(serbocr. Istra) Penisola della costa nord-orientale dell’Adriatico (3895 km2 con 380.000 ab. ca.), tra i golfi di Trieste e di Fiume, compresa per la sezione settentrionale nella Slovenia e per quella meridionale nella Croazia. Una parte minima della penisola si trova in territorio italiano. Ha forma triangolare e verso l’interno è delimitata dalla valle della Rosandra, dal valico di Erpelle-Cosina e dal solco del Castelnovano. Si suole dividere in tre zone: l’I. bianca, più interna ed elevata, formata da calcari cretacei, culminante a 1396 m nel Monte Učka; l’I. gialla, denominata così dal colore dei terreni arenacei, che si estende dal Golfo di Trieste al Quarnaro; l’I. rossa (a SO della precedente), così chiamata per la copertura di terra rossa; è un tavolato dolcemente inclinato verso il mare. Le coste sono rocciose e alte nei settori di NO e di SE, basse nel rimanente; verso O sono molto articolate, con valloni e canali. Tipici i canali (di Mirna, di Leme e di Fianona) che rappresentano tronchi vallivi sommersi. Il clima è submediterraneo lungo la costa e si fa aspro nell’interno e nelle zone più elevate. Nell’I. bianca e in quella rossa i corsi d’acqua sono rari. Tutti i fiumi istriani hanno la loro origine nell’I. gialla; essi sono, sul versante a O, la Rosandra, la Rižana, la Dragonja e il Mirna, su quello a E la Raša (Arsa). I centri urbani si trovano quasi tutti lungo la costa occidentale. L’attività economica predominante è l’agricoltura; attivo l’allevamento del bestiame; notevole l’attività peschereccia. Tra le risorse minerarie, la più importante è quella carbonifera della zona dell’Arsa; seguono la produzione di bauxite e di pietre da costruzione e da cemento. Notevoli le saline di Pirano. L’industria è attiva nei rami alimentare, meccanico, del tabacco. Molto sviluppato il turismo balneare.
La distribuzione delle parlate istriane è complessa: nelle campagne, abitate a N da Sloveni e a S da Croati, si parlano dialetti štocavi e ciacavi; nelle città e nei villaggi si parlano per lo più dialetti italiani (anche dopo l’occupazione e il passaggio all’amministrazione iugoslava, che spinsero all’esodo gran parte della popolazione italiana) appartenenti a due tipi: la maggior parte (Capodistria, Buie, Pirano, Parenzo, Pisino, Albona) è una varietà del tipo veneto; in località della zona sud-occidentale della penisola (Rovigno, Dignano e altri villaggi) si conservano dialetti di tipo arcaico (dialetti istriani o istrioti), con alcune caratteristiche che sono il residuo di una latinità regionale indigena, e altre che corrispondono a quelle dei dialetti veneti nella loro fase più remota. In villaggi a NE vive un nucleo di Romeni con una parlata arcaica (istroromeno).
La penisola istriana era abitata già nel Paleolitico, come dimostrano i ritrovamenti in alcune grotte presso Postumia, e a Sandalja presso Pola; copiose sono le testimonianze dell’insediamento umano nelle grotte durante il Neolitico (Pradisel, Leme). Un villaggio eneolitico, con capanne seminterrate, esiste nelle isole Brioni. Nell’età del Bronzo, intorno alla metà del 2° millennio a.C., furono costruiti sulle alture villaggi fortificati, con cinte murarie a secco (➔ castelliere). La pratica della cremazione compare con l’età del Ferro, periodo del maggiore sviluppo della civiltà dei castellieri.
A partire da questo periodo è già possibile individuare la popolazione preromana degli Histri, di formazione culturale illirico-venetica, che subì in maniera notevole l’influsso della cultura di Este. Fra gli insediamenti più importanti, oltre a Pola e Pizzughi, Nesazio mostra in alcuni frammenti architettonici anche un’influenza della cultura micenea. Da alcuni sepolcreti istriani provengono dei vasi dipinti apulo-messapici, pervenutici in seguito a relazioni commerciali. Gli Histri furono sottomessi dai Romani nel 177 a.C.: una parte della penisola, venne inclusa nell’augustea regio X, mentre la zona orientale faceva parte della provincia Dalmatia, con i municipi di Alvona e Flanona. La zona dell’I. che faceva parte dell’Italia venne divisa, entro i limiti dei territori delle colonie di Pola e Parenzo, in lotti rettangolari secondo il sistema della centuriazione. La cultura materiale di età romana indica una chiara appartenenza dell’I. alla sfera economica norditalica; la struttura sociale ricostruibile dall’analisi delle fonti indica una romanizzazione graduale e lenta delle popolazioni autoctone a opera dei proprietari terrieri che controllavano economicamente il territorio con il sistema delle clientele. Per la tarda antichità le fonti indicano una graduale restrizione delle attività economiche. Risparmiata dalle invasioni barbariche, l’I. riuscì a mantenere pressoché intatti i suoi caratteri romano-bizantini.
Dopo la conquista franca, compresa nella marca del Friuli, l’I. formò con questo la marca di Aquileia che, unita a quella di Verona, nel 952 fu soggetta a Enrico I duca di Baviera, staccata nel 976 e unita al ducato di Carinzia. Nel 1040 Enrico III fece dell’I. una marca a sé, infeudandola alla famiglia Weimar Orlamünde, cui succedettero gli Eppenstein, gli Sponheim e infine gli Andechs-Merania. La lontananza dei signori marchionali permise l’affermarsi di signorie feudali ecclesiastiche e laiche e l’autonomia delle città costiere, contro le quali si indirizzò ben presto Venezia. Nel 1208 Ottone IV infeudò l’I. al patriarcato d’Aquileia, che la tenne fino al 1451. Ma già la pace del 1251 con i potenti conti di Gorizia segnava il predominio di questi nell’interno della penisola. Le città costiere, per sfuggire a quel predominio, si vennero sempre più appoggiando a Venezia che, dopo una serie di guerre contro il patriarca di Aquileia, contro i conti di Gorizia e contro alcune città istriane, ottenne nel 1291 il dominio su tutta la costa da Capodistria a Rovino e, nel 1420, la sottomissione di gran parte dell’I. eccetto Gorizia, la contea d’I. e la Carnia. Con la caduta della Repubblica di Venezia l’I. fu ceduta, per il Trattato di Campoformio (1797), all’Austria; passò alla Francia (eccetto Gorizia, Gradisca, Trieste e la contea d’I.) nel 1805, fu incorporata (1806-09) nel Regno Italico e ritornò alla Francia come parte delle Province Illiriche.
La Restaurazione assegnò l’I. all’Austria; nel 1861, a Parenzo fu creata la Dieta istriana, nella quale dopo il 1866 trovarono spesso espressione le istanze dell’irredentismo (➔). Dopo la Prima guerra mondiale, cui l’I. partecipò con molti volontari, la regione fu unita all’Italia nei limiti delle Alpi Giulie, poi compresa Fiume. Ciò condusse all’incorporazione di una cospicua minoranza croata e slovena (circa 300.000), che al termine della Seconda guerra mondiale diede occasione alla Iugoslavia di rivendicare tutta l’Istria. Con il trattato di pace del 1947, la maggior parte dell’I., con Pola e le città della costa meridionale, fu annessa alla Iugoslavia e si ebbe un imponente esodo di Italiani.
La parte nord-occidentale fu organizzata nel cosiddetto Territorio libero di Trieste, diviso in zona B (con capoluogo Capodistria), assegnata in amministrazione alla Iugoslavia, e zona A (con centro Trieste), assegnata in amministrazione alle forze di occupazione angloamericane e dal 1954 (compromesso di Londra) all’Italia. Il Trattato di Osimo del 1975 sancì la rispettiva piena sovranità italiana e iugoslava delle due zone.
Dopo la disgregazione della federazione iugoslava (1991) e la formazione degli Stati indipendenti di Croazia e Slovenia, l’I. è stata suddivisa secondo i nuovi confini nazionali.