside il cui endosperma è ricco di amido.
Il r. è originario delle zone umide dell’Asia sud-orientale (India, Indocina, Cina), dove è coltivato da tempi antichissimi; fu conosciuto nell’epoca greco-romana, ma non coltivato; la sua coltivazione in Europa fu introdotta dagli Arabi nell’8° sec. e precisamente in Spagna. In Italia, dove la coltivazione si sviluppò nella Pianura Padana, le prime notizie storiche risalgono al 1475. Nell’America Settentrionale, dove numerosi gruppi indigeni sfruttavano già dai tempi precolombiani una sorta di r. selvatico (Zizania aquatica), il r. è coltivato dalla fine del 17° secolo.
Oryza sativa comprende tre sottospecie: indica, japonica e javanica. La prima include le varietà con cariosside lunga e stretta ed è coltivata in paesi della fascia equatoriale; la javanica, a taglia alta e ampie foglie, viene coltivata nella zona indonesiana; la japonica, con cariossidi corte e tonde, è coltivata nelle aree a clima temperato.
A seconda dell’habitat e del sistema di coltivazione, il r. può essere classificato in: r. irriguo, quando è coltivato in pianura e in campi livellati e delimitati da argini; r. di montagna o pluviale, quando occupa aree collinose o declivi; r. flottante, che utilizza le aree adiacenti agli alvei dei fiumi tropicali, soggette alle esondazioni. I r. irrigui sono coltivati in presenza di uno strato di acqua di alcuni centimetri e forniscono le produzioni più elevate (fino a oltre 10 t per ettaro); i r. pluviali vengono estesamente coltivati ma forniscono produzioni modeste e incostanti.
Per quanto riguarda le caratteristiche gastronomiche, i r. con cariossidi ricche di amilosio sono poco collosi, mentre quelli privi di amilosio (r. glutinosi) hanno cariossidi bianco-opache e, con la cottura, diventano molto collosi: sono adatti per i dolci.
Altre classificazioni agrario-commerciali distinguono i r., in base alla pregevolezza, in r. comuni, semifini, fini, superfini e aromatici o, a seconda della forma della cariosside, in r. tondi, medi, lunghi.
La risaia. Il r. s’adatta a condizioni di suolo molto varie (terreni sabbiosi, argillosi, acidi, moderatamente alcalini, salsi, dilavati ecc.) ma richiede un clima caldo. Nei climi temperati la coltura si esegue su terreno permanentemente sommerso da uno strato di acqua (risaia) per fornire alla pianta una temperatura elevata e costante. Il terreno, che deve essere privo di marcate accidentalità, viene innanzitutto sistemato: la risaia viene demarcata dalle ripe e attraversata da arginelli trasversali e longitudinali, che delimitano diversi scompartimenti, detti camere o bacini. Nell’ambito di ciascuna camera non ci deve essere differenza di livello, mentre tra le varie camere è necessario un certo dislivello; la loro ampiezza varia da 5 ettari a poche are, ma di norma è di circa 1 ettaro e ciascuna è ripartita in prosoni, delimitati da solchi longitudinali e trasversali, i quali devono favorire la regolare distribuzione dell’acqua all’inizio della coltivazione e il suo smaltimento all’atto dell’asciugamento. Lungo la parte più alta della risaia viene scavato l’adacquatore, lungo quella bassa il colatore; le strade poderali vengono tracciate sul fianco delle ripe. Tutti questi lavori sono necessari per l’impianto di una risaia nuova; in quelle già in uso occorre ogni anno riattare le ripe, riparare gli argini permanenti (longitudinali), rifare integralmente gli argini annuali (trasversali), spurgare l’adacquatore e il colatore ecc.
Si sogliono distinguere risaie permanenti e risaie in vicenda, queste ultime distinte a loro volta in risaie nuove e risaie vecchie, intendendosi per nuove quelle nelle quali il r. succede a coltivazioni diverse, e per vecchie quelle nelle quali la coltivazione del r. è ripetuta per 2 o più anni di seguito sullo stesso appezzamento.
Il r. viene alternato con varie altre colture (per es. prato, frumento, mais, canapa) e le rotazioni, da settennali a triennali, variano da paese a paese. In Italia è molto diffusa la risaia permanente, solo occasionalmente avvicendata con la soia o il mais.
Operazioni colturali. La successione è la seguente: rifacimento delle arginature, aratura, livellamento, distribuzione dei fertilizzanti, erpicatura, sommersione, spianamento in acqua (slottatura), semina a spaglio in acqua. La semina del r. avviene in aprile-metà maggio, il diserbo in maggio-giugno, la raccolta in settembre-ottobre. Il diserbo viene eseguito in 2 tempi, subito prima o appena dopo la semina e ai primi di giugno. Il livello dell’acqua viene mantenuto tra 5 e 10 cm, ma la risaia viene asciugata durante la fase di radicamento, in occasione di concimazioni complementari e 3 settimane prima della raccolta; anche la concimazione viene eseguita in 2 tempi, in occasione della aratura o erpicatura e all’inizio della levata (formazione della pannocchia). La raccolta viene effettuata mediante mietitrebbiatrici cingolate, che raccolgono da 1 a 3 ettari all’ora.
Oltre che per le avversità meteorologiche (vento, grandine, gelate), il r. può subire danni da parassiti (larve di insetti), da funghi (brusone, elmintosporio) o dal freddo durante la fioritura (sterilità e colatura apicale).
Dopo la raccolta il risone viene essiccato in essiccatoi con aria riscaldata a 35-40 °C, che riducono l’umidità dal 24% al 14%; spesso il risone viene raffreddato a 12 °C per impedire lo sviluppo di insetti durante la conservazione. Il r. greggio proveniente dalle risaie dopo la trebbiatura e l’essiccamento è ancora avvolto nelle glumette. Per essere trasformato in r. commestibile deve essere sottoposto a una serie di operazioni in stabilimenti detti riserie, dove viene conservato in sili, da cui viene a mano a mano prelevato e passato alle varie lavorazioni, comprendenti: pulitura, scorzatura o sbramatura, che ha lo scopo di staccare dalle cariossidi le glumelle (lolla); segue la sbiancatura o pilatura, che ha lo scopo di asportare, per abrasione, il sottile strato esterno della cariosside (pericarpo e germe); dopo 2 o 3 passaggi in macchine poste in serie si ottiene il r. bianco o mercantile. Tra un passaggio e quello successivo vengono eliminati, con appositi separatori ad alveoli o a filo (bonarde), i grani rotti o sottili.
In forte sviluppo è il r. parboiled, detto anche avorio o cristallo per il colore leggermente paglierino e l’aspetto traslucido che assume la cariosside dopo il trattamento. Il parboiling è una pratica assai antica, di origine indiana, che ha lo scopo di ridurre le rotture della cariosside durante le operazioni di sbiancatura del risone e di impedire la diffusione nell’acqua di cottura dei principi nutritivi (lipidi e sali minerali) contenuti nello strato esterno della cariosside. Il processo è di tipo idrotermico e provoca la gelatinizzazione dell’amido; si favorisce la migrazione delle parti idrosolubili del germe e degli strati periferici verso l’interno dell’endosperma e si ha così una riduzione delle perdite di questi componenti nella successiva lavorazione. Una variante del r. parboiled è il r. converted, in cui il processo avviene in cilindri rotanti, che funzionano sia da autoclave per la cottura a vapore sia da essiccatoio, sotto vuoto, per la successiva asciugatura del risone trattato. Il r. a rapida cottura si può ottenere provocando microfessurazione negli strati superficiali dei chicchi, per es. con aria calda o per rigonfiamento, ciò che consente più facile penetrazione dell’acqua al momento della cottura.
Le cariossidi del r. vengono, pressoché totalmente, destinate all’alimentazione umana (quasi metà degli uomini che popolano la Terra ha nel r. il principale alimento). Dal r. si può ottenere, per fermentazione, una bevanda alcolica (sakè); esso fornisce inoltre importanti sottoprodotti per uso zootecnico (farine), per la fabbricazione della birra (rotture) e per l’amido. La paglia di r., una volta usata per lettiera nelle stalle, viene bruciata o trinciata e interrata con l’aratura.
La superficie risicola mondiale si è notevolmente accresciuta nella seconda metà del 20° sec.: dagli 85 milioni di ha coltivati annualmente prima della Seconda guerra mondiale si è passati ai 155 milioni dell’inizio del 21° secolo. La produzione annua ha superato nel 2007 i 659 milioni di t, prodotti per la massima parte dall’Asia monsonica, in particolare da Cina (187.397.460 t), India (144.570.000 t), Indonesia (57.157.436 t). Seguono Bangladesh, Vietnam, Myanmar, Thailandia e Filippine. Al di fuori di tale grande area, hanno rilevanza le produzioni del Brasile (11.060.700 t) e degli Stati Uniti (8.999.230 t). Altri paesi, pur producendo quantità molto modeste, si segnalano per le tecniche colturali evolute, l’elevato rendimento, la qualità pregiata; tra essi spiccano Australia, Spagna, Egitto e Italia. L’aumento della produzione mondiale di r. è essenzialmente derivato dal miglioramento genetico (nuove varietà più produttive) e della tecnica colturale. Significativi aumenti di produzione si sono registrati in alcuni paesi in via di sviluppo asiatici e particolarmente in Cina, dove vengono largamente coltivati i r. ibridi, in Indonesia e in India; anche in Vietnam l’evoluzione politica ha fortemente incrementato la produzione. Il r. è generalmente destinato all’autoconsumo e soltanto il 10% della produzione mondiale viene commercializzato. I maggiori esportatori sono Thailandia, India, Vietnam e USA; i maggiori importatori Filippine, Indonesia, Sudafrica e Iran.
La risicoltura italiana, concentrata in Piemonte, Lombardia e Veneto, ha raggiunto nel 2007 la produzione di 1.493.200 t su una superficie coltivata di oltre 232.000 ha, dati che rendono il nostro paese il primo produttore europeo. Poiché l’industria risiera italiana ha una capacità di lavoro largamente superiore alla produzione disponibile, essa importa semigreggio (sbramato) dai paesi tropicali e lo riesporta dopo averlo lavorato.
In Italia il commercio del r. è regolato dalle norme delle leggi 325/1958 e 586/1962. La legge riserva il nome di r. al prodotto ottenuto dalla lavorazione del r. greggio con completa asportazione della lolla e successiva operazione di rifinitura. Le varietà di r. greggio e di r. sono classificate nei seguenti gruppi: comune (o originario), semifino, fino, superfino. È vietato qualsiasi trattamento del r. con agenti chimici o fisici ed è vietata l’aggiunta di qualsiasi sostanza che possa modificarne il colore naturale o comunque alterarne la composizione naturale. Sono consentiti i trattamenti tipo parboiled, converted o simili. Sono pure consentiti i trattamenti per ottenere r. soffiato e quelli tendenti a ottenere l’arricchimento o la vitaminizzazione. Con r.d.l. 1237/1931, è stato istituito l’Ente nazionale risi che ha lo scopo di provvedere alla tutela della produzione risicola nazionale, agevolando la distribuzione e il consumo del prodotto, promuovendo ogni iniziativa rivolta al miglioramento della produzione.