Stato dell’Europa settentrionale, costituito dalle regioni orientali della Penisola Scandinava, dalle isole baltiche di Gotland e Öland e da altre minori. Confina a NO e a O con la Norvegia, a NE con la Finlandia, a E si affaccia sul Golfo di Botnia, a SE e a S sul Mar Baltico; a SO uno stretto canale, l’Øresund, la separa dall’isola danese di Sjaelland e il Kattegat dalla Danimarca continentale; lo Skagerrak bagna la fascia di SO che confina con la Norvegia.
La Svezia (sved. Sverige) occupa la parte occidentale del cosiddetto scudo baltico. Geologicamente è costituita da terreni di età precambriana e paleozoica, di natura prevalentemente cristallina e metamorfica, interessati dal più antico dei corrugamenti dell’era primaria, il Caledoniano, e successivamente peneplanati da lunghissimi periodi di erosione. Modificato nel Terziario da disturbi tettonici e da sollevamenti, nell’era quaternaria tutto il territorio venne modellato da un’enorme calotta di ghiaccio, che lo compresse fino a ridurlo al livello attuale. Le coste, eccezionalmente sviluppate, sono prevalentemente rocciose ma basse, minutamente incise dalle foci fluviali e protette da numerose isolette. Quelle orientali e meridionali della Scania, modellate dall’azione eolica, sono movimentate da dune, mentre l’Öresund presenta un margine di fertili pianure. Morfologicamente si possono distinguere, da N a S, quattro regioni naturali: Norrland (Terra del Nord), Svealand (Terra degli Svear), Småland e Skåne (Scania). Le ultime due costituiscono il Gotland (Terra dei Goti). Il Norrland è formato da tre fasce che si succedono da O a E. La prima è rappresentata dal versante orientale delle Alpi Scandinave, molto meno ripido di quello occidentale (che appartiene alla Norvegia: il confine corre lungo il crinale). I picchi più elevati (Kebnekaise, 2111 m, e Sarektjåkkå, 2090 m) si trovano nell’estremo N. Tutta la fascia montana è fortemente incisa da valli glaciali che, quando non sono occupate dai ghiacciai attuali, sono percorse da fiumi (spesso immissari di grandi laghi di sbarramento morenico), che scendono al mare attraversando un vasto altopiano (altitudine media intorno ai 450 m). Una fascia alluvionale (l’unica, in questa regione, favorevole all’insediamento umano) orla la costa del Golfo di Botnia. Procedendo verso S si incontra una zona di transizione dal Norrland allo Svealand disseminata di morene spesso inframmezzate da laghi e laghetti poco profondi e ricchi di isole. Lo Svealand, quasi interamente coperto dalla foresta (di latifoglie, pura o mista a conifere), ma in qualche parte anche coltivato, è una vasta regione sostanzialmente pianeggiante, interrotta, però, da ampie fratture con aree depresse, che ospitano i maggiori bacini lacustri. Percorsa anch’essa da numerosi fiumi, è quindi ricca di acque utili per l’industria e per le comunicazioni. Lo Småland è un altopiano di rocce arcaiche (massima altitudine 377 m), inciso da valli fluviali e da numerose cavità lacustri, che dalle sponde meridionali del Lago Vättern si spinge quasi fino al mare. All’estremità meridionale la Scania, dal rilievo ondulato e in parte pianeggiante, è climaticamente la regione più favorita, e quindi ben coltivata e popolata.
Data la notevole estensione in latitudine del territorio (ca. il 15% si trova a N del Circolo polare artico, mentre Malmö è situata a S del parallelo di 56°), le differenze climatiche sono notevoli. La temperatura media annua va da 9 °C a −1 °C. Le estati sono fresche: la temperatura media del mese più caldo (luglio) varia infatti tra 11 °C a N e 19 °C a Svezia Nel mese più freddo (gennaio), nella Svezia meridionale, interessata dall’azione mitigatrice della Corrente del Golfo, la temperatura media è di 0 °C, mentre nel Norrland è di −16 °C. L’influenza dell’Atlantico si fa sentire anche sulle precipitazioni, che consentono alla vegetazione arborea e alla stessa agricoltura di spingersi più a N che in qualunque altro paese del globo. Buona parte delle precipitazioni cade sotto forma di neve, che mediamente permane al suolo per 8 mesi nell’estremo N e per meno di un mese nella Scania. Le precipitazioni, abbondanti sulla cresta alpina (1500 mm annui), diminuiscono procedendo verso E e verso N (tra i 500 e i gli 800 mm annui).
I fiumi hanno una grande importanza nella vita del paese, specialmente nel Norrland, sia per la fluitazione del legname, sia per l’utilizzazione della forza idraulica dei salti e delle rapide. Il regime è irregolare a causa del prolungato innevamento, ma quasi tutti i fiumi svedesi hanno origine, almeno nel loro corso medio, da un lago che ne regola il flusso. Comunemente si hanno due massimi: in primavera o prima estate, per lo scioglimento delle nevi; in autunno, dopo il massimo delle precipitazioni. Migliaia sono i laghi e laghetti, che complessivamente occupano l’8% del territorio. I principali, tutti nello Svealand, sono: Mälaren (1140 km2), Vättern (1912 km2) e Vänern (5585 km2, il più esteso di tutta la Scandinavia). Alimentato da vari corsi d’acqua, ha come emissario l’unico grande fiume della Svezia meridionale, il Göta älv, che sfocia nel Kattegat.
Riguardo alla flora, dopo la fascia alpina (che, tranne le aree cacuminali coperte di ghiacci, è caratterizzata dalle betulle nane e scende dal margine superiore dei muschi e dei licheni fino a 500 m a N e a 900 m a SO) si possono identificare, da N a S, la tundra, la taiga (foresta di conifere) e la foresta di latifoglie. La foresta di conifere (pini, abeti e betulle) copre quasi tutta la Svezia settentrionale e i rilievi dello Småland; a N sfuma nella foresta-tundra (tundra punteggiata da ciuffi di conifere e di betulle) e poi nella tundra vera e propria; nel Norrland copre di un manto spessissimo, interrotto soltanto da torbiere, stagni e paludi, quasi tutto il territorio. Al margine meridionale della taiga si stende una larga fascia di foresta mista di conifere e latifoglie, che nella Svezia meridionale cede il passo alla pura foresta di latifoglie, in parte distrutta per ricavarne aree agricole o pascoli, oltre che per gli insediamenti urbani e industriali.
Un tempo tipici esemplari della fauna scandinava, l’orso e la lince, protetti per legge, sono ormai rifugiati nel fitto delle foreste del N, come il lupo (che però è quasi estinto). Molto diffusi le alci (presenti in tutta l’area centro-settentrionale), i tassi, le volpi, le lontre e i caprioli (questi ultimi nell’area centro-meridionale). Nell’estremo N si trovano anche greggi di renne addomesticate. Numerose sono le specie di uccelli che nidificano nel paese, ma la maggior parte migrano all’avvicinarsi dell’inverno. I fiumi e i laghi sono popolati da salmoni, trote, lucci e, nel S, da gamberi.
La popolazione è composta quasi esclusivamente da Svedesi; le minoranze sono rappresentate da Lapponi (20.000, nel Norrland) e da Finni (50.000 ca., per la massima parte stanziati nella valle del Torne älv nel Norrbotten). I Lapponi (noti localmente con il nome di Sami), che hanno sempre vissuto come allevatori nomadi, tendono ormai a vivere in villaggi e cittadine, più o meno integrati con il resto degli abitanti. L’emigrazione dalla Svezia è stata particolarmente forte nel 19° sec., diretta prevalentemente verso l’America settentrionale; dal secondo dopoguerra il paese è diventato invece un polo di attrazione di flussi di immigrazione estera. La Svezia presenta il quadro demografico di un paese ‘maturo’, con un tasso di incremento annuo dello 0,1% (è stata uno dei primi paesi al mondo a raggiungere la ‘crescita zero’), un indice di natalità del 10,1‰, un tasso di mortalità infantile del 2,7‰ (uno dei più bassi del mondo) e un’aspettativa di vita alla nascita di oltre 80 anni. Questi dati evidenziano anche l’ottimo livello dei servizi, in particolare sociosanitari: la medicina preventiva e la ricerca scientifica riducono al minimo l’incidenza delle malattie, gli ospedali sono fra i più moderni d’Europa e una capillare rete di assistenza copre persino le regioni più isolate del Norrland.
La popolazione, poco numerosa rispetto alla superficie del paese, è distribuita molto irregolarmente a causa sia dell’andamento morfologico sia, in misura determinante, delle forti differenze nelle condizioni climatiche. Nelle vaste regioni interne del Norrland, dove si raggiungono densità di appena 2 ab./km2, si raccoglie quasi esclusivamente nei centri minerari e in fattorie isolate. La grande maggioranza degli Svedesi si concentra, dunque, soprattutto sulle rive del Golfo di Botnia e, ovviamente, nelle regioni centro-meridionali. La fascia dei grandi laghi, tra la costa di Stoccolma e quella di Göteborg, ospita 9 delle 12 maggiori città svedesi e quasi la metà della popolazione. Dopo Stoccolma, spiccano Göteborg, grande porto situato alla foce del Göta älv, di fronte alla Danimarca settentrionale, e Malmö, testa di ponte per le comunicazioni con l’Europa continentale. Altre città notevoli sono: Uppsala, poco a N di Stoccolma, prestigioso centro universitario e culturale; Helsingborg, sull’Øresund; Norrköping, buon porto a S di Stoccolma, alla foce del Motala; Jönköping, situata all’estremità meridionale del Lago Vättern, e Luleå, il porto più settentrionale del Golfo di Botnia. L’inurbamento, molto rapido fino alla seconda metà del 20° sec., si è ormai arrestato: le regioni intorno alle maggiori città hanno registrato nell’ultimo decennio del 20° sec. e nel primo del 21° solo modesti incrementi demografici.
La lingua ufficiale, lo svedese, di ceppo germanico, è parlata, oltre che in tutta la Svezia, in alcune aree costiere finlandesi ed estoni. I Lapponi parlano una lingua del gruppo uralico, il cui insegnamento viene impartito nelle scuole insieme allo svedese. Religione dominante è il protestantesimo luterano; esigue le minoranze di cattolici, musulmani e israeliti.
La Svezia è uno dei paesi economicamente più sviluppati al mondo e questo nonostante l’economia svedese incontri alcuni limiti nelle condizioni fisiche, a cominciare dal clima, e nella gamma piuttosto ridotta di risorse naturali. An;cora alla fine del 19° sec., infatti, la Svezia era un paese povero, quasi esclusivamente dedito all’agricoltura, alla pesca e agli scarsi commerci con gli altri paesi scandinavi. L’industrializzazione cominciò timidamente nei primi decenni del 20° sec., con la creazione delle prime centrali elettriche, la costruzione delle ferrovie e l’applicazione del metodo Bessemer (➔ Bessemer, sir Henry) nell’industria siderurgica, ma fu intensa solo nel secondo dopoguerra e fino ai primi anni 1970. In questo periodo l’economia svedese acquistò un solido e moderno assetto nel settore secondario, i cui punti di forza erano rappresentati dalle industrie estrattive e metallurgiche. Una caratteristica peculiare era il notevole sviluppo assunto dall’iniziativa pubblica nella vita economica del paese, alla quale si affiancava un settore privato efficiente. Ciò non impedì che anche la Svezia risentisse della crisi che colpì, negli anni 1970, tutta l’economia mondiale, tanto da costringere il governo a svalutare la corona e a mettere in discussione gli stessi obiettivi dello Stato sociale. A partire dal 1982, il paese ha conosciuto un nuovo periodo di crescita economica, favorita anche dalla buona congiuntura internazionale, caratterizzata dalla caduta dei prezzi del greggio. La riduzione del tasso di inflazione, il netto miglioramento della bilancia dei pagamenti e la creazione di migliaia di nuovi posti di lavoro fra il 1982 e il 1985 rappresentavano gli aspetti più evidenti di quella favorevole situazione. A cavallo fra gli anni 1980 e 1990, però, la produzione industriale è andata diminuendo nel settore metalmeccanico e in altri settori tradizionali (tessili, confezioni), e il tasso di disoccupazione ha raggiunto valori allarmanti. Il governo è intervenuto più volte a sostegno dei settori in crisi: così i cantieri navali, ridimensionati, hanno evitato la bancarotta, e l’industria dell’acciaio, orientata verso produzioni molto specializzate, ha ripreso quota. Nel corso degli anni 1990 si è cercato di rimediare alle crescenti difficoltà con un programma di privatizzazione delle aziende statali, con riforme in campo previdenziale e pensionistico, con la concessione di una più ampia autonomia alla banca centrale al fine di contenere l’inflazione e, sul piano della ristrutturazione industriale, con misure atte a potenziare lo sviluppo dei comparti ad alta tecnologia, divenuti nei primi anni del 21° sec. il punto di forza dell’economia svedese. Per promuovere l’ingresso della Svezia nell’Unione Europea (1995) sono state inoltre realizzate altre importanti misure di politica economica: il mercato del credito è stato deregolamentato; sono stati rimossi i controlli sul mercato dei cambi (1992); il sistema fiscale è stato riformato; è stato favorito l’ingresso degli investimenti esteri. Il ruolo dello Stato è comunque tuttora rilevante, sia nel campo della previdenza sociale che in quello degli incentivi al settore privato.
L’economia svedese presenta nel suo complesso un carattere nettamente terziario: nel 2009 lavoravano infatti in questo settore (che contribuiva al PIL per il 71,8%) il 70,7% della popolazione attiva. Una quota assai elevata degli addetti alle attività terziarie è assorbita dai servizi sociali e assistenziali, necessari alla realizzazione del cosiddetto modello scandinavo (che, di fatto, è il modello svedese). Il livello di formazione e di istruzione offerto è uno dei più evoluti del pianeta; inoltre la Svezia è, rispetto agli altri paesi industrializzati, quello che investe maggiormente nella ricerca e nello sviluppo.
Il settore primario (1,1% della popolazione attiva e 1,6% del PIL), nonostante le sfavorevoli condizioni climatiche e podologiche, si presenta vitale. La porzione di terreno coltivato è modesta (meno dell’8% della superficie complessiva), distribuita soprattutto fra la Svezia centrale, la Scania e le isole di Öland e Gotland, ma, grazie all’adozione di tecniche agricole avanzate, la produttività è elevata. Buoni sono i raccolti di cereali (orzo, frumento, avena e segale), mentre tra le altre colture alimentari la sola notevole è quella della patata e, tra quelle industriali, la barbabietola da zucchero. In costante espansione l’orticoltura in serra. L’ingresso nell’Unione Europea ha accelerato alcuni processi di riconversione del settore, con una decisa riduzione del numero delle aziende e un aumento delle loro dimensioni.
L’allevamento del bestiame, localizzato quasi esclusivamente in una fascia sudorientale a ridosso delle principali aree agricole, è centrato principalmente sui bovini, che forniscono carne e latticini destinati sia al consumo interno che all’esportazione. Praticato anche l’allevamento degli animali da pelliccia, in prevalenza volpi e visoni, e, nel nord del paese, delle renne.
La pesca è un’attività sempre più marginale, ma il naviglio moderno e le efficienti attrezzature portuali consentono di sbarcare annualmente tra le 200.000 e le 300.000 t di pesce, cui si aggiunge l’apporto dell’acquicoltura. I tratti di mare costiero più pescosi sono situati di fronte a Göteborg e intorno all’isola di Gotland.
Di grande rilevo economico lo sfruttamento del patrimonio boschivo (66% del territorio), uno dei maggiori d’Europa. Nella fascia settentrionale delle conifere si trova la maggior parte delle foreste demaniali, mentre la fascia meridionale della foresta mista o pura di latifoglie è prevalentemente in mano privata. Nonostante le notevoli restrizioni imposte da motivi di tutela ambientale, si producono annualmente 60-65 milioni di m3 di legname, in gran parte esportati, anche sotto forma di pasta di legno o carta.
La produzione mineraria, ampiamente nota per l’ottima qualità del ferro della Lapponia e, in misura minore, per le risorse di rame, piombo e zinco, ha esercitato in passato un forte incentivo nei confronti dell’industria metallurgica specializzata. L’attività mineraria della Svezia, dotata di tecnologie avanzate, si sta imponendo su numerosi mercati internazionali: infatti, società minerarie svedesi operano con partecipazioni minoritarie o paritarie in Canada, Australia, Brasile e in altri paesi dell’America Meridionale e in alcuni Stati africani. Povera di combustibili fossili (carbone e torba sono presenti nella Scania), la Svezia può contare su una buona dotazione di uranio (con il quale alimenta le proprie centrali nucleari) e, soprattutto, sulla ricchezza delle acque, che forniscono abbondante energia idroelettrica. Il paese tuttavia è costretto a importare notevoli quantità di petrolio per i mezzi di trasporto.
Grande spazio è stato dato alla ricerca sulle fonti alternative, anche sull’onda di preoccupazioni ambientaliste diffuse nell’opinione pubblica e recepite dai programmi governativi.
Per quanto riguarda l’industria (28,2% della popolazione attiva e 26,6% del PIL), i rami in maggiore espansione sono il metalmeccanico, l’aeronautico, il chimico (in particolare, la farmaceutica e le biotecnologie), ma soprattutto i settori dell’elettronica e delle telecomunicazioni. L’industria siderurgica (motore dello sviluppo industriale del secondo dopoguerra e rinomata per la produzione di acciai speciali che vengono largamente esportati) è entrata in crisi e ha cessato di essere competitiva, salvo che per produzioni altamente specializzate, negli anni 1980. Una flessione notevole ha interessato nello stesso periodo anche le industrie meccaniche, in particolare quelle cantieristiche e automobilistiche. Importante l’industria del legno, che conta numerose segherie, fabbriche di cellulosa e pasta di legno, e fabbriche di carta. Un cenno merita anche l’industria alimentare, che, localizzata soprattutto nelle regioni centro-meridionali, ha avuto un forte rilancio produttivo anche grazie al diffondersi del consumo di cibi surgelati.
La bilancia commerciale svedese è in netto attivo. Le principali voci dell’esportazione sono macchinari, apparecchiature elettriche ed elettroniche, carta, legname, acciaio. Sulle importazioni pesano in modo consistente petrolio e derivati. I principali partner commerciali sono, oltre agli altri paesi della Fennoscandia, la Germania, la Gran Bretagna, i Paesi Bassi e gli Stati Uniti.
Fra le attività terziarie, merita un cenno il turismo, che però è più attivo che ricettivo: una tradizionale corrente in uscita si dirige infatti, ogni anno, nei paesi mediterranei.
La Svezia ha sviluppato, specialmente nelle aree centro-meridionali, una fitta rete stradale (425.300 km nel 2009, di cui asfaltati 139.300), e ferroviaria (11.633 km); ma è importante anche la navigazione interna sui laghi, molti dei quali sono collegati fra loro mediante canali. Un grandioso ponte sull’Øresund, tra l’area metropolitana di Copenaghen e quella di Malmö, è stato inaugurato nel 2000, fornendo all’agglomerazione internazionale affacciata su quello stretto un collegamento stabile, prima assicurato solo da frequenti traghetti. La marina mercantile, un tempo prestigiosa in ambito mondiale, vede continuamente assottigliarsi la flotta (ridotta attualmente a ca. 195 unità). Sempre viva è comunque la navigazione internazionale, con una dozzina di porti che servono il commercio estero. I principali sono Göteborg, Luleå, Stoccolma, Malmö, Helsingborg. Aeroporti internazionali ad Arlanda (Stoccolma) e a Landvetter (Göteborg).
Della Svezia è fatta già menzione dagli autori latini: Tacito ricorda le stirpi degli Svioni (Suiones), più tardi Giordane e Procopio nominano altre genti di quella terra: gli Svioni (Svear) nella provincia di Uppsala; i Gauti a sud del Lago Vänern; gli Skridfinni nella Svezia settentrionale. Popolata da diverse stirpi nel periodo delle migrazioni germaniche e suddivisa in vari piccoli regni indipendenti, la Svezia acquistò una certa unità nei secoli successivi, allorché i re degli Svear estesero a poco a poco il loro dominio su tutta la Svezia, sulle rive del Mar Baltico e sulle isole baltiche. A tale opera di unificazione contribuirono fattori di carattere religioso ed economico. A Uppsala vi era infatti un grande tempio pagano e su un’isola del Lago Mälaren era sorta la città di Birka, importante centro di transito commerciale verso l’odierna Russia e l’Oriente arabo. Questa fioritura commerciale decadde intorno al 1000, con la fine delle spedizioni vichinghe. Legami sempre più intensi furono quindi stretti con l’Europa, e il cristianesimo cominciò a diffondersi nel paese, dove si affermò definitivamente soltanto nel 1089, trionfando su un estremo tentativo di reazione pagana.
Nel 12° sec. il potere dei re, già di per sé molto disorganico per l’estesa autonomia delle assemblee popolari (ting) delle singole province, si ridusse ancora di più per le continue lotte tra i pretendenti alla successione al trono: dalla metà del 12° sec. si contesero infatti la corona i discendenti del re Sverker e quelli di Erik IX il Santo. Tale stato di cose conferì una posizione sempre più importante alla dignità dello jarl, che, da comandante della flotta quale era in origine, assunse prerogative sempre più estese fino a diventare il vero e proprio responsabile della politica del regno. In massima parte gli jarl appartennero alla famiglia dei cosiddetti Folkungar e l’esercizio del potere regio rese loro facile la personale ascesa sul trono nel 1250 con Valdemaro (1250-75), il cui padre, Birger jarl, resse effettivamente il governo fino alla morte (1266).
La dinastia dei Folkungar conservò la corona per un secolo. Valdemaro fu deposto dal proprio fratello, Magnus Ladulås (1275-90), che, appoggiandosi alla Chiesa da lui dotata di molti privilegi, lottò accanitamente contro gli aristocratici, ai quali peraltro conferì una più attiva partecipazione all’azione di governo mediante herredag (assemblee aristocratiche) e l’istituzione del Consiglio del regno. Morto Magnus, essendo ancora minorenne il figlio Birger, il governo fu retto da uno dei nobili, Torgils Knutsson. Gli aristocratici, nuovamente influenti, si fecero fautori di una politica di espansione territoriale, soprattutto verso la Finlandia. Giunto alla maggiore età Birger, Torgils Knutsson non volle cedere il potere e fu perciò rovesciato da una congiura, ordita nel 1305 dai fratelli del re legittimo, che successivamente esclusero dalla successione anche Birger. I due fratelli, Erik e Valdemaro, si spartirono il paese, ma nel 1317 Birger riprese il sopravvento. I fautori dei due fratelli, ribellatisi, costrinsero Birger a lasciare la Svezia e il figlio minore del duca Erik, Magnus Eriksson, fu eletto re nel 1319. La sua politica antiaristocratica gli alienò le simpatie di coloro che l’avevano eletto. Una prima ribellione di suo figlio, Erik Magnusson, portò allo smembramento del regno in due parti, e successivamente, morto Erik, alla chiamata di Alberto di Meclemburgo, proclamato re nel 1363.
In seguito alla rottura dei rapporti tra Alberto e l’aristocrazia, i nobili si rivolsero a Margherita, reggente della Danimarca e della Norvegia, vedova di re Haakon VI, figlio minore di Magnus Eriksson. Costei, vittoriosa in battaglia a Falköping (1389), divenne signora della Svezia e riunì nell’unione di Kalmar i tre regni nordici, dei quali Erik VII di Pomerania, nipote di Margherita, fu eletto re. L’unione, fin dall’inizio, non riuscì di particolare gradimento agli Svedesi, perché Erik di Pomerania, in continua guerra contro le città anseatiche e i principi della Germania settentrionale, opprimeva fiscalmente ed economicamente il regno. L’interesse personale del sovrano era incompatibile con quello degli Svedesi i quali, nel 1434, sotto la guida di Engelbrekt Engelbrektsson, si ribellarono. Nel 1435 Engelbrekt convocò il primo Riks;dag, sorta di assemblea nazionale nella quale erano rappresentati i vari ordini della società svedese, e che lo proclamò reggente. Dopo l’assassinio di Engelbrekt (1436), la rivolta si esaurì e si trasformò da movimento popolare in lotta delle aristocrazie svedese e danese contro Erik.
Il partito dell’unione ebbe ancora il sopravvento quando, detronizzato Erik, Cristoforo di Baviera fu eletto re in tutti e tre i paesi nordici (1440). Alla sua morte (1448) divenne re di Svezia il capo del partito contrario all’unione, Carlo Knutsson, che dovette sostenere lunghe lotte con i fautori aristocratici dell’unione. Nel 1457, questi lo cacciatorono dal trono ed elessero re Cristiano I di Danimarca. L’unione fu però di breve durata. Sorsero dissapori tra gli aristocratici e il nuovo re e Knutsson ne approfittò per ritornare al potere. Alla sua morte (1470), Cristiano I tentò di riprendere la corona, ma i suoi sforzi riuscirono vani a causa della dura sconfitta subita presso Brunkeberg (1471) da parte degli Svedesi condotti da Sten Sture il Vecchio, reggente del regno fino al 1503, con un’interruzione dal 1497 al 1501, quando Giovanni, re di Danimarca e successore di Cristiano I, ebbe la corona svedese, illudendosi di essere riuscito a ricostituire l’Unione.
Neppure la morte di Sten Sture favorì il ritorno di Giovanni, perché il Riksdag procedette subito all’elezione di un nuovo reggente nella persona di Svante Nilsson (1503-12) e, successivamente, di Sten Sture il Giovane (1512-20). Tra quest’ultimo e l’arcivescovo Gustav Trolle, schierato come gran parte del clero locale dalla parte dell’unione e dei Danesi, scoppiò un durissimo conflitto. La lotta si concluse con la sconfitta e la morte di Sten Sture nel 1520. Cristiano II di Danimarca, conquistata Stoccolma, celebrò la sua vittoria mandando a morte più di 80 persone, che avevano avversato l’arcivescovo (il «bagno di sangue» di Stoccolma, Stockholms blodbad).
Nello stesso 1520 Gustavo Eriksson Vasa diede inizio a una rivolta contro i Danesi; il movimento si propagò celermente in tutta la Svezia: eletto re dal Riksdag il 7 giugno 1523, Gustavo Vasa (passato alla storia con il nome di Gustavo I) conquistò con l’aiuto di Lubecca la capitale e cacciò i Danesi dal paese. La guerra per l’indipendenza aveva ridotto la Svezia in condizioni disastrose e Gustavo diede l’avvio a un ampio programma di risanamento finanziario. Negli anni successivi si preoccupò di adottare misure atte a impedire, alla sua morte, lo smembramento del regno tra i figli: raggiunse lo scopo con la proclamazione della monarchia ereditaria, secondo il diritto di primogenitura, nel Riksdag di Västerås nel 1544 e con il giuramento di fedeltà da parte degli ordini al principe ereditario Erik nel giugno 1560, pochi mesi prima della morte.
Il nuovo sovrano, Erik XIV, nel 1561 estese la sovranità svedese su Reval e su parte dell’Estonia; in seguito, per motivi commerciali, scoppiò una guerra con la Polonia, la Danimarca e Lubecca (guerra nordica dei Sette anni, 1562-70), durante la quale il re diede segni sempre più evidenti di squilibrio mentale. Nel 1568 i fratelli Giovanni e Carlo, postisi a capo di un movimento di rivolta, rovesciarono il sovrano. L’ascesa al trono di Giovanni (Giovanni III) favorì la fine della guerra nordica dei Sette anni, essendo sua moglie Caterina Iagellone sorella di Sigismondo II re di Polonia. Un aspro conflitto confessionale scoppiò dopo la morte di Giovanni, con la successione al trono, nel 1592, del figlio Sigismondo, educato nella religione cattolica e re di Polonia fin dal 1587. Lo zio di Sigismondo, il duca Carlo, fervente protestante, approfittò subito della lontananza del nuovo sovrano per convocare nel 1593 un concilio a Uppsala, in cui fu abrogata la liturgia filocattolica fatta adottare nel 1576 da Giovanni III e fu riconosciuta la confessione augustana. Sigismondo promise di rispettare tale mutamento, ma la sua pretesa di voler governare la Svezia da Varsavia attraverso luogotenenti facilitò i piani di Carlo, che nel Riksdag di Söderköping (1595) si fece eleggere reggente. Scoppiata la guerra tra zio e nipote, quest’ultimo ebbe la peggio e fu dichiarato decaduto dal trono (1599). Nel Riksdag di Norrköping (1604) Carlo fu eletto re; alla sua morte nel 1611, lasciò in eredità al proprio figlio e successore Gustavo II Adolfo un regno in condizioni assai critiche, in guerra con la Polonia e, dal 1611, anche con la Danimarca.
Gustavo Adolfo concluse nel 1613, con non lievi sacrifici economici, la pace con la Danimarca, quindi mosse guerra alla Polonia, occupò la Livonia e si insediò stabilmente nella Prussia orientale (fig. 2). Con l’armistizio di Altmark (1629) creò le premesse per assicurare alla Svezia l’egemonia sul Mar Baltico. Il conflitto svedese-polacco fu tuttavia solo una fase della lotta tra il cattolicesimo e il protestantesimo, che allora divampava nell’Europa centrale. La partecipazione della Svezia alla guerra dei Trent’anni divenne inevitabile dopo la vittoriosa campagna della Lega cattolica e degli Imperiali contro la Danimarca. Sbarcato nel 1630 in Pomerania, Gustavo II Adolfo penetrò in Germania, assunse la direzione del protestantesimo tedesco e ottenne la vittoria nella battaglia di Breitenfeld (1631) e in quella di Lützen (1632), nella quale trovò però la morte; i frutti della sua azione militare e politica furono innegabili. L’aristocrazia cessò di essere una classe nello Stato, spesso in opposizione al monarca, per costituire invece l’intelaiatura fondamentale della pubblica amministrazione. Il Consiglio di Stato divenne un organo permanente, composto di esperti funzionari, con sede a Stoccolma. L’importanza di queste riforme interne apparve subito evidente alla morte di Gustavo II Adolfo, quando Axel Oxenstierna, cancelliere del regno e capo della reggenza, riuscì a mantenere intatto e a rafforzare il prestigio politico della Svezia, priva di un re maggiorenne. Durante la minorità della regina Cristina la guerra continuò in Germania, e nel 1645 (pace di Bromsebro con la Danimarca) e nel 1648 (pace di Vestfalia) il peso politico della Svezia negli affari europei venne definitivamente sanzionato.
Cristina, convertitasi al cattolicesimo, abdicò nel 1654 in favore del cugino Carlo X Gustavo, le cui doti militari rifulsero particolarmente in nuove guerre contro la Polonia e la Danimarca. Per merito suo la Scania, fino allora danese, divenne parte integrante della Svezia con la pace di Roskilde (1658). Dopo la sua morte prematura (1660), una nuova reggenza dovette concludere nuovi accordi con la Danimarca, che il sovrano aveva aggredito, poco prima della morte, con risultati parzialmente negativi: alcuni acquisti territoriali della pace di Roskilde (Bornholm e parte della Norvegia) dovettero essere restituiti alla Danimarca. La Scania tuttavia rimase svedese, né la Danimarca poté recuperarla con una nuova guerra (1676-79).
Carlo XI, raggiunta la maggiore età nel 1672, assunse il governo in una situazione poco piacevole per il pessimo stato delle finanze; mancando di denaro e crediti sufficienti, la corona era stata infatti costretta, nel corso del 17° sec., a cedere la maggior parte delle terre demaniali e dei suoi beni ai nobili, che di conseguenza avevano visto crescere il loro potere politico a scapito di quello del re. Carlo XI ricorse a riforme radicali, che migliorarono la situazione finanziaria e riattribuirono alla monarchia un potere quasi assoluto: la cosiddetta riduzione dei beni decisa dal Riksdag (1680) costrinse la nobiltà a restituire alla corona tutti i beni ottenuti durante il 17° sec. per donazione o acquisto.
Nel 1700, la comune opposizione di Russia, Danimarca, Sassonia e Polonia alla supremazia svedese nel Baltico portò allo scoppio della seconda guerra del Nord, nella quale il figlio di Carlo XI, Carlo XII, fu impegnato per quasi tutta la durata del suo regno (1697-1718). Dopo alterne vicende, la guerra volse nettamente a sfavore della Svezia: essa dovette infatti subire forti perdite territoriali, sanzionate dai trattati di Stoccolma (1720) con Danimarca, Sassonia, Brandeburgo e Hannover (questi ultimi due entrati nella coalizione antisvedese nel 1714) e da quello di Nystad con la Russia (1721), che segnarono il definitivo declino della preponderanza svedese nel Baltico.
La lunga guerra e la sconfitta comportarono anche la fine dell’assolutismo reale. Nel 1719 il Riksdag rifiutò di riconoscere la sorella di Carlo XII, Ulrica Eleonora, come monarca per diritto ereditario, eleggendola regina solo dietro promessa che essa avrebbe regnato secondo una costituzione approvata dal Riksdag stesso. Nel 1720 Ulrica Eleonora abdicò in favore del marito Federico d’Assia, sotto il cui regno (1720-51) la Svezia si dotò di una forma di governo rigidamente parlamentare: le leggi costituzionali del 1720-23 privarono in pratica il sovrano di ogni potere, a beneficio del Riksdag. Per circa un ventennio la vita politica fu dominata da A. Horn, presidente della cancelleria, che si adoperò per la ripresa economica del paese, conducendo una politica estera prudente, soprattutto nei confronti della Russia. Incontrata una crescente opposizione da parte del partito dei cosiddetti hattar («cappelli»), che si organizzò a partire dal 1730 invocando una politica estera più decisa verso la Russia e un più rigido mercantilismo, Horn dovette dimettersi (1738); gli hattar giunsero al potere e nel 1741 dichiararono guerra alla Russia. Pur sconfitta, con la pace del 1743 la Svezia subì solo limitate cessioni territoriali in Finlandia, poiché l’anno precedente il Riksdag aveva accettato di eleggere come successore al trono Adolfo Federico di Holstein-Gottorp, favorito dell’imperatrice di Russia, Elisabetta.
Mantenutisi al governo anche dopo l’ascesa al trono di Adolfo Federico (1750-71), gli hattar strinsero un’alleanza con la Francia, conducendo la Svezia nella dispendiosa guerra dei Sette anni contro la Prussia (1757-62) e trascinando il paese al collasso finanziario. Se ne avvantaggiò il partito avversario dei cosiddetti mössor («berretti»), che nel 1765 riuscì a prevalere. A causa dell’aggravarsi della crisi economica, nel 1769 i mössor dovettero però cedere di nuovo il governo agli hattar. La lotta tra i due partiti aveva ridotto la Svezia a oggetto della politica europea; le due fazioni rappresentavano infatti nel paese i contrastanti interessi delle potenze europee (i mössor quelli della Russia, della Gran Bretagna e della Danimarca, gli hattar quelli della Francia) dalle quali erano sovvenzionate.
Nel 1772 il nuovo re, Gustavo III, riuscì a imporre una nuova Costituzione, che riaffermava l’autorità del sovrano rispetto al Riksdag; immancabile fu il formarsi di un’opposizione contro questa forma di autocrazia. Gustavo III credette di poter allontanare il malcontento mediante una vittoriosa guerra contro la Russia, ma molti ufficiali svedesi preferirono far causa comune con il nemico contro il proprio sovrano. Per venire a capo dell’opposizione, in massima parte formata dai nobili, il re si appoggiò agli altri ordini del Riksdag e nel 1790 riuscì a concludere con la Russia una pace che ristabilì lo statu quo. Due anni dopo Gustavo III cadde vittima di una congiura di nobili; il figlio, Gustavo IV Adolfo, divenuto re al raggiungimento della maggiore età (1800), si fece promotore di una grande riforma agraria. Meno fortunata fu la sua politica estera, che sfociò in una nuova guerra con la Russia, conclusasi con una sconfitta (1808).
Ispirato dall’esercito, che sperava di ottenere dalla Russia condizioni di pace più clementi, il Riksdag detronizzò il monarca, eleggendo al suo posto lo zio, Carlo XIII (1809), e nominando principe ereditario il maresciallo francese J.B. Bernadotte (1810). Nel 1809 fu anche promulgata una nuova Costituzione, basata su una rigida separazione dei poteri. Il rivolgimento interno non alleviò tuttavia le condizioni di pace poste dalla Russia: la Finlandia divenne un granducato autonomo, soggetto alla sovranità dello zar. Il principe ereditario, assunto il nome di Carlo Giovanni, divenne ben presto il vero artefice della politica svedese; alla ricerca di un compenso per la perdita della Finlandia, promosse l’adesione del paese alla coalizione antinapoleonica, con l’assicurazione dell’acquisto della Norvegia. Quest’ultima, riconosciuta regno indipendente, nel 1814 costituì un’unione con la Svezia, dopo formale atto di cessione da parte della Danimarca, che vi aveva esercitato fino ad allora la propria sovranità. Carlo Giovanni ascese al trono con il nome di Carlo XIV nel 1818 e il suo tranquillo regno durò sino al 1844.
Avanzate riforme liberali in politica interna e in economia furono introdotte da Oscar I (1844-59), che allentò i legami con la Russia e puntò ad assorbire nell’unione svedese-norvegese la Danimarca. Stesso disegno fu coltivato da Carlo XV (1859-72). Sotto il regno di Oscar II (1872-1907) fu abolita l’imposta fondiaria e si pose mano alla riforma dell’esercito. Dal punto di vista delle condizioni economiche, la fine del 19° sec. costituì per la Svezia un periodo di forte espansione, ma nelle campagne la crescita demografica verificatasi nel corso dell’Ottocento contribuì a creare un numeroso proletariato agricolo, cui non rimase altra risorsa che l’emigrazione in America. Alla crisi delle campagne il governo reagì con l’adozione di misure protezionistiche, mentre tra i contadini si diffondeva il movimento cooperativo, che contribuì, insieme ai sindacati operai, alla nascita del partito socialdemocratico (1889). Nei primissimi anni del 20° sec. si ebbero anche l’unione elettorale delle forze liberali (1900) e quella delle forze conservatrici (1904).
Nel 1905 fu sancita l’indipendenza della Norvegia. Durante il regno di Gustavo V (1907-50) la crisi della Prima guerra mondiale raggiunse solo di riflesso il paese, rimasto neutrale. Al potere con il sostegno dei socialdemocratici (1920-26), quindi dei conservatori (1926-32), i liberali non poterono impedire il crollo delle esportazioni e l’aumento della disoccupazione conseguenti alla crisi del 1930; dopo le elezioni del 1932 il governo fu pertanto assunto dal partito socialdemocratico. Neutrale anche nella Seconda guerra mondiale, dopo la conquista tedesca di Norvegia e Danimarca la Svezia dovette concedere il diritto di transito alle truppe del Reich dirette in Norvegia. Nel 1946 la guida del partito e del governo fu assunta da T.F. Erlander, che proseguì l’opera di consolidamento dello Stato sociale; dopo essere entrata nell’ONU (1946), nell’OECE (1948) e nel Consiglio d’Europa (1949), la Svezia non aderì alla NATO.
Negli ultimi anni di regno di Gustavo VI Adolfo (1950-73) e nei primi di Carlo XVI Gustavo furono realizzate importanti riforme: nel 1970 il Riksdag fu trasformato in un’assemblea unicamerale; nel 1975 entrò in vigore una nuova Costituzione; infine nel 1979 fu permessa la successione al trono in linea femminile. Guidato dal 1969 da S.O. Palme, il governo socialdemocratico dovette fronteggiare un crescente malcontento per l’elevato livello della tassazione e la crescita di inflazione e disoccupazione; il declino elettorale culminò nella sconfitta nelle elezioni del 1976. Dopo due coalizioni di governo guidate rispettivamente dal centrista T. Fälldin (1976-78; 1979-82) e dal liberale O. Ullsten (1978-79), le persistenti difficoltà economiche e la scarsa coesione delle forze della maggioranza favorirono il ritorno al potere dei socialdemocratici, vittoriosi nelle elezioni del 1982, 1985 e 1988; sostenuto esternamente dai comunisti, un nuovo governo Palme riuscì a contenere l’inflazione e a favorire una certa ripresa economica, senza trascurare la politica di sviluppo dei pubblici servizi e di lotta alla disoccupazione.
Ucciso in un attentato di oscura matrice nel 1986, Palme fu sostituito dal vicepremier I. Carlsson, che impresse una svolta moderata alla tradizionale politica del suo partito, introducendo misure per ridurre la spesa pubblica e l’intervento statale in economia. Le elezioni del 1991 videro però l’affermazione di una coalizione a guida conservatrice. Il governo, presieduto da C. Bildt, procedette alla privatizzazione delle imprese statali, alla riduzione del prelievo fiscale e a una serie di tagli alle spese sociali, senza tuttavia riuscire a migliorare le condizioni economiche del paese. Nel 1994 Carlsson costituì un esecutivo di minoranza, sostenendo una politica di austerità economica. Sul piano dei rapporti internazionali, nel 1996 la S. entrò a far parte dell’Unione Europea, ma non dell’Unione economica europea.
L’operato del nuovo premier G. Persson, che nel 1996 aveva sostituito Carlsson, mirava essenzialmente al risanamento del bilancio attraverso una linea di austerità. Nonostante l’indubbia efficacia, la strategia adottata da Persson implicava un progressivo ridimensionamento del welfare svedese che metteva in discussione un modello sociale fino ad allora apparso inattaccabile, trovando nell’opinione pubblica del paese una forte opposizione. Nel 1998, i socialdemocratici subirono il peggior risultato elettorale in 70 anni circa ma riuscirono comunque a formare un governo di coalizione con i Verdi e il Partito della sinistra, sempre sotto la guida di Persson. Sul piano economico, la favorevole congiuntura consentì al governo di adottare, tra il 1999 e il 2000, una politica di tagli alle imposte sul reddito accompagnati da un incremento delle spese nella sanità, nell’educazione e nei servizi sociali.
Il dibattito sulla riforma e su un ripensamento del welfare State è rimasto al centro della vita politica anche nei primi anni del 21° sec., finché le elezioni del 2006 hanno fatto registrare il successo della coalizione di centro-destra, guidata da F. Reinfeldt, confermato nel settembre 2010, mentre alle consultazioni politiche tenutesi nel settembre 2014 la coalizione di centrosinistra guidata da S. Löfven ha ottenuto il 43,7% dei consensi contro il 39,3% delle preferenze riportato dai partiti di centrodestra guidati dal premier uscente Reinfeldt; raddoppiati i voti aggiudicatisi dall'estrema destra dei Democratici svedesi (SD, 12,9%), che alle elezioni del settembre 2018 ha evidenziato un ulteriore avanzamento (17,6% dei suffragi, 5% circa rispetto al 2014), mentre il blocco di sinistra ha ricevuto il 40,6% dei voti (con i socialdemocratici che, pur rimanendo il primo partito del Paese, hanno ottenuto il peggior risultato di sempre), e l’alleanza di destra il 40,3%, ciò che segnala una profonda lacerazione nel tessuto sociale svedese e una situazione politica di difficile governabilità. Il mese successivo il Parlamento ha approvato una mozione di sfiducia contro il premier Löfven, che nel gennaio 2019 ha ottenuto un nuovo mandato, alla guida di un governo di minoranza formato da socialdemocratici e verdi; gli elettori hanno confermato la fiducia all'esecutivo alle consultazioni europee svoltesi nel maggio successivo, alle quali i socialdemocratici del premier hanno ottenuto il 23,6% dei voti, precedendo i conservatori (16,8%), mentre l'estrema destra si è attestata come terza forza politica del Paese (15,4%) e i Verdi hanno registrato un decremento dei consensi (11,4%, contro il 15,4% del 2014). Nel giugno 2021 l'esecutivo guidato dal premier Löfven, a capo di una coalizione di minoranza tra verdi e socialdemocratici, è stato sconfitto in un voto di fiducia a seguito di una mozione presentata dall'estrema destra, che ha raccolto anche le adesioni di conservatori moderati e cristianodemocratici. Dimessosi nel novembre successivo, nello stesso mese gli è subentrata nella carica M. Andersson, che - avendo perso il sostegno dei Verdi in una votazione sulla legge di bilancio – ha rinunciato all'incarico poche ore dopo, essendovi riconfermata da una nuova nomina del Parlamento. Nel maggio 2022, in un contesto geopolitico mondiale strutturalmente destabilizzato dal conflitto esploso a seguito dell'invasione russa dell'Ucraina, la Svezia ha presentato richiesta formale di adesione alla NATO, in merito alla quale il mese successivo la Turchia - dopo aver siglato un memorandum di intesa sulle esportazioni di armi e la lotta al terrorismo - ha ritirato il veto posto all'ingresso di Svezia e Finlandia, inoltrando nell'ottobre 2023 la richiesta di approvare l'ingresso del Paese nell'Alleanza. Le elezioni parlamentari tenutesi nel settembre 2022 hanno registrato la vittoria della coalizione di centrodestra, che ha ottenuto il 49,6% dei voti contro il 48,9% aggiudicatosi dallo schieramento delle sinistre formato anche dai socialdemocratici della prima ministra Andersson, che ha rassegnato le dimissioni subentrandole nella carica U.H. Kristersson.
Presidenza del Consiglio dell'Unione Europea dal 1° gennaio al 30 giugno 2023.
Lo svedese è parlato da circa 9 milioni di individui in S. e inoltre in Finlandia, nei paesi baltici e da numerosi emigrati, soprattutto nell’America Settentrionale. Appartiene al gruppo nordico delle lingue germaniche e comprende 5 sistemi dialettali: norlandese, dello Svearike, del Gotarike, svedese meridionale e gotlandese; quest’ultimo è documentato sin dal 10° sec. con iscrizioni e quindi da manoscritti, e si differenzia notevolmente dagli altri 4 gruppi.
Nella storia della lingua svedese si distinguono 4 periodi: il periodo arcaico, documentato soltanto da iscrizioni runiche (9°-13° sec.); il periodo classico, con i primi manoscritti (13°-14° sec.); lo svedese medio (fino al 1525) e il moderno, in cui la lingua letteraria, costituitasi attraverso tre secoli di elaborazione, raggiunge una disciplina e un equilibrio nuovi nelle opere di Olaus Petri (Olof Petersson) e soprattutto nella versione del Nuovo Testamento (1526). Nei due secoli successivi lo svedese presenta una notevole evoluzione, specialmente per la perdita dell’antico sistema flessionale, compiutasi verso il 1700, e l’arricchimento del lessico, provocato dalle nuove necessità culturali. La lingua letteraria (rikssprak), sebbene negli ultimi secoli si sia notevolmente accostata ai dialetti, è tuttavia ancora molto lontana da essi; tra i dialetti e la lingua letteraria occupa una posizione intermedia la lingua parlata dalle persone colte (rikstalsprak), il cui uso tuttavia si va sempre più riducendo.
Se si prescinde dalle testimonianze storiche, epigrafiche e archeologiche, che rendono verosimile la conoscenza da parte degli Svedesi del ricco patrimonio poetico, giuridico e narrativo fiorito in età precristiana nella vasta area norrena, non si può parlare di una letteratura svedese se non dopo la conversione al cristianesimo, quando cioè il paese viene incorporato nella civiltà occidentale, e anche allora soltanto sulla base di documenti non essenzialmente letterari. Infatti le antiche tradizioni del diritto consuetudinario, in parte non ancora influenzate dal diritto romano e canonico, trascritte da giuristi, spesso su iniziativa regia, in un corpus di leggi provinciali (lo Stato svedese fu fino al 1523 un’unione di province) possono essere considerate i primi documenti in volgare della letteratura svedese. Di queste, la più arcaica redazione dell’antica legge del Västergötland (Västgötalagen), conservata in un manoscritto del 1280 circa, è notevole anche dal punto di vista linguistico-letterario. Valore letterario inferiore, al paragone, dimostrano le anonime cronache rimate (Erikskrönikan «Cronaca di Erik», Karlskrönikan «Cronaca di Karl», Lilla rimkrönikan «Cronaca minore in rima»), pallido e rozzo riflesso del romanzo cavalleresco. Predomina ovviamente la letteratura religiosa in latino, a carattere europeo prima che svedese (parafrasi dei testi sacri, vite dei santi, narrazioni dei miracoli ecc.).
Nel 13° sec. il Capitolo di Uppsala fondò a Parigi un proprio Collegium studentesco, dove per vari anni soggiornò un Brynolf Algotsson innografo e compositore di uffici latini e dove, insieme a Sigieri di Brabante, insegnò l’averroista svedese Boezio di Dacia. Qui studiò, sotto la guida di s. Tommaso d’Aquino, Pietro di Dacia, autore di una Vita benedictae virginis Christi Christinae dedicata a un’umile beghina renana con la quale, fino alla morte, intrattenne un epistolario improntato alla neoplatonizzante mistica di s. Bernardo. Nel quadro del tardo Medioevo emerge fra tutti la figura dell’aristocratica santa Brigida di Svezia. Il monastero di Vadstena, da lei fondato, fu un centro di cultura dove, fra l’altro, s’iniziò la prima traduzione della Vulgata e di molti mistici stranieri: da Bernardo di Chiaravalle a Tommaso da Kempis, da Enrico Suso a Matilde di Magdeburgo.
La parte più viva della poesia profana medievale si trova nelle anonime ballate epico-liriche, nate in cerchie aristocratiche e poi diffuse tra il popolo per essere solo più tardi (a partire dal Cinquecento) trascritte e finalmente valorizzate dal gusto medievalizzante dei romantici. La Riforma protestante, introdotta per motivi sostanzialmente politici da Gustavo I Vasa, soffocò il fermento dell’Umanesimo e del Rinascimento italiani in diatribe teologiche, contaminate d’incipiente nazionalismo (massimi esponenti, nel sec. 16°, ne furono J. Magnus e O. Magnus, con le loro etnografiche e folcloristiche Historiae, e un secolo dopo O. Rudbeck, con la celebre Atland eller Manheim «Atlantide patria dell’uomo», che identifica la S. con la platonica Atlantide), finendo con l’instaurare la più rigida ortodossia e gerarchia ecclesiastica. È da M. Lutero e da Erasmo da Rotterdam che partono gli impulsi innovatori, sia nel campo religioso sia nel campo filologico, recepiti soprattutto da Olaus Petri, che ebbe parte preminente nella traduzione svedese della Bibbia (1541) di Gustavo I Vasa. La Riforma abbassò ovunque il livello della cultura e non solo distrusse biblioteche e chiese, scuole e conventi, ma nel giro di pochi decenni, malgrado la resistenza di uomini come Olaus Petri, sottomise completamente la Chiesa allo Stato.
Il Seicento è insieme l’età dell’espansione politica della S. (che divenne una delle grandi potenze d’Europa) e dello sviluppo dell’erudizione e degli studi, favoriti dall’uso della stampa. Le biblioteche d’Europa forniscono ai vincitori della guerra dei Trent’anni tesori librari. La figlia di Gustavo II Adolfo, Cristina, mossa da intelligente mecenatismo, si circonda dei più eminenti dotti del tempo, da R. Cartesio a U. Grozio. Anche se la conoscenza del pensiero rinascimentale italiano passa per la Germania, l’Olanda, la Francia, se ne avverte comunque l’influsso in scrittori come G. Stiernhielm, G.E. Dahlstierna, nei trasgressivi L. Wivallius e L. Lucidor, mentre pietismo e razionalismo, entrambi eredi della Riforma, affermano contro il principio d’autorità i diritti del sentimento e della ragione. Da una parte la salmistica luterana con H. Spegel e J. Frese (entrambi 17°-18° sec.) rispecchia il fervore mistico e l’aspro volontarismo della Chiesa riformata, dall’altra scienziati-scrittori come E. Swedenborg e C. Linneo riescono a conciliare esigenze sentimentali e razionali: il primo nello scolastico latino delle sue visioni ultraterrene, il secondo nella vivace e minuziosa prosa svedese dei suoi ‘viaggi’.
Nel 18° sec., partecipi di entrambe le correnti sono, con il trionfo del classicismo e dell’Illuminismo in arte e in filosofia, il letterato-giornalista O. von Dalin, che s’ispira al Tatler e allo Spectator inglesi per il suo moralistico periodico Der svenska Argus («L’Argo svedese», 1732-34), non meno del winckelmanniano C.A. Ehrenswärd, o di poeti come H.C. Nordenflycht, G.F. Gyllenborg, G.P. Creutz e soprattutto C.M. Bellman, ditirambico cantore dell’ebbrezza e dell’eros in componimenti di grande virtuosismo metrico-musicale che trovano, sul piano narrativo, un parallelo nella scoppiettante prosa del prete di bordo J. Wallenberg, diarista di un viaggio nelle Indie olandesi (Mi son pä galejan «Mio figlio sulla galea», 1781). Nel 1786 Gustavo III fonda, sul modello francese, l’Accademia di Svezia. Scrive egli stesso e, inoltre, promuove nella cerchia dei suoi collaboratori un’intensa attività letteraria, con risultati artisticamente assai mediocri. Si avverte anche in S., nella seconda metà del secolo, sempre più chiara l’esigenza del sentimento: su Voltaire prevale il pathos di J.-J. Rousseau. Perfino J.K. Kellgren, già avversario di T. Thorild (primo rappresentante dello Sturm und Drang svedese) e fondatore del periodico illuminista Stockolms;posten (1778-95), si mostra sensibile alle aure preromantiche, e insieme a lui molti gustaviani quali A.M. Lenngren, C.G. Leopold, F.M. Franzén.
Fu però la riscoperta della Germania letteraria (intermediario il naturalista norvegese H. Steffens) a determinare una svolta storica. La lettura di Rousseau, Ossian, W. Shakespeare (per lo più in tedesco), di J.G. Fichte, F. Schelling, F. Schleiermacher e di L. Tieck, dei fratelli Schlegel e Grimm è il fermento ideale che pervade la nuova cultura, promuovendone gli sviluppi in sede estetica, filologica, storica, religiosa: E. Tegnér nel ciclo di romanze della Fritiofs saga («Saga di Fritjof», 1825) offre un’immagine dell’eroismo nordico pervasa a un tempo di cristianesimo e di platonismo; E.G. Geijer riecheggia nella sua opera lirica e storica idee fichtiane e schellinghiane; P.D.A. Atterbom con la fiaba drammatica Lycksalighetens ö («L’isola della felicità», 1824-27) si propone di esprimere l’essenza mistico-musicale profetica del Romanticismo; E.J. Stagnelius si rivela fratello ideale di Novalis degli inni alla notte per i temi speculativi della sua lirica.
A metà del 19° sec., la crisi romantico-idealista, più che in poeti quali B.E. Malmström, romanzieri quali S.M. von Knorring, F. Bremer, E. Flygare-Carlén, O.P. Sturzen-Becker, o uomini di teatro quali B. von Beskow, si precisa come crisi di costume oltre che storico-psicologica nella copiosissima eterogenea opera di C.J.L. Almquist, scrittore mistico-esoterico e collaboratore della stampa liberale, poeta ispirato a quietismo e satanismo a un tempo. In tutta questa generazione, la sensibilità di fondo rimane romantica, mentre le esigenze dei nuovi tempi si avvertono sempre più nette, anche se i singoli scrittori maturatisi in seno al liberalismo, come V. Rydberg e C.J.G. Snoilsky, o come J.L. Runeberg e S. Topelius, si rifiutano di trarre le estreme conseguenze dalla crisi dei valori tradizionali.
Negli anni 1880 il naturalismo, promosso in Danimarca da G. Brandes, divenne la moda letteraria dominante anche in S., ed ebbe il massimo rappresentante in J.A. Strindberg, cui s’ispirarono romanzieri come A.C. Lefflern, V. Benedictsson, e lirici come O. Hansson. Se negli anni 1890 lo stesso Strindberg abbandona i moduli naturalistici per avvicinarsi a nuove forme espressive, alla svolta del secolo il primo ad attaccare violentemente i principi naturalisti in nome del recupero dei valori estetici e morali appartenenti alla tradizione nazionale è V. von Heidenstam. Animati da analoga fiducia nella forza positiva dell’arte, poeti raffinati come G. Fröding e E.A. Karlfeldt traggono la linfa vitale della loro poesia dalla natura e dalla vita delle regioni natali, rispettivamente la Dalecarlia e il Värmland. Alle leggende e ai racconti popolari del Värmland deve il suo ritmo profondo e le sue risonanze mitiche la narrativa della scrittrice S. Lagerlöf, premio Nobel per la letteratura nel 1909. Stoccolma, che già appare nelle opere dello Strindberg naturalista, torna da protagonista nei romanzi di H. Söderberg, tipico rappresentante dell’incertezza di fine secolo che investe anche la Svezia. Il grigiore dell’esistenza appare nella poesia di B. Bergman, mentre è la vita della provincia a dominare la produzione narrativa e teatrale di H. Bergman, una delle figure più notevoli della letteratura svedese. Tra estetismo e classicismo si afferma ancora la vocazione poetica di V. Ekelund, nella quale culmina la tradizione della ‘Scuola poetica della Scania’, formatasi intorno a Hansson. Tendenza a una maggiore semplicità di stile mostra, fin dagli inizi della sua vasta e fortunata produzione, il poeta A. Österling, culturalmente e sentimentalmente legato all’Italia. La tradizione della canzone svedese nello stile di Bellman continua con B. Sjöberg, popolare autore delle Fridas visor («Canzoni di Frida», 1922), e con D. Andersson, rinnovandosi con N. Ferlin.
Anche nella neutrale Svezia la Prima guerra mondiale suscita crisi di valori e nascita di nuove aspettative, dovute anche al rinnovarsi e moltiplicarsi dei contatti con altri paesi europei. Il primo e più alto interprete del profondo disagio e dell’inquietudine della sua generazione è P. F. Lagerkvist, premio Nobel per la letteratura nel 1951, poeta, pensatore e drammaturgo la cui ansia metafisica si esprime ora in deformante violenza espressionista, ora in umanistica ricerca d’armonia, ora, infine, in rarefatte atmosfere ultraterrene. Tra i primi ad accogliere la lezione modernista della lirica di Lagerkvist, i poeti finlandesi di lingua svedese G. Björling, H. Diktonius, e in modo particolare E. Södergran. Il nuovo credo estetico s’impone definitivamente con la pubblicazione dell’antologia Fem unga («Cinque giovani», 1929), su iniziativa di A. Lundkvist, il quale proseguirà nell’aprire ai connazionali nuovi orizzonti letterari, con un particolare interesse per le culture americane. Tra i giovani che debuttano in Fem unga è l’autodidatta H. Martinson, mentre lo stesso clima incerto di fermenti e di ricerca è condiviso, pur con soluzioni personalissime, dal raffinato B. Malmberg, da H. Gullberg, K. Boye, K.R. Gierow.
Fenomeno letterario tipico degli anni 1930, ma con radici ventennali e conseguenze nei due decenni posteriori, è la nascita e l’affermazione di una cosiddetta letteratura proletaria a opera di scrittori quasi sempre autodidatti, provenienti dal proletariato urbano o rurale: il già citato Martinson, V. Moberg, E.E. Johnson, I. Lo-Johansson. La Seconda guerra mondiale è vissuta da molti, nella neutrale S., con un sentimento di colpa su cui s’innesta l’influenza dell’esistenzialismo di derivazione francese. Riuniti intorno a K.G. Vennberg e a E. Lindegren, i giovani autori si rifanno a modelli come T.S. Eliot, F. Kafka, J.-P. Sartre e A. Camus, confrontandosi con le inquietudini che attraversano tutta la civiltà occidentale. Incarnazione del mito degli anni 1940, S.H. Dagerman suggella con la sua tragica morte l’incapacità di contrastare l’assurdo dell’esistenza. Tra gli scrittori che debuttano in questi anni è anche L. Ahlin, che nella sua lunga carriera contribuisce al rinnovamento della narrativa svedese.
Difficile identificare una comunanza d’intenti o di stile nella ricca produzione degli anni 1950, in cui debuttano L. Forssell, poeta oltre che apprezzato drammaturgo, la cattolica B. Trotzig, i narratori F. Fridell, S. Arnér e A. Lindgren, scrittrice per l’infanzia e creatrice del fortunato personaggio di Pippi Langstrump («Pippi Calzelunghe»). La tradizione letteraria sopravvive in una linea poetica colta che rivendica la priorità dei valori estetici: è in questo periodo che si affermano la grande poesia di B.G. Ekelöf e la voce alta e rigorosa di T.G. Tranströmer.
Un tentativo di richiamo sociale, più radicalmente e politicamente orientato che in passato, allarga sul finire degli anni 1960 gli orizzonti dell’ordinata, soddisfatta e sonnolenta società svedese per dar voce a problematiche politiche e sociali geograficamente distanti: la guerra in Vietnam, la rivoluzione culturale in Cina, l’apartheid in Sudafrica sono osservati di persona da scrittori come S. Lidman, J. Myrdal, S. Lindqvist, che adottano il reportage come unica forma di letteratura accettabile da un punto di vista etico. Simbolo di questi anni è la poesia (1965) sulla guerra in Vietnam di G. Sönnevi.
La ripresa della narrativa, e in particolare del romanzo, è il vero segnale del rinnovamento della letteratura sul finire degli anni 1960. La rivendicazione dell’autonomia del testo letterario, la rielaborazione d’influenze internazionali sulla tecnica del racconto convergono intorno a un rinnovato, benché mai del tutto scomparso, interesse per la rivisitazione del passato, evocato con una nuova consapevolezza socio-politica. In questa linea si collocano S. Delblanc e K. Ekman (Häxringarna «Danza di streghe», 1974; Stad ai ljus «Città di luce», 1983). P.O. Enquist indaga sul passato sperimentando nuove tecniche narrative e drammatiche, mentre il recupero di tradizioni locali, pur con intenti ed esiti diversissimi, è centrale in G. Tunström e T. Lindgren. Il rinnovato gusto del narrare è evidente anche nelle biografie letterarie, moltiplicatesi negli anni 1980 fino a formare un fecondo e caratteristico filone, del quale ricorderemo, per tutti, il discusso August Strindberg (1979) di O. Lagerkrantz, vero maestro del genere anche in scritti a carattere autobiografico nei quali indaga sui meccanismi della creazione artistica. Non molto diversa l’operazione di I. Bergman, che dopo aver pubblicato come romanzo il soggetto del film Fanny och Alexander (1982), dedica una serie di volumi alla propria formazione artistica e all’impietosa rievocazione della storia familiare. Una critica aperta verso i metodi pedagogici dei genitori è anche Barndom («Infanzia», 1982) di J. Myrdal, figlio dei due campioni del socialismo svedese A. e K.G. Myrdal.
Il teatro, dopo un decennio di tentativi incentrati sulle rappresentazioni politiche e sulla sperimentazione, diventa luogo d’espressione di alcuni dei migliori talenti, come il citato Enquist, già noto per i suoi romanzi, e soprattutto L. Norén, che dopo un sofferto percorso poetico sceglie il teatro come ‘unico possibile modo di confronto’.
Dalla fine degli anni 1980 in poi si assiste, nella narrativa come nella lirica, spesso sperimentate alternativamente dai nuovi autori, all’esplosione di un’intensa e caotica attività. Spenta ogni ideologia, si passa dal relativismo alla negazione di qualsiasi realtà oggettiva. Le opere traggono la loro realtà unicamente dal testo, e se a volte l’attenzione alla scrittura esplora i limiti del virtuosismo, altre volte domina la volontà di fondere generi e stili, come accade a P. Nilsson, che attraversa i confini tra narrativa e divulgazione scientifica, o a P. Odensten nelle sue sperimentazioni visionarie, o a P. Kihlgård, abile manipolatore di miti. Una segnalazione meritano anche: U. Lundell, il ‘Kerouac svedese; K. Östegren; S. Larsson, attivo anche come poeta; M. Kandre, vera artista della parola e attenta interprete della psicologia infantile.
All’età del Bronzo risalgono grandi pitture rupestri stilizzate (provincia di Bolsan; dintorni di Norrköping).
Al periodo tardo delle migrazioni dei popoli e dei Vichinghi appartengono un gran numero di pietre figurate (provenienti dall’isola Got;land) e altre con rune e decorazioni a intreccio (specie nell’Uppland). L’oreficeria aveva allora raggiunto un alto grado, come dimostrano i ricchi tesori del 6°-11° sec. (di Vendel nell’Uppland, dell’isola di Got;land, dell’Östergötland). Nell’isola di Got;land dal 6° sec. in poi si ebbe un tipo di scultura consistente in stele con rilievi o incisioni, ravvivati dalla pittura, e iscrizioni: le cosiddette bildstenar o pietre figurate, diffuse in molti dei paesi raggiunti dai Vichinghi. Lo stesso stile, con figure di animali fortemente stilizzati in intrecci e spirali, si ritrova nella scultura lignea e negli oggetti metallici.
Con la conversione degli Svedesi al cristianesimo le antiche chiese di legno (stavkyrkor) sembrano sostituire gli antichi templi pagani, a pianta quadrata e ornamentazione zoomorfa. Restano pannelli dipinti delle primitive chiese lignee di Hemse ed Eke, nel Gotland (Museo storico di Stoccolma); le rovine delle chiese della città di Sigtuna (S. Per, S. Olov e S. Lar, 1060-1130) riecheggiano forme anglosassoni e del continente. Il maggiore edificio romanico è il duomo di Lund (1103, su un edificio fondato nel 1080 da re Canuto) a pianta basilicale con cripta, coro absidato e torri occidentali, con decorazione scultorea di maestranze comacine. La cattedrale di Lund, coperta con volte dopo il 1234, esercitò grande influenza ma molte sono anche le chiese a pianta centrale (S. Lars a Visby nel Gotland), che rivelano rapporti con l’architettura russo-bizantina.
Influenze gotiche giunsero in Svezia già verso la fine del 12° sec. (con i cistercensi: abbazia di Alvastra, nell’Östergötland, 1185 e chiesa di Varnhem, con volte a ogiva di tipo borgognone). Scarsa la presenza di uno stile gotico nazionale (sempre riscontrabili le diverse influenze dalla Borgogna, dalla Vestfalia, dalla Sassonia). Nel 13° sec. sorsero grandi costruzioni: duomo di Linköping; duomo di Uppsala, in laterizi, come le cattedrali gotiche di Strängnäs, di Västeräs, di Stoccolma. Del 1280-1311 è la chiesa francescana di Stoccolma. Nell’isola di Got;land fiorì un’architettura di carattere provinciale, con riflessi dell’architettura sassone e vestfalica; nelle chiese si conservano interessanti fonti battesimali (a Vänge, Etelhem, Stånga, Halle del maestro Hegvald) e sculture in legno (Madonna di Viklau, crocifissi di Väte e di Hemise, 1170-90; opere dei maestri di Tingstäde, di Hejnum e di Bunge, 13°-14° sec.). Il maggior cantiere della scultura tardo-gotica del sec. 14° è la cattedrale di Uppsala, dove lavora il locale Maestro Egipticus. La chiesa del convento di Vadstena (14° sec.) creò il modello delle chiese dell’ordine brigidino. Delle grandi cinte urbiche sussiste soltanto quella di Visby (14° sec.); quasi del tutto conservato è il castello di Kalmar (fine 13° sec., poi rimaneggiato e ampliato).
Nei sec. 15°-16° altari in legno e altre sculture furono importati dalla Germania settentrionale, da Anversa e da Bruxelles (S. Giorgio di B. Notke per la Storkyrkanm, chiesa grande di Stoccolma). Notevole scultore è A. van Düren di Vestfalia (dal 1487, opere nella cattedrale di Linköping), che fu anche architetto (castello di Glimmingehus, 1499-1507). Oltre a numerosi resti di affreschi romanici, della pittura medievale si è conservata soprattutto quella tardogotica, di accenti originali, che ha il suo centro nella provincia di Uppland (affreschi di un maestro Alberto, 1480 ca., in alcune chiese intorno al Lago Mälaren).
Dall’introduzione del protestantesimo (1527) furono i re a dare incremento alla cultura e all’arte. Riflessi del Rinascimento, dalla Germania e dai Paesi Bassi, appaiono nei castelli reali (Vadstena, Kalmar). W. Boy, architetto e scultore, costruì chiese a Stoccolma, seguendo la tradizione della Hallenkirche. A lui si deve la tomba di Gustavo I Vasa nella cattedrale di Uppsala. Tra gli architetti del 16° sec. notevoli i membri della famiglia Pahr (dalla Germania ma originaria dell’Italia settentrionale). Degli affreschi del 16° sec. si conservano le opere di A. Lambrecht (castello di Kalmar). Il 17° sec., con l’ascesa politica del regno svedese, favorì l’attività artistica (F. Vinckeboons e S. De la Vallée, ‘casa dei cavalieri’ a Stoccolma). Notevole l’attività di C. Döteber (chiesa tedesca e palazzo Torstensson a Stoccolma), H.J. Kristler (castello di Jakobsdal), K. Panten, e inoltre di N. Tessin il Vecchio (castello di Drottningholm) e N. Tessin il Giovane (castello reale di Stoccolma) che introdussero in Svezia il barocco romano e francese.
La scultura dei sec. 16° e 17° è rappresentata principalmente da monumenti funerari eseguiti da artisti stranieri. Anche la pittura è dominata nel 17° sec. da stranieri, quali il francese S. Bourdon, l’olandese D. Beck, i tedeschi J. Ovens e D. Klöcker Ehrenstrahl (influenzato da Michelangelo e Rubens). Alle decorazioni nel castello di Stoccolma, eseguita a metà del 18° sec. in stile rococò, collaborarono scultori (J.-P. Bouchardon e P.-H. Larchevêque) e pittori francesi (G.-T. Taraval). Alcuni artisti svedesi operarono in Francia: il ritrattista A. Roslin, l’acquarellista N. Lafrensen (Lavreince) e il miniatore P.A. Holl, mentre a Stoccolma continuarono a lavorare ritrattisti come J. H. Scheffel e O. Arenius.
Il regno di Gustavo III fu un periodo di fioritura per le arti e le lettere (i ritrattisti Krafft il Vecchio, Lorenz Pasch il Giovane e Carl von Breda; maggior artista del tempo, lo scultore J.T. Sergel). L’architetto K.F. Adelcrantz operò nello stile rococò francese, poi sostituito dall’arte classicheggiante del francese J.-L. Desprez, che si affermò soprattutto come scenografo, e dal classicismo di E. Palmstedt. Nelle costruzioni di Sundvall e Gjövell continua l’indirizzo classicheggiante.
La prima metà del 19° sec. segna un periodo di decadenza: i pittori e scultori utilizzano motivi dell’antica mitologia nordica e della storia svedese (J.A. Malmström, M.Z. Winge); gli scultori J.N. Bystrom e B.E. Fogelberg rappresentano l’aspetto deteriore della corrente classicheggiante. Nella scultura della fine dell’Ottocento emergono J. Börjeson e P. Hasselberg. Fra i pittori, l’indirizzo classicheggiante è rappresentato dal ritrattista P. Krafft il Giovane, quello romantico dal paesista C.J. Fahlcrantz. J.F. Höckert fu tra i pittori che si dedicarono a ricerche sul colore. Fra il 1870 e il 1880 i soggiorni parigini di vari artisti svedesi produssero echi dell’impressionismo francese. Notevoli i paesisti K.F. Nordström e N.E. Kreuger, il ritrattista S.R. Bergh, l’animalista B.A. Liljefors, e A. Zorn. Personalità singolare fu E.A. Josephson. Nell’ultimo decennio del secolo la pittura svedese prese un indirizzo romantico, che ebbe per centro l’Associazione degli artisti (Konstnärsforbundet) capeggiata da Nordström.
Nel 20° sec. la produzione artistica è in parte attratta dalle correnti d’avanguardia internazionali mentre si afferma anche la coscienza delle tradizioni nazionali. V. Eggeling, O.G. Carlsund, G. Adrian-Nilson (detto GAN), elaborano linguaggi sperimentali e di un purismo geometrico che trova seguito solo dopo il 1945. Nel 1929 A. ed E. Olson, S. Mörner e altri pittori costituiscono a Halmstadt un gruppo che si avvicina al movimento surrealista. Nella scultura B. Hjorn, allievo di Bourdelle e poi influenzato dal cubismo, opera una sintesi con la tradizione dell’arte popolare, che informa anche la ricerca del pittore S. Erikson. Intensamente cromatica e visionaria è la pittura di C. Kylberg. Dopo il 1945 il dibattito artistico è vivace e l’impegno sociale traspare anche nella promozione pubblica di opere d’arte. Eredi del surrealismo di Halmstadt, gli ‘immaginisti’ M.W. Svanberg, E. Nemes, C.O. Hultén, A. Osterlin elaborano uno sperimentalismo vicino al gruppo COBRA. Un concretismo che trae spunto dalla natura è quello di L. Rohde, O. Bonnier, K.A. Pehrson; un geometrismo controllato quello di O. Baertling; assemblages di legni e motori realizza P.O. Ultveldt; manipolazioni d’immagini al limite tra pop art e concettualismo animano l’opera di Ö. Fahlström; a un realismo fotografico rimandano le ricerche di O. Billgren o J. Franzén.
Accanto al forte senso della natura, si accentua, negli anni 1970, l’impegno sociale e politico dell’arte. Riallacciandosi a E. Cullberg o L. Cronquist, persiste una forte corrente di figurativismo narrativo, con variegate posizioni, dall’espressionismo di O. Kaks, all’uso violento delle forme e dei colori di P. Zennström o K. Elander. Environments e installazioni, già sperimentati da S. Lindblom o U. Samuelson, s’incentrano sul contrasto tra natura e cultura e sul linguaggio delle immagini nel gruppo costituito da J. Hafström, A. Linder, H. Rehnberg, J. Scott o nel gruppo Wallda, fondato da E. Löfdahl, M. Book e S. Sjölund.
Dall’ultimo ventennio del 20° sec. i linguaggi tradizionali della scultura e della pittura hanno trovato nuove modalità espressive: O. Billgren, con litografie basate su complessi collages di immagini e con paesaggi a olio; L. Forslund con l’uso ambiguo di prospettive scientifiche o storiche; S. Ekman con complesse installazioni; T. Melin, autore di enigmatiche sculture. Se le tematiche ricorrenti rimangono l’analisi della società e del rapporto natura, artificio, scienza e tecnologia, i mezzi espressivi sconfinano nel campo della fotografia, del video, della musica (M. Friberg, A.von Hausswolff, L. Siltberg, H. Hakansson, C.M. von Hausswolff).
In campo architettonico, le correnti che si susseguono (o che sussistono anche contemporaneamente), dal romanticismo nazionale, al classicismo novecentesco, al funzionalismo (che s’impone a partire dall’Esposizione Internazionale di Stoccolma del 1930), al cosiddetto nuovo empirismo, trovano espressione significativa nelle realizzazioni di S. Ericson (Göteborg, Masthuggskyrkan, 1910-14); a Stoccolma: R. Östberg (Municipio, 1911-23 e Museo marittimo, 1934), T. Grut (Stadio, 1912), R. Hjorth (Sede della Fondazione Nobel, 1927), di G. Asplund, il più importante architetto svedese tra le due guerre (Biblioteca civica, 1920-28; Crematorio del Cimitero Sud, 1940) e di S. Markelius (Club degli Studenti del politecnico, 1929; Sede dei Sindacati e Teatro municipale, 1945-60; Uffici per le Industrie Forestali, 1958-60). Di grande stimolo è stata l’attività del danese E. Asmussen (Järna, Istituto superiore Rudolf Steiner, 1970) e di R. Erskine, in S. dal 1939. Notevole è la sperimentazione nel campo abitativo: dal complesso di case a stella di S. Backström e L. Reinius a Grönland (1946) ai complessi di Minneberg (1986, prog. Brunngergruppen) e Drottningen (1985, prog. B. Lindroos). Si deve ancora ricordare il contributo svedese al moderno design di mobili, utensili ecc. con l’opera, tra gli altri, di C. Malmsten, S. Palmqvist, K. Björquist, T. Ahlström e H. Ehrich.
Nell’ultimo decennio del 20° sec. l’architettura svedese ha proseguito il suo sviluppo nel solco di una consolidata tradizione, elaborando le suggestioni moderne con la consueta attenzione per l’uso dei materiali, per la flessibilità e chiarezza funzionale, per le interazioni tra edificio e ambiente. Significativo in tal senso è il nuovo quartiere realizzato nel 2001 a Malmö per l’esposizione Bo01 City of Tomorrow basato sui principi della bioarchitettura. Oltre alle opere di affermati studi quali Heikkinen-Komonen Architects (Vuotalo cultural centre e Lume Mediacenter a Helsinki, 2000), nuove influenze delle avanguardie internazionali hanno arricchito il vocabolario formale di giovani progettisti come G. Wingårdh (Centro ricerche Astra-Hässle a Göteborg, 1996), J. Celsing, T. Sandell, A. Wilhelmson e lo studio di M. Claesson, E. Koivisto e O. Rune.
Tra le istituzioni culturali: a Stoccolma, il Museo d’arte moderna (Moderna Museet; nuova sede, 1998); la Casa della Scultura (Skulpturens Hus, 1998, nella ex fabbrica di A. Nobel); Magasin 3, la più grande istituzione espositiva privata (dal 1987); il Baltic art center (2000), centro espositivo di arte, cinema e media interattivi a Visby nell’isola di Gotland; il Rooseum di Malmö (1988, fondato dal collezionista e finanziere F. Roos, nella sede ristrutturata della compagnia di elettricità di Malmö); il museo di Norrköping.
La musica in Svezia ebbe un notevole sviluppo durante il regno di Cristina (1644-54), che chiamò alla sua corte musicisti dall’estero, e, successivamente, durante quello di Gustavo III (1771-92), che fondò l’accademia reale di musica e promosse l’attività del teatro d’opera. Tra i musicisti più noti: J.H. Roman (1694-1768), considerato il ‘padre’ della musica svedese, mentre figura preminente del periodo romantico fu F.A. Berwald.
All’inizio dell’Ottocento furono pubblicate le prime raccolte di canti e ballate nazionali, nei quali i compositori trovarono una fonte di ispirazione di capitale importanza. Il passaggio tra 19° e 20° sec. segnò un momento di crescita nella vita musicale in Svezia, grazie anche alla stabilizzazione di diverse istituzioni musicali, fra le quali varie orchestre sinfoniche. Tra i musicisti di questo periodo vi sono J.G.E. Sjögren (1853-1918), T. Aulin (1866-1914), G.W. Hagg (1867-1925), H. Rosenberg (1892-1985), fino al contemporaneo S.D. Sandström (n. 1942).