URSS Sigla dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (russo SSSR, Sojuz Sovetskich Socialističeskich Respublik), Stato federale esteso in territori di solito attribuiti in parte all’Europa orientale e in parte all’Asia centro-settentrionale, costituitosi a seguito della rivoluzione del 1917 e della conseguente caduta dell’Impero russo, e dissoltosi nel 1991. Fra il 1922, quando fu firmato il trattato che riuniva le Repubbliche di Russia, Bielorussia, Ucraina e Transcaucasia e il 1944, accessione di Tannu Tuva (➔ Tuva), la federazione conseguì la ricomposizione pressoché integrale dell’area dello Stato zarista, con la sola decurtazione del territorio corrispondente alla Finlandia e di quello tornato sotto sovranità polacca. Tali ampliamenti avvennero formalmente mediante accessione volontaria all’Unione da parte di repubbliche indipendenti formatesi nel territorio ex imperiale. L’Unione prevedeva, nell’ambito delle repubbliche federate, l’esistenza di repubbliche autonome, regioni autonome e circondari autonomi, la cui costituzione procedeva da motivi di ordine etnico e linguistico. Dal 1944 al 1991, nel periodo cioè della sua massima estensione territoriale, l’URSS copriva oltre 22 milioni di km2 (fig. 1).
La Prima guerra mondiale dimostrò l’obsolescenza dell’Impero russo, che subì una serie di schiaccianti sconfitte ed enormi perdite di vite e di territori. Una scossa al sistema politico era già stata impressa nel 1905, quando la sconfitta nella guerra contro il Giappone innescò un processo che portò alla concessione della Costituzione da parte dello zar e alla formazione di un Parlamento, la Duma, i cui poteri furono tuttavia ben presto limitati. Al di là dei risultati prodotti, i fatti rivoluzionari del 1905 furono rilevanti perché misero in movimento forze politiche e sociali che avrebbero svolto un ruolo decisivo nella crisi provocata dalla Prima guerra mondiale.
Nel febbraio 1917 scioperi e disordini per il pane, scoppiati a Pietrogrado, culminarono nell’ammutinamento della guarnigione. Travolto dagli avvenimenti, lo zar fu costretto ad abdicare (2 marzo), mentre la Duma costituì un governo provvisorio, presieduto dal principe G.E. L´vov, che in settembre proclamò la Repubblica. Accanto al governo provvisorio emerse un secondo centro di potere, costituito dai soviet (➔) dei deputati degli operai. Sotto la pressione degli Alleati, nel giugno 1917, il governo provvisorio (nel quale in maggio erano entrati menscevichi e socialisti rivoluzionari e che dal luglio fu presieduto da A.F. Kerenskij) lanciò una controffensiva sul fronte occidentale che portò a un’ulteriore sconfitta e alla totale demoralizzazione dell’esercito. Parte dei soldati tornò nelle campagne, procedendo all’occupazione delle terre. Dopo il fallimento del pronunciamento militare del gen. L.G. Kornilov (settembre) i bolscevichi ottennero la maggioranza nei principali soviet e il 25 ottobre 1917 rovesciarono il governo provvisorio. Lo stesso giorno si riunì a Pietrogrado il 2° congresso panrusso dei soviet che il 26 approvò la formazione di un governo (il Consiglio dei commissari del popolo), presieduto da V.I. Lenin. Nel corso della prima seduta (gennaio 1918), l’Assemblea costituente fu sciolta dai bolscevichi che stabilirono di fatto un regime monopartitico. Il primo decreto del governo di Lenin abolì la proprietà fondiaria e confermò la presa di possesso delle terre da parte dei contadini. Seguirono la legge sul controllo operaio della produzione e del commercio, la nazionalizzazione delle banche, della marina mercantile e delle grandi imprese industriali. Furono istituiti il Consiglio superiore dell’economia nazionale e la Commissione straordinaria per la lotta alla controrivoluzione, alla speculazione e al sabotaggio (CEKA), le cui funzioni di polizia politica divennero sempre più ampie. Nel marzo 1918 venne firmato il Trattato di Brest-Litovsk, in base al quale la Russia rinunciava alle Province baltiche, alla Polonia e all’Ucraina.
Il crollo dell’Impero russo e l’occupazione tedesca fornirono inoltre l’opportunità per la proclamazione di indipendenza di Finlandia, Estonia, Lettonia e Lituania, Polonia, Bielorussia e Ucraina. Le Province caucasiche furono proclamate Repubbliche secessioniste e diversi centri di potere indipendente sorsero in Asia centrale e in Siberia, anche in seguito allo scoppio della guerra civile che dall’estate del 1918 contrappose l’Armata rossa ai cosiddetti Russi bianchi (esponenti del vecchio regime e membri di partiti soppressi dopo l’ottobre 1917). Nel luglio 1918, quando fu approvata la prima Costituzione e proclamata la Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa (RSFSR), il governo bolscevico controllava solo la parte centrale del vecchio Impero russo. Negli anni della guerra civile la sua politica fu caratterizzata da un rigido accentramento del potere economico (nazionalizzazione delle piccole imprese, proibizione del commercio privato, nazionalizzazione delle terre e requisizione delle eccedenze di grano). I bolscevichi vinsero nel 1920 la guerra civile, i cui strascichi durarono comunque fino al 1922.
Ritiratisi i Tedeschi nel novembre 1918, l’Armata rossa ristabilì fra il 1919 e il 1921 il controllo delle forze fedeli alla Russia sovietica in Ucraina, Bielorussia e nel Caucaso, occupò parte della Polonia, ma fu sconfitta a Varsavia e il Trattato di Riga (marzo 1921) confermò il riconoscimento dell’indipendenza polacca. La Bessarabia continuò a essere rivendicata da Mosca, mentre fra il 1919 e il 1922 il governo della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa ristabilì la propria autorità sull’Asia centrale e sulla Siberia. Nel dicembre 1922 fu ufficialmente costituita l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (fig. 2), come unione di RSFSR, Ucraina, Bielorussia e Federazione transcaucasica (Armenia, Georgia e Azerbaigian).
Le istituzioni centrali dell’Unione assunsero un’ampia autorità non solo in politica estera e nel settore militare, ma anche in quelli economico e sindacale, della giustizia, dell’educazione e della sanità, e di fatto la Repubblica russa dominò l’Unione. Nel 1924 furono costituite le Repubbliche del Turkmenistan e dell’Uzbekistan, e nel 1929 la quella del Tagikistan. Nel 1936 furono create le Repubbliche del Kazakistan e del Kirghizistan e la Federazione transcaucasica fu sciolta, dando vita alle Repubbliche federate di Armenia, Azerbaigian e Georgia.
Il Partito comunista (PCUS) conservò un illimitato monopolio del potere politico anche dopo la formazione dell’URSS; sotto la direzione centrale del Politbjuro, esso controllava il governo centrale e locale ed era responsabile dell’elaborazione e dell’esecuzione delle decisioni politiche, anche se in base alla Costituzione del 1924, massimo organo del potere statale era il Congresso dei soviet dell’Unione, sostituito nel 1936 dal Soviet supremo, e le funzioni esecutive erano attribuite al Consiglio dei commissari del popolo (dal 1946 Consiglio dei ministri). Durante la guerra civile e la carestia degli anni 1920-22 la struttura produttiva del paese aveva subito gravissimi danni e il numero delle vittime ammontava a numerosi milioni. La Nuova Politica Economica (NEP), introdotta nel 1921, determinò il parziale ripristino di criteri di mercato, mentre lo Stato conservava il controllo dell’industria pesante, del sistema bancario e del commercio estero.
Dopo la morte di Lenin (gennaio 1924), il contrasto intorno alla strategia di sviluppo economico acquisì il carattere di lotta per il controllo del partito stesso. In una prima fase l’opposizione di sinistra, guidata da L.D. Trockij con l’appoggio, dal 1926, di G.E. Zinove´v e L.B. Kamenev, propugnò l’adozione di misure volte a ottenere dallo sfruttamento dell’agricoltura le risorse necessarie all’industrializzazione, sottolineando la necessità di una pianificazione dell’economia e dell’abbandono della NEP. Trockij nel 1927 fu espulso dal partito e nel 1929 esiliato. Dopo la sconfitta dell’opposizione di sinistra, I.V. Stalin, a capo della maggioranza del partito, entrò in aperto contrasto con la destra di N.J. Bucharin, che sosteneva la continuazione della NEP.
Stalin, segretario generale del PCUS dal 1922, divenuto l’indiscusso leader del partito nel 1928-29 promosse una radicale ristrutturazione e burocratizzazione della società sovietica attraverso la collettivizzazione dell’agricoltura, l’industrializzazione forzata e lo sviluppo di una potente industria militare. La collettivizzazione (completata alla fine degli anni 1930) comportò l’eliminazione della classe dei contadini benestanti (kulaki) e la sostituzione dei piccoli appezzamenti individuali con le grandi fattorie collettive (kolchoz). I contadini abbandonarono in massa la campagna collettivizzata e la produzione agricola subì un fortissimo calo. Al tempo stesso la collettivizzazione rafforzò la pianificazione centralizzata, assicurando riserve di manodopera e scorte di grano per gli abitanti delle città e per i lavoratori dell’industria. Il primo piano quinquennale (1929-33) raggiunse notevoli successi in termini di crescita dell’industria pesante. Il secondo piano quinquennale (1933-37) presentò gli stessi intensi ritmi di produzione e uguale attenzione per l’industria pesante. I sindacati furono trasformati in istituzioni statali, responsabili della disciplina e dell’aumento della produttività del lavoro. Nel corso degli anni 1930 la legislazione del lavoro divenne sempre più restrittiva e culminò nel divieto per i lavoratori di cambiare occupazione senza il permesso delle autorità. A questo si accompagnò un’ondata di repressione poliziesca che raggiunse l’apice nella metà degli anni 1930, quando l’uccisione di S.M. Kirov fornì a Stalin (che ne fu in seguito riconosciuto responsabile) il pretesto per organizzare dei ‘processi farsa’, che portarono all’eliminazione dell’élite del partito (1936-39). In pochi anni circa un milione di individui fu giustiziato e più di 8 milioni furono rinchiusi in campi di concentramento, diffusi dalle regioni artiche della Russia europea alle nuove aree industriali della Siberia, degli Urali e del Kazakistan.
Nel 1922 la Germania stabilì relazioni diplomatiche con Mosca mentre i rapporti con gli altri paesi occidentali rimasero difficili. Solo verso la fine del decennio si registrò una distensione e nel 1934 l’URSS entrò nella Società delle Nazioni come membro permanente del Consiglio. Nel 1935 la Terza Internazionale promosse la formazione dei fronti popolari, basati sull’alleanza antifascista delle forze della sinistra, ma già dal 1937 Mosca saggiò la possibilità di un avvicinamento alla Germania, sulla base del comune desiderio di superare l’equilibrio creato dal Trattato di Versailles, e il 23 agosto 1939 V.M. Molotov firmò un patto di non aggressione con il governo tedesco. Con l’attacco nazista alla Polonia, il 1° settembre 1939, scoppiò la Seconda guerra mondiale; il 17 settembre truppe sovietiche invasero la Polonia orientale. Nel novembre 1939, inoltre, l’URSS attaccò la Finlandia; il trattato di pace del 1940 attribuì all’URSS gran parte della Carelia (su cui fu istituita la Repubblica Carelo-Finnica). Nel 1940 l’URSS si annetté i tre Stati baltici, che divennero repubbliche federate, così come la Bessarabia e la Bucovina settentrionale. L’andamento della Seconda guerra mondiale disattese la previsione staliniana di un reciproco esaurimento delle forze tedesche e franco-britanniche. Dopo aver inutilmente tentato di far deviare A. Hitler dall’intento di attaccare l’URSS, grazie a un ulteriore rafforzamento dei rapporti fra i due paesi, nell’aprile 1941 il governo sovietico concluse un patto di neutralità con il Giappone. L’invasione tedesca dell’URSS, scatenata nel giugno 1941, comportò inizialmente numerosi successi per l’aggressore, ma arrivati a 15-20 km da Mosca, nel dicembre 1941 i Tedeschi furono respinti per più di 200 km. La svolta decisiva fu la battaglia di Stalingrado (gennaio 1943), nella quale l’enorme esercito tedesco venne distrutto. Nel successivo anno e mezzo l’esercito sovietico riconquistò tutto il territorio occupato e si spostò verso O, liberando l’Europa orientale e parte dei paesi balcanici. Il 22 aprile 1945, dopo aver incontrato gli Statunitensi sull’Elba, le truppe sovietiche circondarono Berlino e il 7 maggio 1945 i Tedeschi si arresero senza condizioni agli Alleati. Nell’agosto 1945, due giorni dopo il bombardamento di Hiroshima, l’URSS dichiarò guerra al Giappone: la resa di quest’ultimo portò all’acquisizione sovietica di tutta l’isola di Sachalin e delle Isole Curili.
Il prezzo della vittoria fu altissimo sia in morti sia per i danni materiali, ma l’URSS uscì dalla guerra come una superpotenza militare, rafforzando ulteriormente l’autorità personale di Stalin. Nell’immediato dopoguerra la collaborazione con l’Ovest fu ostacolata dalla politica di Mosca tesa a consolidare il suo predominio sui paesi dell’Est europeo compresi (in seguito agli accordi di Jalta) nella propria sfera d’influenza. Inoltre, dai contrasti sorti fra gli ex alleati intorno al problema del trattato di pace con la Germania si sviluppò una crescente tensione. Stalin impedì l’adesione dei paesi del blocco sovietico al piano Marshall e nel settembre 1947 Mosca organizzò il Kominform (➔); nel 1948 una grave crisi si verificò nelle relazioni con la Iugoslavia, mentre i legami economici con gli altri paesi dell’Europa orientale venivano rafforzati dalla nascita (1949) del COMECON (➔). In Asia l’influenza sovietica crebbe drasticamente con la vittoria comunista in Cina (1949).
All’interno gli aspetti totalitari e repressivi del regime stalinista vennero ulteriormente rafforzati. Il programma di ricostruzione continuò ad accordare la priorità all’industria pesante e a quella militare, e in particolatre allo sviluppo delle armi nucleari. Nel campo culturale fu condotta una campagna di intimidazione contro intellettuali e scienziati, stimolando il nazionalismo russo e l’antisemitismo. Il massiccio ricorso alla repressione e i diminuiti standard di vita provocarono, tuttavia, forti tensioni.
Alla morte di Stalin (1953), la carica di presidente del Consiglio fu assunta da G.M. Malenkov; primo segretario del partito fu N.S. Chruščëv. I principali problemi di fronte ai quali si trovò la nuova leadership furono di carattere economico e, con l’obiettivo di promuovere un aumento della produzione agricola, vennero consentite le imprese individuali; nel 1954 fu lanciato un piano di valorizzazione e messa a coltura di terre vergini nell’Est del paese.
Nel 1958 Chruščëv assunse anche la guida del partito. Dopo aver promosso la formazione del Patto di Varsavia (1955), egli lanciò una politica di distensione, rafforzando al tempo stesso i legami con l’India e altri paesi asiatici e africani appena divenuti indipendenti, oltre che con le forze del nazionalismo arabo anti;israeliano. Nel 1956, al XX Congresso del PCUS, denunciò le personali responsabilità di Stalin nella creazione di un regime poliziesco. I lavoratori riottennero il diritto di cambiare lavoro e questo, unito alla fine del terrore, diede una temporanea spinta alla produttività, ma il complesso militare-industriale continuò a dominare l’economia.
Gli effetti destabilizzanti prodotti dalla destalinizzazione nei paesi dell’Europa orientale indussero la leadership sovietica a reimporre la propria egemonia: nel novembre 1956 il governo riformista ungherese di I. Nagy fu rovesciato dall’intervento delle truppe sovietiche. La politica di coesistenza pacifica subì una battuta d’arresto nei primi anni 1960; inoltre la crisi di Cuba del 1962 rappresentò una diminuzione dell’autorità di Chruščëv. Al tempo stesso emerse un grave deterioramento delle relazioni con la Cina. Nel 1964, Chruščëv fu spinto alle dimissioni da ogni carica.
La nuova generazione di leader che arrivò al potere fu guidata da L.I. Brežnev, primo segretario del partito (dal 1966, segretario generale) e da A.N. Kosygin, che assunse la guida del governo. I progetti di riorganizzazione del partito furono abbandonati e sul piano culturale si tornò una politica repressiva. In economia, furono introdotte alcune misure di incentivazione della produzione agricola e di liberalizzazione. In politica estera, la proclamazione della cosiddetta dottrina di Brežnev sulla sovranità limitata nei paesi socialisti portò all’intervento militare a Praga, dove nel 1968 A. Dubček aveva avviato una liberalizzazione della vita politica.
Questo però non fermò il processo di distensione, i cui principali risultati furono il Trattato di non proliferazione nucleare (1968), la firma del SALT I (1972) e quella dell’Atto finale della CSCE a Helsinki (1975). Le relazioni con la Cina subirono invece un ulteriore peggioramento e scontri di frontiera si verificarono nel 1969. Muovendosi all’interno della logica dei due blocchi, la politica estera sovietica fu orientata a rafforzare la propria influenza nel Medio Oriente e in altri settori strategici (Corno d’Africa, Angola, Mozambico). Nel 1979 ebbe luogo l’invasione militare dell’Afghanistan, cui seguì un deciso deterioramento dei rapporti con l’Occidente (anche se nel 1979 si arrivò alla firma del SALT II), aggravato dal sostegno di Mosca all’azione repressiva del governo polacco nel dicembre 1981.
Nel 1977 Brežnev assunse anche la carica di presidente del Presidium del Soviet supremo e con la Costituzione del 1977 fu istituzionalizzato il ruolo dirigente del Partito comunista. J.V. Andropov, subentrato come segretario generale nel 1982 al defunto Brežnev, avviò una campagna contro la corruzione e per il rafforzamento della disciplina del lavoro, interrotta dalla sua morte nel 1984. Dopo la breve parentesi di gestione di K.U. Černenko, nel 1985 divenne segretario generale del partito M.S. Gorbačëv.
Fra i primi passi della nuova leadership vi fu un ampio ricambio nelle più alte cariche del partito e dello Stato. La campagna per una maggiore trasparenza e libertà di informazione (glasnost) ricevette un forte impulso dall’ondata di indignazione popolare seguita ai tentativi di soffocare le informazioni sul disastro nucleare di Černobyl´ (aprile 1986). In politica estera, numerosi incontri fra dirigenti sovietici e statunitensi portarono a progressi sulle questioni del controllo degli armamenti, dei diritti umani e della libertà di emigrazione. A partire dal 1989 le truppe sovietiche cominciarono a ritirarsi dall’Afghanistan e furono effettuati consistenti tagli alle spese militari. Al tempo stesso il disimpegno sovietico dal Sud-Est asiatico favorì il riavvicinamento alla Cina.
Nel 1987 fu avviato un programma di riforma dell’economia, conosciuto come perestrojka («ristrutturazione») e incentrato sull’introduzione di limitate misure di stampo liberista, nonché un rinnovamento del sistema politico volto a favorire una maggior partecipazione popolare alla vita politica del paese: una nuova legge elettorale introdusse un certo grado di competizione nelle elezioni del 1989 per il nuovo Parlamento, il Congresso dei deputati del popolo; furono ridotti i poteri del servizio segreto KGB e ristretta la censura. Nel 1990 Gorbačëv fu eletto alla nuova carica di presidente della Repubblica, dotato di poteri esecutivi.
A fronte della crescente crisi economica e dell’indebolimento dello Stato sovietico, l’opposizione di milioni di cittadini degli Stati dell’Europa dell’Est alla sovietizzazione dei loro paesi, combinata con la politica di riforme democratiche, condusse nel corso del 1989 al collasso dei regimi di tipo sovietico dell’Europa dell’Est. La generale crisi portò all’emergere delle rivendicazioni e dei contrasti nazionali all’interno dell’URSS. Nella Repubblica russa si affermò un forte movimento popolare guidato da B.N. El´cin, divenuto nel 1990 presidente del Soviet supremo della Repubblica russa. Nel marzo 1990 Lituania, Lettonia ed Estonia proclamarono la propria indipendenza. Fu allora preparato un nuovo trattato dell’Unione con il quale venivano fatte considerevoli concessioni alle Repubbliche federate, ma nell’agosto 1991, al momento della prevista firma, alcuni esponenti antiriformatori tentarono di rovesciare Gorbačëv. Il colpo di Stato fallì di fronte alla ferma resistenza delle forze democratiche e al mancato appoggio del corpo militare. Immediatamente dopo, le Repubbliche baltiche proclamarono la separazione dall’URSS, venendo riconosciute dalla Repubblica russa (24 agosto 1991), poi da numerosi paesi occidentali e infine dalla stessa URSS.
Tutte le Repubbliche federate che non lo avevano ancora fatto proclamarono allora la propria indipendenza e l’8 dicembre 1991 i presidenti di Russia, Ucraina e Bielorussia decretarono la dissoluzione dell’URSS. Il 21 dicembre 1991, 11 repubbliche sovietiche nell’incontro di Alma-Ata annunciarono la creazione della Comunità di Stati Indipendenti e quattro giorni dopo Gorbačëv si dimise da presidente dell’URSS.
La rivoluzione del 1917 segna un momento di rottura radicale in campo letterario, non meno che in campo politico. La discontinuità con il passato è teorizzata e attuata. Sono sottoposti a revisione critica, in un aspro dibattito, i concetti stessi di popolo, cultura, letteratura. Al capovolgimento di valori e gerarchie deve corrispondere una cultura rivoluzionaria, e proprio sul senso da attribuire a questo termine si accendono le controversie. Che cos’è una letteratura rivoluzionaria? Una letteratura di contenuto rivoluzionario? Oppure demistificante, anticonvenzionale? Capace di innovare la tradizione, o in conflitto con essa? In grado di esprimere la grandiosità del sommovimento rivoluzionario con i mezzi dell’epica, della monumentalità, o di rivoluzionare la letteratura con la parodia, il grottesco, l’invenzione lessicale? Per tutti gli anni 1920 si scontrano scelte diverse, fonte della molteplicità di esperimenti, del vivace panorama letterario, che si appiattirà verso la metà degli anni 1930. Negli anni della guerra civile (1918-20), del comunismo di guerra, la produzione libraria si riduce a circa un decimo di quella dell’anteguerra. È il periodo della letteratura ‘orale’, dei caffè, in cui predomina la poesia. È anche l’epoca dei treni di propaganda, dei palazzi decorati dagli artisti, degli spettacoli di massa, realizzati da registi di primo piano. Il coinvolgimento della popolazione nella vita politica e la diffusione della cultura assumono forme meno effimere nelle campagne di alfabetizzazione, nelle Facoltà Operaie, nella vasta rete di corrispondenti operai e contadini, per i quali la collaborazione ai giornali costituisce a volte, oltre che un’esperienza politica, un primo passo verso la scrittura letteraria.
La scienza e la tecnica godono di un prestigio che trova eco nelle utopie tecnologiche e nei romanzi di fantascienza di scrittori come A. Platonov o A. Tolstoj. La tendenza all’enciclopedismo traspare in alcune iniziative di M. Gor´kij o di A. Bogdanov, teorico del Proletkul´t, che ambiva alla costruzione di una cultura proletaria, capace di sostituire quella borghese. Centro essenziale di elaborazione e di coordinamento culturale è il Commissariato del popolo per l’istruzione, diretto da A. Lunačarskij. A Pietrogrado molti scrittori già affermati, alcuni dei quali in seguito emigreranno, fanno capo alla Casa dei letterati, legata alla tradizione. La Casa delle arti offre invece rifugio a giovani scrittori, accomunati dalla passione per la letteratura, e ha un patrono autorevole come Gor´kij, maestri brillanti come E. Zamjatin, K. Čukovskij, V. Šklovskij, ‘inquilini’ promettenti come i Fratelli di Serapione (gruppo letterario attivo negli anni 1921-25). Si moltiplicano i gruppi letterari nei quali si articola il lavoro degli scrittori. È un’epoca di proclami, polemiche, manifesti programmatici. La proliferazione dei gruppi è frenetica: immaginisti, espressionisti, costruttivisti, futuristi, Lef, 41°, Oberiu, Associazione degli scrittori proletari o degli scrittori contadini ecc. In questo universo magmatico è possibile identificare la linea della letteratura proletaria con i suoi raggruppamenti e quella delle avanguardie e delle loro estreme ramificazioni. Restano fuori gli scrittori non schierati con la rivoluzione, ma neppure ostili, definiti da L. Trockij ‘compagni di strada’.
Un altro fenomeno rilevante di questi anni è il moltiplicarsi delle riviste. Malgrado la mancanza di carta, le riviste soppresse nel 1918 sono sostituite da altre, che hanno di solito vita breve. La sezione delle arti figurative (IZO) del Commissariato per l’istruzione pubblica Iskusstvo Kommuny («L’arte della Comune»), alla quale collaborano V. Majakovskij, O. Brik, V. Šklovskij, riesce ad avere un peso teorico rilevante nei suoi pochi mesi di vita. Il Proletkul’t dà vita a pubblicazioni nazionali e locali, tra cui Proletarskaja kul´tura («La cultura proletaria»). Nel 1919 sorge la Casa editrice di Stato, che prende il posto degli editori privati.
Con la fine della guerra civile si chiude anche il periodo eroico del comunismo di guerra. La NEP, la nuova politica economica, suscita delusioni e meritati sarcasmi, ma crea condizioni favorevoli a una ripresa editoriale. Nel 1921, primo anno della NEP, si contano più di 200 case editrici private. Un fenomeno unico degli anni 1921-23 è la presenza a Berlino di editori russi, che stampano libri venduti anche in Russia. Si esce dall’isolamento, si ristabilisce qualche contatto con la cultura europea. Rinasce la tradizione della rivista letteraria con Krasnaja nov´ («Novale rossa») e Pečat´i revoljucija («Stampa e rivoluzione»), con le riviste degli scrittori proletari e del variegato Fronte di sinistra delle arti. Oltre a pubblicare e recensire opere letterarie, le riviste sono sede di accaniti dibattiti artistici e ideologici. In un clima saturo di sollecitazioni politiche e sociali la letteratura rischia di diventare noiosa. Lo proclama L. Lunc, invitando a prendere a modello i romanzi di avventura occidentali e le opere di C. Doyle. Tra gli elementi dell’occidentalismo degli anni 1920 non va trascurata l’attrazione per l’America, terra del capitalismo, è vero, ma anche della tecnica, del jazz, del cinema.
Fino al 1925 scrittori, gruppi e tendenze letterarie si muovono con una relativa libertà, sancita anche da una famosa risoluzione del partito. Negli anni successivi i margini di autonomia si vanno restringendo e quando si giunge, nel 1932, allo scioglimento ufficiale dei gruppi il predominio della RAPP (Associazione russa degli scrittori proletari), sorta proprio nel 1925, somiglia già a un monopolio e apre la via all’omologazione degli anni 1930. Si chiude, alla metà del decennio, una fase della vita del paese: allo slancio romantico segue la razionalità della costruzione, all’esaltazione del moto spontaneo delle masse succede una più attenta analisi dei personaggi, della loro psicologia; il protagonista delle nuove opere non è più il combattente guidato dall’istinto, ma il costruttore consapevole e tenace. Vario e diseguale quanto quello della letteratura d’arte è il panorama della teoria e della critica letteraria, che spazia dalla critica sociologica di P. Sakulin al marxismo d’ispirazione plechanoviana del gruppo Pereval, dalla teoria dell’arte come produzione al formalismo.
Il ventennio successivo, che corrisponde a grandi linee all’epoca staliniana, è infinitamente più povero, ma sarebbe inesatto considerarlo un deserto nel campo degli studi letterari. I formalisti producono pregevoli studi di carattere linguistico e storico-letterario. Vengono avviate opere di vasto respiro: nel 1929-39 esce la prima enciclopedia letteraria sovietica, rimasta incompleta; nascono nuovi periodici, come Literaturnaja gazeta («La gazzetta letteraria», 1929) e Literaturnyj kritik («Il critico letterario», 1933). Il dibattito assume toni sempre più intolleranti e spesso sfocia in una condanna. La RAPP detta legge con crescente arroganza, la risoluzione del Comitato centrale del Partito comunista (bolscevico) dell’URSS del 1932 sullo scioglimento dei gruppi (RAPP compresa) viene perciò accolta da molti scrittori con sollievo, nella speranza illusoria di liberarsi di questa opprimente ipoteca. Si vedrà presto che le posizioni della nuova Unione degli scrittori, sorta nel 1932, non si discostano molto da quelle della RAPP.
Nell’agosto 1934 si svolge il I Congresso dell’Unione degli scrittori sovietici, aperto da Gor´kij, che definisce il realismo socialista metodo fondamentale della letteratura sovietica. Il dibattito sul realismo socialista ebbe, sulle pagine di Literaturnyj kritik, negli articoli di M. Lifšic e di G. Lukács, notevole dignità culturale; ciò non impedì che per l’intera letteratura del paese diventasse di fatto obbligatorio un unico indirizzo. Anche la richiesta di una lingua semplice porta all’impoverimento e alla standardizzazione. Salvo rare eccezioni, verso la metà degli anni 1930 si giunge a una letteratura prevedibile, rituale. Un ambito che lascia spazio al gioco verbale è la letteratura per l’infanzia, nella quale trovano rifugio scrittori dell’assurdo, poeti di talento. All’inizio del 1936 risale il violento attacco alla musica di D. Šostakovič, al 1938 la liquidazione del teatro di V. Mejerchol´d. Sono gli anni della repressione più dura. La vita letteraria ufficiale si ritualizza. Alla fine del 1939 vengono istituiti i premi Stalin per la letteratura, trasformati nel 1957 in premi statali dell’URSS.
L’inizio della guerra in Europa attenua le tensioni tra scrittori e potere. Finito il conflitto, all’esultanza per la vittoria, alle speranze degli anni di guerra, subentra presto la delusione. Nel 1946 il famoso richiamo all’ordine di A. Ždanov in forma di critica alla rivista Zvezda («La stella») chiude la stagione delle illusioni. I primi anni della guerra fredda sono tra i più rigidi all’interno del paese. Si teorizza la necessità di rappresentare la realtà lasciando spazio al sogno. Si incoraggia la cosiddetta ‘letteratura laccata’, che elimina tutte le rughe. Nel 1948 si scatena la campagna contro il cosmopolitismo che colpisce ebrei e critici colpevoli di scorgere tracce di influenze straniere nelle opere di autori russi. Nel 1952 appaiono alcuni timidi segni di disgelo che diventano più evidenti a partire dal 1953, anno della morte di Stalin. Sorgono nuove riviste come Junost´ («Giovinezza»), che raggiunge alte tirature pubblicando opere di giovani scrittori, o Inostrannaja literatura («Letteratura straniera»), che fa conoscere al pubblico le letterature di altri paesi.
Nella primavera del 1956 si svolge il XX Congresso del PCUS, che dà inizio al processo di destalinizzazione. Molti scrittori scomparsi nei campi di concentramento vengono riabilitati, i sopravvissuti tornano a casa. Durante le giornate della poesia, istituite nel 1955, i poeti si incontrano con i lettori, si riprende l’abitudine degli anni 1920 di leggere pubblicamente i propri versi. E sono proprio i giovani poeti o i poeti-cantautori, come V. Vysockij, la rivelazione di questi anni. I. Erenburg con le sue memorie Uomini, anni, vita ricostruisce un’atmosfera perduta, evocando nomi e movimenti da tempo dimenticati. Sulle riviste si discute di lirica, di fantascienza, delle aspirazioni dei giovani. L’uso del linguaggio giovanile nel Biglietto stellato di V. Aksënov (1961) suscita un ampio dibattito. Anche la prosa contadina apporta elementi vitali al linguaggio disseccato del decennio precedente. La critica si fa più audace. A. Sinjavskij in Che cos’è il realismo socialista? (1956) propone un’arte in cui il grottesco sostituisca la descrizione della vita quotidiana. Il tema dei campi di concentramento cessa di essere un tabù con la pubblicazione di Una giornata di Ivan Denisovič di A. Solženicyn. A Tartu nel 1964 i lavori del gruppo semiotico, legato al nome di J. Lotman, portano nuova linfa alla ricerca nell’ambito delle scienze umane. Nel 1982 le Letture tynjanoviane, ideate a Riga da studiosi esclusi dalla vita accademica, attesteranno la vitalità di una tradizione critica. È noto il ruolo della rivista Novyj mir, diretta da A. Tvardovskij, nella stagione del disgelo: le sue alterne vicende mostrano come il clima mutasse in relazione ad avvenimenti internazionali.
Nel 1969, dopo la primavera di Praga, l’epoca del disgelo è conclusa e si apre una stagione malinconica, priva di illusioni. La generazione che ha vissuto gli anni 1960 ha meno paura e non è sempre disposta al silenzio. Per tutti gli anni 1970 e fino alla metà degli anni 1980 nella letteratura procedono parallelamente due linee, una ufficiale, un’altra più indipendente, che riprende, in tono sommesso, alcune delle innovazioni stilistiche e tematiche degli anni 1960. A queste se ne affianca una terza, che non trova spazio nel circuito editoriale e si avvale di modesti mezzi tecnici per stampare e far circolare clandestinamente i propri testi, la letteratura del samizdat. Molti scrittori non si rassegnano più all’invisibilità; se non riescono a far uscire le loro opere in patria, le pubblicano all’estero. I contatti personali con altri paesi, malgrado le limitazioni, non sono più prerogativa di singoli individui. Il fenomeno è tale da suscitare le preoccupazioni delle correnti neoslavofile che si vanno rafforzando grazie all’apporto della prosa contadina, con una forte componente religiosa.
Intorno alla metà degli anni 1980 ha inizio la perestrojka gorbacioviana che liberalizza la vita culturale, consentendo la pubblicazione di opere, russe e straniere, prima sconosciute al lettore sovietico. Si riscopre nella sua interezza il valore di scrittori come M. Bulgakov o A. Platonov, si spalancano le porte alla letteratura dell’emigrazione, ha inizio un processo di riappropriazione e rilettura del passato. Il recupero della memoria (e lo sviluppo della memorialistica come genere letterario) è forse il tratto essenziale di questo periodo. Ne esce mutato anche il volto dei decenni precedenti. Nascono nuove case editrici e nuove riviste, spuntano i primi germi di una letteratura che ha una concezione dei propri compiti assai diversa da quella tradizionale che attribuiva allo scrittore il ruolo di coscienza critica della società. Si apre una forte dialettica tra la prevalenza del principio etico e quella del principio estetico nell’arte, tra neo-occidentalisti e neoslavofili, dialettica proseguita, dopo lo scioglimento dell’URSS (1991), nella Russia postsovietica.