Stato dell’America Meridionale. Confina a N e a E con il Brasile, a O con il Perù e con il Cile, a S con l’Argentina, a SE con il Paraguay.
Il territorio della B. è formato da una regione elevata a O e una bassa a E. La parte occidentale, sezione del sistema andino, comprende una zona centrale depressa, dove sono ampi bacini lacustri senza scolo al mare (Titicaca, Poopó) e due zone elevate marginali, con vette che superano spesso i 6000 m. La zona depressa centrale, diretta da NO a SE, livellata e alta in media 3700-3800 m, è chiusa a O dalla Cordigliera Occidentale (Cordillera de la Costa), ricca di coni vulcanici per lo più spenti (Tacora, 5982 m; Sajama, 6542 m ecc.); e a E dalla Cordigliera Orientale (Cordillera Real), costituita per lo più da rocce granitiche (Illimani, 6462 m; Illampu, 6362 m). La regione piana orientale comprende a N i bassopiani del Beni e del Mamoré, nel centro l’altopiano dei Chiquitos e di Velasco, e a S una parte del bassopiano del Chaco, povero d’acqua.
Il clima della Bolivia, situata all’incirca fra 10° e 22° lat. S, risente dell’influenza della latitudine, del rilievo e anche del regime dei venti. L’altopiano ha un clima caldo d’altitudine, con temperature medie annue inferiori a 20 °C, escursioni annue limitate (5-6 °C), periodo secco ben determinato (giugno-agosto); i bassopiani del Beni e del Mamoré e il versante E della Cordigliera Orientale, fin verso il 18° S, hanno clima equatoriale, caldissimo e umido, con piccole oscillazioni termiche stagionali e piogge copiose (1500-2000 mm). Procedendo verso S l’andamento delle temperature si fa più irregolare, le precipitazioni diminuiscono e si accentua la stagione secca: nel Chaco le precipitazioni scendono sotto i 750-800 mm e la temperatura si aggira sui 24-25 °C, con 8-9 °C di escursione annua.
La Bolivia di SO e alcune parti del Chaco sono prive di fiumi, il bacino del Desaguadero con i laghi Titicaca e Poopó è endoreico. La maggior parte del paese manda le sue acque al Rio delle Amazzoni tramite il Beni e il Mamoré, che formano il Madeira, la regione di SE tributa al Paraguay-Paraná per mezzo del Pilcomayo.
Nella Bolivia di NE predomina la foresta equatoriale, che si tramuta, sul versante orientale della Cordigliera, in foresta tropicale di montagna, mentre verso S trapassa nella boscaglia spinosa e nei campos. Sugli altopiani prevale la puna, formazione xerofila con piante basse, legnose e spinose, che ricoprono anche il Chaco.
La popolazione è costituita per il 55% da Amerindi, il 30% da Meticci, il 15% da Creoli ed Europei. Gli Amerindi vivono specialmente nei dipartimenti occidentali, i Bianchi e i Meticci in quelli orientali dell’altopiano. Gli Amerindi sono rappresentati sull’altopiano da Quechua (30%) e Aymará (25%), relativamente acculturati al modello creolo. Sul versante orientale delle Ande e nel bassopiano forestale si incontrano, assai ridotti, numerosi gruppi di cultura amazzonica (Yuracare, Chimane, Mosetene, Tacana, Chacobo, Sirionó, Guarayu ecc.); nei più aridi distretti meridionali i Chiriguano e Chané e vari gruppi portatori della caratteristica economia predatrice del Chaco (Zamuco, Tsiracua ecc.).
La popolazione si addensa per circa 9/10 sugli altopiani settentrionali, più favorevoli all’agricoltura, e ha sviluppato particolari adattamenti fisiologici alle condizioni di altura, che tuttavia la espongono alle malattie tipiche delle zone più basse e umide. Questa situazione rende problematiche l’utilizzazione delle risorse agricolo-forestali e minerarie nel bacino amazzonico e la redistribuzione del carico demografico che ne deriverebbe. Le densità sono ovunque molto basse, andando dai 18 e 26 ab. per km2 dei dipartimenti di La Paz e Cochabamba a meno di 1/km2 in quello orientale di Pando; benché esigui, questi valori vanno però confrontati con la scarsa redditività dell’economia di montagna e di quella forestale. Ancora forte è il ritmo di incremento naturale (1,9% nel 2011), per quanto sia negli ultimi decenni calato. L’insediamento si è andato diversificando: dai centri minerari (come Potosí e Oruro) e dai villaggi rurali allo sviluppo di città amministrative (soprattutto La Paz) e commerciali (Santa Cruz de la Sierra, seconda città per popolazione grazie alla vicinanza a grandi campi petroliferi, Cochabamba, Sucre), che hanno cumulato, in epoca recente, anche funzioni industriali. Il grado di urbanizzazione è in forte crescita (poco meno nel 67%).
Fra le lingue ufficiali lo spagnolo è parlato dal 60% della popolazione, il quechua dal 21% e l’aymará dal 14,6%. Religione quasi esclusiva è la cattolica.
L’economia boliviana è tra le più povere del mondo, malgrado fasi congiunturali di espansione (nel secondo dopoguerra grazie all’andamento favorevole di stagno e petrolio; nei primi anni del 21° sec. per l’aumento del prezzo del petrolio) e politiche economiche tendenti a razionalizzare il settore primario – estendendo l’area coltivata nelle pianure orientali e diversificando le produzioni – e a rafforzare il debole settore industriale. L’industria mineraria, progressivamente nazionalizzata (stagno, 1952; petrolio, 1969), ha usufruito dei maggiori investimenti e prodotto una consistente quota del reddito, ma ha anche accentuato i dislivelli sociali a vantaggio delle classi medio-alte della borghesia urbana, mentre la grande massa dei contadini amerindi è in condizioni di grave ritardo di sviluppo. A partire dagli anni 1980, peraltro, i corsi internazionali dello stagno e degli altri metalli hanno subito sensibili fluttuazioni (per lo stagno si registrò un vero tracollo), mentre l’estrazione del petrolio è diminuita per l’obsolescenza degli impianti e l’esaurimento dei giacimenti attivi; la scoperta di un nuovo grande giacimento di argento a Potosí (area mineraria plurisecolare) e di altri di gas ha solo attenuato la gravità della crisi, cui si è cercato di mettere riparo attraverso manovre monetarie e drastiche misure di austerità dalle pesantissime ripercussioni sulla popolazione meno abbiente; quasi i due terzi della popolazione vivono al di sotto della soglia di povertà e l’insieme degli indicatori di sviluppo colloca la Bolivia agli ultimi posti nella graduatoria mondiale. Molto rilevante è ancora il sostegno finanziario internazionale; fra i paesi più seriamente indebitati al mondo, la Bolivia nel 2005 ha ottenuto la cancellazione di buona parte del suo debito estero. Fondamentale, ma per una quota che non è possibile quantificare, l’esportazione illegale di coca, che coprirebbe circa un terzo della domanda mondiale.
La parte orientale del territorio, più fertile, è poco utilizzata per l’insufficiente presenza umana; inoltre, strutture di tipo latifondistico hanno a lungo ostacolato lo sviluppo del settore primario. Le riforme agrarie promosse dal 1950 hanno puntato a un aumento della produzione attraverso un migliore assetto distributivo della popolazione rurale, pur su di una superficie coltivata esigua (3%); gli addetti agricoli sono peraltro molto diminuiti negli ultimi decenni (appena 6,3% nel 2003). Sull’altopiano si coltivano cereali (mais, grano, orzo) e patate fino a 3600 m d’altezza e oltre; crescono fino a 3000 m anche meli, peri, peschi, ciliegi e pruni. Nelle regioni ‘pioniere’ del bacino amazzonico e nelle valli della Cordigliera Orientale si hanno piantagioni di canna da zucchero, tabacco, caffè, riso, cotone, soia e cacao. Ma la coltura più importante risulta quella della coca. Sviluppato è l’allevamento del bestiame: nel 2005 si contavano 6,8 milioni di bovini, 8,5 di ovini, 1,5 di caprini e 3 di suini; inoltre lama e alpaca, i primi utilizzati come animali da tiro, per la carne, la lana e le pelli, i secondi per la lana, fine e pregiata.
Importanza assai maggiore ha la produzione mineraria, per quanto i giacimenti si trovino spesso in regioni di difficile accesso. Lo stagno (17.000 t nel 2005, ma 68.100 t nel 1976) è caduto a meno del 10%, in valore, delle esportazioni. L’argento (465.000 kg) si ricava sia direttamente sia come sottoprodotto della raffinazione di altri metalli. Notevole importanza hanno il piombo, l’oro e soprattutto lo zinco (presso il Lago Titicaca). Dal 1936 si estrae (e si raffina) petrolio nell’oriente, e anche gas naturale, che viene esportato (verso il Brasile). La produzione di energia elettrica è in espansione (1 milione di kW installati). Oltre a quelle metallurgiche e petrolchimiche, le industrie sono poco sviluppate, mentre registra una forte crescita il settore terziario (due terzi degli attivi, oltre la metà del PIL).
La Bolivia ha circa 3700 km di ferrovie, che si spingono a grandissima altezza (il tronco Río Mulatos-Potosí-Sucre sale a 4820 m s.l.m.). La parte orientale è provvista di una discreta rete di vie d’acqua navigabili (18.000 km circa). La rete stradale risulta ancora relativamente poco sviluppata (61.000 km): comunque, il paese è attraversato, per un tratto lungo oltre 2800 km, dalla Carretera Panamericana. All’insufficienza delle comunicazioni terrestri e fluviali supplisce in parte l’aviazione civile, recentemente potenziata, che fa capo a una trentina di aeroporti. La mancanza di un accesso diretto al mare è compensata da accordi con i paesi vicini, che assicurano alla Bolivia zone franche in un discreto numero di porti fluviali e marittimi.
La bilancia commerciale ha forti oscillazioni, soprattutto per l’imprevedibilità dei corsi internazionali delle materie prime; si importano soprattutto tessuti, macchine, veicoli, derrate alimentari, prodotti farmaceutici. Con l’associazione al MERCOSUR, gli scambi con i paesi vicini sono aumentati sensibilmente.
La regione, denominata fino al 1825 Alto Perù, fu conquistata nel 1538 dagli Spagnoli condotti da Hernando Pizarro, poi dal fratello Gonzalo. Inclusa fino al 1776 nel vicereame del Perù, nel 1563 fu però costituita in suddivisione autonoma come Real Audiencia de Charcas, con capitale Chuquisaca (oggi Sucre). Per molto tempo fu soggetta allo sfruttamento delle ricchissime miniere d’argento e di mercurio, condotto senza alcuno scrupolo dai conquistadores. L’opera di assestamento continuò con l’applicazione delle Nuove leggi delle Indie (1542), la fondazione o riorganizzazione di molte città, la sistemazione ecclesiastica del territorio. Nel 1624 fu fondata l’università di S. Francesco Saverio in Chuquisaca e le condizioni generali continuarono a migliorare, nonostante i disordini ricorrenti.
Nel 1776 la Real Audiencia de Charcas fu annessa al nuovo vicereame del Rio de la Plata, ma subito dopo una serie di rivolte capeggiate da un discendente degli Incas, Túpac Amaru, misero in pericolo il regime coloniale (1780-82). La crisi della monarchia spagnola nel 1808 offrì l’occasione favorevole alle forze locali: gli intellettuali di Chuquisaca riuscirono a trascinare con sé il popolo (maggio 1808), iniziando una lotta che finì per estendersi, fra alterne vicende, anche alle masse contadine e agli Amerindi, dando luogo a una guerriglia frammentatissima (guerra de las republiquetas) e feroce, finché nel 1824-25, con l’intervento di J. de San Martín e sopratutto di S. Bolívar, le sorti non volsero a favore dei patrioti. Il 6 agosto 1825 un’assemblea generale dell’Alto Perù proclamò l’indipendenza e il regime repubblicano rappresentativo, adottando il nome del liberatore Bolívar, cambiato poi in Bolivia.
La turbolenta vita politica che avrebbe caratterizzato gran parte della successiva storia della Bolivia si manifestò sin dalla prima presidenza del generale A.J. de Sucre. Instabilità e disordini si accompagnarono per buona parte del secolo a una situazione di ristagno economico e di declino relativo della Bolivia rispetto ad altri paesi dell’America Meridionale. Inoltre la Bolivia fu impegnata in uno stato di conflittualità aperta o latente con i paesi limitrofi per questioni di confine o per il controllo di giacimenti minerari o risorse forestali: nella cosiddetta guerra del Pacifico, rapidamente sconfitta, perse in favore del Cile la regione costiera del Pacifico (1884); i contrasti col Brasile si conclusero con cessione di territorio, mentre la questione del Gran Chaco si protrasse fino a dare luogo a un violento conflitto col Paraguay (1932-35), conclusosi con ulteriori perdite territoriali per la Bolivia (Trattato di Buenos Aires, 1938).
Le difficoltà seguite alla sconfitta militare e ancor più quelle connesse con la grande depressione posero termine alla relativa crescita economica della fine del 19° sec. e aprirono la strada a una nuova fase di precarietà politica, protrattasi fino al 1952. In quell’anno una rivolta popolare promossa dal Movimiento nacionalista revolucionario (MNR), di ispirazione nazionalista e populista, consentì a V. Paz Estenssoro di assumere la presidenza della Repubblica (cui era stato eletto nel 1951) e di avviare una politica di modernizzazione del paese (tra le riforme: suffragio universale e nazionalizzazione delle miniere di stagno). Nel 1964, un colpo di Stato militare destituì Paz Estenssoro e portò alla presidenza R. Barrientos Ortuño. Una dura repressione si abbattè sulle organizzazioni dei lavoratori, mentre la guerriglia promossa da E. Che Guevara nel dipartimento di Santa Cruz nel 1967 venne rapidamente sconfitta. Alla morte di Barrientos (1969) vi fu un convulso succedersi di golpe militari; si susseguirono al potere A. Siles Salinas, A. Ovando Candía, J.J. Torres, un militare progressista sostenuto dai sindacati e dalle forze di sinistra, I. Banzer Suárez. Nel 1978 quest’ultimo indisse elezioni, poi annullate per le irregolarità commesse dai militari; nessun esito democratico scaturì da quelle del 1979 e 1980, quando un ennesimo violento colpo di Stato militare portò al potere L. García Meza; dopo la sua deposizione (1981) si susseguirono altri tre governi militari.
Ma il regime militare appariva sempre più screditato, anche perché direttamente coinvolto nel traffico internazionale della droga, fonte di corruzione a tutti i livelli della pubblica amministrazione. Nel 1982 i militari decisero pertanto di restituire il potere al Congresso eletto nel 1980, che designò H. Siles Zuazo presidente della Repubblica. Da allora, il succedersi di governi regolarmente eletti rappresentò un progresso sulla via della democratizzazione della Bolivia, ma non offrì una soluzione ai problemi più gravi, ovvero al ruolo predominante delle forze armate nella vita politica e alla dipendenza dell’economia boliviana dalla produzione e dal commercio della droga: una parte rilevante del PIL era connessa con il traffico di stupefacenti e circa il 50% delle importazioni era pagato in narcodollari; inoltre la coltivazione della coca rappresentava l’unica fonte di sostentamento di parte dei contadini. Gli incentivi economici offerti ai contadini che avessero cambiato coltivazione e la promessa di evitare l’estradizione negli Stati Uniti ai narcotrafficanti disposti a collaborare con la giustizia non sortirono grandi effetti; al contempo, nel corso dei primi anni 1990 emersero prove sempre più evidenti del coinvolgimento di esponenti di spicco dell’amministrazione nel narcotraffico.
Nelle elezioni generali del 1993 si impose il MNR, che portò alla presidenza G. Sánchez de Lozada, il quale perseguì una politica di riforme sociali ed economiche imprimendo un’accelerazione alle privatizzazioni. Come già i suoi predecessori, Sánchez de Lozada fu osteggiato da ampi settori della società per le misure economiche adottate e per il programma predisposto per lo sradicamento delle piantagioni di coca. La presenza dell’esercito nella valle di Cocharé (Cochabamba) sollevò proteste in tutto il paese, cessate solo nel 1994 quando il governo decise di ritirare le forze armate e di assecondare i programmi di conversione delle colture organizzati su base locale. L’opposizione alle misure governative continuò in tutti i settori, dalla sanità alla pubblica istruzione, ai trasporti, fino alle marce di protesta dei contadini contro l’introduzione di una nuova legge agraria, nel 1996. Le elezioni generali del 1997 videro la vittoria di Acción democrática nacionalista (ADN), di cui era leader l’ex dittatore Banzer Suárez, che divenne presidente della Repubblica. L’obiettivo governativo di distruggere entro il 2002 le piantagioni di coca del paese, non accompagnato da adeguati incentivi per promuovere le coltivazioni alternative, provocò rivolte nella regione di Cochabamba, che si intensificarono negli anni successivi. Il mandato di Banzer Suárez fu inoltre segnato da episodi di corruzione ai vertici della classe dirigente e da un’ondata di scioperi.
Morto Banzer Suárez, nel 2002 fu rieletto Sánchez de Lozada, che prevalse sul leader del MAS (Movimiento al socialismo) J.E. Morales Ayma, un indio rappresentante dei coltivatori di coca (cocaleros); ma l’anno dopo il piano di esportazione del gas naturale verso Stati Uniti e Messico attraverso un porto cileno generò un’opposizione interna che vide convergere interessi diversi e sfociò in sommossa in alcune aree andine. A fronte delle decine di morti tra i civili e delle divisioni nel governo, Sánchez de Lozada fu costretto alle dimissioni e gli subentrò il vicepresidente C. Mesa. Nel 2004 Mesa firmò un accordo di esportazione del gas con l’Argentina e siglò uno storico accordo col Perù, che prevedeva il passaggio del gas attraverso un porto peruviano. Nonostante tali risultati, un nuovo e violento ciclo di proteste e tumulti, iniziati al principio del 2005 in seguito al forte aumento del prezzo degli idrocarburi, costrinse anche Mesa alle dimissioni. Nel 2005 elezioni anticipate decretarono la vittoria di Morales, che diede subito avvio alla nazionalizzazione delle riserve di gas, imponendo il controllo statale sulle imprese straniere attive in Bolivia, e a una riforma agraria in favore della parte più povera della popolazione, impegnandosi a far cessare ogni forma di sanzione contro i coltivatori di coca. Alla politica di nazionalizzazioni e di redistribuzione della ricchezza si sono opposte soprattutto le quattro province orientali, le più ricche del paese. Nel 2009 un referendum ha ratificato la nuova Costituzione, che amplia i diritti della popolazione indigena, impone il limite di 5000 ettari per le proprietà terriere e cancella lo status di religione ufficiale per il cattolicesimo. L'anno successivo Morales è stato rieletto alla presidenza del Paese, e riconfermato per un terzo mandato alle consultazioni del 2014, mentre al referendum tenutosi nel febbraio 2016 il 51,3% del Paese ha espresso parere negativo sulla proposta di riforma costituzionale che gli avrebbe permesso di ricandidarsi per la quarta volta alle presidenziali del 2019; ciò nonostante, nel novembre dell'anno successivo il Tribunale costituzionale ha autorizzato l'uomo politico a concorrere per un quarto mandato. Alle consultazioni, svoltesi nell'ottobre 2019 in un clima di forti tensioni sociali, Morales si è confermato presidente al primo turno con il 46,8% dei voti, ma il mese successivo - a seguito delle violente manifestazioni di piazza contro il suo tentativo di perpetuarsi al potere con brogli elettoriali, instaurando un regime autoritario nel controllo della giustizia e dei media - è stato costretto a rassegnare le dimissioni, subentrandogli ad interim nella carica J. Áñez Chávez. Alle consultazioni presidenziali svoltesi nell'ottobre 2020 si è imposto al primo turno, con il 54% circa dei suffragi L. Arce, sancendo il ritorno al potere del Mas dopo le dimissioni di Morales.
Nei periodi che precedettero l’indipendenza della Bolivia (1825), la produzione letteraria fu molto limitata. Si ricordano la Crónica moralizada (1638) dell’agostiniano Antonio de la Calancha e gli Anales de la Villa Imperial de Potosí, attribuiti a D. Bartolomé Martínez y Vela, vissuto nel 18° secolo. Durante la prima metà del 19° sec. Manuel José Cortés, Ricardo José Bustamante, Néstor Galindo e Benjamín Lenz sono i primi poeti e scrittori che danno un’impronta nazionale alla letteratura. Nella seconda metà del secolo si fanno notare Gabriel René Moreno, bibliografo e scrittore, Rosendo Gutiérrez, autore di opere in prosa e in versi, e Nataniel Aguirre, cultore del romanzo storico, che ha per sfondo la guerra per l’indipendenza dalla Spagna. Tra i rappresentanti della poesia modernista si distingue Ricardo Jaimes .
All’inizio del 20° sec. si afferma, con un orientamento di protesta sociopolitica, la corrente ‘indigenista’, iniziata da Alcídes Arguedas con Raza de bronce (1919). Dopo la Prima guerra mondiale si segnalano nella narrativa Jaime Mendoza, Abel Alarcón e Armando Chirveches; nella poesia Gregorio Rejnolds. L’esperienza della guerra con il Paraguay (1932-35) fu per molti anni motivo d’ispirazione per una serie di scrittori: A. Céspedes (Sangre de mestizos, 1936), O. Cerruto (Aluvión de fuego, 1935), A. Costa du Rels (Laguna H-3, 1938), G.A. Otero (Horizontes incendiados, 1933), A. Guzmán (Prisionero de guerra, 1938). Attorno ai temi della guerra e dei conseguenti disagi sociali, ruota la maggior parte dei romanzi degli anni successivi, caratterizzati spesso da un crudo realismo: Repete (1938) di J. Lara, autore anche di romanzi indigenisti (Surumi, 1943; Yanakuna, 1952); Los invencibles (1938) di P. Díaz Machicao; i romanzi (Coca, 1941, e Altiplano, 1945) e i racconti (Los toros salvajes, 1965; Con la muerte a cuestas, 1975; e La revancha, 1987) di R. Botelho Gosálvez; El precio del estaño (1960) e Indios en rebelión (1968) di N. Taboada Terán, cui seguono Manchay Puitu, el amor que quiso ocultar a Dios (1977), No disparen contra el Papa (1989). A partire dagli anni 1960 si assiste a un rinnovamento significativo del genere, che si apre a nuove tematiche e a sperimentalismi formali con il romanzo Los deshabitados (1957) di M. Quiroga Santa Cruz. Sono anni fecondi per la narrativa boliviana, come dimostrano anche le opere di Ó. Uzín Fernández El ocaso de Orión (1972) e La oscuridad radiante (1976), ispirate a temi relativi alla vita sacerdotale; i romanzi di A. Cáceres Romero La mansión de los elegidos (1973), Las víctimas (1978), dal tono tragicomico ma attenti ai problemi sociali; la narrativa segnata da sperimentalismi formali di R. Prada, Oropesa Los fundadores del alba (1969), ispirato all’esperienza del Che in Bolivia, El último filo (1975); i racconti Al borde del silencio (1970) di J. Urzagasti, e di R. Teixidó El sueño del pez (1965), Los habitantes del alba (1969). Tutti autori che non si sottraggono alle suggestioni e alle tecniche del nuovo romanzo latinoamericano.
Più variegato il panorama per quanto riguarda la poesia: l’esaltazione della terra natale e dei suoi ritmi caratterizza i versi di P. Castrillo (Hombre y tierra, 1958; Ciudad y selva, 1961; Zampoñas telúricas, 1974) e di O. Campero Echazú (Amancayas, 1943; Voces, 1950; Aroma de otro tiempo, 1970); nostalgiche visioni marine si affollano nei versi di Y. Bedregal (Nadir, 1950; Del mar y la ceniza, 1957); l’amore per l’infanzia è al centro della lirica della stessa Bedregal e di B. Schulze Arana; una sottile angoscia esistenziale percorre le raffinate creazioni di Cerruto (Cifra de las rosas, 1957; Estrella segregada, 1975); un analogo sentimento, venato di immagini surrealiste, si rintraccia nella lirica densa e complessa di J. Sáenz (Muerte por el tacto, 1957; Visitante profundo, 1964; La noche, 1984); i temi sociali scandiscono i versi di A. Cardona Torrico. Negli stessi anni, accanto a questi autori dalla fama già consolidata, si affermano poeti quali R. Echazú, P. Shimose (Poemas para un pueblo, 1968; Al pie de la letra, 1976; Bolero de caballería, 1985), i cui versi cantano con accenti solidali la realtà dell’uomo americano, Urzagasti, E. Mitre e M. Cazasola. Successivamente sono emerse le voci di J. C. Orihuela, G. González, Ó. García.
Alcuni degli autori ricordati si sono dedicati anche al teatro, come Botelho Gosálvez, che mette in scena la drammatica ribellione indigena del 1781 in La lanza capitana (1967), e Costa du Rels, che in Los Andes no creen en Dios (1973) ha affrontato il tema dei cercatori d’oro. Al teatro d’avanguardia e alle esperienze di teatro sperimentale che hanno percorso tutta l’America Latina negli ultimi decenni del 20° sec. è riconducibile l’attività del Teatro de los Andes, diretto da C. Brie. Un posto di rilievo occupa G. Francovich, che affianca a una vasta produzione drammatica una non meno ricca opera saggistica, dal taglio filosofico, volta ad approfondire la storia del pensiero nel suo paese (El pensamiento boliviano en el siglo XX, 1955; Los mitos profundos de Bolivia, 1980).
Tra gli autori citati, molti si sono dedicati anche alla saggistica: Guzmán è autore, tra l’altro, di La novela en Bolivia (1950) e Biografías de la literatura boliviana (1982); Lara è anche critico letterario e studioso della lingua quechua (La literatura de los quechuas, 1961); Díaz Machicao è autore di raffinati ritratti di scrittori, boliviani e non (El ateneo de los muertos, 1958; Cauce de palabras, 1967) e di una celebre antologia Prosa y versos de Bolivia (1966-68); Shimose è critico letterario, autore fra l’altro di un celebre Diccionario de autores iberoamericanos (1982) e di una Historia de la literatura latinoamericana (1989). Infine, sebbene docente di diritto, C. Castañón Barrientos è critico letterario e accademico della lingua, attento alla diffusione della letteratura boliviana in America e in Europa; autore di studi su R.J.Freyre, sul poeta quechua Wallparrimachi, sulla novella modernista e la poesia boliviana.
Il sito archeologico precolombiano più importante rimasto in territorio boliviano è Tiahuanaco, a S del Lago Titicaca, testimonianza dell’alto livello della civiltà mesoandina (resti di monumenti litici, sculture a bassorilievo e a tutto tondo, ceramiche).
Nel periodo coloniale, con la fondazione dei principali centri nella seconda metà del 16° sec. (Potosí, La Plata, La Paz, Cochabamba ecc.), l’architettura, al pari della pittura e della scultura, riflette le forme spagnole di transizione dal gotico al rinascimento, accoglie il barocco, coniugandolo nelle ricche decorazioni con la tradizione preispanica locale (barocco mestizo). Oltre alle numerose chiese cittadine, notevoli sono quelle lignee delle missioni gesuitiche di Chiquitos (18° sec.). Dopo l’indipendenza si registra l’influenza dello stile neoclassico ed eclettico di derivazione francese. Dal 1943 anche con la fondazione della facoltà di Architettura di La Paz si assiste alla ricerca di uno stile nazionale con un ritorno di modelli preispanici e neocoloniali mentre le nuove istanze dell’architettura internazionale vengono recepite gradualmente dalle generazioni successive (M. Quiroga, J.C. Calderón, G. Medeiros).
Anche nel campo della scultura e della pittura la ricerca, distante dalle avanguardie artistiche internazionali, tende a costruire un linguaggio strettamente connesso con la cultura andina, nelle forme e nei soggetti. Nella prima metà del 20° sec. si distingue in particolare C. Guzman de Rojas (1899-1950). Dopo la rivoluzione del 1952 un forte impegno anima M. Alandia Pantoja (1914-1975), W. Solón Romero (1923-1999) e G. Imaná Garrón (n. 1933), fondatori del Grupo Anteo, murales e incisioni sono i mezzi espressivi più efficaci. Figure rappresentative dell'assunzione di linguaggi innovativi sono la scultrice M. Núñez del Prado (1910-1995), le pittrici M.L. Pacheco (1919-1982) e I. Córdova (n. 1927), i pittori O. Pantoja (n. 1925), A. La Placa (n. 1929). Dagli ultimi decenni del 20° sec. la Bolivia si è aperta ai nuovi linguaggi, dalla fotografia all’istallazione, dal video alla performance: le personalità più rilevanti sono G. Ugalde (n. 1946) e R. Valcárcel (n. 1951); numerose sono le presenze femminili: P. Mariaca (n. 1961), A. Fabbri (n. 1957), E. Stih (n. 1957), R. Schwartz (n. 1963), E. Ewel (n. 1970).
Nell’era dell’impero tiahuanacota (aymara) e dell’impero incaico (quechua) fu predominante il sistema pentafonico anche se in alcune aree si usavano sistemi tonali più arcaici di due, tre e sette note. Le composizioni avevano carattere prettamente melodico e si basavano su una sola parte, a volte ripetuta un’ottava più alta. Ogni occasione aveva la sua musica; gli antropologi hanno recuperato 27 generi di canzoni: ballabili, d’amore, per i defunti ecc. Le più varie erano le musiche per le danze che sono state classificate in 79 tipologie, tra cui le meticcio-religiose, totemiche, storiche ecc.
Durante il periodo coloniale furono adottate forme della musica sacra occidentale: messe, oratori, canti natalizi, requiem, corale, musica per organi. Accanto a queste, erano coltivati generi locali, soprattutto danze come la morenada, la diablada, los sayas ecc. Nel 1568 fu fondata la prima Accademia di musica e, alcuni anni dopo, fu composta una messa in lingua quechua miscelando il sistema occidentale barocco con il pentatonico andino. Una sorta di ‘romanticismo nazionalista’ divenne predominante nella musica colta boliviana a partire dall’indipendenza (1825), quando i compositori cominciarono a cercare nella sonorità autoctona la fonte della loro ispirazione.
La musica popolare della Bolivia è una tradizione viva, praticata soprattutto nelle feste, come per es. nel celebre Carnevale di Oruro. Tra le forme che conservano tratti antichi, la diablada, un ballo con maschere e costumi variopinti, che deriva dall’opera religiosa medioevale; i sikuris d’Italalaque, un’orchestra marciale preispanica. Caratteristica è l’importanza della musica delle bande, che rappresentano una specialità del paese.
Città di Potosí (1987); missione gesuita dei Chiquitos (1990); città storica di Sucre (1991); forte di Samaipata (1998); parco nazionale Noel Kempff Mercado (2000); Tiwanaku, centro spirituale e politico dell'omonima cultura (2000).