Stato dell’America Meridionale. Quinto Stato del mondo per vastità, si estende in latitudine fra 5°16' N e 33°45' S, quindi tra la zona equatoriale e quella tropicale australe, per una lunghezza di 4320 km, cui corrisponde un’eguale distanza (4326 km) in senso O-E, nel tratto di maggiore ampiezza. La costa atlantica ha uno sviluppo di circa 7600 km, mentre le frontiere interne (oltre 15.600 km) toccano, da N a S e procedendo in senso antiorario, la Guiana Francese, il Suriname, la Guyana, il Venezuela, la Colombia, il Perù, la Bolivia, il Paraguay, l’Argentina e l’Uruguay, solo di rado appoggiandosi a elementi naturali: nel Nord, il confine segue grosso modo lo spartiacque tra bacino amazzonico e bacino dell’Orinoco (e i bacini dei minori fiumi della Guiana); buona parte del confine con la Bolivia è segnata dal fiume Guaporé; tratti minori, nel Sud-Ovest, seguono pure corsi fluviali; mentre non mancano lunghi tratti di confine rettilineo con gli Stati andini e platensi.
Gli elementi morfologici che contrassegnano il territorio brasiliano sono il bassopiano amazzonico a N e l’Altopiano del B. a S, i quali, insieme, occupano la quasi totalità della superficie. Al di fuori di queste due regioni, a N del bacino amazzonico il B. comprende l’orlo meridionale dell’altopiano della Guiana (Cerro da Neblina, 3014 m, è la massima vetta del paese); a S, ai margini delle alteterre interne, si sviluppano strette fasce pianeggianti lungo la costa e, a SO, la pianura del Paraguay, che in buona parte rientra nel territorio brasiliano.
Il vastissimo bassopiano sedimentario amazzonico corrisponde per l’essenziale ai tratti meno pendenti del Rio delle Amazzoni e dei suoi numerosissimi affluenti (ne sono stati censiti oltre 10.000). Il Rio delle Amazzoni e molti dei principali tributari del suo medio-alto corso discendono dai versanti orientali delle Ande o, in alcuni casi, dagli altipiani interni della catena andina. Nello scendere verso la pianura orientale, i fiumi andini superano una serie di dislivelli che provocano cascate o rapide. Pure intricatissima è la rete idrografica che innerva il bassopiano, ricchissima di diramazioni, isole fluviali, meandri, canali di collegamento tra corsi d’acqua diversi, acquitrini, e soggetta a frequenti esondazioni che per alcuni mesi all’anno interessano per oltre un centinaio di chilometri di profondità le zone rivierasche dei principali corsi d’acqua: ne derivano, da un lato, la formazione della várzea, foresta allagata dai caratteri ecologici originali, e dall’altro lato una limitata possibilità di popolamento proprio nei pressi dei fiumi, che però costituiscono spesso l’unica via di comunicazione praticabile. Nell’area amazzonica, del resto, la formazione vegetale tipica è la foresta pluviale, per cui l’insediamento umano è dappertutto molto rado e limitato. In tutta la regione le comunicazioni terrestri sono difficili, malgrado il recente potenziamento di una rete stradale essenziale; sono invece sviluppate quelle fluviali (il pescaggio del Rio delle Amazzoni e di alcuni affluenti è tale da consentire a navi oceaniche di risalire i fiumi per parecchie centinaia di chilometri), benché risentano dell’andamento stagionale dell’apporto di acque dai differenti versanti che alimentano il bacino. La fascia costiera del bassopiano è compatta e acquitrinosa a N delle foci del Rio delle Amazzoni e del Tocantins; più movimentata verso S, fino alla foce del Parnaíba, oltre il quale si eleva l’altopiano.
Il passaggio, verso S, dall’Amazzonia all’Altopiano del B., formato da un basamento cristallino precambriano coperto da più strati sedimentari, è quasi dappertutto molto graduale, data l’inclinazione delle alteterre verso NO, cioè l’interno. Esteso su oltre 3.000.000 di km2, l’insieme dell’altopiano presenta parti più elevate, fino a circa 2000 m, generalmente spianate alla sommità (chapadas), ma arriva ad assumere aspetto di catena montuosa lungo l’orlo orientale. Lungo la costa orientale si distende la Serra do Mar; alle sue spalle si susseguono la Serra da Mantiqueira (Monte Itatiaia, 2787 m), la Serra do Espinhaço (Pico de Itambé, 2033 m) e la Serra do Caparaó (Pico da Bandeira, 2890 m). La parte centro-occidentale del tavolato è nota con il nome di Mato Grosso. Lungo il margine orientale dell’altopiano si apre una fascia pianeggiante costiera di assai variabile estensione, a tratti, verso S, orlata da lagune (come la Laguna Patos, lunga 280 km), altrove fiancheggiata dal bordo accidentato e abrupto dell’altopiano. A S l’altopiano si abbassa gradualmente verso la regione sulla sinistra del fiume Paraguay, bassa, acquitrinosa (pantanais), impervia e disabitata.
Data la latitudine e l’esposizione ai venti atlantici, nell’insieme i climi del B. possono essere definiti caldo-umidi. La grande estensione longitudinale, tuttavia, la notevole distanza dalla costa delle regioni del Centro-Oeste e le variazioni altimetriche tra l’Amazzonia e le regioni centro-meridionali danno luogo a sensibili differenze climatiche e biologiche. Il bassopiano amazzonico ha clima tipicamente equatoriale, caldo e umido, con precipitazioni distribuite durante tutto l’anno (fino a medie di 2800 mm) e modestissime escursioni termiche. Gli altipiani della Guiana e del B. e la costa atlantica centro-meridionale presentano clima tropicale umido subequatoriale, con piovosità stagionale (estiva, 1000-1500 mm) e accentuata siccità invernale. Nell’entroterra della cuspide orientale del B., il Nordeste, invece, il clima è di tipo tropicale arido: la regione non viene quasi mai raggiunta dall’aria atlantica, le precipitazioni sono anche inferiori ai 500 mm annui e le temperature molto elevate (27° C in media annua). Nell’area più meridionale il clima è temperato caldo, più piovoso vicino al mare, tendenzialmente continentale nell’interno, con stagionalità marcata.
I bacini fluviali maggiori sono quelli del Rio delle Amazzoni, condiviso con vari altri Stati sudamericani, ma per quasi due terzi appartenente al B.; del Tocantins (2640 km) e del São Francisco (2900 km), interamente brasiliani; e del Paraná-Paraguay, che ha origine in B., nel quale rientra però solo per un decimo della superficie. Il Rio delle Amazzoni riceve alcuni importanti affluenti (17 dei quali superano i 1600 km di lunghezza): da destra Juruá, Purus, Madeira (tutti oltre i 3000 km di corso), Tapajós e Xingu; gli ultimi tre hanno piene stagionali, dato che scendono dall’altopiano, con andamento S-N, e non dalla fascia equatoriale; da sinistra (eccettuando il Marañón, considerato ramo sorgentizio), gli affluenti maggiori sono il Napo e soprattutto il Rio Negro (il principale per apporto di acqua), che presentano invece un regime equatoriale, con portate piuttosto costanti.
Il bacino amazzonico è coperto da una foresta pluviale di estremo rigoglio e grande varietà floristica. Lungo le coste settentrionali e sui bassi corsi fluviali si estendono ampie formazioni anfibie (igapó) a mangrovie. Nelle regioni a clima tropicale è tipica la caatinga, foresta rada e irregolare, con essenze a foglie caduche e piante xerofile, spoglia nella stagione secca; nel Mato Grosso si estendono i campos, savane arborate (campos cerrados) o totalmente erbacee (campos limpos). Nelle zone temperate meridionali tendono a prevalere le conifere. Il 18% del territorio brasiliano è oggetto di protezione ambientale.
I numerosissimi gruppi etnici originari del B. non raggiunsero mai una consistenza numerica di rilievo e, oggi come in passato, appaiono distribuiti con densità bassissima, prevalentemente sull’insieme delle terre loro ufficialmente riservate (circa il 10% della superficie). Essi presentavano una struttura socio-culturale relativamente semplice, senza rapporto con le forme di sviluppo delle culture andine e circumcaribiche. La penetrazione europea, progredita in modi e tempi assai diversi, ha prodotto un tale impatto culturale, economico e demografico che oggi è quasi impossibile tracciare un quadro che consideri simultaneamente distribuzione, consistenza e peculiarità culturali, enormemente variate nel tempo, delle popolazioni brasiliane nelle loro condizioni originarie. Ogni ricostruzione del passato etnologico del B. è congetturale, a causa della progressiva scomparsa e dell’acculturazione della quasi totalità delle popolazioni autoctone. Il basso sviluppo tecnologico e la relativa semplicità culturale sono elementi condivisi, ma sensibili sono le differenze somatiche, linguistiche e culturali.
La distribuzione del popolamento ricalca quella delle famiglie linguistiche, secondo la penetrazione avvenuta lungo le principali vie d’acqua (fluviali e costiere) di genti provenienti in prevalenza da settentrione: Caribi, per lo più a N dell’Amazzoni, ma anche a S fino sull’alto Xingu; Aruachi, nelle regioni occidentali, nell’alto Amazzoni e lungo il Purus e il Juruá, ma anche in quelle a N; ma soprattutto Tupi, lungo tutto il corso del Rio delle Amazzoni, i suoi affluenti di destra, tra il Madeira e lo Xingu, e lungo la costa orientale; per contro, dove la penetrazione da N si arresta, appaiono famiglie linguistiche isolate, appartenenti al più arcaico strato etnico, come quella dei Nambikwara dell’alto Tapajós, dei Bororo del Mato Grosso e il vasto gruppo delle lingue dei Gé del B. orientale e meridionale. Nei gruppi che sono stati definiti ‘delle foreste tropicali’, la facilità degli spostamenti fluviali ha favorito i contatti intertribali e una notevole omogeneità culturale. Generalmente stanziati presso le sponde dei fiumi, in villaggi semipermanenti costituiti da abitazioni di pali e ramaglie, coltivavano, con la pratica del debbio, manioca (dolce e amara), patata dolce, mais, fagioli, taro, arachidi, zucche e meloni. Il rapido decadimento dei terreni diboscati (fragili e poco nutrienti) costringeva alla rotazione delle colture e a una relativa mobilità dei villaggi. L’alimentazione era integrata dai prodotti della raccolta, della caccia (con arco, lancia, cerbottana e trappole) e soprattutto della pesca (con frecce, arponi e veleni; poco usate le reti). Pressoché ovunque presenti la canoa monoxila, l’amaca e le decorazioni corporee.
L’organizzazione sociale, strutturata su gruppi di discendenza (lignaggi e clan, prevalentemente patrilineari), era generalmente egualitaria, dato che l’esiguità numerica e la scarsità di surplus alimentare non favoriva la stratificazione in classi. L’organizzazione politica era frazionata a livello, spesso, di singoli villaggi dove la leadership veniva esercitata sulla base dell’autorevolezza, e non di un potere organizzato, da parte di individui a cui veniva riconosciuta per anzianità, posizione parentale o capacità mistiche. Non di rado a capo della comunità erano posti gli sciamani, terapeuti e intermediari tra il mondo profano e il soprannaturale. Netta la divisione tra i sessi, sia nelle attività economiche sia in quelle cerimoniali, frequenti i riti d’iniziazione e la divisione nei villaggi tra abitazioni per donne e bambini e ‘case degli uomini’.
Nelle regioni orientali, sull’arido altopiano, in certe aree interfluviali del bacino amazzonico vivevano gruppi che, avendo solo in parte assimilato gli elementi della cultura delle foreste tropicali, conservavano un cospicuo retaggio dell’arcaico sostrato di cacciatori e raccoglitori. Sono stati in passato definiti, come insieme, ‘marginali’, ma più che da una distribuzione geografica periferica o da tratti culturali condivisi, essi sono accomunati da affinità negative: assenza o scarsa rilevanza di agricoltura, ceramica, tessitura e imbarcazioni, povertà della cultura materiale, semplicità della struttura sociale. Principali attività economiche erano la raccolta e la caccia, in minor misura la pesca, mentre la coltivazione aveva una funzione limitata e puramente integrativa. Strutturate in piccole bande plurifamiliari, queste società tendevano a suddividersi periodicamente e a spostarsi nel territorio. Ridotta l’attività bellica, per lo più volta alla difesa. Ricca, in contrasto con l’assetto socio-economico, la sfera ideologico-concettuale. Non tutti i popoli che non appartengono alla cultura delle foreste tropicali possono rientrare in questa categoria dei ‘marginali’: i Bororo e gran parte delle genti Gé dell’altopiano orientale sono in una posizione intermedia, possedendo una complessa organizzazione sociale dualista.
L’attuale consistenza dei gruppi amerindi del B. è irrisoria: etnie che occupano migliaia di chilometri quadrati raramente eccedono oggi le poche centinaia di individui. Radicali effetti ha avuto il meticciamento biologico, e soprattutto culturale, conseguente alla colonizzazione di aree sempre più interne, mentre il semplice contatto ha portato alla diffusione di malattie che in passato hanno decimato e talora annientato le popolazioni indigene. Alcuni gruppi hanno dato segni di una ripresa demografica, benché in condizioni strutturali del tutto diverse, potendo fruire di forme di salvaguardia socio-sanitaria messe a disposizione dalle autorità statali e federali, ormai sensibilizzate alla condizione delle popolazioni indigene, sia pure in una situazione di competizione con interessi individuali e organizzati (latifondisti e grandi allevatori, imprese di sfruttamento del legname, raccoglitori di gomma, cercatori d’oro e diamanti), che mirano all’uso delle risorse presenti nei territori di stanziamento indigeno.
La crescita della popolazione in B., per un lungo periodo, è stata assai meno intensa che in altri grandi paesi americani meglio suscettibili di sfruttamento agricolo. Negli ultimi decenni del 20° sec., tuttavia, l’incremento è stato notevole, se si considera che i Brasiliani erano solo 71 milioni nel 1960. Il tasso annuo di crescita è tuttora poco più alto dell’1% (1999-2008), per circa 3/4 dovuto all’incremento naturale, con natalità ancora relativamente elevata (oltre il 15‰) malgrado una rapida recente riduzione, e per il resto all’immigrazione: entrambe le componenti hanno però registrato, dalla metà degli anni 1960, una sensibile contrazione. Sono nel frattempo migliorate le condizioni socio-sanitarie, benché fortissime restino le sperequazioni socio-economiche: progressiva e veloce è stata la riduzione della mortalità infantile (al 27‰ nel 2008, più che dimezzata in un decennio) mentre si aveva un parallelo forte innalzamento della speranza di vita, molto divaricata, però, tra maschi (69 anni nel 2008) e femmine (77 anni). La composizione per età vede prevalere le classi giovanili, e di conseguenza il tasso di mortalità è piuttosto contenuto (5,5‰).
La distribuzione territoriale è profondamente disomogenea. Si calcola che almeno l’80% della popolazione sia insediato in una fascia costiera di poco più di 100 km di profondità: è alla costa, del resto, che per secoli il popolamento del B. si è di fatto limitato (e in particolare alla costa a S del Capo San Rocco), addensandosi in aree relativamente ristrette in corrispondenza dei migliori approdi. Nell’interno, e soprattutto nelle regioni forestali, le densità scendono a valori di 1-2 ab./km2. L’addensamento della popolazione lungo il litorale non sembra destinato ad arrestarsi nel breve periodo, dato che continua il processo di rapido inurbamento della popolazione, che dalle campagne si dirige verso le città principali, quasi tutte costiere o prossime alla costa. La crescita urbana, rapidissima, ha caratterizzato tutta la seconda metà del 20° sec., portando alla nascita intorno alle città principali di enormi sobborghi precari (favelas); l’incidenza della popolazione urbana, che si valutava al 61% nel 1975, ha toccato l’84% nel 2004; la previsione che si possa raggiungere in pochi anni la quota del 90% sembra del tutto credibile, anche se è evidente che una soluzione politica ad alcuni secolari problemi (come, in primo luogo, la concentrazione fondiaria) potrebbe portare a un rapido decongestionamento delle aree metropolitane.
Le maggiori città restano San Paolo (con 19.226.426 ab. nell’intera agglomerazione urbana nel 2007) e Rio de Janeiro (11.563.302 ab.), ma numerose altre (Belo Horizonte, Pôrto Alegre, Recife, Salvador, Fortaleza, Curitiba) hanno superato ormai largamente i 3 milioni di ab. nelle rispettive agglomerazioni; anche Brasilia, interessante esempio di capitale ‘fondata’, ha raggiunto una soglia demografica rilevante (quasi 3.700.000 ab.). La insistita crescita dei poli urbani costieri ha portato alla costituzione di una regione megalopolitana litoranea che non solo include le due principali agglomerazioni di Rio e San Paolo, ma si spinge sia a N sia a S lungo la costa e anche verso l’interno; in questo ambito territoriale, sono decine le città con svariate centinaia di migliaia di abitanti. Se San Paolo non ha perduto il ruolo di motore economico (e culturale) dell’area megalopolitana e dell’intero B., la diffusione recente tanto dell’industria quanto del terziario avanzato interessa ormai un gran numero di centri di minore dimensione, entro la formazione megalopolitana, sostenuti e connessi da reti di comunicazione e di trasporto senza paragone più dense e meglio operanti che in qualsiasi altra parte del Brasile. Anche ben al di fuori di questa regione, peraltro, lo sviluppo urbano ha inciso profondamente, sebbene in misura più circoscritta: si è accennato alla crescita inattesa di Brasilia, la cui fondazione corrispose più a un progetto di riequilibrio politico e di fondazione identitaria nazionale che a un tentativo di vero bilanciamento insediativo o produttivo, come si volle dire, teso a valorizzare l’entroterra rispetto alla costa. Anche altre città hanno conosciuto negli ultimi decenni accrescimenti analoghi: nel Norte, Manaus e Belém; nel Nordeste, Salvador, Fortaleza e Recife; nel Centro-Oeste, Goiânia. Indubbiamente, data la vastità del B., si tratta di elementi troppo distanti e slegati tra loro per essere in grado di strutturare una vera rete urbana; ma sembra ragionevole attendersi effetti di irradiamento urbano anche a partire da questi centri più isolati, con risultati di migliore bilanciamento nella gestione del territorio, considerando anche la grande vivacità culturale e sociale, oltre che economica, di molte delle città brasiliane.
Dal punto di vista della struttura etnica, la popolazione brasiliana è in larga prevalenza bianca (circa il 54%) e meticcia (quasi il 40%), mentre la componente di antica origine africana (discendente dai circa 7 milioni di schiavi importati fino al 1850) costituisce il 6% e i residui Amerindi sono meno dell’1%. La popolazione di origine europea ha provenienze molto variegate, per effetto della lunga fase immigratoria, oggi quasi esaurita: prevale ovviamente l’origine portoghese, ma molto numerose sono le comunità di origine italiana (23-25 milioni), tedesca, spagnola, polacca; anche provenienze extraeuropee sono ben rappresentate: in particolare, notevoli le presenze arabe (soprattutto da Libano, Siria, Egitto: i Brasiliani di ascendenza araba sono circa 15 milioni) e giapponesi (2 milioni, la più numerosa comunità giapponese all’estero). Alcune componenti di origine migratoria presentano una distribuzione regionale specifica: così, i discendenti di immigrati tedeschi sono particolarmente densi nel Sul (Stato di Santa Catarina), quelli di origine africana nel Nordeste. Nonostante l’integrazione etnica e culturale, rimane ben evidente la preminenza socio-economica dei bianchi. Gli scarsi residui di popolamento originario (circa 700.000 unità al 2005) sono sparsi nell’Amazzonia e nella regione centro-occidentale dell’altopiano.
Lingua ufficiale è il portoghese, con varianti fonetiche e morfosintattiche e particolarità lessicali, per cui si tende a distinguere la varietà brasiliana dal portoghese europeo. Religione dominante è la cattolica (quella brasiliana è la comunità nazionale cattolica più numerosa del mondo), con minoranze (6%) protestanti; fenomeno particolarmente vistoso è la diffusione di culti sincretici (candomblé, macumba ecc.), che hanno largo seguito soprattutto tra la popolazione urbana dei ceti più sfavoriti.
Solo negli ultimi decenni, e in forme non ancora compiute, l’economia brasiliana si è andata affrancando dalle sue origini coloniali. In passato, essa si è sempre basata sullo sfruttamento di singoli prodotti, concentrandosi in veri e propri ‘cicli’ economici su specifici settori: dai legnami pregiati (16° sec.) alla canna da zucchero (17° sec.), all’allevamento bovino e suino (18° sec.), all’oro e ai diamanti (19° sec.), al caffè e al caucciù (20° sec.); soprattutto il caffè, in una fase di espansione del popolamento immigratorio e della rilevanza economica del B, ebbe un’incidenza tale da condizionare la vita del paese. Dopo la Seconda guerra mondiale, ma ancora per fasi più o meno accentuate, è venuta prevalendo la tendenza sia a valorizzare l’intera gamma delle possibili risorse, sia a fruire del vasto potenziale mercato costituito dalla popolazione del B. (ottavo Stato al mondo per numero di abitanti, nono per ricchezza prodotta), incentivando l’industrializzazione di base e di beni di consumo. Malgrado la carenza di orientamenti programmatici organicamente efficienti, il paese ha senza dubbio registrato notevolissimi progressi, anche se è ancora drastica la distinzione tra le regioni costiere sudorientali e tutto il resto del territorio.
Va inoltre sottolineato che il B. è uno degli Stati in cui più forte è il divario reddituale fra la popolazione più ricca e quella più povera e che, di conseguenza, il mercato interno reale è molto meno consistente di quanto possa apparire: il 20% più povero della popolazione ha a disposizione circa il 2% del PIL; il 20% più ricco circa il 64% (dati 2005); il 31% della popolazione totale si colloca al di sotto della soglia di povertà. In queste condizioni è chiaro che il dato del PIL medio annuo per abitante, che pure ha registrato un sensibile aumento nei primi anni Duemila, fino a raggiungere nel 2007 circa 9.500 dollari a parità di potere d’acquisto, ha un valore esclusivamente teorico. La stessa struttura della popolazione attiva (con ancora il 21% degli occupati nel settore primario nel 2005, ma quasi il 60% nel terziario) denuncia un processo di sviluppo relativamente lontano da quello dei paesi più avanzati. Sono evidenti i limiti dell’industrializzazione, che ha consentito la forte crescita economica nei decenni 1960 e 1970, ma soltanto nelle regioni del Sud-Est, tradizionalmente più popolose, più dinamiche, più aperte agli scambi e più ricche; inoltre, dal punto di vista della proprietà, una larghissima presenza di capitale straniero (per circa 1/3 statunitense) caratterizza i settori di base.
Dall’inizio del 21° sec., tuttavia, i tassi di crescita del sistema economico sono sempre stati piuttosto elevati, malgrado una serie di difficoltà finanziarie interne ed esterne; l’inflazione è stata ridotta a livelli accettabili, anche grazie a una radicale riforma monetaria negli anni 1990; le esportazioni hanno ripreso ad aumentare sia in quantità sia in valore; l’integrazione crescente con i membri del MERCOSUR (➔), dopo un avvio che aveva penalizzato il B. rispetto ad altri paesi, e i crescenti scambi con l’Unione Europea hanno cominciato a promuovere vistosamente alcuni settori produttivi brasiliani. Tra i problemi più seri rimangono l’incidenza del debito estero, su cui i governi brasiliani hanno ingaggiato serrati negoziati con i creditori internazionali, mentre si comincia a ottenere qualche risultato positivo all’interno, agendo sulla leva fiscale e sulla spesa pubblica, e realizzando incoraggianti avanzi primari di bilancio; e poi le sperequazioni interne, generate da iniquità distributive di varia natura, a cominciare dall’accesso alla proprietà della terra coltivabile nonché ai servizi sociali.
Fino a pochi decenni fa la fisionomia economica del paese era quasi interamente dettata dalla produzione di poche materie prime minerarie e forestali e soprattutto dalla coltivazione commerciale di un’ampia gamma di prodotti agricoli. Questi continuano ad avere grande importanza, ovviamente, soprattutto in alcune regioni, e specie se si considera l’impatto in termini di superficie coltivata: i paesaggi agrari di vastissime regioni brasiliane sono ancora contrassegnati da piantagioni di soia, di cui il paese è secondo produttore mondiale, grazie ai quasi 23 milioni di ha coltivati; di mais, di cui è terzo produttore e quarto esportatore (11,5 milioni di ha); di canna da zucchero (primo produttore, 5,8 milioni di ha, soprattutto nel NE); di caffè (primo produttore e primo esportatore, 2,3 milioni di ha, specialmente nel Sudeste e nel Sul); e ancora di cotone, agrumi (primo produttore), noci di acajú, cacao, altri frutti tropicali. È interessante notare che la stratificazione storica di specializzazioni monocolturali, sperimentata dal B. nel corso di secoli, ha finito per differenziare le produzioni di piantagione, così che nel suo insieme il settore agricolo appare molto meno vulnerabile di un tempo alle oscillazioni dei prezzi internazionali; se ne è avuta una riprova con il crollo del prezzo del caffè, negli anni 1980, a seguito dell’ingresso nel mercato di forti produttori africani, che non ha provocato il cataclisma economico che si verificò all’inizio del 20° sec. per un’analoga congiuntura. Alle produzioni destinate soprattutto all’esportazione, si aggiungono poi quelle dirette prevalentemente al consumo interno, per il quale il B. peraltro ancora importa derrate agricole: in primo luogo riso, coltivato su quasi 4 milioni di ettari, frumento, manioca, fagioli, e poi una serie di piante orticole.
Anche l’allevamento ha grande importanza, specialmente quello bovino: il B. è il secondo produttore al mondo di bovini e bufali, in gran parte concentrati nel B. meridionale e destinati alla produzione di carne e pellami più che di latte; ma di tutto rilievo è anche l’allevamento di suini (terzo produttore) e di volatili da cortile (quarto produttore); le carni sono esportate largamente, dopo essere state trattate per congelamento, salagione o inscatolamento. L’autosufficienza alimentare non è pienamente raggiunta, per la modesta produttività dei latifondi nel NE e per l’incidenza delle piantagioni sulle terre migliori nelle regioni meridionali; ma non è più nemmeno ricercata, dato il crescente inserimento del B. nel mercato mondiale in qualità di paese industriale.
L’agricoltura è nel suo insieme fiorente, ma i problemi che il settore pone sono soprattutto strutturali (proprietà fondiaria, meccanizzazione, estensione delle terre coltivabili) e non hanno facili soluzioni. Il territorio destinato alle colture non raggiunge l’8%; un po’ più del 22% è coperto da pascoli, quasi due terzi del totale da boschi e foreste; i coltivi ampliati ai danni delle aree forestali sono quasi sempre stati scarsamente produttivi; d’altra parte, la messa a coltura di nuove terre nella regione amazzonica solo marginalmente risolve il problema (più sociale che economico in senso stretto) dei sem terra, braccianti e piccolissimi contadini che negli ultimi decenni hanno tentato, tramite un’organizzazione capace di insistenti pressioni politiche, di ottenere riforme che destinassero una quota delle terre di latifondo alla redistribuzione; la maggiore presenza di latifondi (pascolivi o a cerealicoltura estensiva) e, insieme, di contadini senza terra si registra nelle regioni centro-meridionali e orientali del paese, dove peraltro i suoli sono spesso già al limite della produttività e non sosterrebbero un’agricoltura intensiva come quella di cui i contadini poveri avrebbero necessità.
I terreni resi disponibili dal taglio della foresta, dal canto loro, sono lontanissimi dalle regioni di maggiore popolamento e per di più presentano non pochi limiti colturali. Così i tentativi di penetrazione sistematica nella foresta pluviale (materializzata dalla ‘transamazzonica’: circa 5000 km di tracciato), come quelli spontaneamente messi in atto dai sem terra, appaiono in realtà destinati a creare scompensi ambientali molto più sensibili di quanto potrebbero essere gli effettivi vantaggi economici. Fra le ricadute ambientali negative della deforestazione, oltre alla perdita della copertura forestale in sé (cui si comincia a imputare anche un effetto di ordine globale sul clima terrestre) e oltre alla riduzione degli spazi di pertinenza delle popolazioni indigene, si lamenta con crescente allarme la perdita di elementi di biodiversità (si stima che il bacino amazzonico ospiti più della metà delle specie viventi, animali e vegetali, della Terra), l’imponente erosione e i fenomeni di desertificazione. In effetti, le pratiche di taglio non selettivo, ma ‘a raso’, delle foreste espongono le aree diboscate a una rapidissima degradazione, solo in parte contrastata dalla ricrescita spontanea di formazioni forestali secondarie; si consideri che la superficie mediamente abbattuta ogni anno, nel periodo 2002-04, è stata di 24.000 km2. Il legname che se ne ricava, peraltro, in buona parte destinato al mercato interno o alla trasformazione industriale (pasta di legno, gomme, resine), incide solo marginalmente nella bilancia commerciale, benché contempli anche essenze pregiate; va tuttavia aggiunto che, secondo stime governative, almeno il 60% del legname prodotto in B. viene tagliato ed esportato illegalmente (esisterebbero circa 3000 segherie clandestine in Amazzonia): di conseguenza, le statistiche sull’esportazione di legname risultano sensibilmente falsate. Il principale uso che può essere fatto dei terreni deforestati è il pascolo, che però viene praticato solo per periodi relativamente brevi dato il rapido decadimento della produttività dei suoli, il sovrasfruttamento e la stessa ricrescita della copertura arborea; la resa in carne (destinata all’esportazione nell’America Settentrionale) è abbastanza elevata e, soprattutto, bassissimi sono i costi d’esercizio. Più recentemente, anche la soia ha preso a occupare le terre deforestate; anche in questo caso la destinazione del prodotto è l’America Settentrionale, e anche in questo caso la resa, fortissima nei primi anni, decresce irrimediabilmente nel giro di breve tempo; l’impiego delle vie fluviali per il trasporto del prodotto garantisce però la convenienza di impianti (come terminali di carico, edifici per le maestranze e così via) anche a breve termine.
Il B. ha iniziato a sviluppare anche produzioni di beni di consumo (tessile-abbigliamento, calzature, mezzi di trasporto, elettrodomestici, elettrotecnica, agroalimentari, tra le quali spiccano: zucchero, di cui il B. è primo produttore ed esportatore mondiale, tabacco, e succhi di frutta, di cui è il terzo produttore); più recentemente si è avuta una forte crescita dei settori ad alta tecnologia (elettronica, aerospaziale, telecomunicazioni), spesso localizzati in zone franche (come presso Manaus) o in parchi tecnologici, che rappresentano circa il 12% delle esportazioni. Le produzioni manifatturiere, nel loro insieme, non solo collocano il B. tra i primi dieci paesi industrializzati del mondo, ma garantiscono oltre la metà delle esportazioni (54% nel 2005), segnando una modificazione profonda nella struttura economica del paese, che accompagna il progressivo ampliamento del mercato interno e l’innalzamento dei consumi (talmente rapido da avere provocato bruschi scompensi negli ultimi anni del Novecento).
Recente e imponente è anche lo sviluppo del terziario, quasi tutto concentrato nel Sudeste, dove non solo si trovano le principali imprese private del paese (mentre la pubblica amministrazione fa centro sulla capitale, Brasilia), ma anche la maggior parte dei centri di ricerca, delle università, delle strutture culturali (teatri, musei).
Dal punto di vista delle risorse energetiche, il B. ha maturato una favorevole situazione, specialmente grazie alla scoperta di vasti giacimenti di petrolio e gas e con la realizzazione di varie grandi centrali idroelettriche, che peraltro sfruttano solo una piccola parte del potenziale idrico del paese: tra i 25 impianti con potenza installata superiore a 1000 MW, si può ricordare quelli di Itaipú (12.600 MW), Ilha Solteira e altri sul Paraná; di Tucuruí sul Tocantins; di Xingó, Paulo Afonso IV e altri sul São Francisco. Nel 2005 il B. ha prodotto poco meno di 400 miliardi di kWh, per oltre l’80% di fonte idrica (terzo produttore mondiale di energia idroelettrica), e ha quasi pareggiato il fabbisogno in petrolio. A questi dati va aggiunto il particolare sviluppo che ha avuto in B. la produzione di etanolo (prodotto con cascami vegetali, a cominciare dalla canna da zucchero), con cui si soddisfa circa il 40% del fabbisogno di combustibili leggeri, in particolare per autotrazione. La raffinazione del petrolio alimenta in buona misura un’importante industria chimica, mentre il minerale di ferro (il B. ne è il secondo produttore mondiale) ha sostenuto la crescita di una cospicua siderurgia, e questa, a sua volta, lo sviluppo dei comparti meccanico, cantieristico, aeronautico, degli armamenti, che hanno affiancato le più tradizionali produzioni della gomma (pneumatici), derivante dalla disponibilità di caucciù, e del cemento. Ancora tra i minerali, importanti sono anche le produzioni di bauxite, manganese e stagno (con le relative metallurgie) e fosfati; e non irrilevanti quelle di oro, diamanti, pietre preziose.
Le comunicazioni, nel B. settentrionale e centrale, sono assicurate quasi esclusivamente dai corsi d’acqua navigabili; questi, almeno teoricamente, sono utilizzabili per circa 50.000 km complessivi, però prevalentemente distribuiti fuori delle regioni di maggiore addensamento di popolazione e di attività. Alle vie navigabili, si vanno aggiungendo alcune strade a lunga percorrenza, come la transamazzonica, che dalla costa del Nordeste si addentra quasi parallelamente al corso del fiume; la Brasilia-Belém, che interseca la transamazzonica, a N, mentre a S si connette con le regioni meridionali; la Sudeste-Rondônia, che da Brasilia raggiunge la transamazzonica, oltre la quale si prosegue ancora verso N, toccando Manaus e Boa Vista e il confine con il Venezuela; la Cuiabá-Santarém, che si stacca dalla precedente e procede in direzione S-N fino ad attraversare il Rio delle Amazzoni; inoltre, una moltitudine di strade di penetrazione destinate a raggiungere foreste da abbattere o giacimenti minerari; in molti di questi casi, le strade che vengono aperte non portano un reale beneficio in termini di collegamento, anche perché se ne abbandona la manutenzione non appena viene meno lo scopo per cui sono state realizzate. Assai sviluppata è, invece, la rete stradale nelle regioni prossime alla costa. Nell’insieme, la rete delle strade asfaltate raggiunge appena 95.000 km (2000), contro quasi 1,7 milioni di km di rotabili a fondo naturale.
Lo sviluppo della rete ferroviaria era nel 2003 di 30.403 km. Porti principali sono quelli di Vitória (che, con il terminale minerario di Tubarão e altri minori, ha movimentato circa 110 milioni di tonnellate nel 2000), Itaqui (58,5), São Sebastião (45,7), Santos (43), Sepetiba (39,8), Paranaguá (21); Manaus, con 8,8, è il primo dei porti fluviali.
Notevole sviluppo hanno avuto le comunicazioni aeree, con oltre 455 milioni di km volati e 250 milioni di passeggeri, che possono far conto su oltre 4.000 campi di atterraggio – di cui solo circa 700, tuttavia, hanno piste pavimentate, mentre un numero minore è dotato di vere strutture aeroportuali; i principali aeroporti (emerge di gran lunga su tutti il sistema aeroportuale di San Paolo, con 23,7 milioni di passeggeri) sono nelle regioni sudorientali (in ordine di movimento passeggeri: Rio de Janeiro, Salvador, Belo Horizonte, Pôrto Alegre, Curitiba), con le sole eccezioni di Brasilia e Recife. Va sottolineato il particolare ruolo dei collegamenti aerei in un paese così vasto e così sprovvisto, in ampie parti, di vie di comunicazione al suolo; la grande diffusione di piste d’atterraggio, una volta che si escludano quelle collocate nella regione megalopolitana, dove sorgono quasi tutti gli aeroporti internazionali (una ventina), non corrisponde a un traffico particolarmente intenso per quantità di passeggeri o di merci, ma ha una funzione chiaramente essenziale. La componente straniera del traffico aereo è comunque rilevante, sia per affari sia per turismo; i flussi turistici, in particolare, registrano una crescita costante e notevole rispetto a un passato anche recente (quasi 4,8 milioni di arrivi annui), ma sono ancora certamente lontani dai risultati che le potenzialità del paese consentirebbero.
Scoperto nell’aprile 1500 dal navigatore portoghese P. Álvares Cabral, il B. fu rivendicato e ottenuto dal Portogallo in quanto rientrata nella sua area di pertinenza secondo il trattato di Tordesillas del 1494. Dopo la spedizione di M.A. de Sousa (1531-33) e il completamento della ricognizione della costa atlantica, re Giovanni III avviò la colonizzazione del paese, suddividendolo in 12 capitanerie di carattere feudale, destinate in seguito ad aumentare di numero. Nel 1549 l’amministrazione fu accentrata con la creazione del Governo generale del B., ma il sistema delle capitanerie rimase in vigore fino al 18° sec., fornendo le basi al popolamento del paese e alla formazione di una classe di coloni aggressiva e intraprendente. Dalla metà del 16° sec. i gesuiti avviarono l’evangelizzazione degli indigeni, fornendo il primo nucleo di studiosi delle loro lingue e creando importanti missioni nell’interno, dove le popolazioni autoctone godevano di una certa autonomia e, soprattutto, venivano sottratte alla riduzione in schiavitù da parte dei coloni. Di qui l’ostilità di questi ultimi verso i gesuiti, gli attacchi delle bandeiras alle missioni e l’importazione massiccia di schiavi dall’Africa, fenomeni proseguiti fino al 18° secolo.
Durante l’unione fra Portogallo e Spagna (1580-1640) il B. risentì negativamente delle vicende politiche europee e vide lo sviluppo della pirateria inglese, l’occupazione francese del Maranhão (1612-15) e quella olandese di Bahia (1624-45).
Dalla fine del 17° sec. la scoperta di miniere di metalli e di pietre preziose nelle regioni meridionali provocò una notevole emigrazione interna e un afflusso di Portoghesi, con conseguente insorgere di tensioni e conflitti, ma anche con una più intensa esplorazione del paese. Contemporaneamente si verificava una crescita nella produzione agricola, veniva tolto il divieto per gli stranieri di possedere beni o di commerciare, si introducevano riforme riguardanti la proprietà terriera e veniva progressivamente superato il sistema delle capitanerie. Nel 1777 il trattato di San Ildefonso poneva termine a una secolare contesa con la Spagna assegnando a quest’ultima la Colonia del Sacramento, fondata nel 1679 dai Brasiliani sulle rive del Rio de la Plata.
L’invasione francese del Portogallo (1807), che costrinse il reggente don Giovanni a riparare in Brasile con la sua corte (1808), lasciando la difesa del paese all’Inghilterra, creò le condizioni per una crescita dello spirito di indipendenza del Brasile. L’apertura dei porti alle navi inglesi favorì lo sviluppo della produzione e del commercio, ma le spese per il mantenimento della corte portoghese e per la guerra contro la Francia impoverirono l’erario e determinarono, con l’aumento della pressione fiscale, grave malcontento. Nel 1816 don Giovanni fu proclamato re (Giovanni VI) del Regno unito di Portogallo, B. e Algarve (sotto la reggenza inglese fino al 1820) ma, costretto dalla rivoluzione portoghese del 1820 a fare rientro in Portogallo, perdette il B., che era rimasto sotto la reggenza del figlio don Pedro. Questi, infatti, nel 1822 proclamò l’indipendenza del B. e fu incoronato imperatore (Pietro I), ricevendo il riconoscimento portoghese nel 1825.
Nonostante la Costituzione relativamente liberale promulgata da Pietro I nel 1824, i primi anni di vita del nuovo Stato furono convulsi. Dopo la ribellione della provincia Cisplatina (occupata dai Brasiliani tra il 1816 e il 1821), che ottenne l’indipendenza come Repubblica dell’Uruguay, l’imperatore fu costretto ad abdicare nel 1831, in seguito a una rivolta popolare fiancheggiata dall’esercito, lasciando il trono al figlio Pietro II di appena 6 anni. La crisi si aggravò nel periodo successivo, con una serie di ribellioni nelle province che misero a repentaglio la stessa unità del paese, ricomponendosi soltanto dopo la proclamazione della maggiore età di Pietro II (1840). Il regno di Pietro II (1840-89) si rivelò un periodo di crescita e modernizzazione: furono riprese le esplorazioni nell’interno, intensificata la produzione agricola, create le prime ferrovie e sviluppata la marina mercantile; inoltre, ebbe inizio una vasta corrente di immigrazione proveniente dall’Europa. La pace con l’estero venne turbata dalla guerra contro il Paraguay (1865-71), in cui il B., alleato con l’Argentina e l’Uruguay, fu vittorioso.
Il principale problema sociale e politico, a partire dal 1860, fu la questione della schiavitù. Il paese premeva per la sua abolizione, mentre la classe dei proprietari terrieri vi si opponeva, e quando, dopo una serie di misure parziali, la completa emancipazione degli schiavi fu decisa, in assenza dell’imperatore, dalla figlia e reggente Isabella (1888), il venir meno del sostegno alla corona da parte di tale classe contribuì alla caduta della monarchia. Una rivolta militare nel 1889 portò all’abdicazione di Pietro II e alla proclamazione della repubblica, di cui primo presidente fu nominato M.D. da Fonseca. Nel 1891 fu varata una Costituzione federalista, ricalcata sul modello di quella statunitense; ma la situazione, dopo il governo dittatoriale dei primi presidenti (militari), si stabilizzò solo a partire dal 1895. I decenni successivi videro un’accelerazione dell’immigrazione dall’Europa, che fornì un’ampia offerta di mano d’opera, consentendo di superare i problemi derivanti dall’abolizione della schiavitù, e un’ulteriore espansione delle colture agricole di piantagione, in particolare di quella del caffè, divenuto il principale prodotto di esportazione.
Dopo aver partecipato all’ultima fase della Prima guerra mondiale (1917-18) a fianco dell’Intesa, il B. fu scosso, negli anni 1920, da forti tensioni sociali, che sfociarono nel colpo di Stato che portò al potere G.D. Vargas (1930). Varata una Costituzione nettamente autoritaria nel 1937 (quando furono anche sciolti tutti i partiti), Vargas mantenne la presidenza della Repubblica fino al 1945, cercando di fornire una base di massa al proprio governo dittatoriale con la mobilitazione popolare (soprattutto dei ceti urbani) e una serie di riforme sociali di ispirazione corporativistica (Estado novo). La sua politica centralizzatrice limitò la tradizionale autonomia degli Stati e delle oligarchie locali a vantaggio del governo federale, mentre venivano promosse l’industrializzazione e l’urbanizzazione del paese. Tali sviluppi furono accentuati dalla Seconda guerra mondiale, cui il B. partecipò dal 1942 a fianco degli Alleati: ne furono favorite le esportazioni sui mercati internazionali, in particolare americani, stimolata la crescita produttiva e rafforzati i legami con gli USA. Nel 1945 la pressione per il ripristino di una formale democrazia rappresentativa si espresse nel pronunciamento militare che costrinse Vargas alle dimissioni.
Dimessosi Vargas, furono eletti, con la partecipazione di vari partiti, un nuovo presidente della Repubblica (il generale E. G. Dutra) e un’Assemblea costituente. Nonostante l’avvento di un relativo pluralismo politico (il partito comunista, legalizzato nel 1945, dopo oltre vent’anni di clandestinità, fu comunque rimesso fuorilegge nel 1947), il nuovo regime rimase essenzialmente espressione dell’oligarchia tradizionale e della nuova classe media urbana, mentre l’esclusione dal suffragio degli analfabeti manteneva la maggioranza della popolazione, soprattutto nelle campagne, al di fuori della vita politica e i partiti restavano in gran parte legati a interessi e a gruppi dirigenti locali. I principali tra questi, il Partido Trabalhista Brasileiro (PTB), nazionalista e populista, il Partido Social Democrático (PSD), moderato, e l’União Democrática Nacional (UDN), conservatrice, si alternarono alla guida del governo fra il 1945 e il 1964, restando comunque sempre soggetti a una sostanziale supervisione delle forze armate.
Rieletto presidente nel 1950, Vargas, che aveva accentuato gli aspetti populistici della sua politica, nel 1954 fu costretto alle dimissioni dai militari. Dopo le presidenziali del 1955 entrò in carica il socialdemocratico J. Kubitschek, che cercò di promuovere lo sviluppo economico del paese con una politica di investimenti pubblici e fondò la nuova capitale Brasilia (1960). Al suo successore, J. Quadros dell’UDN, indotto a dimettersi dopo pochi mesi (1961), il vicepresidente J. Goulart, del PTB, osteggiato dai militari, poté subentrare solo dopo che un emendamento costituzionale ebbe ridotto le prerogative del presidente della Repubblica con l’istituzione di un primo ministro. Un referendum nel 1963 ripristinò il regime presidenziale, ma la politica riformista di Goulart (in particolare il progetto di riforma agraria) e la crescente mobilitazione popolare che l’accompagnava indussero le forze armate a prendere il potere con un colpo di Stato nel 1964.
La presidenza fu assunta dal generale H. Castelo Branco, che nel 1965 mise fuorilegge tutte le forze politiche, istituendo al loro posto un partito governativo, l’Aliança renovadora nacional (ARENA), e uno di opposizione ufficiale, il Movimento Democrático Brasileiro (MDB). Due nuove Costituzioni formalizzarono il regime militare, attribuendo in particolare poteri vastissimi al presidente della Repubblica. I movimenti di protesta, prevalentemente studenteschi, furono duramente repressi e i tentativi di dar luogo a una guerriglia rurale e urbana agli inizi degli anni 1970 furono sventati dall’esercito; anche la Chiesa cattolica, che, attraverso una parte consistente del clero e dei vescovi, denunciava l’oppressione politica e l’ingiustizia sociale, subì la repressione governativa (condotta anche da organizzazioni terroristiche di estrema destra come gli squadroni della morte).
Sul piano internazionale, il regime militare ristabilì i tradizionali stretti legami con gli USA, messi in discussione da Quadros e da Goulart, cercando contemporaneamente di assumere un ruolo egemone nell’America Meridionale, anche attraverso accordi economici e commerciali con i paesi vicini e con alcuni Stati europei. Dopo Castelo Branco (1964-67) si succedettero alla presidenza della Repubblica A. da Costa e Silva (1967-69), E. Garrastazu Médici (1969-74) ed E. Geisel (1974-79), mentre il B. viveva un periodo di sviluppo economico accelerato ma squilibrato, fortemente dipendente dall’estero e in particolare da un intenso afflusso di capitali stranieri, soprattutto statunitensi.
Verso la fine degli anni 1970 la crescita delle tensioni sociali e della pressione popolare per una democratizzazione del paese indusse i militari ad avviare un processo di graduale liberalizzazione del regime: dopo l’avvento alla presidenza della Repubblica del generale J. B. Figueiredo (1979), fu promulgata una legge di amnistia per i reati politici e, sciolti l’ARENA e l’MDB, si consentì la formazione di nuovi partiti politici. Alla scadenza del mandato di Figueiredo (1985) la presidenza fu assunta da J. Sarney, fondatore del Partido da Frente Liberal (PFL).
Tra le ragioni che avevano indotto i militari, per la prima volta dopo ventuno anni, ad accettare, sia pure in una forma prudente, il ritorno a un governo civile, vi era indubbiamente la crisi economica in cui il B. era precipitato dall’inizio degli anni 1980 (recessione, inflazione galoppante, esplosione del debito estero), con gravi conseguenze sul tenore di vita di ampi strati della popolazione e un acuirsi delle tensioni sociali. Il nuovo governo, che ereditava tale difficile situazione, doveva inoltre portare a termine il processo di transizione verso un regime democratico e affrontare problemi sociali di fondo, a partire dal nodo irrisolto della riforma agraria, centrale in un paese caratterizzato da enormi latifondi, in gran parte incolti, e da decine di milioni di contadini senza terra o proprietari di minuscole parcelle.
Sul piano politico, furono approvati nel 1985 il ritorno all’elezione diretta del presidente della Repubblica, l’estensione del diritto di voto agli analfabeti e la legalizzazione di tutti i partiti (compresi i due comunisti), nel 1986 fu eletto il nuovo Congresso, che assunse anche la funzione di Assemblea costituente. Per quanto riguarda la riforma agraria, un progetto formulato nel 1985 fu bloccato dall’opposizione dei grandi proprietari terrieri e delle forze conservatrici, mentre la violenta reazione dei primi (dotati spesso di milizie private) alla pressione dei contadini provocò oltre un migliaio di morti (tra le vittime, numerosi sindacalisti ed esponenti della Chiesa cattolica).
Sul piano economico, di fronte a un’inflazione superiore al 200% annuo e a un debito estero di oltre 100 miliardi di dollari, i piani di stabilizzazione non ebbero successo, mentre l’aumento della disoccupazione e le misure di austerità acuirono i contrasti politici e sociali. Le elezioni presidenziali del 1989, le prime dirette dal 1960, portarono alla guida del governo il moderato F. Collor de Mello.
Dopo le dimissioni di Collor de Mello (1992), accusato di corruzione, prese il governo I. Franco. Il suo ministro delle Finanze F.H. Cardoso nel 1994 riuscì a introdurre una serie di misure economiche che comprendevano, tra l’altro la ripresa vigorosa delle privatizzazioni e l’introduzione della nuova moneta, il real. Cardoso, sostenuto da figure di rilievo nel mondo dell’economia, visto con un certo favore anche dagli ambienti militari e forte inoltre dell’appoggio di una parte dei ceti popolari grazie a un programma di riforme strutturali, si candidò per il Partido da Social Democracia Brasileira (PSDB) e si aggiudicò al primo turno le presidenziali del 1994. La natura composita della coalizione al governo e il fatto che il Congresso fosse costituito per un terzo da rappresentanti dei grandi proprietari terrieri consentirono a Cardoso una realizzazione solo parziale del programma: fu proseguita la politica antinflazionistica e le privatizzazioni (già in vigore per telecomunicazioni e trasporti) furono estese al settore petrolifero, da oltre quarant’anni riservato al monopolio statale, ma non fu varata la riforma agraria, nonostante la creazione di un apposito Ministero, sollecitata dai sempre più cruenti scontri fra gli appartenenti al Movimento dos trabalhadores rurais Sem Terra (MST), sorto nel 1985, che come strumento di lotta politica impiegava l’occupazione delle grandi fazendas e dei terreni incolti, e le milizie private dei proprietari terrieri, spesso fiancheggiate dalla polizia. Alla mancata riforma faceva riscontro l’urbanizzazione massiccia di contadini senza terra e l’incremento della criminalità urbana. L’entrata in vigore del MERCOSUR (1995) fra B., Argentina, Paraguay e Uruguay, allo scopo di garantire la libera circolazione dei beni e dei servizi, una comune politica commerciale verso paesi terzi e il coordinamento delle politiche macroeconomiche dei paesi membri, portò a un aumento rilevantissimo del volume degli scambi, ma la scarsa competitività dei prodotti brasiliani rispetto a quelli argentini e la sopravvalutazione del real provocarono un consistente deficit commerciale del B. verso l’Argentina, mentre gli adeguamenti strutturali delle industrie brasiliane resi necessari dalla liberalizzazione del sistema economico comportarono, nel 1996, un aumento considerevole della disoccupazione. A fronte di tali difficoltà, le organizzazioni sindacali brasiliane reagirono con manifestazioni di protesta e scioperi generali. Tra indubbi successi nella lotta all’inflazione e impedimenti all’avvio di profonde riforme sociali, Cardoso rivinse le elezioni del 1998, prevalendo sul candidato del Partido dos Trabalhadores (PT), Luiz Inácio da Silva (Lula).
Lula divenne presidente allo scadere del secondo mandato di Cardoso, nell’ottobre del 2002, primo esponente di un partito di sinistra a rivestire tale carica. La sua politica è stata improntata a grande pragmatismo, facendosi garante presso i mercati della solvibilità brasiliana e del ruolo del paese come grande potenza e attore globale, e varando un piano di riscatto sociale ( Fame zero) che ha coinvolto 60 milioni di cittadini. Le tensioni determinate dalla lentezza dei processi di cambiamento e da ripetuti gravi episodi di corruzione commessi da diversi membri del governo e del PT non hanno impedito la riconferma di Lula per un secondo mandato nel 2006. Il successo della sinistra è stato riconfermato alle presidenziali del 2010, che hanno visto la vittoria con il 56% delle preferenze di Dilma Rousseff (n. 1947), ribadendo una via di sviluppo alternativa a quella del neoliberismo.
Nel periodo successivo la crescita economica ha subìto un rallentamento, attestandosi nel 2012 intorno allo 0,9%, e i tentativi di Rousseff di stimolare i consumi attraverso l’abbassamento dei tassi di interesse hanno provocato nel corso del 2013 un aumento dell’inflazione. Il malcontento della popolazione, che lamenta una scarsità di investimenti nei settori dell’istruzione e della sanità, è cresciuto a seguito delle politiche economiche volte a reperire fondi da destinare alla costruzione e ristrutturazione degli impianti sportivi per i Mondiali del 2014 e delle Olimpiadi del 2016; nel mese di giugno le proteste di piazza contro un ingiustificato aumento del prezzo dei trasporti pubblici si sono estese da San Paolo a molte altre città del Paese, trasformandosi in un movimento di opposizione più ampio che ha contestato i modelli di distribuzione della ricchezza.
Al primo turno delle consultazioni presidenziali svoltesi nell'ottobre 2014 il presidente uscente Rousseff ha ottenuto il 42% dei suffragi, superando il candidato conservatore A. Neves del Partito della socialdemocrazia (circa 33% dei consensi), che ha sconfitto al ballottaggio tenutesi nello stesso mese ricevendo il 51,7% dei consensi ed essendo confermata per un secondo mandato. La difficile situazione economica ha reso sin dalle prime battute accidentato il secondo mandato presidenziale di Rousseff, contro cui la piazza è tornata a protestare nel corso del 2015. La popolarità della presidente è stata ulteriormente indebolita dallo scandalo di corruzione legato al colosso nazionale petrolifero Petrobras, che ha travolto la politica brasiliana e nel quale sono coinvolti anche esponenti politici che sostengono il governo; nel dicembre 2015, inoltre, è stata avviata contro Rousseff una procedura di impeachment per la presunta violazione della legge sulla responsabilità fiscale, e nell'agosto successivo 2017 il Senato ha approvato la sua destituzione, subentrandole M. Temer alla presidenza del Paese, anch'egli coinvolto nei mesi successivi in una serie di scandali per corruzione e indagato per ostruzione alla giustizia.
In un Paese dilaniato dalla povertà e demotivato alla partecipazione pubblica dai numerosi scandali politici della sua storia recente, la deriva populista e reazionaria del pensiero comune – che il dissenso, organizzatosi attraverso le reti sociali in un movimento di protesta che ha dato voce soprattutto a donne e omosessuali, non è riuscito ad arginare – ha avuto come esito l’elezione alla presidenza del candidato di estrema destra J. Bolsonaro. L’uomo politico, sostenuto dal Partido social liberal (PSL), ha ottenuto il 55,1% dei consensi contro il 44,9% dello sfidante del Partido dos trabalhadores F. Haddad, dopo una campagna elettorale modulata seguendo il modello di comunicazione politica tracciato da D. Trump in cui ha difeso la dittatura militare e legittimato il ricorso alla tortura, ostentando pregiudizi omofobi, misogini e razzisti, ed elaborando un programma politico contrario a ogni principio di difesa dei diritti umani e di tutela dell’ambiente. Negli anni successivi i consensi accordati alla presidenza di Bolsonaro sono stati progressivamente erosi da fattori quali una gestione inefficace dell'emergenza sanitaria provocata dalla pandemia da Covid-19, politiche ambientali nettamente contrarie alla salvaguardia del patrimonio naturale e della biodiversità e provvedimenti economici tesi alla protezione degli interessi delle fasce sociali a maggior reddito, come evidenziato dai risultati delle consultazioni presidenziali svoltesi nell'ottobre 2022, alle quali Bolsonaro ha ottenuto il 43,7% dei consensi contro il 48,4% aggiudicatosi dall'ex presidente Lula, candidato della sinistra,che lo ha sconfitto al ballottaggio ricevendo il 50,9% delle preferenze e assumendo nel gennaio 2023 il terzo mandato presidenziale. A pochi giorni dall'entrata in carica del nuovo governo, dopo un lungo assedio alle sedi delle massime istituzioni dello Stato, sostenitori di Bolsonaro hanno assaltato il palazzo presidenziale, il Congresso e la sede del Tribunale supremo a Brasilia, respinti solo dopo varie ore da un intervento del governo federale.
Il gesuita J. de Anchieta, nel 16° sec., è il primo scrittore brasiliano; pochi altri nomi si ricordano per quel periodo (G.P. de Magalhães, B. Teixeira, F. Cardim). Durante il 17° sec. la cultura brasiliana è ancora essenzialmente legata al mondo iberico: A.L. Vieira è di nascita e di formazione portoghese e G. de Matos, considerato generalmente il primo poeta brasiliano, risente del barocco spagnolo. Una reazione decisa si ha nella seconda metà del sec. 18° con la ‘escola mineira’, dal nome del suo centro geografico Minas Gerais, mossa alla scoperta di fonti d’ispirazione autoctone; a essa appartengono C.M. da Costa, J. de Santa Rita Durão, autore del Caramuru (1785), J.B. da Gama, autore del poema O Uruguai (1769). Gli scrittori della ‘escola mineira’ precorrono l’esaltazione dei valori etnici locali che acquista rilievo, nel 19° sec., nel movimento romantico e prende forza dalle nuove ideologie politiche. La poesia ‘indianista’ di A. Gonçalves Dias è pervasa di fertile immaginazione e dolorosa sensibilità; J.M. de Alencar esalta con le sue opere (O Guaraní, 1857) le qualità umane del popolo brasiliano, iniziando la grande tradizione del romanzo nazionale. A. de Castro Alves conclude con la sua poesia il movimento romantico brasiliano e la sua apertura ai nuovi problemi sociali (in particolare la lotta antischiavista) si allarga nell’impegno politico della prosa di J. Nabuco e R. Barbosa. Sganciata da ogni scuola e corrente letteraria l’opera geniale di J.M. Machado de Assis.
Le correnti letterarie europee della fine del secolo si riflettono anche in B.: gli orientamenti della critica positivista hanno eco nell’opera di T. Barreto e S. Romero; le tre figure principali del parnassianesimo brasiliano sono R. Correia, O. Bilac e A. de Oliveira; la poesia di J. da Cruz e Sousa e quella di A. de Guimarães dominano il movimento simbolista. Uno degli aspetti più originali del naturalismo in B. è il movimento chiamato sertanismo (sertão indica le immense regioni in parte inesplorate dell’interno del paese), di cui A. Arinos e H.M. Coelho Neto sono le figure più rappresentative; la medesima innovazione tematica, in E. da Cunha, è impregnata di istanze sociali. Anello di congiunzione tra il simbolismo e la corrente del ‘modernismo’ brasiliano è il romanziere e saggista J. Pereira da Graça Aranha.
Il modernismo costituisce forse la fase più ricca di tutta la letteratura brasiliana, svoltasi a partire dal 1922 in stretta connessione con i movimenti europei del secolo; M.R. de Morais Andrade ne è stato la figura più rappresentativa; accanto a lui l’avanguardista J.O. de Sousa Andrade. Inserito nella corrente più vasta del modernismo è il movimento ‘nordestino’ di cui il sociologo G. de Melo Freyre è insieme il teorico e il massimo rappresentante (ricordiamo ancora: J. de Lima, G. Ramos, J.A. de Almeida, J. Lins do Rêgo, É. Verissimo e J. Amado, destinato a un grande successo internazionale). Si mantiene isolato da correnti e polemiche letterarie J. Guimarães Rosa, figura di spicco nella narrativa. Per la lirica vanno menzionati M. Bandeira, M. Mendes e C. Drummond de Andrade.
Il secondo dopoguerra vede la letteratura brasiliana in via di trasformazione; la nuova generazione si concentra su un’angosciosa meditazione metafisica, influenzata dall’esistenzialismo, o su ricerche formali. È la cosiddetta generazione del ‛45, che presenta alcuni poeti di notevole intensità morale e finezza stilistica come J.P. Moreira da Fonseca, M. Konder Reis, D. Damasceno e D. Carvalho da Silva. La figura più importante della poesia del dopoguerra rimane J. Cabral de Melo Neto, nel quale torna a manifestarsi l’impegno sociale e rivoluzionario. Notevole è l’influenza del concretismo, movimento fondato a San Paolo dai fratelli A. e H. de Campos, che tende a una poesia di puri segni, essenzialmente visiva. Da ricordare anche lo storico S. Buarque de Holanda, P. Nava e V. de Moraes, poeta-rapsodo e cantore di bossa nova.
La narrativa ha nel dopoguerra un periodo di crisi: la caduta del realismo regionalista e rivoluzionario degli anni 1930 e 1940 porta a prediligere un’espressione fortemente interiorizzata e simbolica. Autori significativi di questo periodo sono L. Cardoso, C. Pena e C. Lispector. Con gli anni 1960 si assiste alla comparsa di narratori caratterizzati dalla crudezza e spesso dalla violenza espressive (A. Callado, I. de Layola Brandão, C.H. Cony). La letteratura drammatica conosce un notevole sviluppo; si ricordano i drammi ciclici di J. Andrade, cui va accostato il teatro espressionista di N. Rodrigues, il teatro popolare di A. Suassuna e il teatro sociale di G. Guarnieri.
Negli anni 1980, al duro impegno politico assunto dalla grande maggioranza degli scrittori dopo il golpe militare del 1964, subentra una letteratura di tipo memorialistico, individuale e familiare. Il reinserimento nel dialogo internazionale contribuisce a un allargamento di confini per l’intelligenza locale e a una maggior conoscenza della realtà culturale brasiliana per il resto del mondo, pur nel rischio di un livellamento tematico e stilistico con un adeguamento ai grandi modelli europei e nordamericani. Ci sono, tuttavia, parallele, una dislocazione e una diffusione per tutto il corpo dell’immenso territorio nazionale dei centri culturali rappresentati un tempo solo dall’asse Rio de Janeiro-San Paolo e ora presenti nelle università, nella stampa quotidiana e nelle case editrici sparse dalle terre del Sud al Nord-Est di Recife e di Bahia fino all’Amazzonia. Scomparsi molti dei più significativi esponenti della precedente generazione, si mantengono sulla scena personaggi come J. Amado, R. de Queirós o J. Montello, ma emergono anche scrittori come R. Fonseca, maestro del giallo alla maniera carioca, nonché cultore di un romanzo storico d’ambiente che lo fa caposcuola di nuovi scrittori ripiegati come lui sulla realtà nazionale, fra i quali si segnala A.M. Miranda. Fanno loro da controcanto, dal Sud, le voci di M. Scliar, M. Hatoum e si mettono in luce anche molte scrittrici e poetesse, da R. de Queirós a L. Fagundes Telles e a N. Piñón, giunte tutte agli onori dell’Academia brasileira de letras, o anche poeti ‘difficili’, creatori della propria forma, al di là di ogni tradizione tematica e stilistica, come il citato J. Cabral de Melo Neto. Ne deriva una letteratura di minoranze che cercano finalmente nella differenza la loro collettiva identità nazionale.
L’architettura religiosa, importata dai gesuiti, riproponeva lo stile dominante in Portogallo, con continui scambi di artisti nonché di materiali lavorati (pietre tagliate a Lisbona per il B.), avendo come caratteristica la massima semplicità negli esterni degli edifici (facciate sobrie, con frontone triangolare o curvilineo e due torri; tipica, fino al 1740, la pianta ottagonale), in contrasto con la decorazione sfarzosa dell’interno: specialmente nel tardo barocco si manifesta il tipo della igreja toda de ouro («chiesa tutta d’oro»). Vanno ricordati i collegi gesuitici di San Paolo (1554), Rio de Janeiro (1570), Olinda (1576), oltre a una celebre torre eretta nel 1535 a Olinda, di cui rimasero alcuni avanzi fino al 18° secolo. Il primo altare in pietra fu eretto nel collegio dei gesuiti di Olinda, a imitazione di quello di S. Rocco a Lisbona. Da esso deriva la serie di altari nella nuova cattedrale gesuitica di São Salvador (Bahia, 1665-1750). Durante il Settecento fu notevole l’attività edilizia: cattedrale di Belém nel Pará (1748); teatro di Rio de Janeiro (1767); chiesa del Bomfim a Bahia ecc. Sino al 1795 circa, quando gradualmente si afferma il gusto neoclassico, predomina una versione locale dell’esuberante stile rococò vigente in Portogallo sotto Giovanni V (S. Francesco a Bahia, 1723-1746), talvolta curiosamente commisto a cineserie (importate da Goa). Fu ugualmente fiorente la scultura, specie a Pernambuco e a Bahia (Chagas, autore di espressive immagini religiose; A.F. Lisboa; V. da Fonseca e Silva, il più celebre degli scultori e architetti dell’epoca).
Fin verso la metà del 18° sec. la pittura fu praticata specialmente a Bahia, sebbene la pittura coloniale brasiliana non abbia rilievo al confronto con quella di altre nazioni sudamericane. In seguito, centro delle arti divenne Rio de Janeiro, dove nel 1816 giunse, chiamata da Giovanni VI, una commissione di artisti francesi organizzata da J. Le Breton. Essa ebbe un influsso positivo nel porre il B. in contatto con l’arte moderna. Fra i pittori del 19° sec. deve essere ricordato il romantico M. de Araújo Porto Alegre (1806-1879), continuatore dei francesi; E. d’Angelo Visconti (1866-1944) fu influenzato dagli impressionisti. Fra gli scultori si ricordano il neoclassico A. Taunay (1768-1824) e H. Manoel de Lima (m. 1863). Anche nella provincia si ebbero scuole locali di qualche importanza. Durante la guerra con il Paraguay, fu in voga la pittura di battaglie (P. America; V. Meirelles).
Dopo la proclamazione della repubblica (1891) iniziò la ricostruzione monumentale di molte città; furono impiegati anche architetti francesi (Grandjean de Montigny). Per merito specialmente di L. Costa e O. Niemeyer tra le due guerre mondiali ebbe inizio un vero rinnovamento architettonico, per il quale è stata importante anche l’influenza di Le Corbusier, chiamato come consulente per il Ministero dell’educazione a Rio (1936). Fra gli architetti più significativi sono anche da ricordare A. E. Reidy (1909-1964), R. Levi (1901-1965), i fratelli Roberto, J. Moreira (1904-1992), L. Bo Bardi (1914-1992), accanto a R. Burle Marx, che hanno continuato a caratterizzare la produzione architettonica brasiliana. Importanti interventi architettonici sono stati realizzati da P. Mendes da Rocha (n. 1928) a San Paolo (MUBE, il Museo brasiliano di scultura, 1995, e Pinacoteca di Stato, 1998); a Rio, parallelamente alla riqualificazione del centro storico e a un pianificato sviluppo di nuovi quartieri, si ricordano notevoli opere di J. Filgueiras Lima (n. 1932), attivo anche nel resto del paese.
Nelle arti figurative, a San Paolo la Semana de arte moderna (1922), la Sociedade pro-arte moderna (1933), il Museo d’arte (1947, sistemato nella nuova sede, progettata da L. Bo Bardi, nel 1968), il Museo d’arte contemporanea (fondato nel 1963) e a Rio de Janeiro il Museo d’arte moderna (1955), le Biennali (famosa in tutto il mondo è La Bienal di San Paolo, dal 1951; a Pôrto Alegre si realizza dal 1997 la Bienal do Mercosul), hanno contribuito al clima internazionale dell’arte brasiliana. Fra i maggiori pittori si ricordano, oltre a C. Portinari e L. Segall, F. de Rezende Carvalho (1899-1973), E. Di Cavalcanti (1897-1976), A. Volpi (1896-1988), I. Camargo (1914-1994), A. Ianelli (1922-2001), M. Mabe (1924-1997), A. Mavignier (n. 1925) e le opere con carta di A. Luis Piza (n. 1928). Tra gli scultori sono da ricordare B. Giorgi (1905-1993), M. Martins (1900-1973); esuberanze folcloristiche danno un’impronta all’arte geometrica di R. Valentim (1922-1991), mentre la geometria pura incontra il favore degli scultori S. de Camargo (1930-1991), A. de Castro (1920-2002), F. Weissmann (1914-2005), L. Clark (1920-1988), quest’ultima addentratasi anche in happenings ed esperimenti sensoriali. H. Oiticica (1937-1980) si è dedicato alla sperimentazione d’avanguardia nei diversi media.
Dalle prime manifestazioni culturali e pratiche, dovute specialmente a missionari-musicisti portoghesi di valore spesso notevole, operosi nei sec. 16° e 17°, la musica in B. ha avuto nel 18° sec. tendenze che intrecciavano manifestazioni (canti, arie, danze) prodotte da immigrati iberici e da schiavi africani. Nel 19° sec., intorno alle prime regolari istituzioni di istruzione musicale (cappella reale e conservatorio di Rio de Janeiro, fiorenti grazie a J.M. Nunes Garcia e F.M. da Silva) si produce un movimento progressivo contrassegnato prevalentemente da impronte europee, che raggiungerà il culmine nell’opera di A.C. Gomes. Un’arte già meglio riconoscibile quale nazionale, che sente e diffonde sensi e stilemi folcloristici, appare successivamente impersonata soprattutto da H. Villa-Lobos. Altri musicisti intervengono peraltro nel movimento internazionale contemporaneo, apportandovi il contributo musicale brasiliano, tra i quali F. Mignone, M. Camargo Guarnieri, O.L. Fernández, F. Braga ecc. Tra le forme musicali tipiche del B. si ricordano samba e bossa nova.
Città storica di Ouro Prêto (1980); centro storico di Olinda (1982); missioni gesuite dei Guaraní (1983); centro storico di Salvador de Bahia (1985); santuario del Buon Gesù a Congonhas (1985); Parco nazionale Iguaçu (1986); Brasília (1987); Parco nazionale Sierra da Capivara (1991); centro storico di São Luís (1997); aree protette della Foresta atlantica del Sud-Est (1999); aree protette della Foresta atlantica della Costa della Scoperta (1999); centro storico di Diamantina (1999); Riserva della biosfera dell'Amazzonia centrale (2000, 2003); aree protette del Pantanal (2000); isole atlantiche brasiliane: aree protette di Fernando de Noronha e Atol das Rocas (2001); parchi nazionali Chapada dos Veadeiros ed Emas (2001); centro storico di Goiás (2001).