Sistema montuoso, il più importante d’Europa per vicende geologiche, caratteri del paesaggio e dell’ambiente naturale, avvenimenti storici e socioculturali. Suddivise tra 8 paesi (Austria, Francia, Italia, Germania, Liechtenstein, Monaco, Slovenia, Svizzera), separano l’Italia dall’Europa centrale, costituendo da secoli la frontiera naturale tra le culture latine, germaniche e slave.
Di forma arcuata e con una lunghezza massima, da O a E, di circa 1200 km, la catena alpina si estende tra 43° e 48° di lat. N e tra 5° e 17° di long. E Gr., dal Golfo di Genova al Bassopiano Pannonico, per una superficie di oltre 190.000 km2. La larghezza è molto variabile e compresa tra un minimo di circa 120 km tra Saluzzo (Piemonte) e Grenoble, e un massimo di 250 km tra Verona e Monaco di Baviera.
A lungo i geografi hanno discusso su limiti e ripartizioni geografiche dell’area alpina; nel 2001 si è giunti a un accordo che ha portato alla definizione di un assetto organico della catena, mediante la Suddivisione Orografica Internazionale Unificata del Sistema Alpino (SOIUSA), secondo la quale i limiti geografici delle A. sono: a S la valle della Durance, il Mar Ligure, le Langhe, la Pianura Piemontese-lombardo-veneta e le A. Dinariche; a O la valle del Rodano e il Lago di Ginevra; a N l’Altopiano Svizzero-bavarese, l’Altopiano Austriaco e la valle del Danubio; a E il Bacino di Vienna, la Pianura Ungherese e i rilievi collinari sloveni tra Sava e Drava (Subpanonske Gorice). A questa prima delimitazione dell’intera catena segue quella delle singole parti. In base a criteri morfologico-altimetrici e tenendo conto delle regioni storiche e geografiche si è abbandonata la tradizionale triplice ripartizione in A. Occidentali, Centrali e Orientali e la catena è stata divisa soltanto in A. Occidentali, dal Colle di Cadibona (440 m) al Passo dello Spluga (2115 m), e A. Orientali, dallo Spluga alla Sella di Godovič (595 m). Le due parti sono state scomposte in 5 grandi settori: quella occidentale è stata frazionata in due settori longitudinali (A. Sud-occidentali e A. Nord-occidentali), quella orientale in tre settori trasversali ( A. Nord-orientali, A. Centro-orientali e A. Sud-orientali). Completano la suddivisione di questo raggruppamento di grado superiore 36 sezioni (e 132 sottosezioni) nelle quali si riprendono per lo più le denominazioni storiche (A. Carniche, Cozie, Giulie, Graie, Lepontine, Liguri, Marittime, Pennine, Retiche ecc.). Accanto a questa ripartizione, per uniformare la nomenclatura italiana a quella degli altri Stati, si è reso necessario un ulteriore frazionamento in raggruppamenti di grado inferiore (supergruppi, gruppi, sottogruppi e sezioni).
La morfologia delle A. è strettamente legata al recente sollevamento della catena, alle caratteristiche litologico-strutturali, all’azione degli agenti esogeni, alle condizioni climatiche che si sono alternate nel corso dell’ultima era geologica e alla plurisecolare azione dell’uomo. Sviluppata prevalentemente in senso longitudinale, la catena presenta 3 distinte fasce: una mediana, che corrisponde alla linea spartiacque, più possente, formata da dure rocce cristalline e dove si concentrano le cime più elevate (oltre 4000 m), e due esterne (Prealpi), meno alte e caratterizzate da rocce più erodibili (calcari, flysch, molasse ecc.), ma con cime e creste che superano frequentemente i 3000 m. La quota media è elevata (1300 m circa), con una distribuzione delle altimetrie che diminuisce da O verso E; nelle catene del Monte Bianco (4807 m) e del Monte Rosa (4634 m) si concentrano le massime altezze, riscontrabili però anche in altre parti del massiccio (A. Bernesi, 4274 m; Gran Paradiso, 4061; A. Retiche, 4050). Nel settore orientale, invece, le vette non raggiungono i 3800 m (Alti Tauri, 3797). Un’altra caratteristica delle A. è il differente aspetto dei due versanti: quello meridionale, italiano, è in genere molto ripido, quello settentrionale ha forme più dolci.
Nel complesso, la varietà di forme e paesaggi è ricca ma riconducibile a un’elevata energia del rilievo che caratterizza i versanti di ampie valli dal fondo pianeggiante e densamente abitato; gli insediamenti che, nei ripiani più asciutti e meglio esposti, possono raggiungere i 1800 m. Altrove, in rapporto alla litologia, si trovano cime acuminate, altopiani, lunghe dorsali crestate e monti dai profili più dolci che evidenziano la ripetuta azione del ghiaccio; e ancora valli glaciali dal profilo a U, circhi oggi occupati da minuscoli laghi, anfiteatri morenici (Serra d’Ivrea, Anfiteatro di Rivoli ecc.) che giungono al margine o fino all’esterno della catena alpina. La diffusa presenza di rocce carbonatiche ha creato paesaggi carsici che si rivelano con valli cieche, doline, polja (bacini chiusi di grandi dimensioni) e campi solcati, mentre la ricchezza d’acqua ha prodotto cascate e sorgenti intermittenti.
La geologia delle A. è alquanto complessa, in quanto s’inserisce nell’insieme di quei processi orogenetici che hanno portato alla formazione delle catene circum-mediterranee più recenti (Atlante, Dinaridi, Appennino, montagne della Turchia ecc.) e che sono il risultato della convergenza, a partire dal Cretaceo medio (100 milioni di anni fa), della zolla eurasiatica con quella africana e della subduzione della crosta oceanica interposta che costituiva il fondo dell’antica Tetide.
Le A. sono suddivise in 4 unità tettoniche principali: le Elvetidi (e Ultraelvetidi) e le Pennidi, che rappresentano la crosta continentale eurasiatica e parte di quella oceanica della Tetide; le Austridi e il Sudalpino, costituiti da crosta continentale africana. Le Pennidi e le Austridi sono strutturate secondo falde di ricoprimento rovesciate verso NO, cioè con vergenza europea; il Sudalpino è costituito da una successione di scaglie embricate e di pieghe anticlinali e sinclinali rovesciate verso S, con vergenza africana. Le Elvetidi e le Ultraelvetidi formano i gruppi più imponenti dell’intera catena (Argentera, Belledonne-Pelvoux, Monte Bianco, Aar-Gottardo), ne rappresentano la porzione più esterna e sono costituite dalla sovrapposizione tettonica di unità derivanti dal corrugamento delle rocce cristalline erciniche del bordo della zolla europea e dalla relativa copertura di rocce sedimentarie. Il basamento cristallino è costituito da graniti e rocce metamorfiche (anfiboliti e gneiss); i terreni di copertura sono, invece, strutturati in 3 falde di ricoprimento sovrapposte (Triassico-Paleogene). Le Pennidi costituiscono giganteschi ricoprimenti in sovrapposizione diretta sulle Elvetidi, ma in posizione più interna; comprendono crosta oceanica (Pennidi superiori) e crosta continentale molto assottigliata (e la relativa copertura sedimentaria) che orlava la litosfera oceanica. Le Pennidi affiorano senza soluzione di continuità dalla Corsica, attraverso le A. Occidentali (massicci cristallini premesozoici del Gran Paradiso, del Dora Maira e del Monte Rosa) fino ai Grigioni, dove le coltri pennidiche si immergono sotto le Austridi per ricomparire nelle grandi finestre tettoniche dell’Engadina e degli Alti Tauri. Tali unità sono caratterizzate da rocce metamorfiche di evidente origine oceanica (ofioliti alpine), mentre il metamorfismo della copertura sedimentaria (depositi argilloso-carbonatici di età giurassica) ha portato alla formazione di calcescisti (falda del Gran San Bernardo), rocce scistose assai diffuse anche in altri settori delle Alpi. Le Austridi comprendono unità che erano in originaria continuità con il Sudalpino; costituiscono i più vasti ricoprimenti di tutta la catena (dalle A. Centrali agli estremi limiti orientali) con dislocazioni orizzontali di oltre 150 km che le hanno portate al di sopra e al di là delle Pennidi. I litotipi più importanti sono rappresentati da potenti successioni di rocce metamorfiche, con una modesta copertura sedimentaria di età paleozoica o più recente.
Un lungo sistema di faglie (Linea Insubrica) esteso in senso longitudinale da Ivrea alla valle della Drava, passando per la Val Vigezzo, la Valtellina, la Val di Sole e la Pusteria, costituisce il brusco raccordo tettonico tra le precedenti unità strutturali alpine e il dominio sudalpino (Prealpi Lombardo-venete e Dolomiti). La successione litostratigrafica è costituita da un basamento metamorfico paleozoico sul quale poggiano formazioni carbonatiche mesozoiche; assai estesi sono gli apparati magmatici di natura acida e basica di età medio-triassica e sinorogenica (Adamello, Colli Euganei, Lessini, Berici). Sondaggi dell’AGIP hanno dimostrato che le unità e lo stile tettonico sudalpino continuano anche al di sotto della Pianura Padana.
La morfologia delle A., associata alle grandi dimensioni di superfici poste a quote elevate, ha favorito, nell’ultima era geologica, l’impostazione e lo sviluppo di numerosi apparati glaciali che hanno profondamente trasformato la fisionomia della catena montuosa. Dallo studio degli anfiteatri morenici nelle regioni pedemontane e dei terrazzi fluvioglaciali è stato possibile comprendere lo sviluppo delle glaciazioni durante il Pleistocene. A partire da 1,5 milioni di anni fa, condizioni climatiche fredde e umide, intercalate da periodi caldi e asciutti, determinarono l’avanzata e il ritiro di enormi masse glaciali che, uscite dalle valli e dai bacini intermontani, si estesero nelle aree collinari e pianeggianti prospicienti la catena alpina, come la Pianura Padana e il Giura Svizzero. Le zone più interne delle A. furono sepolte sotto una coltre di ghiaccio spessa fino a 2000 m, da cui emergevano solo le cime e le creste più elevate; località dove sorgono città quali Zurigo, Ginevra e Innsbruck furono ricoperte da ghiaccio con spessori di centinaia di metri, mentre le fronti si arrestarono a poche decine di chilometri da Monaco di Baviera, Lione o, nel versante italiano, Torino, Milano e Verona. Attualmente si distinguono 5 fasi glaciali pleistoceniche (Donau, Günz, Mindel, Riss e Würm), le ultime due caratterizzate da un abbassamento del limite delle nevi persistenti di 1200-1300 m rispetto a quello attuale. Dopo l’ultima espansione glaciale, che raggiunse il culmine tra 75.000 e 10.000 anni fa, iniziò una breve e rapida fase di ritiro glaciale che continua tuttora, seppure interrotta da momenti di sosta e di ripresa (anche in epoca storica, negli ultimi secoli, con la vigorosa espansione nota come ‘Piccola età glaciale’).
Anche se le masse glaciali alpine rappresentano attualmente appena lo 0,018% del totale mondiale, per esse si dispone della più completa serie di informazioni relative alla distribuzione ed evoluzione. Secondo i dati più recenti, i ghiacciai alpini sono circa 4250 e coprono una superficie di poco superiore ai 2500 km2. L’esposizione ne favorisce lo sviluppo lungo i versanti nord-occidentali, ove il limite delle nevi persistenti è compreso tra 2400 e 2500 m; pertanto, le più vaste coltri glaciali, caratterizzate da ampi bacini di raccolta e lingue impostate lungo le valli, si trovano in Svizzera (46%), concentrate nelle A. Bernesi (l’Aletsch, che è il più vasto ghiacciaio alpino, è lungo 23,3 km e occupa una superficie di 96,1 km2), nel gruppo del Monte Rosa (il Görner, 59,7 km2) e nel versante francese del Monte Bianco (la Mer de Glace, 38,7 km2 e 12 km di lunghezza). In Italia, l’esposizione meridionale, la brevità e la forte inclinazione dei versanti hanno ridotto la presenza e lo sviluppo dei ghiacciai, in alcuni casi con un sollevamento della quota del limite delle nevi fino ai 3000 metri. Secondo il Catasto Internazionale, nel 1987 sono stati censiti 807 ghiacciai (il 94% dei quali nel 2002 era in forte regresso), per un’area totale di circa 480 km2; i più estesi si concentrano nel gruppo Ortles-Cevedale (Ghiacciaio dei Forni, 13 km2), seguito dall’ Adamello-Presanella, da quello del Monte Bianco (ghiacciai della Brenva e del Miage, quest’ultimo lungo 10 km) e del Monte Rosa (ghiacciai del Belvedere e del Lys), mentre nelle parti più orientali essi risultano limitati e circoscritti entro stretti circhi glaciali (detti vedrette).
Le A. rappresentano il ‘vertice idrografico’ d’Europa: le lunghe creste montane segnano infatti lo spartiacque tra il versante del Mare del Nord (Reno, Aar), quello del Mar Nero (tributari di destra del Danubio come l’Isar, l’Inn, la Drava) e quello del Mediterraneo (Rodano e suoi affluenti, Adige, Po e suoi affluenti di sinistra come il Ticino e l’Adda). Il regime di tali fiumi è assai variabile: per quelli più interni è tipicamente alpino, con magre invernali e piene tardo-primaverili ed estive, dovute allo scioglimento dei ghiacci e delle nevi; per gli altri, invece, è più strettamente pluvio-glaciale (piene primaverili e magre autunnali) o mediterraneo (piene autunnali e magre estivo-invernali). L’importanza dei fiumi alpini risiede nelle abbondanti portate, che ne consentono lo sfruttamento idroelettrico e la captazione a scopi irrigui, e nell’ampiezza delle loro valli; queste ultime hanno rappresentato nel corso del tempo una facile via di comunicazione tra i versanti e hanno agevolato lo sviluppo di attività agricole e, più in generale, l’insediamento umano.
Numerosi ed estremamente diversificati sono anche i bacini lacustri che, per la loro ampiezza e profondità, rappresentano un fattore non trascurabile di mitigazione del clima alpino. Si possono raggruppare in due categorie: quelli subalpini, situati ai margini della catena, che hanno dimensioni assai estese (Lago di Ginevra, 581 km2; Lago di Costanza, 539; Lago di Garda, 370; Lago Maggiore, 212 ecc.) e che occupano il fondo di depressioni tettoniche o di critpodepressioni di escavazione glaciale; quelli intra-alpini di dimensioni assai più modeste e legati a sbarramenti per morena o per frana (Attersee, 47 km2, Lago di Annecy, Lago d’Idro). Alle quote più alte, infine, numerosi sono i laghi ospitati in piccole conche glaciali e quelli artificiali.
Il clima dell’area alpina è condizionato da due serie di fattori: quelli esterni, legati all’influenza delle aree climatiche circostanti (clima mediterraneo dell’Europa meridionale, clima temperato continentale dell’Europa centro-settentrionale e clima continentale secco del Bacino Pannonico); quelli interni, rappresentati dall’altitudine, dalla morfologia e dall’esposizione dei versanti. Ne deriva un ‘clima di montagna’ caratterizzato da: diminuzione della pressione, dell’ossigeno e della temperatura con la quota (in media 0,6° C ogni 100 m), con profonde differenze termiche tra versanti esposti a S (‘a solatìo’), più caldi e asciutti, e quelli esposti a N (‘a bacìo’), più freddi e umidi; intensa radiazione solare (che aumenta con la pendenza e la quota) e aumento delle precipitazioni per l’effetto orografico costituito dalla barriera alpina (misure eseguite in osservatori di alta montagna hanno accertato che la quantità di pioggia aumenta di regola con l’altezza fino a 2000-2500 m per poi decrescere a quote maggiori). Il valore delle precipitazioni, più elevato d’estate e minimo d’inverno, è compreso tra 1500 e 2500 mm annui, con massimi localizzati a O del Lago Maggiore, tra alto Piave e Tagliamento, nell’Oberland Bernese e a S del Lago di Costanza (al di sopra dei 3500 m sono, comunque, sempre nevose). Esistono, tuttavia, numerose eccezioni a queste condizioni climatiche; nelle conche interne, caratterizzate da modesta circolazione atmosferica, si possono verificare, soprattutto in inverno, inversioni termiche dovute al riscaldamento dei versanti e al ristagno di sacche di area fredda sul fondo. Le stesse conche e le grandi valli longitudinali (valle del Rodano, Vallese, valle della Dora Baltea, Bassa Engadina, valle dell’Adige) si trovano spesso in condizioni di ‘ombra pluviometrica’ rispetto alle masse di aria umida, con conseguente assai modesta quantità di precipitazioni. Caratteristici del clima alpino sono i venti periodici (brezze di monte e di valle, che prendono molto spesso denominazioni locali); tali movimenti sono causati dal diverso riscaldamento delle masse d’aria lungo i versanti e nei fondovalle durante il giorno e al conseguente raffreddamento notturno. Tipico delle aree alpine è anche il föhn, vento caldo e secco di caduta, prevalentemente invernale, che si genera lungo i versanti alpini meridionali per il sopraggiungere di forti correnti fredde dall’Europa settentrionale. Conosciuto fin dall’antichità, questo vento produce cieli tersi e un rapido scioglimento delle nevi ed è responsabile di improvvisi eventi alluvionali e, in alcuni casi, anche di incendi boschivi.
Nella regione alpina vengono a incontrarsi elementi della flora centro-europea e di quella mediterranea. Come in tutti i grandi sistemi montuosi vi si distingue chiaramente una zonazione altimetrica, nella quale si succedono, dall’alto verso il basso, le seguenti fasce: alpina, immediatamente al di sotto del limite delle nevi persistenti, con piante quasi esclusivamente erbacee; prealpina, caratterizzata dalla presenza del pino montano e dei rododendri; montana, con foreste miste di conifere (larice, cembro, abete bianco, abete rosso, pino silvestre) e latifoglie (faggio, acero); submontana, dove i faggi sono sostituiti da querce e castagni e dove più numerose sono le specie di origine mediterranea. La zonazione, pur rispecchiando soprattutto l’altimetria, risulta influenzata da altri fattori fisici (in particolare l’esposizione dei versanti) e ha subito non irrilevanti modifiche per la plurisecolare azione umana conseguente all’insediamento e all’utilizzazione delle risorse (soprattutto, com’è ovvio, di quelle forestali).
Elementi caratteristici della fauna alpina (che nel complesso presenta somiglianze soprattutto con quella centro-europea) sono, per quanto riguarda i Mammiferi: lo stambecco, il camoscio, il cervo, il capriolo tra gli Ungulati; la lince, il lupo, lo sciacallo, il cane procione, l’orso bruno, l’ermellino tra i Carnivori; la marmotta tra i Roditori. Numerosi sono gli Uccelli, tra i quali l’aquila reale, il gallo cedrone, la coturnice, il fagiano di monte, l’allocco degli Urali. Alcune di queste specie si sono salvate dall’estinzione solo perché protette all’interno di parchi nazionali o altre aree di tutela (emblematico l’esempio dello stambecco nel Parco nazionale del Gran Paradiso); altre, come la lince e il lupo, sono tornate nelle A. dopo lunghi periodi di assenza; altre ancora (sciacallo, cane procione, allocco degli Urali) vi sono arrivate solo recentemente.
Nel corso degli ultimi due secoli gli abitanti delle A. si sono quasi triplicati, passando dai 5,3 milioni del 1800 ai 14,3 milioni del 2000 (di cui Italiani 31%, Austro-tedeschi 33%, Francesi 17% e Svizzeri 14%), con una densità demografica di circa 74 ab./km2. La distribuzione e l’accrescimento della popolazione sono fortemente influenzati da fattori ambientali e da condizioni socioeconomiche locali. L’elevata altitudine, l’acclività dei versanti e le limitazioni climatiche hanno concentrato l’insediamento nelle aree pianeggianti (terrazzi fluviali, altopiani, conoidi, fondovalle ecc.), dove si raggiungono densità superiori a 100-150 ab./km2, per poi decrescere con la quota fino ad annullarsi intorno ai 1800-2000 m. Alle quote superiori (nelle A. Occidentali fino ai 3000 m), invece, sono frequenti le abitazioni temporanee legate alle pratiche dell’alpeggio o gli insediamenti turistici per gli sport invernali. L’insediamento di fondovalle risulta favorito anche dalla vicinanza delle principali vie di comunicazione, dalla posizione relativa rispetto alla rete urbana di pianura e dallo sviluppo di particolari attività economiche.
A partire dalla fine del 18° sec. la maggiore redditività delle produzioni industriali, il più facile accesso ai servizi e il generale miglioramento della qualità di vita nelle aree urbane generarono una disarticolazione demografica ed economica (mancanza di ricambio intergenerazionale, abbandono delle produzioni agricole e manifatturiere, degrado degli ambienti montani), con conseguente forte spopolamento delle aree non toccate dalla modernizzazione o non interessate dai crescenti flussi turistici, che si manifestarono a partire dai primi decenni del 20° secolo. Solo negli ultimi decenni si è assistito a un rallentamento dell’emigrazione, che ha coinvolto però solo le regioni interessate dai processi di riconversione economica, dallo sviluppo di un’agricoltura specializzata o dal turismo estivo e invernale.
Storicamente le A. non sono una regione ricca di città e di insediamenti urbani, cosicché solo le recenti vicende storiche e socioeconomiche ne hanno consentito l’urbanizzazione; nel 1990 il 61,9% della popolazione era concentrato in città e agglomerati urbani con un valore, per l’Italia, pari al 49,7%. Tuttavia, bisogna tener conto del fatto che molte località alpine presentano caratteri e funzioni di piccola città a partire da soglie demografiche modeste rispetto ad analoghi centri extra-alpini; inoltre, anche per le A. si assiste alla suburbanizzazione della popolazione e allo sviluppo di agglomerati urbani funzionalmente simili a quelli di pianura. È possibile, pertanto, individuare 4 principali tipologie di insediamento urbano: la metropolizzazione e la dipendenza funzionale delle città alpine verso le aree urbane extra-alpine (Grenoble, Salisburgo); le località centrali che fungono da punti di riferimento amministrativo, commerciale, industriale e culturale per il proprio retroterra alpino e forniscono beni e servizi a livello sovraregionale (in Italia, Trento, Aosta, Verbania); i comuni turistici (Bad Ischl, Davos, Chamonix, Cortina d’Ampezzo) che hanno funzioni e strutture sovradimensionate rispetto alla popolazione residente; le urbanizzazioni nastriformi che si impostano lungo fondovalle percorse da importanti flussi di traffico transalpino, favorite dalla localizzazione di attività commerciali e artigianali che hanno attratto forme di insediamento pendolare (nella valle del Reno tra Feldkirch e Bregenz, in Valtellina tra Sondrio e Berbenno).
La varietà degli ambienti naturali, la disponibilità di acqua e le caratteristiche geologiche hanno costituito un insieme di risorse di fondamentale importanza per l’economia delle popolazioni alpine. Fin dalla preistoria, infatti, si sono estratti sale nel Salzkammergut e ferro nello Hallstatt, mentre miniere di piombo, zinco, rame e oro furono coltivate dall’epoca romana all’età moderna e, grazie all’abbondanza di legname e acqua, si sviluppò una vivace industria metallurgica ancora attiva, nonostante la chiusura di molti pozzi e miniere, in Argovia come nel Vallese, a Cogne come in Val Trompia. Lo sfruttamento idrico a scopi energetici rappresenta, dopo il turismo, la principale base economica della regione alpina. Alla fine del 20° sec. si contavano oltre 300 laghi artificiali, per una capacità di 10,4 miliardi di m3 e una potenza installata di 39.800 MW (pari al 13% della produzione energetica dei paesi alpini). Tale potenziale idroelettrico, in gran parte sfruttato, è stato peraltro sviluppato per rispondere a esigenze energetiche extra-alpine, con un modesto ritorno per le società umane della montagna.
Lo sviluppo dell’agricoltura è legato alla limitata estensione delle superfici utilizzabili: a fronte di un 30% circa di terreni improduttivi, la superficie agricola utilizzata rappresenta solo il 25%, mentre le restanti quote sono suddivise tra prati, pascoli e boschi. Negli ultimi decenni la struttura produttiva ha registrato un calo del numero degli addetti e delle aziende agricole e un contemporaneo aumento delle dimensioni medie. Le produzioni agricole sono destinate all’esportazione e si caratterizzano per un ricorso a metodi biologici ed ecocompatibili; le colture foraggere sono legate per lo più all’allevamento bovino (3,3 milioni di capi, soprattutto in Svizzera, Italia e Austria), ovino (Francia) e alle rispettive produzioni lattiero-casearie, di rilevanza e notorietà internazionale. L’orticoltura, la cerealicoltura e le colture legnose intensive (vite, albicocche, pere, mele) sono praticate solo nelle zone più favorevoli per condizioni climatiche e morfologiche (Val d’Adige, Valtellina, Valle d’Aosta, Vallese), contribuendo ad alimentare l’industria conserviera e di prima trasformazione.
Per quanto riguarda le attività industriali, a fianco delle tradizionali produzioni metallurgiche e meccaniche (in Italia nel Biellese, nel Lecchese e nel Vicentino), nonché quelle tessili e legate alla lavorazione della lana (Biella e Borgosesia, Como e Vicentino), si segnalano attività specializzate o di nicchia (per es., prodotti in acciaio inossidabile a Schwyz; occhialeria in Cadore; scarpe e abbigliamento sportivo nel Lecchese e nel Bellunese). Per il Terziario spiccano le attività avanzate, con servizi alle imprese e scuole di specializzazione (Grenoble, Bolzano e Innsbruck).
Il turismo rappresenta oggi la principale risorsa economica delle A., potendo contare su decine di località e centri di interesse, invernale ed estivo, sia tradizionali (Chamonix, Zermatt, St.-Moritz, Garmisch, Bormio, Cortina d’Ampezzo ecc.) sia di nuova creazione (Les Deux Alpes, Avoriaz, Pila, Montecampione ecc.). Nel 1998 sono stati censiti 8 milioni di posti-letto (alberghieri ed extralberghieri) per un totale di oltre 535 milioni di presenze annue (46% in Italia e 25% in Austria).
La presenza di valli trasversali alla catena, la relativa ampiezza dei fondovalle, l’altitudine spesso modesta e la prolungata transitabilità di selle e valichi alpini hanno reso possibile l’attraversamento della catena fin dall’epoca romana. Le principali vie di comunicazione erano rappresentate dai passi ticinesi per Lucerna e Coira, dai valichi del Monginevro (1850 m), del Moncenisio (2083 m) e di Tenda (1908 m) per la Francia, di Resia (1507 m) e del Brennero (1375 m) per l’Austria e la Germania. A partire da queste direttrici, nel corso dei sec. 19° e 20° furono costruite strade rotabili, che in seguito assorbirono la maggior parte del traffico automobilistico. Per il crescente trasporto delle merci, esse furono ben presto affiancate da vie ferrate: la prima, quella del Semmering, fu aperta nel 1854; nel 1862 fu inaugurata quella del Brennero, la prima ferrovia in senso meridiano. In molti casi si rese necessaria l’escavazione di lunghe gallerie: così con la ferrovia del Fréjus, nel 1871, fu costruito un tunnel di 12.230 km, con quella del Gottardo (1881) uno di circa 15 km e con quella del Sempione (1906), la galleria più lunga, di quasi 20 km.
Attualmente le A. sono attraversate da una dozzina di ferrovie; tuttavia, il crescente traffico di merci, dovuto all’intensificazione dei rapporti tra Europa centrale e Mediterraneo, l’allargamento dell’Unione Europea ai paesi medio-danubiani, la concentrazione degli scambi lungo pochi assi commerciali e la maggiore integrazione economica all’interno dell’UE hanno reso necessaria la progettazione di nuovi corridoi ferroviari. La costruzione della TAV/TAC (Treno Alta Velocità/Treno Alta Capacità) prevede, per le A., la realizzazione di due ‘corridoi’ (Berlino-Palermo, Lisbona-Kiev), che dovrebbero attraversare la catena montuosa in gallerie lunghe più di 50 km (Val di Susa e Brennero). A queste grandi opere di rilievo continentale si aggiungono altri interventi, tra Svizzera e Italia, per i quali i singoli governi hanno progettato l’escavazione di nuove gallerie (ferrovia del Gottardo e del Sempione). Il crescente traffico automobilistico ha indotto anche a migliorare i collegamenti tra i due versanti alpini: nel 1964 fu inaugurata la galleria del Gran San Bernardo, tra Valle d’Aosta e Vallese; nel 1965 fu aperto il traforo del Monte Bianco, che collega la Valle d’Aosta alla Savoia; nel 1980, infine, sono stati inaugurati il traforo del Fréjus e quello del San Gottardo, che collega Airolo (Canton Ticino) con Göschenen (Uri). Inoltre l’autostrada che supera il valico del Brennero costituisce il collegamento tra le reti autostradali di Italia e Germania (le maggiori d’Europa).
Nella zona alpina le tracce di vita umana nelle fasi preistoriche più antiche sono scarse, a causa delle profonde modificazioni subite dalla regione dopo l’ultima glaciazione quaternaria (Würm). Le poche evidenze archeologiche risparmiate dai fenomeni glaciali mostrano comunque che gruppi di cacciatori-raccoglitori frequentarono i territori alpini, ogni volta che la situazione ambientale lo consentì, già nel Paleolitico inferiore e medio; presenza umana associata a industria litica è invece ampiamente documentata nel Paleolitico superiore, in particolare in Veneto, Friuli, Alto Adige. Dalla fine di questa età (intorno a 12.000 anni fa) si sviluppò una progressiva penetrazione umana nell’ambiente alpino, che alle quote più elevate mantenne carattere stagionale legato alla caccia e al reperimento di materiale per i manufatti (per es. miniere di selce) anche nel successivo Mesolitico. Testimonianze archeologiche e antropiche attestano che con il Neolitico e soprattutto nella successiva Età del Bronzo l’antropizzazione del territorio si fece via via più marcata, con edificazione di villaggi stabili, distribuzione di pascoli per l’allevamento e di campi per le coltivazioni.
Tra le popolazioni che abitavano le A. in età preromana le più importanti erano a occidente gli Ingauni, i Taurini, i Leponzi, gli Allobrogi, nel centro e a oriente i Reti, i Tridentini, i Norici e i Vindelici.
I Romani raggiunsero le A. dopo aver sconfitto nel 222 a.C. i Galli e nel 221 gli Istri. Il territorio fu definitivamente occupato tra la fine del 3° e il 2° sec. con la fondazione di colonie (Como, Bergamo, Brescia, Verona, Trento, Aquileia) e la costruzione di strade militari. I moti antiromani furono però debellati solo in età augustea.
Per le vicende successive, non essendo possibile una storia unitaria delle A., occorrerà trattare separatamente le tre grandi suddivisioni tradizionali.
La riforma provinciale dioclezianea le distribuì fra le diocesi italica, lugdunense e viennese. Al principio del 5° sec. Ezio insediò nel tractus Sapaudiae (alta valle del Rodano) i Burgundi, ai quali subentrarono i Franchi (536). Queste valli, incorporate dopo il 774 nell’Impero carolingio, furono poi divise tra Alta e Bassa Borgogna e riunite nel 933. Passati il Regno d’Italia (961), poi quello di Borgogna (1034) alla corona tedesca, le A. Occidentali furono comprese sotto un unico dominio. Nel sec. 11° si affermarono i conti di Savoia-Moriana e gli Aleramici. Verso la metà del 13° sec. i conti di Provenza, dopo una serie di lotte con i conti di Tolosa, divennero signori di Cuneo, impadronendosi di larga parte del territorio pedemontano. Per contrastare la pressione della monarchia francese (occupazione del Delfinato, 1349) i Savoia conquistarono punti di frontiera fino al Lago di Neuchâtel e al Vallese e più tardi Cuneo e Nizza (1388) e i passi principali fino alle A. Liguri. Dal 1480 (annessione della Provenza alla corona di Francia), si ebbe un movimento di reazione francese sui due versanti delle A. e alle trattative di Cateau-Cambrésis (1559) la Francia si presentò signora di tutto il versante occidentale. Nel trattato di Lione (1601) i Savoia cominciarono a cedere terre transalpine alla Francia e a puntare decisamente sul versante italiano, ottenendo il possesso del marchesato di Saluzzo. Nello stesso tempo ottenevano anche i feudi imperiali delle Langhe. Radicalmente trasformata la situazione dalla Francia rivoluzionaria e napoleonica (1798, annessione del Piemonte e della Repubblica di Genova), il Congresso di Vienna ristabilì il vecchio confine franco-sabaudo, che poi, con la cessione di Nizza e Savoia alla Francia, fu portato allo spartiacque. Dopo la Seconda guerra mondiale una nuova rettifica fu sancita con la cessione dei comuni di Briga e Tenda, di una zona del Piccolo S. Bernardo e della Valle Stretta alla Francia.
Mentre in età imperiale romana la Rezia Coirese era stata un antemurale contro i barbari, in età gotica fu lasciata ai Franchi (537) e il confine ritirato allo spartiacque. Allo sbocco delle valli e lungo i laghi i Bizantini stesero poi una linea fortificata e solo nel 774 (conquista dei Franchi del Regno longobardo) le terre furono unificate in uno stesso dominio. Ottone I affidò sistematicamente i passi a feudatari tedeschi. In età comunale si ebbe un’azione di riscossa della pianura verso la montagna e Milano si impose contro gli imperatori e contro Como, loro alleata. Fondamentale fu l’apertura del traffico del S. Gottardo (ca. 1225), che tolse ogni importanza agli altri passi. Iniziò quindi anche una pressione svizzera, in direzione di Bellinzona; le confederazioni elvetiche e grigione finirono per controllare tutti i passi e la Valtellina, che gli Spagnoli tentarono invano di conquistare per collegare i loro possedimenti lombardi e austriaci. Solo le conquiste napoleoniche rimisero in discussione la situazione: la Valtellina tornò alla Lombardia, mentre il Canton Ticino rimase alla Svizzera, il che fu ratificato dal Congresso di Vienna (1815).
Particolarmente aperte alle incursioni barbariche, sotto i Carolingi si formarono tre marche: di Verona, del Friuli e orientale. Le prime due furono sottoposte (952) al ducato di Baviera, da cui più tardi si staccò il ducato di Carinzia, abbracciando anche terre della marca friulana. La marca orientale, con funzione antislava e antimagiara, venne acquistando una propria fisionomia (Austria). Entro questi organismi ducali si formano poi signorie ecclesiastiche (patriarcato di Aquileia, vescovati di Trento, Bressanone, Salisburgo) e laiche (contea del Tirolo, ducato d’Austria con la Stiria, ducato di Carinzia). Attraverso vincoli stretti dalla casa d’Asburgo si venne poi componendo una maggiore unità politico-dinastica, cui si opposero le grandi signorie italiche degli Scaligeri, dei Carrara, dei Visconti e soprattutto, fino al Trattato di Campoformio (1797), la Repubblica di Venezia. Il predominio asburgico che seguì durò fino al 1918 quando l’Italia raggiunse a N il Brennero e a E Tarvisio e l’Istria. Il confine italiano, allargatosi nel 1941 per l’annessione di parte della Slovenia, è stato poi notevolmente arretrato con la cessione alla Iugoslavia dell’Istria e di parte dell’alta e media valle dell’Isonzo.