Nella filosofia scolastica, l’attribuzione di una realtà oggettiva ai concetti universali. Nella filosofia moderna, ogni dottrina che consideri l’oggetto della conoscenza come esistente in sé, indipendentemente dall’attività conoscitiva.
Il termine r. comincia a essere usato nella scolastica, in rapporto con la grande questione degli universali: sostenendone la realtà oggettiva, i realisti si oppongono ai nominalisti (➔ nominalismo) e ai concettualisti (➔ concetto). Capo della scuola realistica propriamente detta è Guglielmo di Champeaux; tra i massimi seguaci del r. scolastico sono da ricordare, oltre a s. Tommaso, s. Anselmo d’Aosta e Giovanni Duns Scoto.
Nella filosofia moderna il r. si oppone all’idealismo: le diverse forme di r., pur affermando tutte genericamente l’indipendenza della realtà empirica e sensibile, in contrapposizione al tentativo idealistico di ridurla al mentale, si differenziano tra di loro a seconda del tipo di idealismo contro cui polemizzano.
Così, in nome del r. si batté la corrente filosofica iniziata da T. Reid e continuata con D. Stewart, W. Hamilton e altri pensatori di lingua inglese. In contrasto con la tesi di origine cartesiana e lockiana che l’oggetto specifico della conoscenza siano le idee, ossia le rappresentazioni mentali, e con gli esiti scettici di G. Berkeley e D. Hume, i rappresentanti di questa corrente, appellandosi a un r. del ‘senso comune’, proponevano di identificare con le stesse cose reali l’oggetto proprio delle percezioni sensibili.
In funzione anti-idealistica si richiamò al r. empirico anche I. Kant, quando nella Critica della ragion pura negò la possibilità di dedurre integralmente i fenomeni dagli elementi a priori della conoscenza e dunque la necessità di riconoscere in essi un nucleo indipendente e reale immediatamente percepito dal soggetto nella sensazione. Contro le varie forme di idealismo di J.G. Fichte, F.W. Schelling, G.W.F. Hegel, si schierò J.F. Herbart con un’ontologia pluralistica che riconosceva come esistenti al di fuori del soggetto conoscente una molteplicità di esseri o reali. Ancora in funzione anti-idealistica si presenta il movimento verso l’oggettività che ebbe tra i suoi iniziatori F. Brentano e A. von Meinong e che influenzò E. Husserl nelle prime fasi della sua riflessione.
Nella cultura anglosassone, contro le analisi di B. Bosanquet, F. Bradley e T.H. Green, alla fine del 19° sec. J.C. Wilson iniziava quella confutazione dell’idealismo che trovò nelle pagine di G.E. Moore e B. Russell una più sistematica formulazione. Moore affermò l’istanza realistica di un’irriducibilità del reale al mentale e della necessità di riconoscere nella sensazione la presenza di due elementi che sono in una relazione del tutto estrinseca tra di loro. Non diversamente Russell in una prima fase del suo pensiero non solo sostenne l’irriducibilità del reale a ciò che è percepito, ma cercò di fondare le sue scoperte in logica e matematica su un’ontologia realistica che dava un’autonoma esistenza alle relazioni logiche, ai significati e ai numeri.
Nel 20° sec. è stato in particolare il pensiero statunitense a riprendere la problematica del r., ricollegandosi alla confutazione dell’idealismo di Moore. Nel 1910 comparve un vero e proprio manifesto del neorealismo (➔) i cui esponenti più significativi furono W.P. Montague, R.B. Perry, E.B. Holt, T.P. Nunn, S. Alexander: esso identificava il dato sensoriale oggetto diretto della conoscenza con le stesse cose e qualità reali. A questa conclusione si opporranno successivamente gli esponenti del r. critico (A.O. Lovejoy, J.B. Pratt, G. Santayana, R.W. Sellars), avanzando una teoria della conoscenza che vede la presenza di almeno tre elementi: l’atto percipiente, il carattere o dato direttamente colto nella percezione e la cosa od oggetto extramentale a cui il dato, essendone un segno, rinvia.
Il problema del r. ha ricevuto nuova attenzione nella filosofia della scienza contemporanea all’interno del dibattito sullo status ontologico delle entità teoriche (non osservabili) postulate dalle teorie scientifiche. Alle prospettive fenomeniste e convenzionaliste, tendenti a considerare le teorie scientifiche come utili strumenti per la sistematizzazione dell’esperienza, K.R. Popper ha contrapposto la tesi che le teorie scientifiche descriverebbero in modo sempre più adeguato una realtà indipendente. Entro tale prospettiva Popper ha ripreso la definizione semantica di verità di A. Tarski, riproponendo il concetto di verità come corrispondenza e considerando la successione storica delle teorie scientifiche come un continuo avvicinamento alla verità. Posizioni realiste ha sostenuto anche H. Putnam, che tuttavia, dall’originaria adesione a un r. metafisico, per il quale esiste una totalità data di oggetti indipendenti dalla mente che le teorie scientifiche, se vere, descrivono oggettivamente, si è poi orientato, in parte sotto l’influsso di N. Goodman, verso un r. interno che riconosce la parziale dipendenza della realtà dai modi in cui viene descritta e concettualizzata. Quest’ultima posizione è soprattutto un tentativo di salvaguardare l’oggettività scientifica dal relativismo di T. Kuhn e P. Feyerabend, che ridimensionavano l’immagine del sapere scientifico come accumulo di teorie sempre più vere proponendo, in sua vece, la tesi della dipendenza delle ontologie scientifiche da presupposti e ‘schemi concettuali’ storicamente mutevoli. La prospettiva di Putnam si inquadra così nella crisi della teoria della conoscenza come rispecchiamento (o rappresentazione) e nel recupero della tradizione pragmatista rappresentato, tra gli altri, da R. Rorty, per il quale, più che nei termini della corrispondenza a una realtà data, il discorso scientifico va valutato in base alla sua conformità a sistemi di credenza e pratiche intersoggettivi.
In letteratura e nelle arti figurative, tendenza a rappresentare la vita quale si presenta a una rigorosa osservazione, non alterata per desiderio di idealizzarla.
Una specifica tendenza realistica, con caratteri storicamente differenziati, va affermandosi in Occidente nel campo della letteratura, dal 18° sec. in poi, parallelamente al progressivo affermarsi della borghesia come classe sociale egemone e al conseguente definitivo superamento della tradizionale divisione degli stili (sublime, mediocre, umile), che aveva relegato nell’ambito dei generi minori ogni rappresentazione troppo esplicita della realtà o della vita degli umili. Divenne così possibile fare oggetto di rappresentazione artistica le classi medie e la loro vita (dramma borghese, romanzo borghese); mentre le classi popolari, protagoniste fino allora quasi unicamente della letteratura variamente ‘comica’, cominciavano ad apparire anche in quella ‘seria’. Contemporaneamente il Romanticismo, ribellandosi contro i motivi e gli ornamenti tradizionali della letteratura, e ponendo al centro della nuova poetica l’esigenza di ‘interessare’ i lettori parlando nel loro linguaggio dei loro problemi e dei loro affetti, faceva in sostanza leva sulla loro concreta esperienza di osservazione quotidiana, e apriva quindi alla poesia il dominio della realtà. Il r. è dunque per sua natura schiettamente romantico, anche se fu spesso in polemica con il Romanticismo, identificato con la letteratura variamente patetica, vaporosa e sentimentale, che ne costituisce solo uno degli aspetti.
In senso ancora più specifico, ‘realistica’ è chiamata comunemente la letteratura teatrale e narrativa che ha il suo luogo d’origine e il suo centro di irradiazione in Francia, la sua fioritura nel periodo tra il 1830 e il 1870, il suo massimo artista in H. de Balzac, i suoi filosofi in H. Taine e in A. Comte. Borghesi i temi (famiglia, matrimonio, affari) nel teatro di É. Augier, nei romanzi di Balzac, trattati con apparente distaccata obiettività, mentre Stendhal, riconosciuto realista postumamente, mescola al suo sanguigno r. la forte carica passionale del suo temperamento personale. In tale senso stretto il r. si distingue dal successivo naturalismo di É. Zola e seguaci, e dal verismo italiano, che tuttavia, in modi diversi, del r. romantico possono essere considerati la naturale evoluzione.
Nel corso dell’Ottocento il r. si diffonde in quasi tutta l’Europa, così che in vario modo realisti possono essere considerati, per citare i maggiori, A. Manzoni e I. Nievo, N. Gogol´, F. Dostoevskij e L. Tolstoj, W. Thackeray e C. Dickens, G. Büchner e T. Fontane. Quel che distingue il r. dell’ultimo Ottocento dalle precedenti fasi realistiche è il rilievo che in esso assumono i problemi sociali, anche come conseguenza del diffondersi dell’ideologia socialista. Il r., diceva F. Engels, significa, «a parte la fedeltà nei particolari, riproduzione fedele di caratteri tipici in circostanze tipiche»; esso deve quindi tendere non tanto a una riproduzione meccanica della realtà, quanto a individuare, attraverso certi tratti tipici di una determinata fase storica, le tendenze di fondo della società.
Il carattere implicitamente pedagogico e prescrittivo di questa teoria del r. si accentuò nella Russia sovietica, dove l’istanza di un’arte rivoluzionaria, alternativa all’arte borghese e coerente con il progetto di edificazione della nuova realtà socialista, dopo la vivace sperimentazione degli anni 1920, si venne cristallizzando in una sorta di poetica di Stato, detta appunto r. socialista, in forme via via più soffocatrici della libertà creativa (il cosiddetto zdanovismo), almeno fino al ‘disgelo’ seguito al 20° congresso del Partito comunista dell’URSS (1956).
Se il r., come specifica tendenza letteraria, è fenomeno squisitamente ottocentesco, come istanza formale esso continua in varie forme nel 20° sec., non soltanto nel r. socialista: basti pensare alle forme peculiari assunte dal r. nella letteratura ispano-americana. In Italia, a parte l’episodio circoscritto del r. magico di M. Bontempelli, una significativa ripresa d’interesse per il r. si ebbe, soprattutto negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale, con il cosiddetto neorealismo (➔) che, preannunciato negli anni 1930 dalla nuova attenzione per la letteratura statunitense (C. Pavese, E. Vittorini), si propose un rinnovamento della letteratura in senso democratico, a partire dalle tematiche della Resistenza, dell’antifascismo, delle lotte contadine nel Sud ecc., non senza il rischio di cadere in una retorica di tipo populistico.
Come tendenza storica, il r. nel campo delle arti figurative si afferma in Francia, negli altri paesi europei e negli USA tra il 1840 e il 1870. Il modello induttivo positivista, con la sua fede nei fatti, e la nuova concezione scientifica della storia sono alla base di un atteggiamento chiarito dalla famosa dichiarazione di G. Courbet del 1861: «la pittura è un’arte essenzialmente concreta e può consistere solo nella rappresentazione di cose reali ed esistenti». La pittura realista tende a una rappresentazione oggettiva, fondata sull’attenta investigazione della realtà e su una visione intuitiva, libera da pregiudizi; c’è in questo una sostanziale contiguità con il r. letterario di L.-E.-E. Duranty e Champfleury, che sottolineano il dovere dell’artista di interpretare la propria epoca e collegano il r. ad aspirazioni politiche umanitariste. Gli artisti indagano la società nei suoi aspetti più umili ed emarginati, ricercano la veridicità e l’impegno morale, rifiutando la pratica e il repertorio accademico; raffigurano paesaggi e personaggi locali, formano colonie artistiche secondo una tendenza comune per tutto l’Ottocento. Già durante la monarchia di Luigi Filippo si osservano i segni di un interesse per la società contemporanea, benché solo nell’ambito della satira politica e di costume (E.-L. Lami, P. Gavarni). Da questo ambito si stacca H. Daumier, che unisce allo sguardo implacabile sulla società un magistrale controllo della resa fisionomica. Il rivolgimento del 1848 favorisce l’orientamento realista: il Salon di quell’anno accoglie pittori ‘provinciali’ come A. Leleux con quadri di contadini bretoni, C. Chaplin con tipi dell’Alvernia, F. Bonhommé con scene di vita operaia. Prima manifestazione pubblica del movimento realista è il padiglione allestito da Courbet nel 1855 con opere rifiutate dal Salon. L’operare dell’artista si configura anche come una presa di posizione ideologica, che ha punti di contatto con la ‘filosofia del progresso’ di P.-J. Proudhon e la sua idea di arte come celebrazione e insieme critica morale dell’esistenza concreta. Il tema del lavoro, nelle due dimensioni della città e della campagna, diviene centrale nel movimento realista, come nell’opera dei due svizzeri F. Simon e A. Anker. L’aspra condizione della vita contadina è espressa con pathos nobile ed eroico da J.-F. Millet. L’epica contadina è centrale anche in M.-C.-G. Gleyre, J. Breton e A. Legros. Intorno al 1870 si chiude la stagione del primo r.; mentre alcune delle sue istanze più avanzate sono raccolte da pittori come E. Manet e dal nascente impressionismo, si afferma una tendenza più propriamente naturalista. La fedeltà fotografica, la predilezione per aspetti patetici o bozzettistici, caratterizzano tale orientamento, rappresentato da J. Bastien-Lepage e P.-A.-J. Dagnan-Bouveret, accanto a J.-E. Buland, H.-J.-J. Geoffroy, N. Goeneutte, L. Lhermitte, J.-F. Raffaëlli, A. Roll. La facilità comunicativa, il messaggio sociale non problematico, fanno del naturalismo uno stile ufficiale, utilizzato anche per opere pubbliche della Terza repubblica francese.
In Belgio e nei Paesi Bassi stretti rapporti con la cultura naturalista presentano E. Claus, A. Collin, C. Douard, L. Frédéric; drammatica e vigorosa è invece la scultura di C. Meunier, centrata sulle condizioni di vita operaia. In Gran Bretagna, l’interesse per la realtà di F.M. Brown e, nell’ambito preraffaellita, di W.H. Hunt prepara l’affermazione del naturalismo di G. Clausen, S.A. Forbes, F. Goodall, H.H. La Thangue, H. von Herkomer; vanno ancora ricordati F. Bramley, gli scozzesi J. Guthrie e H.S. Tuke, l’irlandese F. O’Meara. In Russia il gruppo dei Peredvižniki (Ambulanti), formatosi nel 1870, apre la cultura russa al r. europeo. La riscoperta della vita e dei costumi popolari è centrale per i pittori attivi nella tenuta di Abramtsevo (I. Kramskoj, V. Perov, V. Polenov, V. Surikov, I. Repin). In Germania, A. Menzel inaugura la stagione realista con una pittura di forte impegno sociale, seguito da M. Liebermann e dal primo L. Corinth; capofila della tendenza naturalista è W. Leibl, con una pittura caratterizzata dalla ricerca di verità ‘ottica’. Colonie artistiche naturaliste sorgono in Ungheria, dove S. Hóllosy organizza quella di Nagybánya, e nei paesi scandinavi, a Skagen, con C.E. Skredswig e P.S. Kröyer. Negli USA il r. ha i maggiori interpreti in T. Eakins e W. Homer; una nutrita colonia di naturalisti americani, tra cui A. Harrison, L.B. Harrison, G. Melchers, C.S. Pearce, è presente in Bretagna intorno al 1880.
L’orientamento realista si diffonde in Italia dal 1855, soprattutto a Firenze, dove si forma il gruppo dei macchiaioli, rappresentato da G. Fattori, S. Lega, T. Signorini e dallo scultore A. Cecioni. Più incerto, a tratti regressivo, il rapporto con il r. degli altri pittori italiani del secondo Ottocento. A Napoli, testimoniano l’interesse per il degrado sociale meridionale G. Toma, T. Patini e lo scultore A. d’Orsi. Nelle regioni settentrionali, aderiscono alla tendenza verista G. Favretto, C. Pittara e lo scultore V. Vela; in una temperie già divisionista, ma legata a temi realisti, operano A. Morbelli, A. Pusterla, E. Longoni.
Con il 20° sec. il r. subisce una radicale trasformazione. Il concetto di realtà si amplia e diversifica, conducendo a diverse soluzioni formali (V. Kandinskij nel 1912 indica come decisivo il fine ‘interno’ di verità), sino a esiti integralmente non figurativi (Manifesto del realismo di N. Gabo e A. Pevsner, 1920). Di r. in senso courbettiano si può ancora parlare per le esperienze che contrappongono alla convenzionale verosimiglianza del naturalismo un proficuo rapporto con la lezione formale del postimpressionismo e delle avanguardie. I realisti della Secessione berlinese, H. Baluschek, K. Kollwitz e H. Zille, aprono il secolo con una pittura di forte impegno politico e di grande asciuttezza formale, che prepara gli sviluppi degli anni 1920. Negli USA, il gruppo The eight (A.B. Davies, W. Glackens, R. Henri, E. Lawson, G. Luks, M.B. Prendergast, E. Shinn, J. Sloan), fondato nel 1908, si propone di rappresentare la vita urbana con l’immediatezza praticata negli stessi anni in Gran Bretagna da W. Sickert, capofila del Camdem Town Group.
Le conseguenze sociali della Prima guerra mondiale, il ritorno all’ordine e alla figurazione in campo artistico, sono decisivi per gli sviluppi del realismo. Nella Germania di Weimar vi sono associazioni di tendenza realista: Novembergruppe, con M. Pechstein, G. Tappert, M. Melzer ecc.; Gruppe 1919, di più marcata radice espressionista, con C. Felixmüller e O. Lange; Rote Gruppe, dall’esplicito programma rivoluzionario. Un’impietosa messa a nudo della realtà è attuata con modi diversi: da quelli vicini al ‘montaggio’ dadaista di R. Haussmann, H. Höch, alle varie declinazioni della Neue Sachlichkeit, vicine all’espressionismo quelle di O. Dix, G. Grosz, L. Grundig, G. Jürgens (e, come figura isolata, di M. Beckmann), più affini all’esempio italiano di Valori plastici quelle di C. Mense, C. Schad, R. Schlichter, E. Thoms. L’esempio del r. politico tedesco fu raccolto in Unione Sovietica dai ‘pittori da cavalletto’ A. Dejneka e J. Pimenov, che trattano temi di vita sovietica in uno stile denso di riferimenti alle avanguardie; il r. socialista degli anni 1930 si presenta invece come una ripresa accademizzante, in linea con l’ostilità ufficiale verso le avanguardie; si afferma un’arte celebrativa e stereotipa, adottata dopo il 1945 da tutti i paesi socialisti. Realista può essere considerato negli anni 1920-30 anche il muralismo dei messicani J.C. Orozco, D.A. Siqueiros e D. Rivera, il cui linguaggio mescola fonti popolari, antiche e moderne, in linea con il progetto di un’arte per la collettività. Una tendenza realista si afferma negli USA dopo la grande depressione, nel quadro del New Deal roosveltiano e di una riscoperta in chiave antiavanguardista delle radici culturali nazionali (T.H. Benton, G. Bellows, P. Evergood, E. Hopper, G. Pène du Bois, B. Shahn, G. Wood). In Italia, l’espressione r. magico si riferisce alla stagione di Valori plastici e poi di Novecento, dove dominano le atmosfere sospese di A. Donghi, F. Casorati, L. Dudreville.
Di r. impegnato politicamente si torna a parlare solo alla fine degli anni 1930, quando, sull’esempio picassiano di Guernica, si forma il movimento Corrente (R. Birolli, B. Cassinari, R. Guttuso, A. Sassu, E. Treccani ecc.); lo stesso gruppo, insieme a R. Vespignani, M. Mazzacurati, A. Pizzinato e altri, sarà protagonista, dopo la Liberazione, di un dibattito sul ruolo del r. nella cultura italiana. Il gruppo francese Nouveau réalisme (1960) si propone di ristabilire un rapporto diretto tra l’arte e la realtà individuata nei mass-media e nel mondo degli oggetti di consumo. Nell’ambito della pop art, si diffonde un rinnovato interesse per il r., con G. Segal, P. Pearlstein, J. Rosenquist. Un’immagine aggressiva della realtà è invece caratteristica saliente dell’iperrealismo degli scultori J. De Andrea, D. Hanson, e dei pittori C. Close, A. Flack, G. Johnson. Successive, infine, sono le ricerche, condotte soprattutto con il mezzo fotografico, di artisti come M. Clegg & M. Guttman, T. Struth, A. Serrano.
Per il r. giuridico ➔ giusrealismo.