Stato dell’Europa centrale, confina a N con la Danimarca, a E con la Polonia e la Repubblica Ceca, a SE e a S con l’Austria, a SO e a O con la Francia, la Svizzera il Belgio e il Lussemburgo, a NO con i Paesi Bassi; è bagnata a N dal Mar Baltico e dal Mare del Nord.
Il nome Germania (ossia «paese dei Germani») fu dato originariamente dai Romani ai territori della provincia Belgica nei quali si erano insediati popoli provenienti dalla destra del Reno (Condrusi, Eburoni ecc.), detti Germani; Cesare estese il nome a tutti i territori abitati da popolazioni di quello stesso ceppo. Il nome Deutschland appare invece per la prima volta nella forma Dütisklant nella Kaiserkronik, componimento poetico del 1150, e significa «paese tedesco» (deutsch deriva dall’antico tedesco diot, gotico thiuda, «popolo»).
La regione germanica occupa gran parte dell’Europa centrale, cioè della zona che separa le regioni dell’Europa atlantico-mediterranea (rilievi molto mossi e coste estremamente articolate) dall’immensa pianura russa (ondulazioni piuttosto morbide e scarse relazioni con il mare). La sua parte più meridionale si spinge fino alla sezione settentrionale della catena alpina vera e propria, tra il Lago di Costanza e il Salzach, includendo il versante N delle Alpi di Algovia, delle Prealpi Bavaresi e Salisburghesi.
Il territorio tedesco può essere descritto schematicamente come composto da tre unità denominate, da N a S, Norddeutsches Tiefenland (Bassopiano Germanico), Mittelgebirge (Montagne Medie) e Hochgebirge (Montagne Alte). I rilievi più antichi sono quelli dei Mittelgebirge, nella parte centrale del territorio, che risalgono ai primi periodi dell’era paleozoica. Al corrugamento caledoniano del periodo siluriano si deve la prima formazione del Rheinisches Schiefergebirge (Massiccio Scistoso Renano), temporaneamente coperto dal mare nel successivo periodo devoniano. Il corrugamento ercinico, sviluppatosi tra Carbonifero e Permiano, portò nuovamente alla completa emersione della regione, su cui regnava in questo periodo un clima di tipo tropicale, caldo umido, favorevole alla formazione di enormi foreste, che però, nell’alternanza di emersioni e sommersioni, venivano in breve ricoperte dalle acque. Proprio questa alternanza ha determinato la formazione di grandi giacimenti carboniferi. Il corrugamento ercinico ha portato al sollevamento di rilievi, secondo alcuni allineamenti principali, che in tempi successivi l’erosione ha frazionato in numerosi massicci.
Il Massiccio Scistoso Renano è il corpo principale dei Mittelgebirge, e le vallate degli affluenti del Reno lo suddividono in numerosi dossi allungati generalmente in senso SO-NE. Alla sinistra del fiume principale si trovano l’Eifel e il Hunsrück, rispettivamente a N e a S del corso della Mosella; sulla destra del Reno, il Lahn e il Meno dividono il Westerwald, il Taunus e l’Odenwald (sempre procedendo da N a S). Più a oriente si eleva il Harz (la Hercynia Silva dei Romani, toponimo dal quale ha preso nome il corrugamento); a occidente del Harz, con un allineamento SE-NO, il modesto Wesergebirge e la Selva di Teutoburgo discendono a N verso il bassopiano. A meridione altri rilievi antichi, ricchi di formazioni rocciose cristalline e metamorfiche, sono a O la Selva Nera, che domina con la cima del Feldberg (1493 m) la sponda destra del Reno appena uscito dal territorio elvetico, mentre a E si elevano il Fichtelgebirge, i Monti Metalliferi e la Selva Boema.
L’inizio dell’era mesozoica vide la regione sottoposta a condizioni aride, con la formazione di arenarie, gessi e depositi salini (Buntsandstein). Il corrugamento alpino dell’era cenozoica interessa solo l’estremo meridionale del territorio tedesco, col versante settentrionale delle Alpi Orientali: in questa zona si raggiungono le massime elevazioni della G. con i 2963 m dello Zugspitze e i 2713 m del Watzmann, cime sulle quali passa il confine con l’Austria. Le formazioni calcaree mesozoiche sono intensamente piegate e fratturate, profondamente incise dai ghiacciai quaternari e, in seguito, da impetuosi corsi d’acqua. I detriti accumulati da questi nell’Altopiano Svevo-Bavarese hanno costretto il Danubio a una marcata ansa verso N. Leggermente più a O si sono sollevate in quest’era la catena del Giura di Svevia (nel Württemberg, orientato in senso SO-NE) e di Franconia (nel Bayern, diretto da S a N). Il corso dell’Elba divide il Bassopiano Germanico in un settore occidentale, di cui sono evidenti le affinità con le coste olandesi, e uno orientale, che presenta le caratteristiche delle coste baltiche. Le coste sono piatte e in lunghi tratti la marea le risale per chilometri.
Nel settore orientale l’azione della calotta glaciale è stata molto più intensa, accumulando una cospicua serie di cordoni morenici, spesso conservati in archi concentrici distinti, di notevole altezza. Tale origine hanno le colline del Meclemburgo, tra le quali sono numerosi laghi intermorenici, alcuni dei quali di dimensioni ragguardevoli (il maggiore, il Lago Müritz, raggiunge i 110 km2).
La parte settentrionale del Brandeburgo è interessata da depositi di löss e dai solchi delle vecchie valli; tra i corsi dell’Oder e del Bruch si stende una regione pianeggiante. Le coste sono generalmente basse e sabbiose, soggette a frequenti tempeste e mareggiate; le maree del Mare del Nord sono ben più accentuate di quelle, peraltro non modeste, del Baltico. Le isole maggiori, a breve distanza dalla costa, sono le Frisone Orientali nel Mare del Nord e quella di Rügen nel Baltico. Più al largo delle Frisone sorge isolata Helgoland.
Il clima presenta caratteri di transizione tra i regimi oceanici dell’Europa atlantica e quelli continentali della pianura russa. Nell’insieme, tuttavia, l’influenza oceanica temperata è ancora avvertibile in inverno, di modo che i climi risultano più miti di quel che potrebbe far ritenere la latitudine (tra 47° e 55° N). La modesta elevazione dei rilievi, salvo che sul lato meridionale, espone il territorio a influenze plurime, il che fa sì che le condizioni meteorologiche siano soggette a frequenti variazioni. Durante l’estate le temperature decrescono regolarmente da S a N, dai 20 °C di Monaco ai 17 °C di Amburgo. In inverno gli influssi dell’Atlantico (mitigatore) e dell’anticiclone russo-siberiano (estremamente rigido) fanno sì che le temperature diminuiscano da O verso E. Le due influenze si avvertono profondamente in quanto concerne la pluviometria che, procedendo da O verso E, mostra una diminuzione della quantità media annua e un’inversione del regime. Sono comunque quantità che si mantengono superiori ai 700 mm e solo eccezionalmente scendono sotto i 600 mm annui in alcuni tratti dei Mittelgebirge. I massimi si raggiungono nelle parti sommitali del Harz e dei Monti Metalliferi, fino agli oltre 2000 mm della Selva Nera. La copertura nivale invernale non è particolarmente spessa, ma, date le temperature medie normalmente inferiori a 0 °C (pur se di poco), la permanenza al suolo dura un paio di mesi (con massimi di quattro). Nell’insieme si possono distinguere sei regioni climatiche: due sul mare, tre nella zona centrale e una a S. Lungo le coste del Mare del Nord le condizioni sono più miti e piovose che non sul Baltico.
Il territorio della G. ha pendenza generale verso N e pertanto le sue acque superficiali fanno capo principalmente al Mare del Nord e in minor misura al Baltico. Fa eccezione la regione compresa tra le Alpi e il Giura, drenata dal Danubio, che dopo quasi 650 km esce dalla Germania a Passau. Origine alpina ha pure il Reno, che all’uscita dal Lago di Costanza (Svizzera) segna il confine prima con la Svizzera e poi con la Francia; il tratto completamente tedesco inizia all’uscita dalla cosiddetta Fossa Renana, tra Selva Nera e Vosgi, presso Karlsruhe. Traversato il Massiccio Scistoso Renano, con un percorso tortuoso e a volte incassato tra rive incombenti, oltre Duisburg il fiume entra nella bassa pianura terminale, proseguendo, dopo oltre 850 km, in territorio olandese. È il maggiore asse economico del paese, una delle più trafficate vie d’acqua del mondo; un elemento favorevole è costituito dal regime, cui le piogge e lo scioglimento delle nevi garantiscono una portata cospicua, con oscillazioni piuttosto contenute. L’Elba nasce dai Monti dei Giganti e li aggira a S, entrando in G. nella depressione che li separa dai Monti Metalliferi; percorre in territorio tedesco circa 700 km e sfocia nel Mare del Nord con un ampio estuario. Il solo fiume di rilievo che faccia capo al Baltico è l’Oder, peraltro tedesco solo limitatamente alla sponda sinistra per gli ultimi 200 km (in questo tratto segna il confine con la Polonia).
La maggiore superficie lacustre è costituita dalla parte tedesca del Lago di Costanza, ampia 305 km2. Nell’Eifel sono presenti specchi lacustri tondeggianti, occupanti antichi crateri di esplosione (Maar), mentre alcuni laghi sono ospitati nelle conche intermoreniche del bassopiano. Nel complesso i laghi sono numerosi ma di piccola superficie, sia nei rilievi centro-meridionali sia tra le colline moreniche del bassopiano, verso le coste marine.
Di enorme importanza è l’idrografia artificiale, cioè il complesso di canali grazie ai quali la G. gode di una rete di vie d’acqua interne tra le più organizzate del mondo. Alcuni canali hanno decorso parallelo ai fiumi, altri vanno in direzione trasversale. Principale tra questi è il Mittellandkanal, che corre al limite tra i Mittelgebirge e il Bassopiano. Il canale Reno-Meno-Danubio (Rhein-Main-Donau-Kanal), lungo 677 km con ampi tratti di fiume canalizzato, è parte di un sistema idroviario che mette in comunicazione il Mare del Nord con il Mar Nero.
Sulle Alpi, la flora non differisce troppo da quella dei versanti meridionali, con abete rosso e bianco, che verso il basso cede il posto al faggio, mentre verso l’alto passa al cembro, al larice e infine ai pascoli d’alta quota (il limite dei boschi è a circa 1700 m sulle Alpi, a 1300 nella Selva Boema e a 1000 nel Harz). Dalla Selva Nera (Schwarzwald) alla Selva Boema (Böhmerwald) predomina l’abete bianco. Nel bassopiano e nelle zone costiere le betulle sono miste al pino silvestre. Il sottobosco è costituito da specie settentrionali, quali agrifoglio ed erica. Le vallate meridionali, fino alla confluenza Reno-Mosella, presentano climi abbastanza miti da permettere la presenza di flora atlantico-mediterranea (l’uomo ha profittato di questa caratteristica sviluppandovi la coltura della vite).
La situazione della fauna selvatica è negativa: in epoca storica sono scomparsi gli ultimi orsi, bisonti, stambecchi e linci; in via di estinzione sono gatti selvatici e alci tra i Mammiferi, aquile e avvoltoi tra gli Uccelli; anche i lupi sono considerati in pericolo. I volatili sono tuttavia numerosi, con molte specie migratorie (trampolieri, gallinacei, palmipedi). Tra i Mammiferi sono ancora presenti cervidi, lontre ed ermellini.
La G. è di gran lunga il più popoloso Stato europeo (Federazione Russa esclusa). Per superficie, invece, sempre escludendo la Russia, essa si colloca al quinto posto, dopo l’Ucraina, la Francia, la Spagna e la Svezia. Ne deriva una densità territoriale molto elevata (oltre 230 ab./km2). Tale cospicua massa demografica risulta nel complesso insufficiente ai bisogni di risorse umane di un paese economicamente dinamico come la G., nel quale si è compiuta, già dalla metà degli anni 1990, la transizione demografica. Agli inizi del 21° sec. si è arrivati al decremento di popolazione in termini assoluti (con il tasso di natalità sull’8,18‰ e quello di mortalità sul 10,8‰ nel 2008), nonché a un quadro demografico assai maturo, con una percentuale di giovani decisamente modesta.
L’aumento della popolazione (o il contenimento della sua diminuzione) è dovuto esclusivamente ai flussi immigratori, tradizionalmente consistenti, che hanno prodotto una massa di immigrati pari a 661.855 individui (2006). La composizione etnica di tale cospicua comunità straniera è sensibilmente variata nel tempo: negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale – specialmente gli anni del ‘miracolo tedesco’, il decennio 1960, quando si trattò di ricostruire ex novo l’intero apparato industriale – prevalsero gli Italiani, seguiti da Spagnoli, Portoghesi e Greci; in seguito, l’ondata migratoria dall’Italia e dai paesi iberici diminuì sensibilmente e se ne formò, e rapidamente crebbe, un’altra, alimentata da migranti della Iugoslavia e poi delle repubbliche nate dalla dissoluzione di questa; più tardi da maghrebini e, soprattutto, Turchi, questi ultimi ben presto divenuti la componente nettamente dominante; per ultimi, dopo l’apertura delle frontiere degli Stati dell’Est, cominciarono ad affluire cittadini di quei paesi, particolarmente numerosi i Polacchi. Ai flussi immigratori si sono affiancati massicci trasferimenti di popolazione all’interno del Paese, dai più arretrati Länder orientali in quelli occidentali (specie in Renania Settentrionale-Vestfalia, Baden-Württemberg, Assia, Baviera): di fatto, una ‘legale’ prosecuzione di quelli clandestini che avvenivano attraverso l’artificiosa frontiera tra le due Germanie.
I caratteri distributivi e insediativi della popolazione registrano una densità che, a parte quella, ovviamente del tutto anomala, dei tre Länder totalmente urbani di Berlino, Amburgo e Brema, varia dai 530 ab./km2 della Renania Settentrionale-Vestfalia ai 75 ab./km2 del Meclemburgo-Pomerania occidentale. Superano la densità media anche il Saarland, il Baden-Württemberg, l’Assia e la Sassonia (unico tra i Länder orientali; gli altri denunciano i valori più bassi in assoluto).
La G. è uno dei Paesi più urbanizzati del mondo: la popolazione urbana nel 2008 ammontava al 74%, valore in Europa superato solo dal Belgio, dal Regno Unito, di poco da Danimarca, Francia e Paesi Bassi. Ciò vale specialmente per i Länder occidentali, alcuni dei quali (la Renania settentrionale soprattutto, ma anche Renania-Palatinato, Assia, Baden-Württemberg, parte della Baviera e forse pure il Saarland) sono arrivati a costituire un’unica immensa regione urbana: la conurbazione Reno-Ruhr forma una sorta di continuum urbano che ospita almeno una quindicina di milioni di abitanti. Nulla di simile si riscontra nei Länder orientali, dove tuttavia si è venuto formando un asse urbano incentrato su Dresda e Lipsia, prolungato a comprendere diverse altre città. È proseguito il processo, già avviato da tempo, di deconcentrazione demografica di tutte le maggiori città, di solito in una perdita di abitanti degli aggregati storici e in un parallelo aumento del resto delle loro agglomerazioni urbane (fenomeno detto di suburbanizzazione).
La riunificazione delle due parti delle G., che ha rappresentato l’episodio più importante della storia del paese alla fine del 20° sec., per il suo elevato valore simbolico e per la necessità della ricostituzione di uno spazio economico nazionale, è stata vissuta con difficoltà dal popolo tedesco; soprattutto da quello dei Länder occidentali, che si è trovato a dover gestire un territorio sensibilmente più vasto di quello del quarantennio precedente, comprendente un settore caratterizzato da un’economia diversa e assai arretrata. Tuttavia, nonostante i costi notevoli comportati dalla riunificazione, la G. ha mantenuto il posto di primaria potenza economica, rivelato dal suo PIL globale (3818 miliardi di dollari nel 2008), dall’immenso volume di affari intrattenuto con un numero altissimo di Stati, dalla sua posizione di esportatore mondiale di prodotti dell’industria, in particolare meccanica, che si avvale fra l’altro di attività di ricerca e sviluppo tra le più avanzate del mondo. La forte dipendenza dalle esportazioni è stata, d’altra parte, uno dei motivi della contrazione economica iniziata nella seconda metà del 2008 e collegata alla crisi globale, per la quale la G. nel 2009 è entrata in recessione, con la prospettiva di una crescita negativa del PIL per due anni.
Il settore agricolo, nonostante la modestissima quota di popolazione assorbita e l’irrilevante contributo al PIL (nel 2008 lo 0,9%), è tecnicamente molto evoluto, caratterizzato da un elevatissimo rendimento, per cui, nonostante la drastica riduzione della superficie coltivata, continua ad assicurare alla G. un posto di tutto rispetto per numerosi prodotti agrari e zootecnici che, relativamente ad alcune voci di particolare importanza (grano, patate, orzo, barbabietola da zucchero, suini), sono ai primi posti nella graduatoria mondiale. Permangono tuttavia forti differenze tra le due parti del paese e si rendono necessari interventi innovativi in alcuni Länder orientali, specialmente in quello del Meclemburgo-Pomerania occidentale, la cui vocazione agricola era stata compressa da una politica d’industrializzazione che non ha più ragion d’essere.
Il settore industriale assorbe circa il 30% della forza lavoro. L’organizzazione industriale è profondamente mutata, così come sono intervenuti cambiamenti profondi nella localizzazione e nella distribuzione territoriale delle industrie. Il più appariscente è quello avvenuto a carico del bacino della Ruhr, per oltre un secolo la regione industriale più significativa d’Europa e simbolo dell’industria tedesca, dove è cessata dopo un lungo declino la tradizionale attività estrattiva del carbone e si è drasticamente ridotta quella siderurgica. Particolarmente notevole, e alquanto traumatica (perché testimonianza dei problemi sorti con la riunificazione, nonché causa di disoccupazione e di conseguenti flussi migratori interni), è risultata la chiusura di alcune migliaia di stabilimenti nei Länder orientali. La delocalizzazione si è risolta in una ‘rilocalizzazione’ in alcuni casi in paesi esteri (come in Polonia, dove si realizzano notevoli risparmi nei costi della manodopera), più spesso in altre zone dello Stato che, soprattutto per caratteri socioculturali (come la capacità innovativa), risultano favorevoli a nuovi modelli industriali, fondati per lo più sulle dimensioni medio-piccole delle imprese e sull’adozione di tecnologie molto evolute.
Il settore, che occupa buona parte della popolazione attiva e contribuisce per il 69% al PIL nazionale (nel 2008), si articola in una vasta gamma di attività tra cui emergono quelle tanto più avanzate rispetto al terziario tradizionale da essere indicate piuttosto come quaternarie: attività genericamente direzionali (alta dirigenza politica, alta finanza, alta ricerca scientifica) che si distinguono per la loro rarità e per la loro concentrazione nell’ambiente urbano. In particolare, la ricerca scientifico-tecnica ha raggiunto livelli elevatissimi, favorita anche dalla ricettività nei riguardi delle innovazioni.
Una caratteristica peculiare dell’organizzazione economico-territoriale della G. è data dalla tendenza all’integrazione con altri paesi. Indipendentemente dall’appartenenza all’Unione Europea e dal ruolo che essa vi svolge, la G. ha sperimentato una serie di accordi tra proprie regioni e regioni degli Stati limitrofi dando luogo a spazi economici transfrontalieri.
La rete urbana si innesta su una rete altrettanto efficiente di comunicazioni e di trasporti materiali e immateriali. I trasporti materiali si avvalgono del grande canale idroviario che congiunge il Meno con il Danubio (e, in definitiva, il Mare del Nord con il Mar Nero), di fondamentale importanza per i traffici con l’Europa centro-orientale, e della realizzazione di ferrovie ad alta velocità, sia in direzione NS sia OE. Nel 2006 la rete ferroviaria misurava 38.206 km, di cui 19.857 elettrificati; quella stradale si attestava sui 231.480 km, di cui 12.363 di autostrade, per un parco autoveicolare di circa 51 milioni di mezzi; di questi, 46,5 milioni di autovetture (circa una ogni due abitanti).
Scalo aereo principale continua a essere quello intercontinentale di Francoforte sul Meno; massimi porti rimangono quelli di Amburgo, Wilhelmshaven di Brema. L’efficienza delle vie di comunicazione e delle forme di trasporto ha contribuito al crescente sviluppo del turismo (nel 2006 gli arrivi hanno raggiunto i 23.569.000).
L’uomo fa la sua apparizione in G. circa 500.000 anni fa, datazione attribuita a una mascella inferiore rinvenuta presso Heidelberg. La cultura acheuleana (650.00-200.000 anni fa) è presente in giacimenti importanti (per es., Markkleeberg, presso Lipsia, di età probabilmente rissiana). Durante il Würm, oltre al Micocchiano (Bockstein), si sviluppano vari aspetti del Musteriano, il più interessante dei quali è quello ‘a punte foliate’ (Blattspitzen). L’Aurignaziano (40.000-20.000 anni fa ca.) ha lasciato numerose tracce, come per es. nella stazione di Vogelherd, da dove provengono anche statuine di animali, mentre il Maddaleniano è attestato nella grotta di Petersfels (Lago di Costanza, 14.000-13.000 anni fa).
Durante il Mesolitico (8°-5° millennio a.C.), mentre i cacciatori-raccoglitori maglemosiani vivono nel Nord, nell’area sud-occidentale si attestano gruppi di tipo tardenosiano.
Nel Neolitico la parte settentrionale della G. si collega culturalmente alla Scandinavia, mentre l’area centro-meridionale rientra nell’orbita della civiltà danubiana, caratterizzata da asce levigate e vasi con decorazione a linee incise (Linearbandkeramik, 5° millennio a.C.). Successivamente alla cultura di Rössen, con sepolture contenenti cadaveri rannicchiati e ricco corredo, si sviluppa la cultura di Michelsberg (Neolitico tardo-Eneolitico), caratterizzata da insediamenti abitativi fortificati con palizzate. Fra il 3° e il 2° millennio a.C. avviene la diffusione della cultura del bicchiere campaniforme e della ceramica a cordicella.
Nell’età del Bronzo si sviluppa la facies di Aunjetitz, che si diffonde in una vasta area centro-orientale (Slesia; Sassonia e Turingia con il gruppo di Leubingen), dalla quale sembra esercitare una forte influenza verso occidente (gruppi di Straubing, Adlerberg e Singen nella Germania meridionale) e verso settentrione (I periodo Nordico nella Germania settentrionale). L’ultima fase del Bronzo appare caratterizzata dalla cultura dei campi di urne, con ossari allineati e deposti verticalmente nel terreno, e dalla cultura di Lausitz.
Alla prima età del Ferro (Hallstatt, 8°-5° sec. a.C.) appartengono i tumuli funerari ‘principeschi’, caratterizzati da ricchi corredi funebri (Hochmichele) e le residenze ‘principesche’, che diventano vere e proprie cittadelle fortificate (Heuneburg, Baden-Württemberg). La civiltà celtica di La Tène (dalla metà del 5° sec. a.C. alla conquista romana) presenta aspetti di continuità con il periodo precedente, anche se si attenuano le differenze di ricchezza delle tombe, più o meno standardizzate nei corredi. Si tratta di una società ‘di rango’ a carattere tribale, in cui sono frequenti i rapporti commerciali con le città greche (Marsiglia) e con Roma.
La conquista romana fornì una prima sistemazione territoriale della G. occidentale. Durante il regno di Augusto fu sottomessa la regione compresa tra Reno ed Elba. La ribellione di una lega di popoli germanici provocò però la ritirata romana molto più a O, nella G. renana. Sotto Tiberio o Domiziano, i territori soggetti all’Impero furono organizzati nelle due province della Germania inferior (capitale Colonia) e superior (capitale Magonza). La prima arrivava fino al mare e si estendeva quasi tutta a O del Reno, mentre la seconda comprendeva una zona a E del fiume (agri decumates); il confine fu poi fortificato (limes) collegando Reno e Danubio.
A partire dal 2° sec., infatti, la pressione delle popolazioni germaniche si fece più massiccia e il confine fu più volte minacciato, finché nel corso del 4° sec. le due province furono occupate dai Germani, che nel 406 dilagarono in Gallia e in Spagna. I Franchi, dominatori della Gallia, intervennero poi nella vita politica della G., instaurando con Clodoveo il loro dominio politico sugli Alamanni nell’attuale Franconia e nella Svizzera occidentale (496). Nel 551 anche il vasto Regno dei Turingi fu sottomesso dai Franchi, che nel secolo successivo esercitarono con Dagoberto un’egemonia su tutta l’area germanica. Alla morte nel 639 di Dagoberto, il Regno franco, piombato in un lungo periodo di disordini, allentò la presa.
Nel corso del 7° e dell’8° sec. il cristianesimo penetrò nell’area germanica per opera di missionari celti e anglosassoni. La cristianizzazione riaprì la strada alla penetrazione dei Franchi, nel frattempo riorganizzatisi sotto la dinastia dei Pipinidi, poi detti Carolingi. Carlomagno, grazie a una lunghissima serie di guerre (772-99), sottomise la Sassonia convertendola con la forza, e anche il resto della G. cadde sotto il dominio franco. Ciò significò anche l’introduzione delle istituzioni vassallatico-beneficiarie, dalle quali, nei secoli centrali del Medioevo, si svilupperà la futura struttura feudale del Regno germanico. La G. entrò dunque a far parte dell’Impero carolingio (800), seguendone le sorti politiche finché i primi segni di disgregazione di questo non le permisero di assumere una configurazione autonoma.
A Verdun (843) i figli di Ludovico il Pio si divisero l’Impero: il Regno dei Franchi orientali (la G.) spettò a Ludovico il Germanico. Nell’870, a Meersen, l’individualità politica della G. fu confermata, anche se nominalmente essa faceva ancora parte dell’Impero, la cui corona spettò nell’881 proprio al re dei Franchi orientali, Carlo III il Grosso. Incapace di far fronte alle incursioni vichinghe, Carlo fu deposto nell’887; come re di G. gli successe Arnolfo di Carinzia, imparentato con i Carolingi. Di fatto l’Impero carolingio era finito, anche se lo stesso Arnolfo prese per breve tempo la corona imperiale.
Fondamento dell’organizzazione territoriale della G. erano i 5 grandi ducati a base etnica, Sassonia, Baviera, Turingia, Svevia e Franconia, governati da stirpi ducali ereditarie. La monarchia invece, estintosi il ramo orientale dei Carolingi, era tornata elettiva ed era nelle mani dei duchi. Alla morte di Arnolfo furono eletti re prima Corrado di Franconia (911), poi Enrico di Sassonia (919). Enrico I ottenne grandi successi esterni, a O inglobando al Regno la Lotaringia, strappata alla Francia, e vincendo a E i Vendi. I confini del Regno giunsero così a comprendere il Brandeburgo. La necessità di difendersi dagli attacchi degli Slavi e degli Ungari spinse Enrico a promuovere la costruzione di una linea difensiva di castelli. All’interno, egli sottomise i duchi al potere regio, costringendoli ad accettare la successione al trono del figlio Ottone I (936-973). La politica di quest’ultimo fu diretta a contenere la minaccia degli Ungari e a dare incremento alla colonizzazione delle terre slave nell’attuale G. orientale. La sua politica espansionistica lo portò poi a impadronirsi del Regno italico, la cui corona assunse nel 951; consolidò il suo potere nei confronti dei ducati etnici stroncando numerose rivolte e assegnando i ducati stessi a membri della famiglia e per creare un contrappeso alla potenza dell’aristocrazia, conferì ai vescovi poteri secolari. Nel 962, Ottone fu incoronato imperatore; il suo Impero si fondava su un asse italo-tedesco, che rappresenterà il nucleo del potere imperiale per tutto il Medioevo.
I suoi successori ereditarono una nuova politica di potenza. Ottone II (973-983) subì peraltro rovesci sia in Italia meridionale sia da parte degli Slavi, la cui ribellione fece perdere ai Tedeschi il controllo del territorio tra Elba e Oder (983). Suo figlio Ottone III (983-1002) concepì il progetto di una renovatio imperi Romanorum costruita sulla stretta collaborazione con il papato, ma i suoi progetti naufragarono per l’opposizione interna tedesca e per quella stessa dei Romani, che lo cacciarono. L’imperatore morì poco dopo, e l’elezione di suo cugino Enrico II (1002-24) rappresentò un momento di ripiegamento sui problemi tedeschi.
Alla morte di Enrico, con il passaggio del trono a Corrado II di Franconia (1024-39), ci fu uno spostamento dell’asse politico tedesco verso le regioni renane, rafforzato dall’annessione – per via ereditaria – del Regno di Borgogna (1033). Nei confronti del Regno d’Italia, invece, Corrado si segnalò per i tentativi di intervento nella pianura padana, dove la crescita del fenomeno cittadino cominciava a spiazzare il potere regio e imperiale.
Maggiore respiro ebbe l’azione politica di Enrico III (1039-56), che con il sinodo di Sutri (1046) depose i tre papi espressione della nobiltà romana imponendo il suo candidato, Clemente II, che lo incoronò imperatore nel 1047. Polonia, Boemia e Ungheria furono in vario modo sottomesse all’autorità imperiale tedesca. Nonostante il suo prestigio, Enrico si trovò di fronte a una vasta rivolta guidata dalla nobiltà feudale tedesca nei territori occidentali dell’Impero negli anni 1047-49.
Enrico IV (1056-1106), uscito dalla minorità nel 1066, dovette affrontare la rinnovata potenza della grande feudalità cui si affiancava la realtà nuova rappresentata dalle forze cittadine che, in primo luogo nella regione renana, si andavano organizzando a comune, contestando l’autorità dei vescovi e dei feudatari laici. Vittoriosi, tra 11° e 12° sec., in ambito strettamente urbano, i Comuni non riuscirono tuttavia a imporsi sul territorio circostante, controllato dalla grande feudalità. L’azione di Enrico, che si appoggiò proprio alle città e alla piccola feudalità, trovò un’opposizione aperta in Sassonia. La vittoria del 1075 contro i ribelli sassoni, a Homburg, giunse nello stesso anno in cui scoppiò il conflitto con papa Gregorio VII sul problema delle investiture ecclesiastiche (➔ investitura). La precaria riconciliazione di Canossa (1077) fu incrinata dai principi tedeschi, che al sovrano opposero un antire, il duca Rodolfo di Svevia, sconfitto e ucciso da Enrico a Hohenmölsen (1080). La crisi con la Chiesa continuò e nei suoi ultimi anni Enrico dovette fare fronte alle ribellioni dei figli, Corrado ed Enrico; nel 1106 fu costretto ad abdicare e morì. Gli succedette Enrico V (1106-25) che, eletto imperatore con l’appoggio di papa Pasquale II, riprese la politica del padre in materia di investiture ecclesiastiche e per due volte scese in Italia per piegare il papa alla sua volontà; nel 1122 il Concordato di Worms pose fine al conflitto distinguendo, nelle elezioni dei vescovi, l’investitura temporale (prerogativa dell’imperatore) da quella spirituale (che spettava invece al papa). In G. l’investitura temporale precedeva quella spirituale, quindi il controllo del sovrano sulla Chiesa tedesca rimaneva abbastanza saldo. Permaneva il problema di sottomettere all’autorità centrale l’aristocrazia.
La partita tra l’aristocrazia e il re di G. – che in quanto tale, inoltre, era l’imperatore designato – fu giocata soprattutto intorno alla questione della natura elettiva della funzione sovrana. A Enrico V infatti non fu chiamato a succedere sul trono dai principi tedeschi il duca di Svevia Federico, suo successore naturale, bensì Lotario di Supplimburgo, con il risultato che durante tutto o quasi il suo regno (1125-37) questi dovette fare i conti con la ribellione degli Svevi.
Alla morte di Lotario l’aristocrazia non elesse l’erede designato, Enrico il Superbo duca di Sassonia, ma Corrado III di Hohenstaufen, capo del partito svevo. Erano così gettate le basi della lotta per il controllo della corona tra la casa di Svevia – i cui sostenitori, dal nome del castello di Waibling, furono detti ghibellini – e quella di Baviera e Sassonia, ovvero il partito dei guelfi, discendenti di Guelfo duca di Baviera (fig. 2); la lotta durò per tutto il regno di Corrado (1138-52) prima di essere temporaneamente bloccata sotto Federico I Barbarossa (1152-90).
Lo sforzo degli Hohenstaufen fu quello di costruire un forte potere centrale, utilizzando per l’amministrazione elementi a essi legati – in particolare i ministeriales –, e inserendo l’aristocrazia tedesca in una ferrea piramide feudale che aveva al suo vertice il sovrano. Fu appoggiata anche la costruzione di vaste signorie territoriali affidate a vassalli fedeli, come i Babenberg, che in un primo tempo ottennero la Baviera e poi videro la loro contea d’Austria trasformata in ducato ereditario. Se sul versante meridionale gli Hohenstaufen rafforzarono la loro posizione, lo stesso non può dirsi per il Nord-Est, dove in quello stesso periodo primeggiavano il margravio Alberto l’Orso, che nel 1142 ottenne in feudo la marca del Brandeburgo, e il duca di Sassonia, il guelfo Enrico il Leone. Tornato dalla sfortunata 2° crociata (1147-49), Corrado si riconciliò con Enrico, che da parte sua aveva lanciato una vera crociata contro Vendi e Abodriti (1147).
Cominciava ad assumere così una propria fisionomia un vero Stato territoriale guelfo, che dalla Sassonia giungeva alle terre al di là dell’Elba, strappate agli Slavi anche con una massiccia penetrazione contadina proveniente da Renania, Franconia, Turingia, Sassonia e Paesi Bassi: i contadini (detti ospiti) erano insediati al centro delle terre da dissodare, in nuovi villaggi, dotati di statuti privilegiati. Accanto ai villaggi, nacquero anche vere e proprie città nuove. È l’inizio del processo che porterà contadini, cavalieri e mercanti tedeschi a rigermanizzare la parte orientale della G., insediandosi profondamente nel cuore dell’Europa orientale e cambiandone profondamente la fisionomia. Nell’ambito di questa poderosa crescita della G. settentrionale va inquadrata la fondazione di Lubecca (1143), che diventò il principale porto di smistamento delle merci del Baltico quando a Visby, nel 1161, venne fondata la Hansa.
Impegnato, invece, duramente in Italia, contro i poteri comunali e l’opposizione papale a un’accresciuta presenza germanica nella penisola, Federico I fallì nel tentativo di creare tra Italia settentrionale e G. un blocco capace di fare da efficace contrappeso all’evoluzione del Settentrione tedesco. La sconfitta di Legnano contro la Lega lombarda (1176) ridimensionò le ambizioni italiane del sovrano e riaccese il conflitto con Enrico il Leone. Federico, che era stato elevato all’Impero da Adriano IV nel 1154, in veste di suo superiore feudale processò Enrico, lo depose privandolo della Baviera e della Sassonia e lo costrinse all’esilio (1181). Lo Stato guelfo fu quindi smembrato tra numerosi feudatari: la Baviera andò a Ottone di Wittelsbach, la Sassonia fu divisa tra l’arcivescovo di Sassonia e Bernardo d’Anhalt, aumentando la frantumazione dell’autorità pubblica. Per tutta la sua carriera politica in effetti Federico, nonostante la sua alta concezione della maestà imperiale, si comportò in G. come un autentico capo fazione, teso soprattutto a concedere privilegi e favori al fine di costruirsi una clientela che fosse in grado di fornire truppe per le sue spedizioni italiane e di controllare il regno durante la sua assenza. La sua sesta discesa in Italia ebbe lo scopo di fare incoronare re d’Italia suo figlio Enrico e di fargli sposare Costanza d’Altavilla, erede del Regno normanno (1186). Due anni dopo, Federico trovò la morte nella terza crociata.
Suo figlio Enrico VI, trascurando l’autentica frontiera germanica (quella del Nord-Est), si impegnò in una dura guerra per far riconoscere i suoi diritti sul Regno di Sicilia; incoronato imperatore nel 1191, dovette poi fronteggiare in G. una rivolta della grande aristocrazia. La sua morte precoce nel 1197 pose fine ai suoi piani di impero universale e precipitò di nuovo la G. nel turbine della guerra civile tra guelfi e ghibellini. La corona fu disputata da Ottone di Brunswick, figlio di Enrico il Leone, che fu eletto con l’appoggio dell’arcivescovo di Colonia, e Filippo di Svevia, fratello di Enrico VI e zio del piccolo Federico Ruggero, figlio dell’imperatore defunto. L’appoggio che papa Innocenzo III dette a Ottone mirava a impedire l’unione della Sicilia con la Germania. Ma, incrinatasi presto l’alleanza, il papa scomunicò il guelfo e sostenne la candidatura di Federico, che nel 1212 riuscì a farsi eleggere re da una parte dei principi tedeschi; la battaglia di Bouvines (1214), vinta dalle armi di Filippo Augusto di Francia, segnò la sconfitta definitiva di Ottone, alleato di Giovanni Senzaterra re d’Inghilterra, a favore di Federico, alleato del re di Francia. Nel 1220 Federico fu incoronato anche imperatore a Roma da papa Onorio III. Prima di lasciare la G., Federico aveva emanato la Confederatio cum principibus ecclesiasticis, con la quale concedeva ai vescovi autentici poteri di governo territoriale rinunciando a imporre nuove tasse sulle terre della Chiesa, a intervenire nella successione dei feudi, a edificare città o fortezze nei domini vescovili.
Contemporaneamente in area baltica iniziò a farsi sentire la presenza degli ordini religiosi militari: è del 1201 la creazione dell’ordine dei Cavalieri Portaspada per opera di Alberto vescovo di Livonia. Nel 1226 l’Ordine Teutonico ricevette, tramite il gran maestro Ermanno di Salza, una bolla che gli attribuiva la Prussia, largamente pagana e ancora da conquistare. La conquista si tramutò in una guerra di sterminio contro i Baltici pagani e, sebbene già nel 1234 Gregorio IX concedesse in feudo la Prussia all’Ordine Teutonico (che due anni dopo si fuse con i Portaspada, espandendosi così in Livonia), solo nel 1283 la conquista del paese poté dirsi assicurata. Da quel momento si sviluppò la colonizzazione per opera di contadini tedeschi e polacchi. Lo sviluppo delle città prussiane con il passare del tempo finì tuttavia per costituire un contrappeso all’autorità dell’ordine. Nel frattempo l’espansione dei Teutonici verso oriente era stata fermata nel 1242 dai Russi di Novgorod. La nascita della Prussia germanica segnò un momento decisivo anche per la crescita economica della Hansa, che in quegli stessi anni aveva dovuto fare i conti con l’intraprendenza dei re di Danimarca, in particolare di Valdemaro II (1202-41): Pomerania, Meclemburgo, Norvegia, le città di Amburgo e Lubecca erano state sottoposte a tributi e obbligate a giuramenti di sottomissione. Valdemaro si spinse in Estonia e in Lituania; la reazione tedesca si concretizzò nella battaglia di Bornhöved (1227), dove Valdemaro fu sconfitto lasciando così campo libero ai Tedeschi sul Baltico.
Federico, impelagato nel problema della crociata, fu scomunicato e dovette fare fronte anche alla politica troppo autonoma del figlio Enrico VII, eletto re di G. (1228), che si faceva interprete di interessi più strettamente tedeschi, appoggiandosi alla piccola aristocrazia di servizio dei ministeriales e alle ricche ed evolute città renane. L’opposizione dei principi costrinse Enrico a concedere, nella Dieta di Worms, la Constitutio in favorem principum (1231), ratificata da Federico II l’anno successivo, con la quale non solo venivano ripristinati gli antichi diritti dei signori feudali sulle città, ma il potere principesco faceva anche grandi passi avanti: i feudatari si riservavano il diritto esclusivo di battere moneta; l’imperatore s’impegnava a non costruire città e castelli nei loro territori senza il loro assenso. Recatosi in G. per porre termine alla fronda del figlio – che aveva stretto un patto con le città dell’Italia del Nord collegate nella seconda Lega lombarda –, Federico lo depose e lo imprigionò: Enrico morì nel 1242 ed erede al trono diventò il secondogenito Corrado. Federico promulgò infine una grande pace imperiale nella Dieta di Magonza del 1235, che avrebbe dovuto costituire la base per un nuovo assetto legislativo del Regno. Preso dai problemi italiani, Federico nei suoi ultimi anni si disinteressò della G., dove alla sua morte (1250) subentrò il figlio Corrado. Morto Corrado dopo soli quattro anni, la G. sprofondò nel cosiddetto Grande interregno (1254-73).
Questo periodo caotico per il potere imperiale può in realtà essere fatto iniziare dal 1246, quando, deposto Federico da papa Innocenzo IV a Lione, la corona fu data dai principi – manovrati dall’arcivescovo di Colonia – prima al langravio di Turingia, Enrico Raspe, poi al conte Guglielmo d’Olanda. Successivamente, altri candidati ancora più estranei alla G. ottennero il titolo di re dei Romani, cioè re di G. e imperatore designato: Alfonso di Castiglia e il conte Riccardo di Cornovaglia, eletti contemporaneamente.
Di fatto, il potere regio rimase vacante finché gli elettori nel 1273 dettero la corona a Rodolfo d’Asburgo. La G., priva di una legislazione unitaria, di finanze e di una struttura burocratica comuni a tutto il Regno, era un’accozzaglia di Stati territoriali, laici o ecclesiastici, nei quali i principi esercitavano tutti gli attributi della sovranità. A questi principati andavano aggiunte le città libere o imperiali, cioè sottomesse direttamente all’autorità del sovrano. Stroncata dalle sue ambizioni imperiali, la monarchia tedesca, dopo la fine negativa della lotta delle investiture, non aveva avuto più la forza di porre mano alla costruzione di uno Stato unitario nelle terre tedesche. La figura del re e la dieta (l’assemblea dei principi, dei nobili e delle città) erano gli unici elementi unitari.
Ma, al di sotto del caos politico, era notevole il dinamismo economico delle città del Nord e del Sud-Ovest, lungo le vie d’acqua del Baltico e del Reno, e così pure la forza in ascesa del nuovo Stato monastico-crociato a NE, la Prussia, e, a S, di Stati territoriali retti da solide dinastie, quali la Baviera sotto i Wittelsbach e l’Austria sotto gli Asburgo. Più a O, nella progredita regione renana, si affacciava alla ribalta politica la casata di Lussemburgo. Saranno queste le principali famiglie che si contenderanno il trono nel basso Medioevo.
Rodolfo d’Asburgo (1273-91) si dedicò soprattutto a rafforzare la sua famiglia, combattendo Ottocaro re di Boemia e ottenendo l’Austria e la Stiria, in aggiunta al Tirolo e ai possedimenti svizzeri che già controllava. Né Rodolfo, né i suoi successori Adolfo di Nassau (1291-98) e Alberto d’Asburgo (1298-1308), pensarono mai di cingere la corona imperiale: il re tedesco era ormai un semplice capo casata che svolgeva una sua politica dinastica.
Con l’apparizione sul trono nel 1308 di Enrico di Lussemburgo la politica regia riprese un respiro più ampio. La sua discesa in Italia, dove fu incoronato imperatore nel 1312, non ebbe però seguito, anche perché la morte lo colse nel 1313. L’unico risultato da lui conseguito riguardò il piano dinastico: la Boemia, tramite matrimonio, andò a suo figlio Giovanni. Si era comunque riaperta la via alle avventure imperiali in terra italiana. Ludovico il Bavaro (1314-47) si fece incoronare dal popolo romano contro la volontà di papa Giovanni XXII e gli elettori di fatto lo abbandonarono, eleggendo al suo posto Carlo IV di Boemia (1346-78), nipote di Enrico VII. Carlo – che prese, in accordo con il papa, la corona imperiale – proseguì nella politica dinastica impadronendosi di Slesia, Moravia e Brandeburgo. Si creò così un nucleo territoriale importante, il cui centro però non era la G., ma la Boemia.
Nel 1356, la Bolla d’Oro di Carlo IV confermò numero e poteri del collegio elettorale, composto da 3 ecclesiastici (gli arcivescovi di Colonia, Treviri e Magonza) e 4 laici (il re di Boemia, il conte del Palatinato, il duca di Sassonia e il marchese del Brandeburgo). Il figlio di Carlo, Venceslao, fu nominato re dei Romani mentre il padre era ancora vivo (1376): per la prima volta dopo Federico II un figlio succedeva al padre sul trono tedesco. Nel 1400 i 4 elettori renani deposero Venceslao e dettero la corona a Roberto di Wittelsbach. Alla sua morte (1410), gli elettori si rivolsero alla potente casata di Lussemburgo, eleggendo i due fratelli di Venceslao, che era ancora vivo: ci furono dunque insieme tre re della stessa famiglia, finché la scomparsa dei fratelli lasciò Sigismondo da solo sul trono. Accanto a quelle di G. e Boemia egli aveva, per via ereditaria la corona d’Ungheria: i suoi problemi erano quindi a Oriente, dove si affacciavano sempre più minacciosi i Turchi. Anche per questo motivo egli si adoperò per sanare lo scisma nella Chiesa e soffocare l’eresia hussita (Concilio di Costanza, 1414-18).
Alla morte di Sigismondo (1437), i Regni di Boemia e di Ungheria passarono a suo genero, Alberto d’Austria (1437-39), e poi a Federico III (1440-93). Forti dei loro possedimenti austriaci, del Tirolo e della Stiria, gli Asburgo avevano posto le basi per un nuovo blocco territoriale egemone in area tedesca. La dimensione sovranazionale del dominio asburgico venne in piena luce quando, per via matrimoniale, con Massimiliano I (1493-1519) entrarono in possesso dell’eredità dei duchi di Borgogna. Il blocco territoriale degli Asburgo, che da questo momento in avanti monopolizzeranno la corona nonostante la permanenza del sistema elettivo, era dunque solo parzialmente tedesco. La potenza imperiale per gli Asburgo fu un fatto familiare, dinastico, non nazionale tedesco: Impero e Regno germanico cominciavano ad assumere due fisionomie distinte. Agli esordi dell’età moderna la G. era ormai un semplice agglomerato di piccoli Stati territoriali e di città.
Massimiliano I compì il tentativo di ridare autorità e potere all’Impero insidiato dai signori territoriali, dal particolarismo delle città e dei principi elettori. Ma la Dieta di Worms del 1495 negò all’imperatore i poteri per assicurare la supremazia dell’Impero sulle tendenze centrifughe; nel 1500 la Dieta di Augusta ribadì il rifiuto a rafforzare un potere centrale di tipo monarchico, ponendo vincoli anche all’iniziativa dell’imperatore nei confronti degli altri Stati europei. Alla morte di Massimiliano (1519) la crisi dell’Impero rendeva evidente la debolezza del potere centrale e nello stesso tempo l’impossibilità, senza un processo di unificazione, di assecondare l’affermazione delle grandi energie intellettuali che avevano espresso la grande fioritura dell’umanesimo tedesco e favorire la trasformazione in atto nella vita economico-sociale verso il superamento degli ordinamenti feudali. La stessa tendenza presente nei signori territoriali a porre a freno l’egemonia della Chiesa cattolica in Germania, come Chiesa di Roma, li rendeva disponibili ad attribuirsi la responsabilità non solo di principi territoriali ma anche di guida spirituale e religiosa dei rispettivi sudditi, anticipando una delle conseguenze della Riforma.
La spinta che investì il terreno della religione e della Chiesa come istituzione a seguito dell’iniziativa di M. Lutero (affissione a Wittenberg delle 95 tesi nel 1517) non si manifestò meno forte nella struttura dell’Impero e nell’equilibrio tra gli Stati tedeschi. Potenza tipicamente continentale, troppo assorbita dai problemi dell’assestamento interno per potere partecipare, come Francia, Spagna e Paesi Bassi, all’espansione coloniale e alle scoperte oltreoceano, la G. visse il conflitto che attraversò la religione e la Chiesa anche come scontro tra principi schierati pro o contro Lutero, pro o contro l’imperatore Carlo V, impegnato nell’avversare la Riforma. La guerra dei Contadini, che nel 1525 attraversò larghe regioni della G. e che si concluse con l’esecuzione di T. Müntzer e con una feroce repressione, appoggiata da Lutero, segnò la confluenza di fattori religiosi e di fattori sociali in uno scontro che sconvolgeva le fondamenta della società esistente. Deciso a schiacciare l’eresia della Riforma, Carlo V non riuscì a dare espansione universale all’Impero né a ricondurre all’obbedienza i principi ribelli. La Pace di Augusta del 1555 sanzionò la separazione irrevocabile delle confessioni ma anche la frantumazione territoriale, esasperata dalla fusione di signoria territoriale e opzione religiosa (cuius regio eius religio). La guerra dei Trent’anni, che devastò l’Europa dal 1618 al 1648, pose fine alle guerre di religione, sancendo l’impossibilità di liquidare il protestantesimo, ma non frenò la frantumazione degli Stati tedeschi.
Dalla guerra dei Trent’anni la G. uscì frantumata in 340 Stati che non potevano competere né con le grandi potenze europee né, all’interno dell’Impero, con l’Austria, sempre più allineata col cattolicesimo della Controriforma e sul versante orientale. Il particolarismo dei piccoli Stati ostacolava ogni principio di unità politica: l’unico elemento comune rimaneva l’assolutismo del dominio principesco. La seconda metà del 17° sec. vide nondimeno l’ascesa del principato del Brandeburgo; il grande elettore Federico Guglielmo (1640-88) allargò la sua area verso altri territori germanici (Magdeburgo, Prussia Orientale) e interloquì con le potenze europee, sfruttando lo sbocco sul Mar Baltico per inserirsi nel gioco del commercio internazionale e degli equilibri navali. Riorganizzando l’esercito e centralizzando l’amministrazione e la gestione finanziaria, Federico Guglielmo anticipò le linee della modernizzazione che sarebbe stata realizzata mezzo secolo più tardi dai re di Prussia. Con l’Editto di Potsdam del 1685 accolse nel Brandeburgo gli ugonotti cacciati dalla Francia, dando un contributo decisivo alla diffusione dello spirito di tolleranza e all’utilizzazione per lo sviluppo economico e culturale di professionalità e imprenditorialità di grande qualità.
Quando nel 1701 Federico III di Hohenzollern fu riconosciuto re di Prussia dall’imperatore con il nome di Federico I, l’ascesa della Prussia ebbe la prima consacrazione formale. Federico Guglielmo I (1713-40) consolidò il Regno con il potenziamento dell’esercito e dell’amministrazione e curando lo sviluppo dell’economia nello spirito del mercantilismo dominante all’epoca, che con il suo forte protezionismo rappresentava un complemento della costruzione di un’attiva politica statale e di una forte burocrazia.
Fu soprattutto per impulso di Federico II il Grande (1740-86) che la Prussia si affermò come grande potenza europea, in competizione con l’Austria per l’egemonia sulla Germania. Federico II, campione dell’assolutismo illuminato, senza intaccare la divisione della società in ceti, con particolare rispetto per il ruolo dell’aristocrazia terriera, fornì la Prussia strumenti propri dello Stato moderno, dotandola di un’amministrazione per l’epoca esemplare, di una solida organizzazione militare e di una codificazione destinata a gettare le basi dello Stato di diritto, separando i beni della corona da quelli dello Stato. Fu anche l’artefice dell’incessante scontro con l’Austria di Maria Teresa, in un susseguirsi di campagne militari a fianco di alterne coalizioni con Francia e Russia. Riconobbe nel 1744 l’autorità imperiale di Francesco I d’Austria, ma in cambio conquistò la Slesia, partecipando alla spartizione della Polonia.
L’ascesa della Prussia non rispondeva a un ideale di unificazione nazionale, ma solo al desiderio di egemonia sullo spazio germanico, in antagonismo all’Austria. L’eco della Rivoluzione francese in G. incoraggiò moti giacobini e separatismi locali filofrancesi, ma non favorì le correnti liberali, escluse da un circuito di grande respiro dalla frammentazione degli Stati tedeschi. Paradossalmente una spinta all’unificazione provenne dalla risposta con la quale le armate napoleoniche ricacciarono attraverso il suolo tedesco le spedizioni controrivoluzionarie di Prussia e Austria. Provocando lo scioglimento del Sacro Romano Impero e dando vita alla Confederazione renana, la Francia espelleva l’Austria dalla G. e promuoveva di fatto un embrione di unificazione. Invasa dai Francesi (1806), costretta all’alleanza contro la Russia, dopo il rovesciamento delle alleanze (1813), la Prussia affrontò il duplice processo di rinnovamento interno e di ripristino della sua egemonia sugli altri territori tedeschi. Per opera di due riformatori, il barone H.F.K. von Stein e il cancelliere K.A. von Hardenberg, avviò una moderata ma decisa modernizzazione destinata a rafforzare l’amministrazione dello Stato e a consentire la formazione di una struttura sociale affrancata dai residui feudali. L’abolizione dell’ordinamento corporativo e della servitù della gleba e una limitata autonomia comunale, con suffragio censitario, aprirono la strada a una maggiore mobilità sociale e ruppero il monopolio dell’aristocrazia sulla proprietà della terra. Parallelamente la riforma militare allargò parzialmente la base sociale dell’esercito restringendo il monopolio aristocratico. Il consolidamento dello Stato costituì la premessa della guerra antinapoleonica che culminò (ottobre 1813) nella disfatta di Napoleone a Lipsia. Dissolta la Confederazione renana patrocinata dalla Francia, a conclusione del Congresso di Vienna, il 10 giugno 1815, fu creata la Confederazione germanica, con l’adesione di 41 Stati, Prussia e Austria comprese.
L’unione doganale (Zollverein) del 1834 fu il primo cospicuo frutto delle aspirazioni all’unità di forze economiche e culturali, che confluirono nei moti del 1848; Federico Guglielmo IV fu costretto a concedere la Costituzione in Prussia, ma rifiutò, in odio a ogni forma di legittimazione democratica e per timore di scontrarsi con l’Austria, la corona imperiale offertagli dall’Assemblea nazionale. L’aspirazione della Prussia a porsi come artefice dell’unità tedesca subì una battuta d’arresto nel compromesso di Olmütz (➔ Olomouc) con l’Austria (1850).
Il conflitto con l’Austria per la supremazia sulla G. entrò in una fase nuova quando la gestione degli affari interni ed esteri della Prussia fu affidata (1862) a O. von Bismarck, che operò con abilità, nel quadro delle forze in campo internazionale, per arginare e poi ridurre la presenza dell’Austria (fig. 3). Alla fine di giugno del 1866, la Prussia attaccò e sconfisse l’Austria; la vittoria le consentì di estendere i suoi territori, sciogliere la Confederazione germanica e porsi alla testa di una Confederazione della G. del Nord, con esclusione degli Stati meridionali e dell’Austria, prima tappa dell’unificazione; la seconda fu raggiunta a seguito della guerra franco-prussiana del 1870-71.
Il 18 gennaio 1871, forte del consenso anche degli Stati meridionali, Guglielmo I di Prussia fu proclamato imperatore di Germania: era nato il Secondo Reich, per iniziativa dall’alto della Prussia, che oltre ad acquistare un’egemonia territoriale e demografica assoluta rispetto agli altri Stati tedeschi disponeva nel Bundesrat (la rappresentanza degli Stati) di 17 seggi su 58. Il comando delle forze armate spettava al Kaiser, al tempo stesso re di Prussia; il cancelliere del Reich si identificava, per unione personale, con quello prussiano. Il sistema politico dell’Impero, composto di 25 Stati e l’Alsazia-Lorena come territorio del Reich, prevedeva l’esistenza di un Parlamento (Reichstag) eletto a suffragio universale (ma con esclusione delle donne), con poteri limitati: il governo rispondeva al Kaiser.
La gestione bismarckiana (1871-90) mirò a consolidare il predominio di proprietari fondiari (Junker) e casta militare, con attenzione agli interessi della grande borghesia in ascesa, e a garantire al Reich l’appoggio di Russia e Austria-Ungheria parallelamente all’isolamento della Francia. Bismarck combatté le forze che si opponevano al centralismo prussiano (il Zentrumpartei cattolico) o che, come la socialdemocrazia, si ponevano in antagonismo all’ordine sociopolitico. Sul primo versante il Kulturkampf (➔) lo mise in urto con il clero cattolico e direttamente con la Chiesa di Roma. Le organizzazioni politiche e sindacali del movimento operaio furono messe al bando nel 1878, ma la legislazione repressiva non valse a frenarne la crescita legata allo sviluppo industriale del Reich. Maggiore successo ebbe, nel contenere l’ascesa socialdemocratica, lo sviluppo precoce di una legislazione sociale precorritrice del moderno Stato sociale. Bismarck fu anche protagonista del tardivo ingresso dell’Impero germanico nella gara coloniale.
Nel 1890 gli subentrò G.L. Caprivi che, più attento agli interessi della borghesia rivolti all’alleggerimento della protezione doganale, fu avversato dagli ultraconservatori e nel 1894 destituito dall’incarico. A partire da quest’epoca la politica del Reich fu determinata dal blocco conservatore e militarista, ma soprattutto dal regime personale di Guglielmo II, protagonista di iniziative spettacolari nella politica estera. Ciò rafforzò l’immagine di una G. protesa verso la Weltpolitik (politica mondiale), cui davano sostanza l’intensificazione degli sforzi coloniali e soprattutto la gara agli armamenti navali, una politica destinata a portare la G. in rotta di collisione con la Gran Bretagna.
Lo stesso Kaiser guidò la G. nella Prima guerra mondiale, alimentando mire annessioniste e volontà di dominazione e assoggettando la società tedesca a un processo di militarizzazione senza precedenti. Le difficoltà del fronte interno sfociarono sul finire del 1918 in una crescente volontà di pace e nell’aspirazione alla democraticizzazione del paese.
L’abdicazione del Kaiser (novembre 1918), piegato dalla sconfitta militare, diede via libera alla proclamazione della repubblica. La sollevazione di cui furono protagoniste le minoranze della sinistra socialista e comunista non fu in grado di conferire alla repubblica il volto di una radicale trasformazione e, infatti, sarebbe stata poi duramente repressa dal governo socialdemocratico. Nel 1919 si tennero le elezioni per l’Assemblea nazionale costituente, che si riunì a Weimar. Ridimensionata territorialmente, economicamente e militarmente dal Trattato di Versailles, la G. ebbe con la Costituzione del 1919 un ordinamento politico sulla carta tra i più avanzati dell’epoca. Per la prima volta nella storia della G. unita erano affermati il principio della sovranità popolare e il primato del sistema parlamentare, temperato dai poteri conferiti al presidente della Repubblica. La Costituzione legittimò l’esistenza e la funzione delle organizzazioni sindacali.
Il Reich acquistò la struttura di uno Stato federale, con 17 Länder dotati di eguali poteri e autonomia. La base politica della repubblica fu costituita dai partiti democratici della cosiddetta coalizione di Weimar, la socialdemocrazia, il centro cattolico, il partito democratico (espressione dei liberali di sinistra); lo sforzo di allargare il consenso a destra, verso l’ala conservatrice del liberalismo tedesco, fornì con G. Stresemann il cancelliere (1923) e il ministro degli Esteri (1923-29) di maggiore statura della Repubblica.
Sotto il profilo internazionale la Repubblica fu sfibrata dalla lotta per la revisione del Trattato di Versailles, dall’imposizione delle riparazioni ai vincitori, dal superamento dei controlli militari imposti con il trattato di pace. La politica di adempimento di Stresemann indicò la via per un onorevole reinserimento della G. tra le potenze, ma fu violentemente osteggiata dalla destra nazionalista e dall’agitazione nazionalsocialista, che alimentò la leggenda della «pugnalata alla schiena» per identificare nella democrazia la protagonista della sconfitta militare del 1918.
Le aspettative di una grande trasformazione politica e sociale furono deluse: nel 1925 l’elezione alla presidenza del maresciallo P.L. von Hindenburg, alla morte del socialdemocratico F. Ebert, segnò l’inversione di tendenza. A partire dalla fine degli anni 1920 la crisi mondiale ebbe in G. uno dei suoi epicentri. Colpito dalla depressione, il sistema politico fu messo in crisi dalla gestione extraparlamentare del cancelliere H. Brüning quanto dalla demagogia nazionale e sociale del Partito nazionalsocialista (NSDAP, Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei) di A. Hitler, che dal 1930 al 1932 lavorò sistematicamente per la distruzione della repubblica democratica, promettendo l’uscita dalla crisi attraverso la restaurazione di uno Stato forte, nel nome di una unità nazionale fondata su razzismo e antisemitismo.
Il 30 gennaio 1933 Hitler ebbe da Hindenburg il mandato di cancelliere del Reich. Il Partito nazionalsocialista, che nelle elezioni (novembre 1932) aveva ottenuto un terzo dei seggi al Reichstag, formò un governo minoritario con i nazionalisti. Sin dai suoi esordi il nuovo governo si caratterizzò per lo scardinamento del sistema democratico e la persecuzione degli avversari politici e di interi gruppi sociali come Ebrei e Zingari. L’incendio del Reichstag (1933) offrì il pretesto per la sospensione dei diritti civili. Il 23 marzo 1933 Hitler ebbe i pieni poteri da un Parlamento privato di una parte dei suoi membri, dichiarati decaduti o impossibilitati a prendervi parte dalla prepotenza nazista.
La fine delle autonomie dei Länder e la loro sottomissione al Reich fu l’inizio del duplice processo di distruzione di ogni potere autonomo e di accentramento in un sistema retto dal principio del capo (Führerprinzip): alla fusione tra Stato e partito unico nazionalsocialista si accompagnò l’epurazione dell’apparato statale di ogni elemento non affidabile per ragioni razziali o politiche. La costruzione del vertice del regime fu completata alla morte di Hindenburg (1934), quando Hitler assunse, con la più alta carica dello Stato, il comando supremo delle forze armate.
Sciolto il sindacalismo libero, la legge sull’ordinamento del «lavoro nazionale» (1934) stabilì l’ordinamento gerarchico delle imprese e la subordinazione dei lavoratori alle autorità aziendali da una parte, alle organizzazioni di massa del regime dall’altra; le organizzazioni giovanili e femminili del partito nazista avevano già concorso a prefigurare una colossale macchina di organizzazione del consenso. L’obiettivo del regime di assoggettare il popolo tedesco a un processo di uniformazione e di livellamento collettivo delle coscienze fu conseguito grazie allo sviluppo della propaganda e al controllo centralizzato della stampa e dell’organizzazione della cultura (sotto la direzione di J. Goebbels) e alla creazione di mezzi coercitivi e intimidatori su scala di massa, come i campi di concentramento, per chi, ad arbitrio del regime, era escluso dalla «comunità popolare» (Volksgemeinschaft).
Nella versione nazista l’antisemitismo tradizionale fu assolutizzato a legge biologica fondamentale della sopravvivenza e dello sviluppo del popolo tedesco. Una legislazione discriminatoria fu imposta con le leggi di Norimberga del 1935, che miravano a costringere gli Ebrei, una volta segregati dalla vita civile, ad abbandonare il Reich. Il pogrom del 9 novembre 1938 segnò il preludio di una pressione crescente verso la loro espulsione: il clima di esasperazione collettiva fu artificiosamente alimentato nel quadro della preparazione psicologica della guerra, tanto più dopo che la conquista dell’Austria (Anschluss) a marzo aveva accresciuto sensibilmente il numero degli Ebrei soggetti alla sovranità tedesca. Il razzismo era una componente organica del progetto di dominazione continentale hitleriano e fu gradualmente sviluppato dalla politica estera del Terzo Reich.
Decisivo fu per Hitler il sostegno delle forze armate, che già ne avevano appoggiato l’ascesa al potere. Il riarmo promosso dal regime, con lo smantellamento dei residui vincoli di Versailles, consolidò i legami tra il nazionalsocialismo e la Wehrmacht e garantì non solo, con l’assorbimento della disoccupazione, la pace sociale necessaria per affrontare la congiuntura bellica, ma anche la strumentazione tecnico-militare per perseguire gli obiettivi dell’espansionismo tedesco.
Dopo l’annessione del Saarland (1935), il regime realizzò, una dopo l’altra, le sue rivendicazioni territoriali: nel 1938, all’Anschluss austriaco e all’annessione dei Sudeti seguirono la distruzione dei resti della Cecoslovacchia e la marcia di avvicinamento alla Polonia, prima tappa dell’espansione a E come direttrice per la conquista dello spazio vitale (Lebensraum): una direttrice racchiusa nel protocollo segreto del patto tedesco-sovietico del 23 agosto 1939 (Patto Molotov-Ribbentrop), cui fecero seguito l’aggressione alla Polonia e lo scatenamento della Seconda guerra mondiale, accanto a Italia e Giappone.
La guerra esaltò ed esasperò i tratti oppressivi del sistema nazista: nel giugno 1941 con l’aggressione all’Unione Sovietica essa compì un ulteriore salto di qualità, proponendosi come guerra di annientamento. La G. nazista, conquistata l’Europa occidentale e settentrionale senza tuttavia infrangere la resistenza britannica, coltivò il sogno di un «nuovo ordine europeo», fondato su una gerarchia di popoli e di razze gravitanti attorno al Terzo Reich, arrivando a pianificare lo sfruttamento di milioni di lavoratori forzati e ad attuare lo sterminio di milioni di Ebrei. Sconfitta dalla coalizione delle potenze alleate, la G. subì infine l’invasione del proprio territorio. La capitolazione senza condizioni dell’8 maggio 1945 segnò l’epilogo del Terzo Reich.
La G. sconfitta fu sottoposta all’occupazione congiunta di Stati Uniti, Gran Bretagna, Unione Sovietica e Francia (fig. 4). Divisa in quattro zone d’occupazione, secondo gli accordi di Potsdam (1945) avrebbe dovuto essere trattata come un’unica entità economica. Privata di un governo centrale, fu soggetta a misure di denazificazione, smilitarizzazione e controllo sulla produzione industriale; inoltre le fu imposto l’obbligo di fornire riparazione soprattutto ai paesi più duramente colpiti (Francia e Unione Sovietica).
Sul piano territoriale, furono posti sotto amministrazione sovietica la Prussia Orientale, sotto amministrazione polacca i territori a oriente dei fiumi Oder e Neisse; furono così precostituite le nuove frontiere della G., quali sarebbero state fissate nel 1990, ed essa dovette ricevere la massa delle popolazioni tedesche cacciate dall’Europa orientale, come ritorsione per gli spostamenti etnici e demografici imposti in quell’area dal regime nazionalsocialista. A Norimberga fu celebrato (1945-46) il processo contro i principali esponenti nazisti responsabili di crimini di guerra e contro l’umanità.
L’incipiente conflitto fra Est e Ovest e la guerra fredda posero una pesante ipoteca sulla ricostruzione unitaria della Germania. Mentre nelle zone occidentali prevalse presto il criterio di passare a una politica di rapida ricostruzione e restituzione ai Tedeschi dell’amministrazione, nella parte orientale della G., l’Unione Sovietica si preoccupò essenzialmente di garantirsi le riparazioni per i danni di guerra subiti e di intervenire sul piano strutturale con la riforma agraria, destinata a spezzare il latifondo (e con esso la casta dei Junker), come permanente garanzia di sicurezza contro la rinascita del militarismo prussiano. I segni della divisione parvero irreversibili dal settembre 1946, quando ebbero inizio i preparativi per l’aggregazione delle zone occidentali in un’unica amministrazione, con l’obiettivo di procedere a una ricostruzione della G. svincolata da ogni pregiudiziale punitiva; il disaccordo sugli aspetti specifici della questione tedesca risultò esasperato dalla più generale divergenza di interessi tra le potenze in una contrapposizione di schieramenti sempre più globale. Quando (giugno 1948) le potenze occidentali attuarono nella parte ovest della G. la riforma monetaria, decisiva per rilanciare la ricostruzione economica e politica, l’Unione Sovietica rispose con il blocco di Berlino, che innescò una delle fasi di più acuta tensione della guerra fredda. In questo contesto, le potenze occidentali promossero la creazione di un Consiglio parlamentare destinato a elaborare il disegno di un ordinamento costituzionale per l’area unificata occidentale, a condizione che fosse rispettato il principio di un largo decentramento su base federale: si profilava quindi la rottura dell’unità statale e nazionale della Germania.
Lo sviluppo di un ordinamento statuale autonomo nella zona di occupazione occidentale sfociò nel maggio 1949 nella proclamazione della Repubblica Federale di Germania (RFG), con Bonn come capitale provvisoria. La rivendicazione della riunificazione avrebbe costituito, insieme alla pretesa di essere l’unica parte della G. legittimata a parlare a nome dell’intero popolo tedesco, un motivo costante dell’identità politica dello Stato tedesco-occidentale. Eletto il primo Bundestag, il primo presidente della Repubblica Federale fu l’esponente liberaldemocratico T. Heuss e K. Adenauer, leader dell’Unione democratico-cristiana (CDU), divenne cancelliere. Parallelamente, nello stesso anno, entrò in vigore lo Statuto d’occupazione con il quale le potenze occidentali fissavano le competenze residue e la misura dei controlli che avrebbero continuato a esercitare sulla G. (nel 1951 furono aboliti i limiti posti alla legislazione autonoma della RFG e soprattutto le fu riconosciuta la facoltà di gestire una propria politica estera, fino allora riservata alle autorità alleate).
A questo processo di creazione della RFG e di suo inserimento nell’orbita occidentale, l’Unione Sovietica aveva reagito favorendo la costituzione anche all’Est di uno Stato separato. Sotto la guida del partito egemone nel settore orientale, il Partito di unità socialista (SED), sorto nel 1946, con la presenza non solo nominale di altri partiti, fu convocato un Congresso del popolo che elaborò una Costituzione: con la proclamazione di quest’ultima, il 7 ottobre 1949, nacque la Repubblica Democratica Tedesca (RDT). Ebbe così inizio la vicenda dei due diversi Stati tedeschi, avamposti di due contrapposti schieramenti politici e ideologici.
Sotto la guida di Adenauer, la RFG ebbe come obiettivi prioritari il consolidamento della sua collocazione nello schieramento occidentale e la politica di isolamento della RDT, senza mai rinunciare formalmente all’istanza della riunificazione della Germania. Adenauer perseguì la più stretta associazione della RFG con il campo occidentale e in particolare con gli Stati Uniti, anche come garanti militari della sicurezza nei confronti del blocco sovietico. Con il trattato generale del 26 maggio 1952 le potenze alleate accordarono alla Repubblica Federale il massimo di sovranità compatibile con i suoi residui impegni a salvaguardia soprattutto della sicurezza; un’ulteriore barriera fu frapposta tra le due parti della G., nel 1961, con l’erezione del muro di Berlino da parte della RDT. Inserita saldamente nella ricostruzione economica dell’Occidente, la RFG si avviava anche a partecipare agli oneri militari, fra contrastanti reazioni internazionali e nella stessa opinione pubblica tedesca, cospicui settori della quale erano contrari a un nuovo coinvolgimento militare.
L’adesione della RFG all’Unione europea occidentale e alla NATO segnò, nel 1955, l’acquisto di fatto della piena sovranità da parte di Bonn. Nel maggio 1957 la firma del Trattato di Roma, istitutivo della CEE, sancì la partecipazione della RFG, su piede di parità con gli altri Stati, al processo d’integrazione, nel cui ambito essa assunse un ruolo di protagonista grazie al suo peso economico. Al tempo stesso la RFG si servì delle istituzioni europee per ottenere consensi e copertura al proprio punto di vista sulla questione tedesca e dei rapporti tra le due Germanie. Caratteristica della gestione di Adenauer, coincidente anche con gli anni più acuti della guerra fredda, fu l’intransigente rifiuto di qualsiasi riconoscimento della RDT, sviluppato soprattutto con la ‘dottrina Hallstein’ (➔ Hallstein, Walter). Adenauer lasciò il cancellierato nel 1963; la fine della sua gestione del potere segnò una svolta nella politica interna, in coincidenza con il nuovo clima internazionale di superamento della guerra fredda.
Dal punto di vista degli schieramenti politici Adenauer fece della CDU e della sua alleata bavarese, l’Unione cristiano-sociale (CSU) di F.J. Strauss, il perno della coalizione di governo, con l’appoggio di partiti minori e in particolare dei liberaldemocratici. L’isolamento del Partito socialdemocratico (SPD) perseguito da Adenauer rafforzò il monopolio del potere da parte della CDU, accesamente anticomunista (il Partito comunista tedesco, di scarso rilievo, fu l’unico in Europa occidentale messo fuori legge) e ispirata in campo economico-sociale da una visione solidaristico-organicistica.
L’eredità di Adenauer fu raccolta, nel triennio 1963-66, da L. Erhard, artefice del boom degli anni 1950; il suo cancellierato e quello del successore K.G. Kiesinger (1966-69) segnarono il passaggio a una fase più dinamica, sia in politica interna, sia in quella estera. Già Kiesinger, alla guida di una ‘grande coalizione’ che segnò l’ingresso nel governo della socialdemocrazia, aveva dato un segnale delle istanze nuove che premevano sulla RFG; la contestazione studentesca degli anni 1967-69 rappresentò uno spartiacque, poiché non fu solo espressione di uno scontro generazionale, ma incarnò una richiesta di democratizzazione della società e di autonomia internazionale, raccolta dall’elettorato nelle elezioni federali del 1969, che consentirono la formazione di un governo con esclusione della CDU.
Nacque così la coalizione social-liberale (1969-82), che ebbe come primo cancelliere W. Brandt, presidente della SPD, uomo del dialogo con l’Est europeo e con la RDT. La gestione Brandt fu caratterizzata dallo sviluppo della Ostpolitik, nel suo duplice significato di superamento dei guasti del passato nazista e di prospettiva duratura di riconciliazione e promozione dei rapporti con l’Europa orientale. La reimpostazione delle relazioni con l’URSS rese possibile anche l’avvicinamento tra i due Stati tedeschi, con l’abbandono della pretesa di rappresentanza unica: il trattato fondamentale tra RFG e RDT del 1972, che pose fine alla guerra fredda tra le due G., svelenì gli aspetti più accesamente conflittuali del problema tedesco.
Nel 1974, a Brandt successe H. Schmidt, che promosse una politica di contenimento del deficit di bilancio e consolidò il prestigio internazionale della RFG. Gli incipienti limiti imposti allo Stato sociale furono alla base del venir meno di molti consensi alla SPD, mentre il peggioramento della situazione politica trovò riscontro in una recrudescenza del fenomeno terroristico, manifestatosi fin dai primi anni Settanta (➔ Baader-Meinhof). La svolta conservatrice auspicata dalla CDU fu resa possibile nel 1982 dal rovesciamento di fronte del Partito liberale democratico (FDP): negli anni successivi la coalizione tra CDU e FDP, guidata da H. Kohl, perseguì una linea di netto ridimensionamento dello Stato sociale.
Nel quarantennio della sua esistenza (1949-90), la RDT seguì un percorso politico completamente diverso dalla RFG. Nata con l’ambizione di fornire un’alternativa socialista alla rinascita del capitalismo nella parte occidentale della G., dovette affrontare le difficoltà di un’area geografica fornita essenzialmente di risorse agricole. La costruzione forzata di un’industria di base, a partire dal polo industriale della Sassonia e dall’uso di una riserva di energia ‘sporca’ come la lignite, fu all’origine del relativo successo economico che negli anni 1960 e 1970 portò la RDT ai massimi livelli produttivi nell’ambito del blocco sovietico. La rivolta operaia del 1953, che da Berlino Est dilagò in altre località della RDT e fu poi repressa sanguinosamente dalle forze sovietiche, fu forse l’esempio più vistoso del costo di uno sviluppo forzato modellato sull’esempio dell’URSS e ulteriormente squilibrato dall’esigenza di fornire a quest’ultima le riparazioni imposte dalla Conferenza di Potsdam.
Durante la gestione di W. Ulbricht, segretario generale del Partito socialista unificato di Germania (SED) dal 1950 al 1971 e capo dello Stato dal 1960 al 1973, si manifestarono i tratti che avrebbero caratterizzato la storia della RDT: sistema politico di fatto a partito unico, radicale processo di trasformazione dell’economia e forte protezionismo sociale. La trasformazione dell’economia si basò da un lato sulla crescita dell’industria siderurgica, meccanica e chimica, dall’altro sulla statalizzazione più estesa possibile in tutti i settori produttivi. La scarsità di materie prime accentuò rapidamente la dipendenza dalle forniture dell’URSS. L’integrazione nel COMECON con gli altri paesi del blocco socialista, a partire dal 1955, assicurò l’inserimento in un mercato internazionale retto dai principi dell’economia collettivista e l’uso della tecnologia più avanzata dell’URSS; solo con l’avvio della gestione di E. Honecker, segretario generale della SED dal 1971 e capo dello Stato dal 1976, si perseguì uno sviluppo più orientato verso la produzione di beni di consumo e il soddisfacimento di bisogni primari della popolazione. Il sistema mantenne una sua misura di efficienza fin quando fu sostenuto dai rifornimenti e dagli scambi con gli altri paesi del COMECON.
L’erogazione di servizi sociali procurò un certo consenso da parte della popolazione, malgrado il sistema politico non consentisse partecipazione popolare né libertà di espressione culturale, ma il regime di controllo poliziesco non consentì di porre salde radici politiche al regime, che fu fortemente screditato dalle ripetute fughe verso l’Ovest. Tuttavia, fin quando non fu travolta dalla resistenza dei capi della SED a prendere coscienza della grande trasformazione avviata in tutti i paesi dell’Est dalle riforme di M.S. Gorbačëv in URSS, la RDT riuscì a conservare un suo pur precario equilibrio. Dopo il trattato fondamentale sulle relazioni con la RFG (1972), la RDT ottenne il massimo consolidamento della sua situazione internazionale: la visita nella RFG di E. Honecker (1987), ricevuto a Bonn con gli onori dovuti a un capo di Stato straniero, sembrò quasi convalidare la tesi della RDT dell’esistenza di due Stati tedeschi.
Alla vigilia delle celebrazioni per il 40° anniversario della fondazione della RDT si manifestò la crisi che portò al dissolvimento dello Stato: la crescita inarrestabile delle fughe verso l’Ovest, acuitasi nell’estate 1989, mise in evidenza le gravi difficoltà del paese, privo ormai di sostegni dall’Est, economici e politici. Quando nel novembre 1989 la pressione popolare costrinse all’estromissione di Honecker, allora ebbe inizio una rapida e pacifica dissoluzione del regime.
Contrariamente alle aspettative del nuovo presidente del Consiglio H. Modrow, che sperava di negoziare un’unificazione concordata con la Repubblica Federale per salvaguardare la specificità della RDT, Bonn, per bocca del cancelliere H. Kohl, non lasciò sussistere alcun dubbio che qualsiasi aiuto alla G. orientale era subordinato alla prospettiva di un suo rapido assorbimento nelle strutture statali della RFG.
L’apertura del ‘muro’ di Berlino e l’avvio della libera circolazione tra le due G. (9 novembre 1989) aveva rapidamente trasformato la pacifica rivoluzione del novembre nella richiesta pura e semplice di adozione del modello occidentale. Le elezioni del marzo 1990 per la nuova Volkskammer (il Parlamento della RDT) videro la vittoria dei partiti conservatori, che più decisamente puntavano all’annessione della G. orientale da parte della RFG. La RDT, con l’intesa per l’unificazione monetaria ed economica (1° luglio 1990), sacrificò di fatto la sua sovranità a quella della Repubblica Federale, che impose il passaggio immediato dall’economia statalizzata all’economia di mercato, aprendo una crisi senza precedenti nel tessuto sociale delle regioni orientali. Il 1° luglio 1990 fu la tappa decisiva nel processo di assorbimento della RDT, formalizzato con l’unione politica del 3 ottobre successivo. Presupposto fondamentale di quest’ultima era stata la definizione con le potenze, e in particolare con l’Unione Sovietica, del nuovo statuto internazionale della G., in sostituzione di fatto di un trattato di pace che dopo la Seconda guerra mondiale non era mai stato concluso. In questo contesto, fu anche confermata la linea Oder-Neisse come confine orientale della G. unificata, formalmente riconosciuta come frontiera tra G. e Polonia nel trattato sottoscritto nel novembre 1990. Gli accordi dell’autunno 1990, pertanto, oltre a ripristinare l’unità della G., chiusero veramente le pendenze della Seconda guerra mondiale.
L’atto politico più rilevante che accompagnò il compimento formale dell’unificazione fu costituito dalle elezioni pantedesche del dicembre 1990. Il calo della partecipazione elettorale indicò l’esistenza di riserve nella popolazione di entrambe le parti del paese: all’Ovest il timore di compromettere con i costi dell’unificazione il benessere raggiunto, all’Est la sfiducia in una rapida ripresa dell’economia e la paura di rimanere a lungo cittadini di seconda classe. La CDU-CSU conservò la maggioranza relativa; subì una nuova sconfitta la SPD, che confermò in particolare lo scarso consenso di cui godeva nella parte orientale. Gli sviluppi della G. unita furono segnati dalla difficoltà di unificare veramente le due parti della G., con l’assorbimento della ex RDT nell’ordinamento giuridico, politico e sociale della Repubblica Federale, aggravata dallo squilibrio economico, dalla persistenza di diverse culture politiche, dalla delusione di molte aspettative. L’epurazione della pubblica amministrazione e la mancanza di una classe dirigente dell’Est contribuirono ad accentuare i problemi dell’unificazione.
Nei primi anni 1990 il governo di coalizione tra CDU, CSU e FDP, guidato da Kohl, privilegiò i problemi di ordine interno, limitando in parte l’azione della G. sulla scena internazionale. Solo dopo un acceso dibattito politico, il Bundestag autorizzò la partecipazione al blocco navale contro Serbia e Montenegro (1992), l’invio di aerei in Bosnia e l’adesione alla missione dell’ONU in Somalia (1993). Sul piano europeo, l’impegno comunitario, sancito nel 1992 con la firma del Trattato di Maastricht, si concretizzò nella costruzione dell’Unione monetaria europea: nonostante il timore per la scomparsa del marco, moneta simbolo di un cinquantennio di prosperità e libertà, accomunasse in un atteggiamento critico verso Kohl ceti e gruppi politici tra loro diversi, la G. aderì all’euro nel 1998.
In politica interna furono prese misure volte a contenere le tensioni sociali acuite dall’unificazione: bando di organizzazioni neonaziste, limiti alla concessione del diritto d’asilo e inasprimento delle pene contro gli atti di razzismo. Nonostante le difficoltà, la CDU e il suo leader Kohl mantennero una solida base di consenso: nel 1994 alla presidenza della Repubblica, a R. von Weizsäcker (CDU), in carica dal 1984, successe R. Herzog, anch’egli della CDU, mentre le elezioni riaffermarono il primato della coalizione CDU/CSU e FDP. Gli ultimi contingenti militari inglesi, francesi e statunitensi lasciarono Berlino, destinata a diventare capitale nel 1999. Ma la disoccupazione era esplosa, soprattutto nell’Est, con tassi di crescita drammatici; né la politica di rigore per affrontare il deficit prodotto dal trasferimento di risorse dall’Ovest dava i risultati sperati. Il lungo governo di Kohl si andò progressivamente indebolendo, nonostante i successi conseguiti sul piano internazionale e la capacità di assorbire gli effetti sociopolitici più pericolosi dell’unificazione.
Dopo 16 anni di dominio democristiano, alle politiche del 1998 la SPD vinse le elezioni portando come candidato alla cancelleria G. Schröder, che formò un governo di coalizione in cui entrò per la prima volta il partito dei Verdi guidato da J. Fischer. La presenza della SPD sulla scena politica del paese fu rafforzata nel 1999 dall’elezione del socialdemocratico J. Rau alla presidenza della Repubblica.
Sul finire del 1999 la CDU, per parte sua, era stata investita da uno scandalo legato al finanziamento dei partiti che aveva coinvolto in prima persona Kohl. Compromesso a sua volta, anche il presidente del partito W. Schäuble si era dimesso dalla carica e al suo posto era stata eletta Angela Merkel (2000). Le elezioni del 2002 videro la conferma della maggioranza al governo, ma si ebbe anche la ripresa dell’alleanza CDU-CSU. L’elezione alla carica di presidente federale di H. Köhler (2004), cristiano-democratico, fu un altro segno di ritrovata forza dei due partiti. L’azione intrapresa da Schröder per il rilancio dell’economia (riduzione della spesa per il welfare e crescente flessibilità nel mercato del lavoro) determinò una crisi in seno alla SPD, conclusa (2005) con la nascita di una nuova formazione alla sua sinistra, il Partito del lavoro e della giustizia sociale (WASG). Schröder ottenne viceversa importanti consensi interni con la decisione di opporsi all’intervento statunitense in Iraq.
All’indomani dell’esito di sostanziale parità tra il polo di sinistra e quello di destra alle elezioni anticipate del 2005, la carica di cancelliere fu affidata ad A. Merkel, prima donna alla guida del governo federale nella storia del paese. La situazione di equilibrio impose la formula governativa della ‘grande coalizione’ fra cristiano-democratici e socialdemocratici, con un accordo di governo basato sul compromesso tra la necessità di proseguire negli sforzi di ammodernamento e il rilancio dell’economia da una parte, e la massima preservazione possibile dello Stato sociale dall’altra. Nel 2009, dopo che la crisi economica aveva imposto impopolari misure fiscali e massicci tagli alla spesa pubblica, le elezioni hanno determinato il varo di una nuova coalizione di governo, in cui al posto dei socialdemocratici, nettamente sconfitti, sono subentrati i liberali. Nel giugno 2010, dopo le dimissioni di Köhler - che l'anno precedente era stato riconfermato nell'incarico -, dovute a una serie di controverse dichiarazioni sulla missione militare tedesca in Afghanistan, è stato eletto alla presidenza della Repubblica Federale di Germania C. Wulff, il quale ha rimesso il mandato nel febbraio 2012 a seguito del coinvolgimento in uno scandalo sul credito privato. Nel marzo 2012 l'assemblea federale ha nominato nuovo presidente J. Gauck, che ha ottenuto un'amplissima maggioranza (911 voti su 1240) alla prima votazione.
Il successo della politica di Merkel, basato sul fronte interno su una linea improntata al rigore nei conti pubblici e alla riduzione significativa del numero dei disoccupati – risultati resi possibili anche da strategie finanziarie che hanno consentito al Paese un passaggio indolore attraverso l’emergenza dei mercati europei - e su quello estero sull’identificazione di cardinali obiettivi comuni quali la crescita, la reindustrializzazione dell’Unione Europea e un piano di investimenti comuni, ha prodotto alle elezioni federali tenutesi nel settembre 2013 per il rinnovo del Bundestag una netta vittoria della coalizione CDU-CSU, che ha ottenuto il 41,5% delle preferenze (con la CDU al miglior risultato assoluto dalla Riunificazione, avendo registrato un incremento del 9% circa rispetto alle consultazioni del 2009) conquistando 311 seggi e sfiorando la soglia dei 316 che le avrebbe consentito di raggiungere la maggioranza assoluta, mentre i liberali non sono riusciti a superare la soglia del 5% necessaria per avere rappresentanza in Parlamento. Primo cancelliere nella storia della G. e seconda donna politica europea dopo M. Thatcher, Merkel è stata riconfermata per un terzo mandato; nel dicembre successivo, attraverso un referendum, la base del SPD ha approvato a larga maggioranza (76% dei consensi) il nuovo accordo per una Grande coalizione, composta anche da CDU e CSU. Un ridimensionamento dei consensi in favore della CDU è stato evidenziato dalle elezioni regionali svoltesi nel marzo 2016 in Renania-Palatinato, Baden-Württemberg e Sassonia-Anhalt, in un quadro politico europeo provato da durissime tensioni interne all’Unione in merito alle soluzioni da adottare nei confronti dei migranti provenienti dai Paesi mediorientali: penalizzata da politiche immigratorie aperte all’accoglienza seppure rigoriste, Merkel ha registrato una consistente perdita di consensi, mentre il partito populista di ultradestra Alternative fuer Deutschland (AfD) è entrato nei tre Parlamenti regionali in cui si è votato, arrivando a ottenere il 24% dei suffragi in Sassonia-Anhalt. Le elezioni federali tenutesi nel mese di settembre, pur assegnando un quarto mandato a Merkel, hanno profondamente modificato il quadro politico del Paese, registrando una netta flessione dei consensi per il CDU (32,9%), un crollo dei socialisti (20,4%) e la preoccupante affermazione dell'ultradestra (13,2%), rappresentata di AfD, che si è attestata come terza forza del Paese entrando in Parlamento per la prima volta dal dopoguerra. Nel novembre successivo, a due mesi dalle consultazioni, una preoccupante fase di instabilità si è aperta a seguito del rifiuto del SPD di aderire alla formazione di un esecutivo di larghe intese, la "coalizione Giamaica" composta da Verdi, Liberali e dal CDU-CSU di Merkel, e solo nel gennaio dell'anno successivo è stato raggiunto un accordo di massima per la prosecuzione della trattativa tra le due formazioni politiche; raggiunta a febbraio e approvata il mese successivo dagli iscritti al SPD con il 66% dei consensi, l'intesa prevede la rinuncia di Merkel a dicasteri quali quelli degli Esteri - affidato a Scholz, che però vi ha rinunciato - e delle Finanze. Alle elezioni regionali svoltesi in Baviera nell’ottobre 2018, ritenute il banco di prova della Grande coalizione tra CDU/CSU e SPD e della leadership di Merkel, il CSU – pur rimanendo il primo partito – ha riportato una storica sconfitta, ottenendo il 37,2% dei consensi (-10% rispetto al 2013), assistendo anche al ridimensionamento del SPD, che con il 9,7% dei voti ha visto il suo consenso dimezzato; netta affermazione dei Verdi (17,5%, +10%) e di AfD (10,2%), che fa il suo ingresso nel Parlamento bavarese; analoghi i risultati delle consultazioni in Assia, dove rispetto alle elezioni del 2013 il CDU è sceso dal 38,3 al 27%, il SPD dal 30,7 al 19,8%, mentre i Verdi sono passati dall'11,1% al 19,8% e l'AfD ha ricevuto il 13,1% dei consensi. A seguito degli insuccessi elettorali Merkel non si è ricandidata alla presidenza del CDU né per altri incarichi politici, subentrandole nella prima carica dal dicembre 2018 A. Kramp-Karrenbauer. Le elezioni europee tenutesi nel maggio 2019 hanno confermato il CDU come prima forza politica del Paese (28,7%), sebbene in calo rispetto alle politiche del 2017 e alle europee del 2014, mentre i socialdemocratici sono scesi al 15,6%, seguiti dai sovranisti dell'AfD (10,8%, in calo rispetto alle politiche del 2017); rilevante l'affermazione dei Verdi, che hanno superato il 20% raddoppiando i consensi rispetto alle europee del 2014.
Dal 1° luglio al 31 dicembre 2020 la Germania ha assunto la presidenza del Consiglio dell'Unione Europea.
La successione al governo Merkel segnata dalle elezioni federali del settembre 2021 ha delineato un quadro incerto, con il SPD che ha raggiunto la maggioranza relativa (25,7%), la CDU-CSU della cancelliera che ha ottenuto il peggior risultato di sempre (24,1%) e i Verdi che hanno raddoppiato i consensi (14,8%), pur riportando un risultato peggiore alle aspettative. e i Verdi ambientalisti si sono affermati come terzo partito del Paese (14,8%). Nel mese di novembre i tre partiti hanno raggiunto un'intesa per il nuovo esecutivo, alla guida del quale è stato designato Scholz, con un’agenda politica focalizzata sul contrasto ai mutamenti climatici e sulla transizione ecologica; ma la coalizione di governo ha ricevuto una pesante sconfitta alle elezioni federali tenutesi nell'ottobre 2023, alle quali ha perso in Baviera, a vantaggio dei cristiano- democratici, e in Assia, dove si sono imposti i cristiano-democratici della CDU, mentre è stata netta l'affermazione del movimento di estrema destra AfD, risultato il secondo partito in entrambi i land.
Il tedesco è diffuso come lingua nazionale e ufficiale nelle attuali Germania, Austria e parte della Svizzera; in Alto Adige nel 1971 è stato formalmente parificato all’italiano.
Il gruppo tedesco, già in fase predocumentaria, era differenziato in vari dialetti; l’affermazione politica dei Franchi (6° sec.), su Alemanni, Turingi e Bavari, determinò l’estensione di un’innovazione qualificante, sul piano fonetico, dell’unità dialettale alto-tedesca: la ‘seconda rotazione consonantica’, che succede alla prima rotazione comune all’intero dominio linguistico germanico. Tale innovazione (consistente nel passaggio di sorda, se iniziale o postconsonantica in affricata, se intervocalica in spirante, e di sonora in sorda) si estende con vigore decrescente verso NO e segna il limite linguistico del dominio dell’alto-tedesco (Hochdeutsch) di fronte al basso-tedesco (Niederdeutsch), che occupa le pianure settentrionali della G. (con l’Olanda e buona parte del Belgio) e comprende basso-franco, basso-sassone e basso-tedesco orientale. Il dominio alto-tedesco è diviso in due settori: tedesco superiore, che occupa la zona più meridionale della G. linguistica (con l’Austria, gran parte della Svizzera e l’Alsazia), e tedesco centrale, nel rimanente territorio fino al confine linguistico con il basso tedesco. Al primo aggruppamento appartengono le tre famiglie meridionali: franco superiore, alemanno e bavarese; al secondo, le tre famiglie centrali: medio-franco occidentale, turingio e medio-franco orientale. In zona centrale si formò la lingua nazionale letteraria tedesca, estesa come tale anche ai parlanti dialetti basso-tedeschi.
La storia della lingua tedesca è divisa in tre periodi: tedesco antico (6°-12° sec.), tedesco medio (12°-16° sec.), tedesco nuovo o letterario moderno. Notizie dei primordi, anteriori alla prima documentazione letteraria (8° sec.), sono fornite indirettamente da fonti classiche, letterarie o epigrafiche. Le prime testimonianze della lingua sono di età merovingia (glosse malbergiche). Le versioni interlineari di testi religiosi e i glossari latino-tedeschi sono della metà dell’8° sec. (glossario di Kero, glossario di Kassel), così come il primo documento letterario: il frammento di Hildebrand, che mostra il progressivo prevalere dei tratti dialettali meridionali. Il fattore che più attivamente contribuisce, in questa fase, alla formazione della lingua è l’influsso del neolatino, che si manifesta nel lessico e nella morfologia; due importanti innovazioni fonetiche sono la metafonia e la riduzione di timbro delle atone.
L’influsso francese caratterizza invece il periodo medio: la formazione di una lingua letteraria unitaria, superdialettale, di carattere alto-tedesco è l’espressione della cultura cavalleresca, introdotta in G. nella seconda metà del 12° sec., in seguito alla prevalenza letteraria e culturale francese. Ma l’unificazione linguistica operata dalla poesia cavalleresca (Minnesang) non raggiunge la coscienza popolare; altre forze linguistiche agiscono in tal senso, principalmente i gerghi delle corporazioni d’arte, le grammatiche, la stampa, la lingua delle cancellerie. Il tedesco letterario moderno non è quindi la continuazione del medio alto-tedesco, ma risulta da un livellamento fra i dialetti superiori e centrali, operatosi intorno al 1500 nella cancelleria della corte di Sassonia e valorizzato dall’opera unificatrice della Riforma: Lutero scelse infatti questa lingua per la sua traduzione della Bibbia e la rese capace di attingere i più ampi strati delle masse popolari, portando così a compimento le tendenze isolate e di varia origine verso l’unificazione linguistica. La lingua di Lutero, riconosciuta dai grammatici (I. Claius, Grammatica Germanicae linguae, 1578) e divenuta poi la lingua politica e amministrativa, raggiunse nel 18° sec. un altissimo livello letterario con J.W. Goethe. Agli inizi del 20° sec. essa aveva guadagnato l’estensione massima, esercitando la propria influenza in Ungheria, nelle province russe del Baltico e nelle colonie africane. Le due guerre mondiali ne causarono definitivamente il regresso a oriente.
Le prime testimonianze di una letteratura tedesca autonoma rispetto al mondo latino e romanico risalgono all’epoca carolingia e appartengono al campo della lessicografia: l’Abrogans, raccolta di sinonimi tradotta in dialetto bavarese nel 765-70 e poi in dialetto alemanno verso la fine del secolo, e il Vocabolarius Sancti Galli. Sono queste le premesse per l’ulteriore lavoro erudito della traduzione, quasi sempre esclusivamente interlineare, di testi latini (la Regola di s. Benedetto, i Salmi, gli Inni, specie quello ambrosiano); è dell’ultimo decennio dell’8° sec., forse nella cerchia della scuola palatina di Alcuino, il più ambizioso disegno di tradurre Isidoro di Siviglia. Tutto ciò non appartiene ancora alla letteratura vera e propria, ma ne costituisce diretta premessa. Le prime composizioni poetiche sono fedeli a stilemi germanici o a essi affini: i bavaresi Wessobrunner Gebet e Muspilli, sul tema dell’origine e della fine del mondo, e lo Hildebrandslied, carme eroico in un linguaggio misto sassone e bavarese.
Un’impressione di compiutezza e di novità la fornisce solo lo Heliand, poema di circa 6000 versi scritto attorno all’830 in dialetto sassone forse da un monaco di Fulda, a esaltazione, solenne e insieme vivace, della grandezza del Salvatore. Ancora a Fulda nello stesso periodo fu composta la cosiddetta Genesi sassone, a prova dell’incremento di religiosità voluto dal nuovo re Ludovico il Pio. Verso l’870, si ritentò la composizione poetica di largo respiro per merito di Otfried, autore di una Evangelienharmonie in dialetto francone meridionale, poema importantissimo per le innovazioni che introduce nella metrica tedesca, cioè la rima desunta dagli inni in latino e il ritmo giambico in essi dominante, inserendo in tal modo la poesia tedesca, per ciò che concerne la forma, nella più vasta comunità della poesia europea. La strada aperta da Otfried fu presto battuta anche da altri, come testimoniano gli alemanni Christus und die Samariterin, il Lobgesang auf den heilige Gallus e il Georgslied, e il Ludwigslied, carme encomiastico francone-renano databile attorno all’880. Erano le ultime tracce di una cultura poetica in declino, con l’estinguersi della monarchia carolingia (911), tornando in auge la poesia in lingua latina, come prova Notker Balbulus (m. 912), poeta sorretto da buona vena lirica.
L’eclisse della poesia in lingua tedesca durò circa 150 anni. Al rafforzamento dell’impero, dovuto alla nuova dinastia ottoniana, fece riscontro una ripresa della tradizione classica, grazie anche al sorgere di alcune corti illuminate, con generale arricchimento del livello culturale, ma a discapito del tedesco, ritenuto inadeguato a farsi lingua della Chiesa, della scienza e della cultura in genere: si ebbero la produzione ispirata a Terenzio di Rosvita, prima poetessa tedesca attiva, anche se non in tedesco, nella seconda metà del 10° sec., e il Waltharius (di difficile datazione e attribuzione), che tenta la fusione di forma para-virgiliana e soggetto germanico. La lingua era caduta in notevole incuria quando, prima della fine del 10° sec., il monaco di San Gallo Notker il Tedesco tradusse e commentò trattati filosofici e testi biblici, fondando una prosa tedesca in sede scientifica e teologico-filosofica.
Tra la seconda metà dell’11° sec. e i primi decenni del 12°, nella temperie della riforma cluniacense, il tedesco tornò in auge come lingua letteraria, finalizzata a un ammaestramento catechistico il più possibile divulgato. La lingua appare almeno in parte coinvolta in un processo involutivo, e la composizione poetica risulta meno accurata di fronte a una tematica ben coordinata e piuttosto uniforme. Si ricordano il cantilenante Ezzolied (1060 ca.), il Memento mori (1070-80, di un certo Noker), l’agiografico Annolied (1085 ca.), la cosiddetta Wiener Genesis (1060-65), e il Physiologus (1070 ca.), rappresentazione teologico-allegorica del mondo animale, proveniente dall’abbazia di Hirsau, nella Foresta Nera, centro della cultura cluniacense. In pieno clima cluniacense operò l’austriaca Frau Ava, che scrisse in tedesco 4 poemetti negli anni 1120-25. Il tema del Memento mori è ripreso nella Erinnerung an den Tod da un altro austriaco, H. von Melk, non monaco ma cavaliere, che nella sua opera fustiga i costumi in specie della nobiltà, sintomo dell’affermarsi di una civiltà cavalleresca in sé caratterizzata.
I cento anni a cavallo del 12° e 13° sec. vedono un intenso sviluppo di forze creative individuali, con influssi esterni, specie dalla Francia, che incentivano anche in poesia una produzione autonoma di alto tono. Nasce l’epopea profana, dapprima con l’ancora ibrido König Rother, poema avventuroso bavarese (1150-60), e di lì a 20 anni col più concreto Herzog Ernst, anch’esso bavarese, accanto a cui si colloca l’epopea in 17.000 versi della Kaiserchronik, ancora bavarese; il Reinhart Fuchs, primo romanzo di animali parlanti dell’alsaziano Heinrich, dà inizio a un genere in seguito assai fortunato. In piena epoca cortese, si manifestano le opere dei grandi epici, a partire da quelle del basso-francone H. von Veldeke, autore del poema cavalleresco Eneit (1185 ca.). Seguono i tre ‘classici’ dell’epoca, H. von Aue (alemanno, circa 1160-1210), autore delle leggende cavalleresco-religiose Gregorius e Der arme Heinrich; W. von Eschenbach (franco-bavarese, circa 1170-1220), con il poderoso Parzival; infine G. von Strassburg, autore, con Tristan und Isolde (finito prima del 1210), del capolavoro medievale della mistica d’amore.
L’età cortese creò anche una lirica di grande schiettezza, tramite soprattutto la fioritura di Minnesang, che trovò ispirazione nella poesia trovadorica ma si sviluppò su propri canoni e motivi vivaci e rifiniti. Passando in vari gradi dal popolaresco al cortese, si notano le liriche del Kürenberger, di D. von Aist e della triade rappresentata da H. von Morungen, R. von Hagenau e W. von der Vogelweide, massimo esponente della hohe Minne (amore cortese), perfetto stilista e maestro nel canto politico, nel quale esaltò l’idealità imperiale sveva, di cui però, al termine della sua vita (1230 ca.), dovette malinconicamente cantare anche il declino.
Accanto ai generi aristocratici dell’epopea cortese e della lirica d’amore, ebbe sviluppo anche la saga eroica culminante, verso il 1200, nell’anonimo Nibelungenlied, poema unico per la tensione tragica che lo percorre, cui si affianca, ugualmente anonimo, il poema Kudrun.
La lunga epoca che seguì è contrassegnata dall’avanzata, spesso confusa e anche tempestosa, di nuove classi sociali, dal declino dei grandi centri culturali e da un generale scadimento letterario. Fra i pochi generi fruttuosamente coltivati figura quello mistico, in cui giganteggia Meister Eckhart (circa 1260-1328), che dà voce a una delle costanti dell’interiorità tedesca, l’anelito verso l’inesprimibile. Il Minnesang fu coltivato ancora da buoni epigoni, fra i quali spicca O. von Wolkenstein (1377-1445). Emerse il genere nuovo del Meistersang, lirica concettuale e virtuosistica avviata dal dotto sassone H. von Meissen, soprannominato Frauenlob (circa 1250-1318). Su sollecitazioni provenienti dall’Italia (Petrarca), qualche circolo culturale recepì il messaggio umanistico di nuovo conio. Alla corte di Praga si formò J. von Tepl (circa 1350-1415), cui si deve il capolavoro della prosa tedesca Der Ackermann aus Böhmen (1401), vigoroso contrasto di idee e sentimenti in un’anima profondamente provata dal dolore.
In G. l’Umanesimo rimase sostanzialmente un fenomeno erudito: da ricordare comunque le personalità del francone C. Celtis e del renano J. Reuchlin, oltre al grande Erasmo da Rotterdam. Troppo più vitali e urgenti erano le coeve istanze religiose, delle quali si fece promotore M. Lutero, genio dello spirito tedesco in quanto seppe coglierne angustie ed esigenze e suscitarne energie fino allora sopite; grande anche per la lingua, che in lui conobbe il primo unificatore, e per la letteratura, cui affidò fra l’altro la monumentale traduzione della Bibbia (1517-34) e una serie di canti (Gesangbüchlein, 1524) divenuti patrimonio di tutto un popolo. Accanto a questa figura sono da segnalare il più grande di tutti i Meistersinger, il maestro calzolaio di Norimberga H. Sachs, cantore inesauribile di solide idealità borghesi, il medico T. von Hohenheim, più noto come Paracelso, autore di opere magico-scientifiche in una prosa personalissima, il poligrafo religioso S. Franck e, più tardi, il satirico J. Fischart.
Il 17° sec. segnò un incremento della dipendenza culturale dall’estero, non più solo dall’Italia e dalla Francia ma anche dalla Spagna; la situazione politica era condizionata dalla ragion di Stato e lacerata da contrasti, originariamente confessionali, che portarono alla guerra dei Trent’anni. Ne fu danneggiata gravemente l’unitarietà culturale, proprio mentre le lettere tentavano una loro organizzazione (per es., la Fruchtbringende Gesellschaft, fondata a Weimar nel 1617 su modello dell’Accademia della Crusca) e M. Opitz, fondatore della cosiddetta prima scuola slesiana, tentava una normalizzazione della metrica tedesca. I pochi poeti autentici testimoniano la drammaticità degli eventi, con una forte propensione, specie nei protestanti, al rifiuto della vita pubblica e al rifugio nell’intimo, come nel visionario J. Böhme, nel lirico P. Fleming e nell’innografo P. Gerhardt. Maggiore equilibrio si coglie nei poeti cattolici, fra cui il gesuita F. von Spee e soprattutto il convertito francescano Angelus Silesius. I toni propri dell’epoca barocca tedesca, segnata dalla guerra trentennale, si definiscono al meglio nel poliedrico A. Gryphius, lirico, epigrammista, soprattutto drammaturgo, autore della prima e per lungo tempo isolata tragedia borghese Cardenio und Celinde (1647). Slesiano, come Gryphius, fu anche D.L. von Lohenstein, da ricordare per il romanzo Grossmütiger Feldherr Arminius (1689-90), testimonianza dell’emergente gusto per il romanzo a partire dalla metà del secolo. Capolavoro del genere fu Der abenteuerlicher Simplicissimus (1668-69) di H.J.C. von Grimmelshausen, ampia panoramica sulle vicende della guerra offerta con una esuberanza finalmente anche in G. ‘barocca’.
Agli albori del Settecento si staglia la figura di J.C. Günther, la cui poesia contrasta con i moduli barocchi ancora ampiamente correnti. Ma il secolo si imposta all’insegna del rigore culturale e anche in G., sia pure in tono minore, si apre l’Illuminismo, dominato nella prima fase dalla figura di J.C. Gottsched, meritevole per aver recuperato il teatro alla cultura. Efficace anche l’azione dei promotori del pietismo, moto religioso più sentimentale che dogmatico: P.J. Spener e in seguito A.H. Francke e N.L. von Zinzendorf. Nella fioritura di romanzi, quasi sempre mediocri, J.G. Schnabel lascia un’inconfondibile orma con Insel Felsenburg (1731-43), mentre B.H. Brockes scrive con intenti didattico-descrittivi un vasto poema, Irdisches: Vergnügen in Gott (1721-48), in stile già propenso alla misura del rococò; F. von Hagedorn fonda la tradizione della poesia anacreontica; J.E. Schlegel si distingue come migliore esponente della cosiddetta commedia sassone. In un fervore produttivo sempre più intenso, verso la metà del secolo, per circa un decennio risulta figura preminente C.F. Gellert, nella cui opera favolistica e nel romanzo giungono a un accordo le due correnti ideologiche dell’Illuminismo e del pietismo.
Ma il fatto letterariamente più significativo è l’apparire, nel 1748, dei primi tre canti del Messias, con cui s’impone F.G. Klopstock, poeta-vate dal linguaggio grandioso e sublime allo stesso tempo. A diverso titolo, ugualmente rilevante e a lungo influente è l’opera di G.E. Lessing; campione di un Illuminismo spregiudicato e intransigente, teorico del teatro, drammaturgo, Lessing fu un punto di riferimento unico nel suo genere della letteratura tedesca. A completare la triade dei grandi di una felicissima stagione fu C.M. Wieland, scrittore di eleganza e grazia ineguagliabili (da ricordare soprattutto il romanzo Agathon, 1766-67, e il poema Oberon, 1780). Tra le altre figure coeve spiccano J.J. Winckelmann, fondatore della moderna archeologia e promotore del classicismo estetico, J.G. Hamann, fautore invece dell’irrazionalismo più sfrenato, e G.C. Lichtenberg, autore degli Aphorismen.
Nel frattempo si era già prepotentemente affermato J.W. Goethe che, per aver raccolto, potenziato e spesso anche suscitato i fermenti ideali del suo tempo, definisce un’intera epoca, la più prospera che la cultura e la letteratura tedesca abbiano mai avuto. Tali fermenti, raccolti sotto la comune etichetta dello Sturm und Drang espressero la ribellione contro le frivolezze del rococò e la norma rigida dell’Illuminismo più gretto e insieme la ricerca di una naturalità autentica. Allo Sturm und Drang appartennero autori di origini e di ispirazioni anche molto diversificate, emergenti attorno al 1770: fra loro il lirico G.A. Bürger e altri del circolo Göttinger Hain, il poeta lirico M. Claudius, i drammaturghi J.M.R. Lenz e F.M. Klinger, e su tutti, a dare profilo culturale a un moto troppo sfrenato per sussistere a lungo, appunto il primo Goethe e il suo maestro J.G. Herder, coordinatore delle idee-madri di tutto il movimento. Il sodalizio tra Goethe e F. von Schiller – che occupa un posto primario in seno alla storia della letteratura e anche del pensiero tedesco –, instauratosi a Weimar nel 1794, eccezionale per ricchezza e reciprocità di stimoli, coincise con la fase più alta del classicismo tedesco. Accanto ai due maggiori, operarono altri autori dotati di personalità inconfondibile: J.P.F. Richter (noto con lo pseudonimo Jean Paul) prosatore ribelle a ogni costrizione formale; F. Hölderlin, di cui ricordiamo il romanzo Hyperion (1797-90), oltre a inni di straordinario respiro, nel miraggio di un’età, quella classica greca, irrecuperabile. Demoniaco fino alla disperazione è l’altro grande isolato dell’epoca, il drammaturgo H. von Kleist.
L’irrazionalismo dello Sturm und Drang trovò la sua più conforme verifica nel Romanticismo, che ebbe il suo primo centro a Jena negli ultimi anni del Settecento. Ideologi del movimento furono i fratelli Friedrich e August Wilhelm Schlegel. Caratterizzata da un ascetico culto della bellezza fu la breve parabola del poeta W.H. Wackenroder, ma la più autentica personalità fu quella di Novalis, autore dei mirabili Hymnen an die Nacht (1800). Un secondo Romanticismo, legato alla città di Heidelberg, assunse una più chiara impronta nazionale. In questa fase dominarono letterati e uomini di cultura, ma si affermarono anche poeti come C.M. Brentano, esuberante e fantasioso fino alla bizzarria, o come J. von Eichendorff, lirico evocatore del paesaggio romantico tedesco; o, a vivo contrasto, E.T.A. Hoffmann, uno dei maggiori esponenti del genere fantastico in cui il Romanticismo esaspera le proprie potenzialità e insieme si dissolve.
Ancora sostanzialmente romantica è l’esasperazione tematica di A. von Chamisso, autore del racconto fantastico Peter Schlemihls wundersame Geschichte (1814). Ma intanto, perduta l’iniziale spinta universalistica, il Romanticismo cede al particolarismo della tradizione provinciale, specie nel gruppo dei poeti svevi, fra cui primeggiano L. Uhland e soprattutto E. Mörike, autore della celebre novella Mozart auf der Reise nach Prag (1856) e tutore emblematico del cosiddetto Biedermeier letterario, che ebbe i suoi più numerosi esponenti in Austria. In altro ambiente, alla poetessa A. von Droste-Hülshoff, cattolica di salda fede e autrice del ciclo poetico Das geistliche Jahr (postumo, 1851), si deve l’ultima grande opera di poesia tedesca nello spirito della religiosità cristiana. Un’entità a sé costituisce anche A. von Platen, che persegue un ideale di bellezza classica. Al polo opposto si colloca uno dei più significativi autori del secolo e coscienza critica della G. del tempo, H. Heine, polemista finissimo e spregiudicato, capace di fornire anche al giornalismo una nuova dignità letteraria; narratore agile e raffinatamente aggressivo e lirico di grande musicalità e insieme acutezza polemica.
G. Büchner è il creatore del dramma realistico. Per la sua carica radicalmente innovativa, Büchner fu compreso solo alcune generazioni più tardi, destino riservato anche a C.D. Grabbe, autore di drammi storici tesi a riscontrare il fallimento dell’individuo di fronte alle forze fatali che lo insidiano. Sorte diversa fu riservata agli altri due grandi del teatro, R. Wagner e F. Hebbel. Da un recupero iniziale di idealità romantiche e aderendo a spinte anche politicamente rivoluzionarie, Wagner giunse al traguardo di un estetismo fortemente venato di decadentismo. Anche Hebbel perseguì la monumentalità, in una visione tragica del mondo e della storia, con esasperazioni che, in una simbologia spesso sin troppo scoperta, sono altrettanti atti d’accusa verso una società disumanizzata e irriducibile.
Impari antagonista di Hebbel sulle scene fu O. Ludwig, affermatosi anzitutto come teorico del realismo poetico, un movimento che non mirava ad aggredire l’ambiente sociale, ma ne faceva lo sfondo delle tensioni poeticamente ricreate. I due maggiori rappresentanti del realismo tedesco furono T. Storm, che legò la propria esperienza di poeta al suo Schleswig-Holstein creando racconti lirici, e T. Fontane, storiografo autentico della sua epoca e promotore del romanzo sociale in Germania.
Attorno al 1880 nacque anche in G. il naturalismo, con cui la letteratura contribuì a proporre quella che si veniva definendo, nel periodo del colossale sviluppo economico e del trionfale statalismo, come ‘questione sociale’. La lezione venne soprattutto dal romanzo francese, ma in G. prevalse la forma del dramma, per opera di A. Holz, di J. Schlaf e soprattutto, nella prima fase della sua lunga attività, di G. Hauptmann, che stigmatizzò la corrotta società borghese facendosi portavoce dei lavoratori affamati e disperati. Il naturalismo in G. fu, comunque, una breve stagione, ma insegnò a sfuggire e anzi a disprezzare ogni ipocrisia, a non avere riguardi neppure per le idealità consacrate. Dal naturalismo F. Wedekind, per il resto poi autonomo, derivò la sfida lanciata al suo tempo con drammi volutamente scandalistici che calpestavano la morale borghese dominante.
Tempra e statura di rivoluzionario ebbe la personalità più suggestiva degli ultimi decenni del secolo, F. Nietzsche, pensatore e scrittore la cui incidenza nel mondo culturale contemporaneo è lontana dall’esaurirsi. Combatté soprattutto la civiltà cristiana e democratica per un capovolgimento radicale dei valori, e in tutta la sua opera, culminante nell’Also sprach Zarathustra (1883-85), si avverte una profondità di pensiero che costituisce un’eredità scomoda e insieme estremamente ricca per il Novecento.
Su influenza dei simbolisti francesi e dei preraffaelliti inglesi si era avviato nel frattempo il grande ciclo dell’estetismo, che trovò in G. uno dei suoi culmini in S. George, poeta raffinato e promotore di un circolo che esercitò un magistero etico-estetico sulla cultura tedesca, creando un’intransigente opposizione al naturalismo. La nuova fioritura poetica, tesa alla ricerca del preziosismo e di esclusivi valori formali, rientra nella civiltà letteraria del decadentismo europeo, che trovò il suo più autorevole rappresentante in Th. Mann, lucido messaggero dell’idealità borghese nell’epoca del suo declino. Agli albori del secolo col romanzo Buddenbrooks (1901), Mann propose dopo tanti decenni il primo successo tedesco sul piano internazionale, producendo poi opere fra le più significative della prima metà del secolo. Accanto a una figura di tale statura quella del fratello H. Mann risulta limitata, per la forte carica ideologica esplicitata inizialmente in un’irriguardosa critica alla borghesia guglielmina.
Moto fondamentalmente tedesco, pur nelle sue implicazioni europee, fu attorno al 1910 l’Espressionismo, che esaltò l’aggressività creatrice propria della ‘natura interiore’ dell’artista. Di lì presero le mosse i più significativi poeti della prima metà del secolo e anche oltre, come G. Kaiser, più che altro drammaturgo; G. Heym; E. Lasker-Schüler; G. Benn; J.R. Becher, che fu dopo la Seconda guerra mondiale poeta ufficiale della Repubblica Democratica Tedesca. Ebbe inizi espressionistici anche B. Brecht, passato presto a una posizione marxista. Lirico ma soprattutto drammaturgo, il più autorevole e influente del suo tempo, Brecht ha aggredito con effetti teatralmente innovatori una tematica di grande respiro, che va dalla demolizione della morale borghese al frontale attacco ai soprusi capitalistici fino al diniego della guerra e del compromesso ideologico.
Dissoltosi o snervatosi il movimento espressionista, fra le due guerre domina la Neue Sachlichkeit («nuova oggettività»), contatto nuovo e più veritiero con la realtà attraverso una forma di denuncia che acquista valore ideologico. Torna in auge il romanzo, con A. Döblin, autore di Berlin Alexanderplatz (1929), A. Zweig, col suo Der Streit um den Sergeanten Grischa (1927), H. Fallada, con Kleiner Mann, was nun? (1932). Questi, e altri autori simili, non potevano che essere invisi al regime nazista, sicché si assistette a un generale esodo oppure alla cosiddetta ‘emigrazione interna’, un’opposizione nel silenzio che segna gli anni 1933-45 come fra i più desolati anche per la letteratura. Fra le poche voci che ancora si levano senza decadere al rango di corifei del regime, quella del poeta R.A. Schröder, rinnovatore dell’innologia protestante, del romanziere cattolico S. Andres, del meditativo narratore H. Carossa, del malinconico E. Wiechert. Altra autorevolezza consegue l’ideologo e narratore E. Jünger nel riproporre una visione talvolta agghiacciante ma suggestiva del processo storico e del suo contrastato avanzare. Nell’esilio svizzero si consolida la fama di H. Hesse, conciliatore di pietà cristiana e saggezza indiana in una visione religiosa dell’avvenire che non cede neppure di fronte alle più crude testimonianze del presente.
La tragica cesura della guerra segna l’inizio di una fase nuova. Accanto ai non molti emigrati ancora in grado di farsi ascoltare (Mann e Brecht sugli altri), voci nuove, dolenti e cupe, denunciano un annientamento che era prima delle coscienze che delle cose. Sintomatica, fra le altre, la voce subito spenta di W. Borchert, che torna sul tema del reduce (Draussen vor der Tür, 1947) in spirito di totale nichilismo. Un ruolo importante, anche sul piano organizzativo, viene svolto dal Gruppo 47, per oltre due decenni cassa di risonanza delle più valide iniziative, punto d’incontro di quegli autori che meglio interpretano il disagio e lo sconforto, ponendo l’accento sulla responsabilità dello scrittore nella società in cui vive. Emerge, come coscienza della nuova G., H. Böll. A. Andersch è uno dei pochi in grado di parlare della resistenza tedesca. Nella lirica, N. Sachs è una delle più illustri interpreti del «grande dolore ebreo»; K. Krolow rinverdisce la tradizione tedesca con arditi innesti dal surrealismo. Nel teatro, accanto al ben più autorevole Brecht, continua ad avere un proprio seguito C. Zuckmayer.
Una forte accelerazione viene, negli anni successivi, da una generazione di scrittori che, quasi tutti, erano troppo giovani per essere direttamente corresponsabili dei crimini nazisti, ma in qualche misura ne erano stati partecipi o almeno testimoni. S’impongono i nomi di U. Johnson e di G. Grass. Johnson, con due romanzi che fanno scalpore (Mutmassungen über Jakob, 1959, e Das dritte Buch über Achim, 1961), pone per la prima volta il problema più radicale della realtà tedesca, quello della spartizione fra le due G.; Grass col romanzo Die Blechtrommel (1959) tenta ardite vie espressive fra il macabro, il grottesco e il realistico per fornire una parodia feroce degli ultimi decenni della storia tedesca. Nomi nuovi nella lirica sono quelli di H. Heissenbüttel, caposcuola della sperimentazione, e di H.M. Enzensberger (attivo anche in altri generi), uno degli spiriti più vigili e illuminati. Nella drammaturgia si affermano gli autori del cosiddetto teatro documentario, anzitutto R. Hochhuth, M. Kipphardt, P. Weiss, che trovano una comune cifra nella volontà di recuperare i fatti storici attraverso la mediazione poetica più scarna possibile, perché appunto dai fatti promani l’azione, anzitutto politica, di revisione e di eventuale repulsa. Nel teatro, forte tempra di drammaturgo rivelano P. Hacks e H. Müller, che dà il meglio di sé demistificando miti classici nel nome di una dicotomia barbarie-progresso. T. Dorst è fermo nel suo credo anti-brechtiano. Da ultimo si segnala un nucleo di dichiarati realisti, che pongono marcatamente l’accento sulle storture di una società che, nella sua appagata opulenza, mira a dimenticare: autore di grande interesse è H. Achternbusch.
Nella Repubblica Democratica Tedesca, lo spazio per una libera espressione oscilla tra i condizionamenti e la permissività del potere. Si impone la tematica della collocazione dell’uomo in seno a una società socialista e insieme tecnologicamente avanzata, con i rischi pesanti e convergenti dell’alienazione. Fra i narratori sono da segnalare H. Kant, G. Kunert, da ultimo orientato verso un planetario catastrofismo, E. Strittmatter, il più avanzato, almeno agli inizi, in una satireggiante critica e autocritica, C. Wolf, la più accreditata per prove come Der geteilte Himmel (1963) e Nachdenken über Christa T. (1969). Morti J.R. Becher e Brecht, proseguono nella loro opera, non sempre agevolata dall’autorità, poeti già di prestigio, come il lirico della natura P. Huchel o il suo più genuino erede J. Bobrowski, e altri più giovani si richiamano alla vecchia tradizione tedesca della lirica della natura, anche se vi s’insinua pesantemente il fattore dell’impegno ideologico. La ricerca linguistica è centrale nei poeti della cosiddetta Prenzlauer-Berg-Connection, tra cui S. Anderson, R. Schedlinski, U. Kolbe, che dalla fine degli anni Settanta contribuiscono a costituire all’Est una sorta di controcultura. A partire da quello stesso decennio in numero sempre maggiore scrittori dell’Est sono costretti a scegliere (fra i casi più clamorosi quello del poeta W. Biermann, espulso dalla RDT nel 1976) o scelgono, di trasferirsi all’Ovest.
La reazione all’eccesso di ideologizzazione porta, dalla metà degli anni 1970, a una svolta verso il recupero della dimensione individuale e privata. In questa prospettiva, vengono recuperati generi come l’autobiografia (P. Härtling, in Nachgetragene Liebe, 1980, ripercorre la sua infanzia durante il nazismo) e la biografia fittizia, dove l’avvicinamento all’oggetto dell’analisi è condotto secondo modalità che vanno dall’utilizzazione di materiale documentario alla finzione assoluta (tra gli altri, K. Reschke, il già citato Härtling, R. Hochhuth).
Gli scrittori prendono parte anche al dibattito sull’ambiente: nella RDT, M. Maron (che nel 1988 avrebbe scelto l’Occidente) attacca l’inquinamento industriale con il romanzo Flugasche (1981; pubblicato all’Ovest); Die Rättin (1986) di G. Grass ricorda all’uomo con cui dialoga che l’apocalisse è inarrestabile e la fase postatomica è già cominciata. Ancora al confronto con il passato nazista e con la sua eredità sono dedicati, tra molti altri, il romanzo Bronsteins Kinder (1986) del tedesco-orientale J. Becker (fuggito nella RFG nel 1977), che aveva esordito (1969) con Jakob der Lügner, ambientato nel ghetto di Łódź. Un altro tedesco-orientale, C. Hein, nella sua prosa asciutta descrive con occhio critico la realtà della RDT (Der fremde Freund, 1982, pubblicato all’Ovest col titolo Drachenblut, 1983). Del rapporto intertedesco si occupano H.J. Schädlich (trasferitosi a Berlino Ovest nel 1979), in Ostwestberlin (1987), P. Schneider, con Der Mauerspringer, 1982 (tornerà sul tema con Paarungen, 1992), e T. Becker, in Die Bürgschaft (1985). Nella drammaturgia, al centro dell’opera di B. Strauss è l’idea della perdita di illusione e di orientamento nel mondo contemporaneo (Die Fremdenführerin, 1986).
Il 1989, l’anno della caduta del muro di Berlino, non costituisce per la letteratura tedesca solo un terminus a quo, una tappa epocale. La tematizzazione della ‘svolta’ si presenta come una costante che attraversa i testi tanto degli autori occidentali quanto di quelli orientali e tocca un aspetto particolare delle utopie: il crollo dell’illusione rispetto alle attese. Sul terreno saggistico, occupano un posto di primo piano gli interventi di Enzensberger, legati ai grandi temi della realtà sociopolitica contemporanea. Sul versante teatrale, Hochhuth, con Wessis in Weimar: Tragikomödie (1992), lancia un atto d’accusa contro l’’annessione’ della RDT da parte della Germania dell’Ovest; Hein, dopo aver disegnato la dissoluzione del sistema (Die Ritter der Tafelrunde, 1989), ripercorre i problemi dell’unificazione (Randow, 1994); G. Seidel in Villa Jugend (rappresentato per la prima volta nel 1991) stilizza in forma simbolica il passaggio di un’epoca. Le urgenze della storia sollecitano anche il drammaturgo F.X. Kroetz, che si era occupato delle tendenze xenofobe e del radicalismo di destra in Furcht und Hoffnung der BRD (1984), e ne riattivano la coscienza politica (Ich bin das Volk, 1994). Dorst, attivo anche in ambito cinematografico, ripropone nelle sue pièces più recenti oltre a personaggi storici (Karlos, 1990) i conflitti di un paese dopo l’unificazione (Herr Paul, 1993). H. Müller, disincantato e provocatorio, attento sperimentatore di ogni possibilità formale del teatro, riesuma figure della storia recente (Germania 3: Gespenster am toten Mann, postumo, 1996), rappresentata un anno dopo la sua morte. Si conferma il talento di B. Strauss, osservatore critico della realtà tedesca nella trilogia Schusslor (1991).
Nella narrativa, Grass, che contro l’‘annessione’ della RDT e per una confederazione dei due Stati si esprime anche in discorsi e saggi (Ein Schnäppchen namens DDR, 1993), nel romanzo Unkenrufe (1992), torna a porre, accanto al tema della G. unificata, quello del rapporto tra Tedeschi e Polacchi, mentre con Ein weites Feld (1995) propone una correzione letteraria alla rappresentazione storica dell’unificazione attraverso le vicende di un personaggio seguito dall’ultima fase del regime socialista al primo anno successivo alla svolta. Al tema della svolta è riconducibile, nella narrativa, una vasta produzione: si ricordano, tra gli altri, G. de Bruyn, G. Kunert, B. Burmeister, Maron, E. Loest. Anche la generazione più giovane si confronta con il passato: la perdita della sicurezza con la scomparsa di luoghi, persone e cose consuete si riflette nel romanzo Abschied von den Feinden (1995) del berlinese orientale R. Jirgl; tra le autrici vanno ricordate almeno K. Hensel e U. Draesner.
Ma a illustrare la situazione della nuova G. vale forse più la rappresentazione in chiave minimalista offerta dal sassone I. Schulze in quello che è stato considerato il primo romanzo della svolta, Simple Storys (1998), che registra l’altra faccia dell’unificazione da una visuale non appariscente, antispettacolare e decisamente periferica, quella della provincia della Turingia tedesco-orientale, tema al centro anche del suo romanzo Neue Leben (2005). W. Hilbig, cresciuto nella RDT ma trasferitosi nella RFG nel 1985, smaschera all’interno della fiction le relazioni tra intellettuali e potere (Ich, 1993). Sul sistema di controlli della polizia segreta in regime socialista, la tedesco-orientale Wolf presenta una testimonianza personale in forma narrativa (Was bleibt, 1990); la Wolf, già confermatasi tra le voci più significative del panorama letterario tedesco con Kassandra (1983) e Sommerstück (1989), storia di una generazione intellettuale, in Medea: Stimmen (1996) incrocia proiezione mitologica, attualità del pacifismo e smascheramento dei poteri patriarcali in una scrittura densa e problematica. Hein nel romanzo Willenbrock (2000) affronta la difficile situazione della ex RDT alle prese col problema dell’immigrazione dai paesi dell’Est europeo. La storia nazionale recente è il tema su cui ruota anche la produzione di B. Schirmer, che in Der letzte Sommer der Indianer (2005) racconta gli ultimi anni della RDT. Nella lirica, Enzensberger, dopo Die Furie des Verschwindens (1980), con Zukunftsmusik (1991) e Kiosk (1995), intreccia, nei modi a lui consueti, tradizione, poesia del quotidiano e riflessioni sul presente. Una tra le voci più forti e discusse della più giovane generazione è quella di D. Grünbein, originario di Dresda, che, con sguardo analitico, porta allo scoperto il rapporto tra linguaggio e fisicità (Grauzone morgens, 1988; Schädelbasislektion, 1991; Falten und Fallen, 1994). Acquistano piena notorietà autori come T. Lang (Am Seil, 2006), D. Kehlmann (Die Vermessung der Welt, 2006) e G. Lustiger, che in So sind wir (2005) ha affrontato il tema dell’identità ebraica.
Le testimonianze rimaste delle popolazioni franche, sassoni, alemanne, turingie, bavare si limitano a prodotti di oreficeria con decorazioni zoomorfe e a intreccio. Dalle devastate città romane (Colonia, Treviri, Magonza, Spira, Augusta), nelle quali l’arte tardoantica e poi la Chiesa avevano lasciato importanti segni (S. Gereone a Colonia, basilica costantiniana a Treviri), riprendono dalla fine del 7° sec. le attività costruttive per opera di istituzioni monastiche. L’architettura precarolingia ha come massima espressione la rotonda di Marienburg a Würzburg (consacrata nel 706) e le tracce della basilica di Fulda, la cui abbazia fondata da s. Bonifacio (744), insieme a quelle di Lorsch (763), di Corvey (824), di Reichenau (831) ecc., è al centro della produzione artistica dalla fine dell’8° secolo. Strettamente connesse con l’imperatore sono le costruzioni più imponenti del periodo carolingio: la Torhalle dell’abbazia di Lorsch (8°-9° sec.); la Cappella palatina di Aquisgrana (consacrata nell’805); il Westwerk della chiesa di Corvey (873-85). Particolari caratteristiche germaniche si profilano dopo il Trattato di Verdun (843), soprattutto con l’affermazione della dinastia degli Ottoni (➔ ottoniana, arte).
Dallo scorcio del 10° sec. inizia un’architettura improntata, nelle varietà regionali, a un imponente senso delle masse, importantissimo capitolo dell’arte romanica europea, a partire dal Westwerk di S. Pantaleone a Colonia (consacrato nel 986) e dalla chiesa del convento di Gernrode (dal 961) fino alle grandi basiliche di Hildesheim, Paderborn, Essen, Treviri, Reichenau, e al palazzo imperiale di Goslar. Le chiese dell’inizio del 12° sec. dei monasteri legati alla riforma cluniacense, di Hirsau (distrutta), di Alpirsbach e di Prüfening (che conserva anche un importantissimo ciclo di affreschi, 1130-60) attestano un’elaborazione originale di modelli francesi. Nel duomo di Spira (11°-12° sec.) e nell’abbazia di Maria Laach (dal 1093) è completamente sviluppato il sistema della copertura a volta. Le opere di scultura sono caratterizzate dalla ricerca di una forte espressività (porte bronzee di Bernward del duomo di Hildesheim, porte lignee di S. Maria in Campidoglio di Colonia).
Il successivo periodo (1190-1240 ca.), sotto l’impulso del gotico francese e nella generale fioritura culturale sotto gli Hohenstaufen, è estremamente fecondo: le cattedrali si rinnovano, si diffondono chiese di tipo cistercense (convento di Maulbronn). In genere, però, l’esempio francese è ricreato in senso tedesco (S. Elisabetta a Marburgo, Liebfrauenkirche a Treviri). Grande originalità raggiunge la scultura (Halberstadt, Wechselburg; porta aurea di Freiberg; sculture delle cattedrali di Naumburg, Magdeburgo, Bamberga, Strasburgo).
Dalla seconda metà del 13° sec. l’arte s’intona al gusto internazionale, seppure con sfumature di scuole locali. Per l’architettura compaiono nella regione renana alcune delle creazioni più importanti (corpo centrale della cattedrale di Strasburgo; cattedrale di Friburgo in Brisgovia; cattedrale di Colonia, 1248-1322, terminata solo nel 19° sec.). Comincia a diffondersi la chiesa a tre navate di uguale altezza (Hallenkirche), mentre opere originali sono prodotte in Austria, in Boemia, nella G. del Nord (chiese di S. Maria a Lubecca, Rostock, Stralsunda, esemplari di architettura in mattoni che ha diramazioni fino in Scandinavia e nella zona baltica). La scultura monumentale è segnata da sottili raffinatezze (parte occidentale del duomo di Strasburgo, apostoli nel coro del duomo di Colonia), mentre assumono sempre maggiore sviluppo la scultura in legno e la pittura su tavola, che si associano in pale d’altare spesso di proporzioni gigantesche (pala di S. Pietro ad Amburgo, di Meister Bertram). L’ultimo periodo del gotico riprende uno spiccato carattere nazionale (Sondergotik). Nell’architettura religiosa è importante la Svevia con la cattedrale di Ulma (1377-1493), cui attesero i Parler, U. von Ensingen con i figli e M. Böblinger (1473-93). Una scuola omogenea opera nella Sassonia superiore (Zwickau, Freiberg ecc.). Acquista importanza l’architettura profana con l’uso del mattone nei municipi di Münster (1355), Brunswick (14°-15° sec.) ecc., case a graticcio (Fachwerk) della G. centrale, in gran parte distrutte nella Seconda guerra mondiale (Hildesheim, Goslar, Celle ecc.), fortificazioni cittadine (conservate quelle di Nördlingen e Rothenburg, in Baviera), castelli e rocche.
Dalla fine del 14° sec. s’impone il cosiddetto stile «morbido» (weicher Stil) nella scultura, con le «belle Madonne» e le Pietà (Vesperbild, San Pietroburgo, Ermitage; Madonna di Krumlov, Vienna, Kunsthistorisches Museum), caratterizzato da realismo più intenso in Baviera (figure del portale ovest del duomo di Ratisbona, busto dell’architetto H. Stethaimer a St. Martin di Landshut; tomba di U. Kantenmayer a St. Jacob di Strubing); con le forti personalità di H. Multscher, attivo a Ulma dal 1427, e di M. Gerthner a Francoforte e a Magonza. La pittura gotica ha come centri importanti la scuola boema, che irradia la sua influenza nei paesi vicini, e personalità significative come Corrado di Soest, attivo in Vestfalia fino al secondo decennio del 15° sec., e il più giovane Maestro Francke che opera ad Amburgo. C. Witz, attivo a Basilea dal 1434, raggiunge con il suo brutale realismo una potenza plastica non comune; in netto contrasto è la scuola di Colonia, dominata da S. Lochner, mentre nella G. settentrionale la personalità preminente, nella seconda metà del 15° sec., è B. Notke, di cui rimangono soltanto le sculture. Nella scultura del tardo 15° sec. sono da ricordare J. Syrlin a Ulma, A. Kraft e V. Stoss a Norimberga, T. Riemenschneider a Würzburg. Con essi l’arte tardogotica si esprime con realismo e incisività, che si ritrovano nella nascente arte dell’incisione (M. Schongauer).
Sullo sfondo dei drammatici contrasti politici, culturali e religiosi si stagliano con eccezionale vigore le personalità di A. Dürer, che trova una sintesi dialettica tra fantasia e sensibilità nordica e ricerca formale italiana, di M. Grünewald, con caratteri di violenta espressività visionaria, di H. Holbein il giovane, con doti di acuto osservatore. In Renania la personalità dominante è H. Baldung Grien. Intorno al 1500, la scuola danubiana assume caratteri propri, con forti interessi per il paesaggio, con J. Breu e soprattutto A. Altdorfer; vi si forma anche L. Cranach, dal 1505 a Wittenberg. Ad Augusta opera H. Burgkmair che, come gli artisti già citati, contribuisce anche all’affermazione della grafica.
Nell’ambito della scultura si sviluppano varie scuole: la bottega dei Vischer a Norimberga, A. Daucher ad Augusta, H. Leinberger in Baviera, C. Meit a Worms. Al volgere del 16° sec. la pittura è rappresentata dal manierismo dei pittori rudolfini a Praga (B. Spranger) e di P. Candid a Monaco. In campo architettonico, accanto a una superficiale ripresa di modelli italiani, sorge uno stile rinascimentale tipicamente tedesco che trova la sua espressione più alta nel castello di Heidelberg, nella residenza di Monaco e nel Palazzo comunale di Augusta di E. Holl (1615-20). Il vicendevole gioco delle forze della Controriforma e del protestantesimo favorisce tendenze opposte, svoltesi parallelamente.
Come la pittura, che all’inizio del 17° sec. ha in A. Elsheimer e J. Liss gli esponenti più significativi che compiono la loro formazione in Italia, l’architettura da un lato assume un orientamento italiano, come nel Sud cattolico (A. Barelli e E. Zuccalli), dall’altro franco-olandese. Emergono le personalità dei Dientzenhofer (Boemia ecc.). Gli artisti si spostano di corte in corte e, nella seconda metà del secolo, si fondano accademie; a Norimberga J. von Sandrart con la sua Teutsche Academie (1675-79) redige la prima monumentale opera storiografica tedesca.
L’architettura del Settecento, ispirandosi a modelli italiani e francesi, raggiunge risultati di eccezionale qualità inventiva nelle complesse piante, negli effetti pittorici e nell’esuberante decorazione: in Franconia con J.B. Neumann, in Renania e in Sassonia con M.D. Pöppelmann, in Baviera con i fratelli Asam, F. de Cuvilliés, J.M. Fischer, D. Zimmermann. Il maggiore centro della pittura, che si dedica prevalentemente alla festosa decorazione di chiese e palazzi, è la G. meridionale cattolica (C.D. Asam, J. Zich, J.B. Zimmermann). Principali esponenti della scultura, a carattere decorativo, sono A. Schlüter a Berlino, B. Permoser a Dresda; per il periodo di transizione dal barocco al neoclassicismo la scuola viennese con G.R. Donner influì sulla scultura bavarese (G. Günther, J. Straub).
Non va dimenticata la diffusissima produzione nel campo dell’ebanisteria e della porcellana. La vitale tradizione barocca ritarda l’affermazione del neoclassicismo, teorizzato da J.J. Winckelmann, che ha in A.R. Mengs uno dei principali rappresentanti. J.G. von Schadow, scultore di corte a Berlino dal 1788, tempera il gusto neoclassico con un garbato naturalismo.
L’architettura neoclassica ha come centro principale Berlino con K.F. Schinkel, allievo di F. Gilly, presso il quale si forma L. von Klenze, attivo in Baviera. Elementi paleocristiani e romanici caratterizzano il Rundbogenstil («stile dell’arco a tutto sesto»), che ha in F. von Gärtner il maggiore esponente, mentre un’impronta neorinascimentale segna l’opera di G. Semper, personalità di grande spicco anche nell’ambito teorico e didattico, per le sue ricerche sull’arte applicata all’industria e sulla funzionalità nell’architettura. In ambito pittorico il movimento romantico si presenta con sfumature diverse, esprimendo, di fondo, un carattere introspettivo e l’impulso a riaffermare un’identità nazionale. P.O. Runge studia gli effetti simbolici e psicologici dei colori, ma le sue opere rimangono legate a un linearismo classicista. Nei paesaggi di C.D. Friedrich l’afflato cosmico si unisce all’osservazione della natura. Notevole pittore di paesaggi è anche K. Blechen. Altro aspetto tipico del Romanticismo tedesco è offerto dai coinvolgenti ritratti di G.F. Kerting. L’impegno religioso spinge i Nazareni (F. Overbeck, F. Pforr, W. von Schadow, P. von Cornelius, J. Schnorr) a rinnovare l’arte tedesca ricercando la purezza e semplicità dei primitivi.
Tra il 1830 e il 1850, in contrasto con il classicismo accademico e con le correnti romantiche, s’impone anche la pittura Biedermeir, che ricerca una resa esatta, naturalistica della vita della piccola borghesia (C. Spitzweg). A. von Menzel è abile disegnatore e pittore di storia; F. von Lenbach è virtuoso ritrattista; K. von Piloty crea quadri storici di un drammatico realismo. Forti personalità sono A. Feuerbach, W. Leibl, H. von Marées; M. Liebermann è esponente significativo del cosiddetto impressionismo tedesco insieme a L. Corinth e M. Slevogt, che si volgono poi verso modi espressionistici. Fino alla metà del secolo domina, nel campo della scultura, C.D. Rauch, allievo di G. Schadow, mentre nella seconda metà, accanto a R. Begas emergono A. Hildebrandt, che con H. von Marées e C. Fiedler contribuisce all’elaborazione della teoria della pura visibilità (➔), e M. Klinger, pittore e incisore che si dedica alla scultura dal 1885 circa.
Al volgere del 19° sec. un’intensa elaborazione di problematiche rese urgenti dalla crescita di popolazione e dall’urbanesimo e connesse al dibattito su arte, artigianato e industria sollecitate da esperienze soprattutto inglesi (mediatore del movimento Arts and crafts e delle città giardino è H. Muthesius), dà luogo a un patrimonio di esperienze fondamentali: dalla colonia di artisti della Mathildenhöhe di Darmstadt (1901, J.M. Olbrich, P. Behrens) alla fondazione della Deutsche Gartenstadtgesellschaft (1902) e alla realizzazione della prima città giardino a Hellerau, Dresda (1908, tra gli architetti, T. Fischer, Muthesius, R. Rimerschmidt, F. Schumacher, H. Tessenow), alla progettazione delle prime Siedlungen (➔ Siedlung) con la collaborazione di architetti e committenza pubblica; dai rapporti tra architetti e industriali (esemplare quello di Behrens e l’AEG) alla creazione del Deutscher Werkbund (1907); dall’attenzione alle scuole di architettura e di arti applicate (H. van de Velde a Weimar; H. Poelzig, a Breslavia) alla diffusione delle tematiche attraverso pubblicazioni (Der Städtebau, 1904, la prima rivista di urbanistica) ed esposizioni, tra cui importantissima quella del Werkbund a Colonia (1914) dove, accanto alle realizzazioni di J. Hoffmann e H. van de Velde, si trovano significative opere di Behrens, W. Gropius e B. Taut, che offre le prime prove di ricerca di forme espressioniste.
Le secessioni di Monaco (1892), con la rivista Die Jugend (1896), e di Berlino (1898), con la rivista Pan, sono espressione dello Jugendstil (H. Obrist, F. Erler, E. Orlik); ancora d’impronta secessionista, a Monaco, è Die Phalanx (1910-04), fondata da V.V. Kandinskij e A. von Jawlensky, mentre si diffonde la conoscenza di P. Cézanne, P. Gauguin, V. van Gogh. A Dresda, dal 1905 con Die Brücke, E.L. Kirchner, E. Heckel, K. Schmidt-Rottluff, H.M. Pechstein, O. Müller maturano esperienze di grande valore innovativo. A Monaco, la Neue Künstlervereinigung (1909) accoglie tendenze diverse: oltre a Kandinskij e Jawlensky, G. Münter, A. Kubin, K. Hofer. Nel 1912, espressione della vivacità della scena artistica in G. sono, a Colonia, la mostra d’arte internazionale del Sonderbund; a Monaco, Der Blaue Reiter con Kandinskij, F. Marc, A. Macke ecc., e, a Berlino, la galleria Der Sturm di H. Walden che, con la rivista omonima fondata nel 1910, è sostegno dei movimenti d’avanguardia tedeschi e tramite per la conoscenza di quelli europei. Importante anche, a Stoccarda, l’attività didattica di A. Hölzel col quale si formano O. Schlemmer, W. Baumeister, J. Itten ecc. La ricerca degli artisti della Brücke e del Blaue Reiter s’inserisce, seppure con caratteristiche differenziate, nella corrente espressiva fondamentale dell’arte tedesca, cui si possono ricondurre anche i paesaggi apocalittici di L. Meidner, le sculture di E. Barlach o di W. Lehmbruck, l’opera grafica e scultorea di K. Kollwitz e la pittura di M. Beckmann.
Dal primo dopoguerra, accanto al filone espressionista con la Novembergruppe, s’impongono le esperienze Dada a Colonia (M. Ernst), a Berlino (H. Höch, R. Hausmann), a Hannover (K. Schwitters), quelle della Neue Sachlichkeit con O. Dix, G. Grosz, C. Schad ecc., e del Bauhaus, a Weimar e poi a Dessau, sotto la direzione di Gropius, H. Meyer e L. Mies van der Rohe, protagonisti del Movimento moderno in architettura, che in G. con le prime esperienze di Taut, E. Mendelsohn, Hans e Wassili Luckhardt, Poelzig, H. Sharoun, aveva assunto connotazioni utopico-espressioniste. L’esposizione del Deutscher Werkbund a Stoccarda, nel 1927, con la realizzazione del quartiere modello di Weissenhof, sotto la guida di Mies van der Rohe e con la partecipazione dei più significativi architetti tedeschi, diviene esperienza centrale del dibattito che spazia dall’alloggio minimo alle Siedlungen come nucleo di soluzioni urbanistiche e che ha come protagonisti, oltre ai già citati, personalità come M. Wagner, L. Hilberseimer, E. May, H. Häring, F. Schumacher, O. Häsler.
Ragioni razziali e politiche portano, con l’avvento del nazismo, all’esodo dei principali esponenti del Movimento moderno in architettura e dell’avanguardia artistica: la persecuzione nei confronti delle avanguardie culmina con la mostra Entartete Kunst nel 1937. Il regime appoggia solo dipinti e sculture ispirate a un vieto accademismo (I. Saliger, A. Breker, J. Thorak) e a un neoclassicismo modernizzato in architettura (A. Speer); per gli esponenti delle altre correnti la condizione è di totale isolamento (E. Barlach, K. Kollwitz, W. Baumeister).
I problemi più impellenti della G. del dopoguerra furono il risanamento delle città e la pianificazione di nuovi quartieri urbani. Nella G. orientale, la politica urbanistica, legata allo sviluppo dell’economia nazionale, prese l’avvio con la legge di ricostruzione (1950) che prevedeva interventi in 53 città distrutte dalla guerra. Riorganizzati i centri urbani delle più importanti città, si impiantano i nuovi quartieri residenziali di Rostock e si realizzano le nuove città di Hoyeswerde (R. Paulick), Schwedt (Paulick) e Halle-Neustadt (Paulick e altri) che, nonostante il reinserimento della tradizione razionalista e il ricorso alla prefabbricazione non offrono soluzioni originali. Dagli anni 1970 maggiore attenzione si è data alla tutela del patrimonio culturale e ambientale.
Anche nella G. occidentale, il risanamento dei centri storici e la progettazione di nuovi quartieri e città satelliti (a sviluppo lineare come la Neue-Vahr di Brema, o verticale come la Gropiusstadt a Berlino) sono le prime risposte alle esigenze della ricostruzione, che, come i quartieri per uffici di Amburgo, Francoforte ecc., si inseriscono nella tradizione dell’International style, di cui sono principali rappresentanti E. Eiermann, W. Kraemer, H. Hentrich e H. Petschnigg, W. Düttmann. A questo filone si contrappone la forte personalità di H. Scharoun, dal 1946 tra i responsabili della ricostruzione di Berlino Ovest, e l’opera di H. Fehling e D. Gogel. Personalità di rilievo emergono negli anni Settanta, come F. Otto, G. Behnisch e, soprattutto, O.M. Ungers. Sono ancora da ricordare R. Gutbrod, H. Deilmann, K. Ackermann, G. Böhn, J.P. Kleihues, J. Sawade. Un particolare accenno va fatto alla presenza sulla scena architettonica tedesca dei principali esponenti del Movimento moderno, già emigrati, come Gropius e Mies van der Rohe, e di significative personalità straniere (da A. Aalto a G. Candilis, J. Stirling, G. Peichl), grazie anche all’istituzione di concorsi internazionali e all’Internationale Bauaustellung, del 1957 e del 1987 a Berlino, importanti occasioni di verifica e di dibattito dell’architettura contemporanea protrattesi anche negli anni 1990 e nel 21° sec. con opere quali il Museo Ebraico (D. Libeskind, Berlino, 1997) ecc. o con opere emblematiche a scala urbana e monumentale quali il Memoriale all’Olocausto (P. Eisenman, Berlino, 2005).
Dopo la Seconda guerra mondiale e la conseguente divisione del paese, la G. segue, fino alla sua riunificazione, percorsi differenti. Nella G. orientale, le arti figurative mostrano piena adesione al realismo socialista e con grande difficoltà maturano il recupero delle esperienze del passato e l’apertura alle esperienze internazionali. Negli anni 1960 e soprattutto 1970, un nuovo realismo, elaborato con impetuosità gestuale o ricorrendo a figurazioni surreali e fantastiche, s’impone con W. Sitte, B. Heisig, W. Mattheuer, W. Tubke. Nella scultura operano F. Cremer, J. Jostram. Berlino, Dresda e Lipsia sono i principali centri di elaborazione di esperienze artistiche non tradizionali accolte ufficialmente con molta difficoltà: il primo Herbstsalon di Lipsia del 1984, dove sono presentate, accanto a dipinti neoespressionisti, azioni e installazioni, viene dichiarato controrivoluzionario e solo nel 1988 il X Congresso dell’Associazione degli artisti accetta le nuove forme d’espressione, mentre sempre più frequenti si fanno i contatti con l’Occidente.
Nella G. occidentale, la ricerca non figurativa con la sua connotazione di internazionalità si fa strada insieme al recupero delle prime avanguardie: Baumeister, F. Winter, J. Bissier, T. Werner, E. Schumacher, E.W. Nay sono protagonisti dell’informale; accanto, l’isolata ricerca di W. Heldt e di R. Ölze, che si era formato a contatto con il gruppo surrealista francese, e ancora gli scultori H. Uhlmann e E. Mataré. La conoscenza delle esperienze internazionali e l’interesse per le avanguardie storiche contribuiscono a una reazione all’astrattismo, che trova espressione nella nuova oggettività dell’estraniato mondo delle macchine di K. Klapheck, nella ricerca incentrata sulla luce del Gruppo Zero (H. Mack, O. Piene, G. Ücker) o sui valori qualitativi del colore di G. Graubner e di R. Girke, nella nuova figurazione di H. Antes, di G. Richter, del gruppo Zebra (D. Asmus) ecc. Una sperimentazione radicale di nuovi linguaggi visivi è perseguita da J. Beuys, il maggiore esponente del concettualismo in G.; W. Vostell è legato ai Nouveaux réalistes e, come Beuys, a Fluxus. Nell’ambito concettuale, caratterizzato da un forte impegno politico, operano anche K. Stäck e H. Haacke; A. e B. Blume, che si servono soprattutto della fotografia; W. Kahlen ecc. Negli anni Settanta s’impone la pittura «selvaggia» di M. Lupertz, G. Baselitz, E. Schönebeck, S. Polke, A.R. Penk e ancora di J. Immendorf e A. Kiefer. Negli anni 1980 si afferma una tendenza figurativa con specifiche ricerche individuali: a Berlino con R. Fetting, Salomè (W. Cilarz), R. Trockel e H. Middendorf; a Colonia il gruppo della Mühlheimer Freiheit, e in particolare W. Dahn e G.J. Dokoupil, si ricollega all’arte concettuale. In scultura, il ritorno alla figurazione ha un parallelo nell’uso di materiali grezzi e della policromia nell’opera di A. Höckelmann, G. Kleinlein; K. Fritsch sperimenta la tensione tra evento quotidiano e arte, tra produzione di massa e unicità dell’opera artistica. G. Merz e A. Klein utilizzano immagini fotografiche e televisive, confrontandosi anche con immagini dell’epoca nazista; R. Mucha e S. Huber presentano oggetti e installazioni con elementi sottratti all’uso quotidiano; gli scultori H. Kiecol e di T. Schütte si orientano su tematiche architettoniche. Interessi storici e antropologici ispirano le opere di N. Lang o di M. Buthe. A un linguaggio più complesso, tra azione e oggetto, fa riferimento la produzione ideologicamente impegnata di O. Metzel, mentre tra performance, video e fotografia si situano U. Rosenbach e R. Horn; ricorrono soprattutto alla fotografia G. Förg e T. Ruff. Tra le diverse espressioni della videoarte si situa la produzione concettuale di W. Kahlen, l’opera dalle valenze autobiografiche di K. von Bruch e M. Oldenbach, le installazioni rivolte all’indagine della condizione sociale femminile di U. Damm. Baselitz, Lüpertz, Polke e Kiefer continuano a imporsi sulla scena artistica dell’inizio del 21° secolo.
Fin dai primi tempi la poesia germanica si giovò del canto, specialmente quello corale, solo o sostenuto da strumenti tipo arpa. Nel primo Medioevo la diffusione del cristianesimo produsse originali fioriture di canto corale, mentre dal 12° al 14° sec. si sviluppò un largo movimento trobadorico, detto Minnesang. Tra il 15° e 16° sec. la musica tedesca si arricchì delle esperienze polifoniche nel Lied ma anche nel mottetto. Si sviluppò anche un’abbondante pratica organistica e liutistica, mentre l’arte profana dei Meistersinger otteneva maggiori fortune tra il popolo. All’inizio del 17° sec. H. Schütz assimilò nella sua produzione sacra (Passioni e Cantate) molti degli stilemi italiani.
Nel 18° sec. la musica tedesca conobbe una vasta fioritura, cimentandosi ormai con tutti i generi e con tutte le forme: dall’oratorio, di cui fu maestro soprattutto G.F. Händel, attivo poi a Londra, alla musica organistica, che dai compositori nordici passò all’arte di J.S. Bach, il quale coltivò tutte le forme strumentali (concerti grossi e solistici, sonate per arco e clavicembalo) e vocali (Passioni e Cantate) portando lo stile della fuga e del contrappunto alla massima elaborazione. Questo stile fu abbandonato però subito dai compositori della scuola di Mannheim, geniali innovatori nella musica per orchestra, specialmente quella sinfonica. Orientamenti diversi seguirono anche i figli di Bach, K.P. Emanuel e J. Christian.
Alla fine del 18° sec., l’elaborazione tematica della sonata e delle sue varie applicazioni ascese alle prime grandi affermazioni grazie a F.J. Haydn. Contemporaneamente nel teatro d’opera l’azione riformatrice di C.W. Gluck mostrò inconfondibili i caratteri dello spirito tedesco. Innovatore nella sinfonia e nell’opera, W.A. Mozart propose con Il flauto magico un esempio di teatro musicale con spiccate caratteristiche nazionali.
L. van Beethoven, a cavallo tra 18° e 19° sec., rappresentò l’anello di congiunzione tra classicismo e Romanticismo, in virtù dell’ardire dei temi e dei suoni fino ad allora sconosciuti. L’Ottocento vide grandi risultati nella musica vocale (Lied) con F. Schubert e F. Mendelssohn, nella musica orchestrale e da camera con R. Schumann e soprattutto J. Brahms, nel poema sinfonico con F. Liszt e nella musica operistica con C.M. von Weber. Nella maturità del teatro romantico si erse sovrana la personalità di R. Wagner, che con la sua concezione di dramma musicale concluse la poetica romantica in un’opera d’arte totale.
La difficile eredità wagneriana venne raccolta, con soluzioni ed esiti diversi, dalla generazione di musicisti che si trovò a operare tra la fine del 19° e l’inizio del 20° sec.: M. Reger, A. Bruckner, G. Mahler e R. Strauss. Quest’ultimo, in particolare, diede nuovo lustro al poema sinfonico e successivamente all’opera, in cui si rivelò particolarmente felice la collaborazione con H. von Hofmannsthal in veste di librettista.
Successivamente, con l’avvento del nazismo, le correnti più avanzate dell’arte musicale subirono un duro colpo e i maggiori musicisti tedeschi furono costretti a trasferirsi all’estero. A Vienna, A. Schönberg e i suoi allievi, A. Berg e A. von Webern, posero la sede della cosiddetta Seconda scuola viennese, dando origine prima alla musica atonale e poi alla teoria dodecafonica. Tale corrente trovò un oppositore in P. Hindemith, considerato il massimo rappresentante dell’indirizzo tonale e del preclassicismo strumentale.
Nei primi anni del dopoguerra, nelle zone occidentali di occupazione alleata frequenti furono gli scambi di esperienze culturali. Un ruolo capitale ebbe la scuola di Darmstadt, fondata nel 1946, roccaforte del serialismo integrale, ma aperta a tutte le tendenze musicali contemporanee. Negli anni 1970 una nuova generazione di compositori, radunata sotto l’etichetta della Neue Einfachkeit, ha mirato a un ritorno neoromantico alla tonalità e alle forme tradizionali (sinfonie, quartetti, sonate ecc.). Una più rigorosa linea di ricerca ha contraddistinto la produzione di K. Stockhausen, audace assertore del serialismo e pioniere dell’elettronica, di H.W. Henze, e dell’ungherese G. Ligeti.
Nella Repubblica Democratica Tedesca prevalse l’impegno sociale e politico, portando i compositori a disertare atteggiamenti di avanzato sperimentalismo. Negli anni 1990, la riunificazione politica della G. ha variato le categorie secondo le quali si era spesso intesa e suddivisa la musica. A questo processo ha contribuito anche l’irrompere di generi extracolti e di musiche provenienti da altre parti del mondo.