Comune del Veneto (415,9 km2 con 261.362 ab. al censimento del 2011, divenuti 258.685 secondo rilevamenti ISTAT del 2020, detti Veneziani), capoluogo di regione e città metropolitana. L’insediamento storico della città, posta al centro dell’omonima laguna, è tradizionalmente suddiviso in sei ‘sestieri’ (Cannaregio, Castello, Dorsoduro, San Marco, San Polo e Santa Croce) e si articola su un complesso di circa 120 isole, profondamente artificializzate e consolidate da una intensa opera palafitticola e di copertura lapidea, aggregate attorno alla doppia ansa della via d’acqua principale (il Canal Grande), elemento organizzatore di una fitta rete di 158 canali minori (rii). L’insediamento urbano rivela una forte continuità storica, pressoché priva di intrusioni, mostrandosi come un continuum densamente edificato su lotti allungati, di origine gotica, attestati sui canali direttamente, o attraverso la mediazione di percorsi pedonali (rive e fondamente), e organizzato con un fitto reticolo di calli e campi (rispettivamente, le vie e le piazze della tipica toponomastica veneziana). Piazza S. Marco, affacciata sull’omonimo bacino e coronata dalle cinquecentesche Procuratie, ha rappresentato per secoli il centro politico e amministrativo della città, con il Palazzo Ducale come sede civile e la basilica di S. Marco come sede religiosa. Rialto, simboleggiato dall’omonimo ponte edificato nel 1591 (in sostituzione di quello ligneo in sito dal 1180), è sempre stato il motore economico e commerciale della Serenissima, come testimoniano le numerose storiche botteghe, ma anche i toponimi dei limitrofi palazzi (per es., il Fondaco [dial. Fontego] dei Tedeschi, dove avevano sede i mercanti nordeuropei, e le sansoviniane Fabbriche Nuove, dove avevano sede le Magistrature giudicanti in affari di commercio) e rive (per es., la Riva del Carbon e la Riva del Vin, dove venivano commercializzati tali prodotti); oggi vi permane il mercato alimentare, testimoniato dai toponimi Naranzeria, Erberia, Pescaria, Beccarie e Ruga dei Speziali. Il Canal Grande connette idealmente e fisicamente questi due poli dell’attività urbana, con la sua doppia cortina di grandiosi palazzi signorili (tra cui la Ca’ da Mosto, la Ca’ d’Oro, il palazzo Grimani, il palazzo Grassi) e splendide chiese (come S. Maria della Salute). Ma la vocazione marinara della Serenissima si esprime compiutamente nell’Arsenale (sec. 12°-16°), vasta area nella parte orientale della città, destinata alle costruzioni navali e che, protesa verso il mare, rappresentava la vera porta di ingresso a Venezia.
Una tale concentrazione di beni storico-culturali non può non comportare difficoltà gestionali e conservative: il degrado fisico-funzionale diffuso è una delle principali questioni aperte, che si riflettono anche sulle condizioni di vita degli abitanti. Gli altissimi costi di intervento (cui va aggiunto il costo della vita, sostenuto dai costi supplementari di trasporto e dalla domanda turistica) comportano l’accettazione di notevoli disagi abitativi o si trasformano in un incentivo all’esodo. La diminuzione della popolazione residente nel centro storico è un fenomeno costante e consistente dalla seconda metà del Novecento: dopo il picco raggiunto nel 1951, quando gli abitanti del centro storico assommavano a 175.000 unità, il numero è sceso a poco più della metà nel 1981, ad appena 65.695 nel 2001, per poi arrivare a 58.991 nel 2011, con una ulteriore successiva riduzione che ha portato il dato sotto i 55.000 abitanti secondo rilevamenti del 2016. Un fenomeno preoccupante per la riduzione del presidio del patrimonio immobiliare e per l’aumento dei costi di erogazione dei servizi, con il rischio di una trasformazione in senso ‘museale’ della città, totalmente preda dell’attività turistica; un aspetto questo accentuato dalla conversione di quote rilevanti delle abitazioni in seconde case e degli esercizi commerciali di generi di prima necessità in attività destinate ai turisti, nonché dallo spostamento dei servizi alla persona sulla terraferma. Il dato sulla popolazione residente nella Venezia storica non tiene però conto degli ingenti flussi di pendolari che, per motivi di lavoro o di studio, quotidianamente si riversano sulla città. A questi si aggiungono i flussi turistici di chi non pernotta in città e che possono toccare anche le 100.000 unità.
La realtà veneziana lagunare non è comunque assimilabile al solo centro storico: intorno a esso esiste tutta una costellazione di insediamenti (insulari e non) che viene convenzionalmente identificata con la denominazione di ‘estuario’ (28.256 ab. secondo rilevamenti del 2016). Le isole minori della laguna erano, nel 1850, una settantina: molte sono oggi completamente scomparse (come le favolose Ammiana e Costanziaca), inghiottite dalle dinamiche idrauliche; altre (come l’antico centro di Poveglia) in stato di abbandono. Vi sono, però, anche importanti esempi di vitalità, come Murano (dove si coltiva l’arte del vetro fin dal 1295, anno in cui tutte le fornaci furono qui segregate per limitare i pericoli di incendio) e Burano (famosa per i suoi merletti fin dal 16° sec.). Diversa appare la condizione dei litorali che separano la laguna dal Mar Adriatico. Il Lido di Venezia (11 km di spiagge), dall’apertura del primo stabilimento balneare avvenuta nel 1857, è diventato uno dei centri del turismo internazionale, con attrattive mondane come il Casinò e culturali come la Mostra internazionale del cinema; così come il Litorale del Cavallino che, con i suoi 13,5 km di spiagge, è una meta assai frequentata del turismo balneare.
La geografia urbana ed economica di Venezia trova un riferimento fondamentale nella data del 4 gennaio 1846, quando vi giunse il primo treno attraverso un ponte ferroviario translagunare (divenuto anche automobilistico nel 1933). Con la realizzazione della stazione ferroviaria di Santa Lucia, l’enorme ampliamento delle attività portuali sul Canale della Giudecca a Santa Marta, la nascita di attività industriali ovunque gli spazi lo consentissero (alla Giudecca, a Murano, ma anche a Cannaregio e perfino in piena città) e la realizzazione del terminale automobilistico in piazzale Roma, il baricentro della città si è spostato da E a O, dal mare alla terra. L’ultima epoca delle grandi scelte, per Venezia, si concluse portando alle estreme conseguenze le tendenze in atto: tra il 1917 e il 1926 il territorio comunale fu ampliato, annettendo prima tutti i comuni lagunari tranne Chioggia e poi quelli, in terraferma, di Mestre e limitrofi. Tra il 1919 e il 1922 aveva infatti preso corpo la prima zona industriale di Porto Marghera, annessa al nuovo porto commerciale, con l’escavazione di un canale e la realizzazione di una annessa città-giardino operaia. La terraferma rappresenta, da allora, una terza entità fisica del comune di Venezia, a lungo sede del suo sviluppo economico e demografico, se non culturale. La popolazione qui insediata contava, già nel 1945, 83.000 ab., divenuti 211.000 nel 1975, grazie allo sviluppo di uno dei maggiori agglomerati italiani di industria pesante (1300 ha) e accogliendo una cospicua emigrazione dal centro storico. Dalla metà degli anni 1970 si è manifestata un’inversione di tendenza: anche la terraferma ha cominciato a perdere popolazione nei confronti dei comuni di cintura urbana, toccando, le 179.062 unità secondo rilevamenti del 2016. Anche da un punto di vista economico gli anni 1970 hanno rappresentato una svolta per la terraferma, con la progressiva riduzione delle attività manifatturiere a favore di una decisa terziarizzazione. La crisi petrolifera, la riallocazione su scala mondiale delle attività produttive e una mancata riconversione industriale hanno colpito in modo particolare la zona industriale di Porto Marghera (cantieristica, petrolchimica, metallurgica) che, dall’apice di quasi 40.000 posti di lavoro, è scesa, lentamente, grazie all’imponente sostegno pubblico, a 13.560 nel 2014, impiegati in 1.034 aziende. I dati confermano la complessità di tale area, nonché le profonde trasformazioni in atto nel polo industriale, con processi di ristrutturazione e riconversione economica, ma anche significative crisi e dismissioni di impianti produttivi. L’analisi del tessuto aziendale della zona mostra infatti da una parte la vocazione industriale e portuale di Porto Marghera, e, dall'altra, un’imprenditoria sempre più differenziata che include nuove categorie e nuove professionalità, con una sempre maggiore rilevanza, anche qui, del terziario avanzato in termini sia di numero di addetti (21,5% del totale), sia di numero di aziende (34% del totale).
Alla grave situazione di crisi dell’area, con molte attività in dismissione o obsolete e gravi problemi di risanamento ambientale, ha inteso porre rimedio un piano di rilancio, varato nella prima metà degli anni 1990, a cui si deve la costituzione di un parco scientifico per lo sviluppo di nuove tecnologie e produzioni (VEGA, Venice Gateway for Science and Technology) e l’avvio di una politica di bonifica ambientale.
Nel 2015 è stato inoltre sottoscritto un nuovo Accordo di programma per la riconversione e riqualificazione industriale, con interventi di risanamento territoriale e di messa in sicurezza idraulica delle aree, e di ripristino e potenziamento delle infrastrutture esistenti.
L’origine della città è collegata alle invasioni barbariche, che fra il 5° e il 7° sec. devastarono l’Italia settentrionale. Sotto la pressione longobarda, la presenza bizantina si ridusse nel 7° sec. alle isole della laguna, dove si organizzò in un ducato dipendente dall’esarcato di Ravenna. Dopo il crollo di quest’ultimo (751), il ducato della Venezia si costituì a vita autonoma fissando la sede governativa prima a Cittanova, poi a Eraclea, infine a Malamocco da dove fu arrestata l’avanzata dei Franchi. Ragioni di sicurezza produssero il trasferimento a Rialto, dove fra il 9° e il 10° sec. veniva costituita la civitas, che fu prima civitas Rivoalti, poi civitas Venetiarum. Nell’828 vi veniva trasportata da Alessandria d’Egitto la reliquia di s. Marco Evangelista, proclamato patrono della nuova città, insieme al precedente, s. Teodoro. Regolati i rapporti esterni con il trattato franco-bizantino di Aquisgrana (811-814), poi confluito nell’840 nel pactum Lotharii, più volte rinnovato dagli imperatori occidentali, la città fioriva grazie agli intensi traffici mediterranei (specialmente con Bisanzio e l’Oriente). La progressiva espansione fu ottenuta anche con spedizione armate contro Slavi e Saraceni dal 9° sec., in particolare nel 1000 il doge Pietro Orseolo II poté fregiarsi del titolo di dux Dalmatiae e, in seguito, di dux Croatiae, giungendo al controllo dell’Adriatico. La Bolla d’Oro, concessa dall’imperatore bizantino Alessio Comneno (1082) in cambio dell’alleanza contro i Normanni fruttò privilegi commerciali altissimi, incrementati con empori e scali dalla partecipazione alle crociate e culminati nella quarta crociata che, dopo la conquista di Costantinopoli e la fondazione dell’Impero latino d’Oriente (1204), con i domini in Morea, a Creta e nell’arcipelago, fece di Venezia la padrona del Mediterraneo (v. fig.).
Per quanto riguarda la Terraferma, tra 13° e 14° sec. ebbe luogo un braccio di ferro con Genova conclusosi con la vittoria di Vettore Pisani nella guerra di Chioggia (1378-81) e la successiva Pace di Torino. Intanto gli equilibri interni furono modificati dalla cosiddetta Serrata del maggior consiglio (leggi di Pietro Gradenigo del 1297 e 1299), cui seguirono rivolte aristocratiche (Baiamonte Tiepolo e Marco Querini, 1309 e 1310; Marino Faliero, 1355). L’espansione, iniziata con Treviso e la costa istriana, proseguì fino al Mincio dopo la guerra di Chioggia, nella quale la pressione dei da Carrara di Padova e del re di Ungheria aveva dimostrato il rischio di una limitata presenza in Terraferma, importante bacino di reclutamento di uomini e mezzi da impiegare contro i Turchi. Nel 15° sec. questi ultimi costrinsero la Serenissima a cedere Negroponte, le Sporadi, Lemno, Argo e, in Albania, Croia e Scutari. In compenso Venezia conquistò Padova e Verona (1404-05), acquistò definitivamente la Dalmazia e si impossessò del patriarcato di Aquileia (1418-20). Ciò condusse all’inevitabile contrapposizione con Milano e i Visconti. La Pace di Ferrara (1428) portò Brescia e Bergamo; in seguito vennero unite nel 1447 Crema e il Polesine di Rovigo (1484), cui seguì l’estensione dell’influenza sulle città pugliesi (Otranto, Brindisi, Trani, Monopoli) e sulla Romagna nel 1504. Divenuta ormai temibile per tutti i potentati italiani, Venezia sembrava aspirare alla ‘monarchia d’Italia’. Ciò provocò un’alleanza, sollecitata da papa Giulio II, tra le potenze europee (Massimiliano d’Asburgo, che aspirava al Trentino, e il re di Francia Luigi XII, padrone della Lombardia e desideroso di recuperare le terre milanesi) nella Lega di Cambrai: la battaglia di Agnadello del 14 maggio 1509, con la vittoria francese, seguita (1510) da quella di Polesella, segnò la fine dell’espansione veneziana e l’inizio di una secolare fase difensiva, anche grazie ai contrasti tra i suoi nemici. Venezia difese il confine di terraferma orientale con la guerra di Gradisca contro l’Austria (1616-17) e s’impegnò in Oriente contro Turchi fino all’inizio del 18° secolo. Dopo la perdita della Morea (1540), di Cipro (1569-73) e di Candia e dopo una più che ventennale lotta (1645-69), negli ultimi decenni del 17° sec. F. Morosini riconquistava la Morea (1684, Pace di Carlowitz 1699), ma, dopo un’altra guerra, con la Pace di Passarowitz (1718) Venezia dovette cedere nuovamente la Morea e quanto possedeva ancora nell’Egeo. Nella seconda metà del 18° sec., malgrado le vittorie di A. Emo sui Barbareschi, la potenza veneziana era ormai finita e la città lagunare era divenuta per gli Europei del 18° sec. soprattutto un polo di attrazione culturale.
I domini veneziani ‘da mar’ comprendevano, oltre ai possessi del Levante, anche quelli adriatici. Dalla Dalmazia all’Istria, poi, dopo la perdita di Ragusa, lungo il litorale albanese, Venezia impose in un primo tempo duchi o conti a vita mantenendo istituti amministrativi e politici locali. Tra il 12° e il 13° sec. si verificò la trasformazione del carattere e della struttura del governo veneto nei domini adriatici fino all’instaurarsi di un dominio diretto veneziano. In Istria tale dominio si affermò con una precoce unificazione alla fine del 13° sec., lasciando nelle singole città il reggimento locale, sottoposto a podestà scelti nel patriziato veneziano. In Dalmazia il diretto dominio veneziano si affermò con difficoltà: dopo la creazione di un arcivescovo primate di Dalmazia a Zara, con la quarta crociata (1203-04), conti, podestà e capitani, scelti fra sudditi veneti, assunsero nelle città dalmate carattere di diretti rappresentanti del governo veneziano. Il carattere unitario, politico e militare, di tale reggimento fu conseguito solo nel 15° sec., dopo che la Dalmazia fu perduta a vantaggio degli Ungheresi e poi recuperata tra il 1409 e il 1437 (Pace di Praga), e determinato dal fatto che alla pressione slava cominciava ad aggiungersi quella turca.
I possedimenti veneziani in Oriente successivi alla prima crociata costituivano delle colonie commerciali (San Giovanni d’Acri, Giaffa, Sidone, Tripoli di Siria, Tiro, per poi estendersi alle isole Egee, a Costantinopoli e sulle coste stesse del Mar Nero) rette o dagli stessi mercanti o da un ufficiale (console o bailo o podestà) designato dal governo della madrepatria. Le colonie beneficiavano di foro privilegiato, di esenzioni fiscali e anche di una zona extraterritoriale costituita da una o più contrade e di scali nel porto. Dopo la quarta crociata si formò un vero dominio coloniale territoriale veneziano in Oriente (l’isola di Candia, le isole dell’Egeo, alcuni punti della terraferma greca), sottoposto al doge, anche se sopravvissero stabilimenti commerciali, in territorio politicamente dipendente da altre autorità (a Costantinopoli, ad Aleppo, in Egitto). Le colonie furono amministrate in parte direttamente dalla Repubblica, che vi inviava un governatore (a Candia, Negroponte nell’Eubea ecc.), in parte concesse, con investitura, a sudditi veneziani (Nasso ai Sanudo, Andro ai Dandolo, Serifo e Chio ai Ghisi, Stampalia ai Querini, Cerigo ai Venier, Santorino ai Barozzi ecc.). Dalla fine del 14° sec. al principio del 15° la crescente pressione dei Turchi costrinse Venezia a estendere il proprio dominio diretto, imponendo un comando unico militare (provveditori generali). Questa unità di governo non resse l’impatto della penetrazione turca nei domini veneziani dell’Egeo, susseguente all’occupazione di Costantinopoli (1453). Venezia riuscì a conservare i grossi baluardi: Candia, la Morea e Cipro (annessa da Venezia nel 1482), posti a difesa delle proprie linee di traffico. Fino a che questi territori restarono in mano veneziana il dominio coloniale veneziano si esercitò attraverso provveditori generali (Dalmazia e Istria), provveditori straordinari (Albania e isole del Levante), il duca di Candia e i provveditori di Cipro e della Morea.
L’ordinamento politico-amministrativo veneziano ereditò attraverso i Bizantini le strutture romane. Il doge non era che il dux romano-bizantino dal 584 dipendente dall’esarca d’Italia, poi, dopo la secessione del 726, designato dall’exercitus. La concio o placitum, l’assemblea generale dei cittadini membri dell’exercitus prende le decisioni fondamentali della vita politica. Il doge era assistito da alcuni dignitari civili (iudices), accanto ai quali sedevano nel placito anche i dignitari ecclesiastici: patriarca, vescovi, abati dei grandi monasteri.
Alla fine del 9° sec. la dignità ducale divenne elettiva, con l’intervento decisivo della concio o placitum nell’elezione ducale. Nel 1143 circa appare il consilium sapientium (formato da 6 membri) con funzioni legislative, primo passo verso l’ordinamento comunale, cui si affiancò un consiglio minore di 35 membri. Dal 1223 è ricordato il Consiglio dei Quaranta (o Quarantia) e dal 1230 circa il Consiglio dei Pregadi (o Rogati). Il Maggior Consiglio diventò il centro del sistema aumentando dal 13° sec. il numero dei membri, la loro qualità e le funzioni esercitate.
In seguito all’aggregazione in un unico corpo di consigli distinti, assorbiti di fatto e di nome dal Maggior Consiglio, questo risultò composto di due ordini di membri, quelli elettivi e quelli di diritto. Ma il perpetuarsi e il rinnovarsi annualmente nelle stesse persone o nelle stesse famiglie delle funzioni statali creavano a vantaggio di esse un privilegio e infine un diritto. È questa la genesi del patriziato che si affermerà a partire dal 14° sec. attraverso l’appartenenza al Maggior Consiglio. Le leggi della fine del 13° sec., conosciute sotto il nome di serrata del Maggior Consiglio, e quelle del principio del 14° che eliminarono progressivamente la procedura elettorale, trasformarono in ereditaria l’appartenenza al grande consesso. Contemporaneamente veniva precisata la prerogativa dell’elezione ducale, sottratta completamente all’assemblea popolare. Tuttavia la funzione politica del Maggior Consiglio andava rapidamente restringendosi a vantaggio di altri corpi. Il Consiglio dei Pregadi, o Senato, cominciò presto a esercitare anche funzioni politiche per delega del Maggior Consiglio, aggregandosi dalla fine del 13° sec. il Consiglio dei Quaranta per l’esercizio delle funzioni politico-amministrative. Il Consiglio dei Pregadi assumeva così l’esercizio effettivo di molte prerogative già spettanti al Maggior Consiglio, aggiungendo alla propria compagine dei membri straordinari (la zonta). Alle sedute partecipava la Signoria, composta dal doge, che presiedeva, da 6 consiglieri (Minor Consiglio) e dai 3 capi dei Quaranta. Nei Pregadi entrava anche il Consiglio dei Dieci istituito nel 1310 per giudicare i colpevoli della congiura di M. Querini e di B. Tiepolo. Nel 14° sec. il Consiglio dei Pregadi aveva ormai assorbito le principali funzioni spettanti al Maggior Consiglio; fu allora aumentato fino a 240 membri. Nei sec. 15° e 16° analogo processo si verificò per il Consiglio dei Dieci, la cui l’influenza politica tese a sovrapporsi a quella dei Pregadi, producendo un contrasto istituzionale che sfociò in un conflitto di competenza. Nel 1586 ai Pregadi furono restituite tutte le funzioni usurpate dai Dieci. Questi trovarono però un rafforzamento della loro competenza politico-giudiziaria con l’istituzione collaterale nel loro seno dei tre inquisitori di Stato. Il Senato tornò a essere l’arbitro della vita politica dello Stato e fra Maggior Consiglio, Consiglio dei Pregadi, Consiglio dei Dieci si stabilì un coordinamento funzionale. Difetto fondamentale della struttura istituzionale dello Stato veneziano fu il distacco, la radicale disparità di diritti fra la casta dominante e le classi che non avevano alcuna possibilità di partecipare alla vita politica.
Con il Trattato di Campoformio (1797) Venezia fu ceduta all’Austria da Napoleone e, perduta l’indipendenza, andò a far parte del Lombardo-Veneto. Nel 1848, alla notizia della rivoluzione di Vienna (giunta a Venezia il 16 marzo 1848), forti agitazioni popolari portarono alla liberazione di N. Tommaseo, D. Manin e altri detenuti politici. A seguito delle voci dell’insurrezione di Milano scoppiarono nuovi tumulti che sortirono nella cacciata degli Austriaci (22 marzo), nella formazione di un governo provvisorio guidato da Manin e alla fusione di Venezia con il Regno di Sardegna (5 luglio). Dopo i fermenti popolari seguiti alla sconfitta di Custoza (23-25 luglio) e all’armistizio Salasco (9 agosto), Manin proclamò la Repubblica organizzando, sotto la guida di G. Pepe, la difesa della città. Il blocco austriaco intorno a Venezia divenne un assedio dopo la disfatta piemontese a Novara (23 marzo 1849); colpita anche da epidemie e dalla fame, la città, malgrado una strenua resistenza, il 23 agosto si arrese.
Con la perdita dell’indipendenza e poi con l’annessione al Regno d’Italia (nel 1866, in seguito alla guerra austro-prussiana e alla sconfitta degli austriaci a Sadowa), Venezia con la sua laguna diveniva una ‘porzione indifferenziata’ all’interno di un organismo statale, che in generale si mostrò indifferente alla specificità della sua morfologia, mentre si presentava l’aggravante di una rivoluzione industriale che accelerava i processi di sviluppo e di modifica ambientale. L’unità della laguna, mantenuta dalle accorte politiche della Repubblica, veniva disaggregata a causa di insediamenti e attività in conflitto con il suo equilibrio.
Nella primavera del 1945 Giovanni Ponti, dirigente del movimento partigiano di ispirazione cattolica, fu nominato dal Comitato di liberazione nazionale (CLN) sindaco di Venezia, incarico che mantenne fino alle elezioni del 1946. La giunta era composta dai rappresentanti di tutti i partiti del CLN, con due vicesindaci, il comunista Giovanni Battista Gianquinto e il liberale Giovanni Cicogna, e con il socialista Arturo Valentini come prosindaco con l’incarico per la terraferma. Lo spirito unitario animò effettivamente i lavori della giunta, con il risultato che tutte le delibere furono approvate all’unanimità. Le misure varate erano volte ad affrontare la difficile situazione della città, con diverse emergenze legate alla carenza di generi alimentari, alla disoccupazione, alle distruzioni apportate dalla guerra al patrimonio urbanistico e abitativo.
Nelle elezioni amministrative del 1946, il primo partito della città risultò la Democrazia cristiana (DC) ma la maggioranza dei voti andò alle sinistre con il Partito comunista italiano (PCI) al 27,29% e il Partito socialista di unità proletaria (PSIUP) attestato al 24,7%. A succedere a Ponti fu quindi Gianquinto – partigiano, esponente del PCI e vicesindaco nella giunta precedente – che rimase sindaco fino al 1951. I primi passi della giunta avvennero in atmosfera di concordia e di collaborazione tra i partiti ma gli sviluppi della guerra fredda e le elezioni del 1948 mutarono lo scenario creando un clima di forte contrapposizione. Le politiche della giunta di sinistra non si rappresentarono come una rottura rispetto alle linee di sviluppo che erano state definite in epoca fascista, negli anni 1920 e 1930, sotto l’influenza di Giuseppe Volpi di Misurata e di Vittorio Cini, che promossero fortemente la vocazione industriale dell’area e l’espansione della città verso la terraferma.
Nelle elezioni del 1951 la DC, con 68.070 voti (37,79%), ottenne la maggioranza assoluta dei seggi (31 su 60) contrastando così l’avanzata dei comunisti (30,40%) e sfruttando la legge elettorale e il forte calo dell’area socialista, indebolita anche dalle scissioni. Fu quindi eletto sindaco il medico democristiano Angelo Spanio, dopo la rinuncia di Ponti per motivi di salute. La giunta guidata da Spanio e composta da esponenti della DC e del Partito socialista dei lavoratori italiani (PSLI) durò poco più di 15 mesi, segnati da divisioni interne che esplosero con le dimissioni del vicesindaco Giovanni Pastega e degli altri assessori del PSLI. Il governo del Comune fu allora assunto da una giunta monocolore democristiana, sempre guidata da Spanio, che resse fino al febbraio 1955, quando i conflitti interni e l'allentarsi dell'alleanza di centro portarono alle dimissioni del sindaco, indebolito anche dall'arresto del fratello nell'ambito dello scandalo INGIC (Istituto Nazionale per la Gestione delle Imposte di Consumo). Fu eletto allora sindaco l’avvocato Roberto Tognazzi, democristiano, che ottenne anche, come segnale di distensione tra le parti, la scelta di votare scheda bianca da parte dei consiglieri del PCI. Nella vita interna della DC a livello locale si stavano intanto affermando le componenti di sinistra, che annoveravano tra i loro esponenti principali Vincenzo Gagliardi e Wladimiro Dorigo: il partito non era insensibile alle istanze sociali e al dialogo con la sinistra. Uno dei risultati della giunta monocolore fu l’approvazione della ‘legge speciale’ per Venezia che prevedeva provvedimenti e finanziamenti per la salvaguardia del carattere lagunare e monumentale dlla città, che nella sostanza riprendeva le linee del r.d.l. del 1937. La ‘legge speciale’ riproponeva la prassi di contributi ai privati per opere di restauro e sistemazione urbanistica, in particolar modo per gli edifici di carattere artistico e monumentale. Per modalità e contenuti essa favorì soprattutto alcune categorie di proprietari e le società immobiliari, escludendo dai benefici l’edilizia abitativa minore. Alle elezioni comunali del maggio 1956, la DC ottenne con 73.394 voti e il 37,76 %, soltanto 24 consiglieri, cioè 7 in meno rispetto al 1951, quando con una percentuale di voti quasi identica aveva beneficiato dal sistema maggioritario. Paradossalmente il PCI, che aveva subito un brusco arretramento passando dal 30,40 % del 1951 al 21,10% del 1956, riuscì ad eleggere 13 consiglieri, uno in più rispetto alle precedenti elezioni. Emerse fortemente in quella competizione elettorale il PSI che, divenuto secondo partito della città con 41.088 voti (21,14%), ottenne anche esso 13 consiglieri, cioè 9 in più rispetto al 1951. Non esistevano a quel punto le condizioni numeriche né per una maggioranza centrista né per una maggioranza di sinistra. Dopo lunghe trattative il 9 luglio 1956 fu varata una giunta con esponenti della DC e del PSDI, l'appoggio esterno del PSI, un programma concordato e la riconferma a sindaco di Tognazzi. Una soluzione inedita su un piano nazionale, che in qualche modo prefigurava la stagione del centrosinistra; l’esperimento prese il nome di ‘formula Venezia’ e fu avversata dal segretario nazionale della DC Amintore Fanfani e dal patriarca di Venezia Angelo Giuseppe Roncalli. In un clima difficile, in una situazione di accerchiamento da parte delle espressioni moderate del cattolicesimo veneto, la DC veneziana salvaguardò questa forma embrionale di centrosinistra consentendo alla giunta di lavorare due anni, fino al voto sulle linee direttive del piano regolatore generale. Il consiglio comunale approvò con il solo voto contrario del MSI la bozza di piano che prevedeva la creazione di un Centro direzionale all’interno della città storica, nuovi collegamenti stradali tra Venezia e la penisola di Cavallino, un nuovo quartiere a S. Giuliano, una seconda zona industriale di Porto Marghera. Era un tentativo di amministrare lo sviluppo e governare le contraddizioni tra l’area storica e la terraferma.
A determinare la crisi nel 1958 fu il diniego della DC alla richiesta dei socialisti di entrare in giunta. Al voto sul bilancio preventivo, si espressero favorevolmente solo la DC e il PSDI, sancendo la crisi della giunta e della politica di aperture da parte della DC veneziana. Dopo una lunga serie di trattative e di contrasti, anche interni ai partiti, si formò una maggioranza PCI-PSI-PSDI, che elesse sindaco il socialdemocratico Armando Gavagnin, il quale si era impegnato per una giunta di concordia cittadina, con compiti esclusivamente amministrativi. Questo nuovo esperimento durò soltanto pochi mesi, fino al novembre 1958, quando la giunta fu battuta nella votazione sul bilancio. La crisi che ne scaturì portò alla nomina di un commissario prefettizio che amministrò la città fino al novembre 1960.
Alle elezioni comunali del 1960 la DC si confermò primo partito, con 75.936 voti, pari al 35,74%, davanti al PCI (23,50%), al PSI (21,48 %) e al PSDI (6,25%). Alla DC andarono dunque 23 consiglieri, 14 al PCI, 13 al PSI, 4 al PSDI, 3 al MSI, 2 al PLI e un consigliere alla Lista civica di Terraferma. Sia una giunta centrista sia una di sinistra non avrebbero ottenuto neanche questa volta la fiducia del consiglio. Ma la nascita del centrosinistra fu piuttosto travagliata e passò attraverso la breve esperienza di una giunta DC, PSDI, Lista Civica di Terraferma con Giovanni Favaretto Fisca sindaco. Dopo una lunga trattativa alla fine nacque la giunta DC, PSDI, PSI, che confermò Favaretto Fisca nel ruolo di sindaco: il debutto del nuovo assetto politico non fu però accompagnato da quella spinta innovativa che sembrava presente nell’esperienza della ‘formula Venezia’. Gli anni del centrosinistra furono caratterizzati da una grande crescita demografica dell’area di Mestre e dal perdurare della crisi del centro storico. Una situazione difficile che fu accentuata dalle conseguenze dell’alluvione del 1966, che mostrò la fragilità dello sviluppo basato sul turismo e le carenze delle politiche di tutela ambientale.
Nelle elezioni comunali del 1970, la DC si confermò primo partito (31,66%) davanti al PCI (26,62%), al PSI (11,68%) e al Partito Socialista Unitario (PSU) che ottenne l’8,01%. Sindaco fu eletto il democristiano Giorgio Longo che ripropose un’alleanza di centrosinistra con il socialista Mario Rigo nel ruolo di vicesindaco. Ma la stagione del centrosinistra volgeva al termine, anche a livello nazionale. La svolta nella politica cittadina fu però determinata dai risultati delle elezioni comunali del 1975: il PCI si affermò come primo partito con 85.203 voti (34,32%), conquistando 22 seggi in consiglio comunale; la DC subiva un ulteriore calo attestandosi al 29,54%, mentre un notevole incremento dei voti rispetto al 1970 registrava il PSI, che con 40.243 voti (16,21%) poteva contare su 10 seggi. Venne così varata una giunta di sinistra con il socialista Mario Rigo sindaco e il comunista Giovanni Pellicani nel ruolo di vicesindaco. Tra le priorità della giunta di sinistra il progetto di difesa dalle acque alte e sul piano turistico e culturale il rilancio del Carnevale. Il rapporto tra laguna e terraferma e tra vocazione turistica e vocazione industriale rimasero sullo sfondo della politica veneziana. I referendum sulla divisione tra Venezia e Mestre vennero bocciati dai cittadini.
Il PCI si confermò primo partito alle elezioni amministrative del 1980, sia pure con un calo dei voti (32,57%), e la sinistra conservò la maggioranza in consiglio, dando continuità all’esperienza di Rigo fino al 1985. La stagione del pentapartito a livello nazionale e del declino della Prima repubblica si manifestò a Venezia come un periodo di grande instabilità politica. Le elezioni del 1985 videro la conferma del PCI come primo partito con 73.652 voti (30,48%) davanti alla DC con 66.071 voti (27,34%), al PSI con 41.819 (17,30%) e al PRI con 11.889 voti (4,92%). Il mutamento rispetto al 1985 non era quantitativamente rilevante ma i nuovi orientamenti del quadro politico nazionale influenzarono la vita cittadina. L’8 agosto 1985 dopo dieci anni di giunte di sinistra, si insediò una nuova giunta DC-PSI-PSDI-PLI, guidata dal sindaco socialista Nereo Laroni. Furono le divisioni nell’ambito dello stesso PSI a decretare la fine di questa esperienza, nel settembre del 1987. Dopo un periodo di instabilità e di trattative, volte anche a creare le condizioni di un pentapartito con la partecipazione dei repubblicani, nel febbraio 1988 nacque invece la giunta rosso-verde guidata da Antonio Casellati del PRI: intorno a questa esperienza si costituì una maggioranza formata da PCI, PSI, PSDI, PRI e Verdi. In quello stesso periodo venne sviluppato dal consorzio Venezia Nuova il progetto Rea (Riequilibrio e ambiente) e messi in opera alcuni passaggi operativi del MOSE. La città fu anche attraversata e divisa dalla proposta di candidare Venezia come sede per l’Expo 2000, candidatura a cui si oppose la stessa giunta comunale guidata da Casellati e che alla fine fu ritirata.
Nelle elezioni comunali del 1990 si registrarono dei veri mutamenti nella geografia politica della città: la DC ritornò ad essere il primo partito, pur ottenendo soltanto 57.800 voti (25,93%) a fronte dei 66.071 di cinque anni prima. Il PCI uscì fortemente ridimensionato con il 23,58% dei voti, a fronte della tenuta dei socialisti (17,64%), dell’esplosione dei Verdi (10,85%) e della novità rappresentata dalla Liga Veneta che con 7.009 voti (3,14%) riuscì a portare due suoi esponenti in consiglio comunale. Il democristiano Ugo Bergamo varò una nuova giunta, con la partecipazione di PSI, PSDI e indipendenti. Nel 1993 si svolsero per la prima volta elezioni comunali con la nuova legge che prevedeva l’elezione diretta dei sindaci. L’8 dicembre venne eletto sindaco di Venezia Massimo Cacciari, alla testa di una coalizione progressista formata da PDS, PRC, Verdi, PSDI, Rete, Alleanza per Venezia e Progresso socialista. Al primo turno del 21 novembre Cacciari aveva preso 89.048 voti (42,29%), distanziando nettamente il candidato leghista Aldo Mariconda (26,51%); al ballottaggio Cacciari ottenne il 55,6% dei consensi. Cacciari venne riconfermato sindaco con un’ampia maggioranza nel 1997: ottenne infatti 116.740 voti (64,58%) distanziando ampiamente il suo principale avversario Mauro Pizzigati, candidato dal centrodestra, che ricevette soltanto 37.436 voti, pari al 20,71%. Il problema dell’inquinamento della laguna rimase una priorità dei suoi mandati. La giunta di Cacciari si impegnò per la realizzazione del progetto di salvaguardia della città dalle acque alte coerente con la tutela ambientale e la correttezza amministrativa e cercò di frenare l'esodo della popolazione dal centro storico, sovvenzionando il restauro di abitazioni popolari.
Nel 2000 Cacciari si candidò alla guida della Regione Veneto ma fu sconfitto. Al comune di Venezia il centrosinistra vinse invece le elezioni, con la candidatura di Paolo Costa, economista che era stato ministro dei Lavori pubblici con il Governo Prodi, dal 1996 al 1998. Costa prevalse al ballottaggio con il 55,96% dei voti contro il candidato di Forza Italia Renato Brunetta. Durante il suo mandato si impegnò per la riapertura del Teatro La Fenice, distrutto da un incendio, e realizzò il Parco di San Giuliano, a Mestre. Nelle elezioni del 2005 Cacciari si ricandidò a sindaco, sostenuto da La Margherita e UDEUR, provocando di fatto una spaccatura nel centrosinistra, i cui partiti si erano invece accordati sulla candidatura del magistrato Felice Casson: il ballottaggio vide confrontarsi proprio Casson e Cacciari, con la vittoria di quest’ultimo (50,5% dei voti contro 49,5%); nonostante non fosse considerato il favorito riuscì a portare dalla sua parte una buona percentuale del voto moderato. Le elezioni amministrative del 2010 hanno visto la vittoria al primo turno del candidato di centrosinistra Giorgio Orsoni sul candidato del centrodestra Renato Brunetta (51,13% contro 42,62%); nel 2014 tuttavia Orsoni si è dovuto dimettere, in seguito all’accusa di avere percepito tangenti nell’ambito del progetto MOSE per finanziare la sua campagna elettorale come sindaco. Un periodo di commissariamento ha consentito di giungere fino alle elezioni del 2015, in cui si sono confrontati al ballottaggio Felice Casson, candidato del centrosinistra, e l’imprenditore Luigi Brugnaro, sostenuto dal centrodestra, che si è affermato con il 53,21% dei voti contro il 46,79%. Nel 2020 Brugnaro è stato rieletto sindaco con il 54,1% dei voti.
Concluso fra Venezia, la Francia e i Fiamminghi. Venezia si impegnava a fornire le navi per il trasporto dei partecipanti alla quarta crociata, 50 navi da guerra e il vettovagliamento dell’esercito per un anno, in cambio di 86.000 marchi d’argento. Il mancato pagamento comportò la deviazione della spedizione contro Zara, ribelle a Venezia.
Alleanza fra Venezia, il papa Alessandro VI, il duca di Milano, l’imperatore Massimiliano e il re di Spagna, in risposta alla discesa in Italia di Carlo VIII di Francia; può essere considerata la prima lega formatasi nella storia moderna per l’equilibrio europeo.
Stabiliva una lega fra Venezia, il papa Innocenzo XI, l’imperatore Leopoldo, il re Giovanni Sobieski di Polonia e altri principi cristiani, in funzione antiturca, dopo la vittoria austro-polacca di Kahlenberg (1683).
Conclusa la guerra austro-italo-prussiana, costituì l’atto formale della duplice cessione del Veneto dall’Austria alla Francia e da questa all’Italia.
Una prima organizzazione delle chiese delle isole della laguna fu attuata nella seconda metà dell’8° sec. con l’istituzione di un episcopato nel centro militare di Olivolo; dal 1050 il vescovato mutò il nome in quello di Castello. Nel 1451 Niccolò V., sopprimendo il patriarcato di Grado e il vescovato di Castello e fondendone rendite, diritti e giurisdizioni, costituì il patriarcato di Venezia, nominando primo patriarca Lorenzo Giustiniani ultimo vescovo di Castello. La giurisdizione metropolita del nuovo patriarcato si estendeva sulle diocesi di Caorle, Torcello, Chioggia. Nel 1818 Pio VI soppresse e unì alla diocesi di Venezia quelle di Torcello e Caorle e insieme assegnò al patriarcato di Venezia, come suffraganee, le diocesi di Adria, Belluno e Feltre, Ceneda, Chioggia, Concordia, Padova, Treviso, Verona, Vicenza e Udine.
La basilica di S. Marco è il centro del complesso urbanistico-monumentale costituito dalla piazza e dalla contigua piazzetta di S. Marco, sulle quali sorgono inoltre il campanile, il Palazzo Ducale, le Procuratie Vecchie e Nuove, la Torre dell’Orologio, la Libreria, la Zecca. La basilica (829, ricostruita 976-78) si presenta nella riedificazione voluta (1063) dal doge D. Contarini, e con numerosi interventi dei secoli successivi. Lo schema, simile a quello dei SS. Apostoli a Costantinopoli, è a croce greca, con cinque cupole sui bracci e sulla crociera. Un atrio di ingresso circonda su tre lati il braccio occidentale. Numerose le opere riportate dall’Oriente: i Tetrarchi in porfido (4° sec.), i Cavalli per la facciata (sostituiti da copie; 4°-3° sec. a.C., Museo di S. Marco), la Madonna Nicopea (10° sec.). La facciata è conclusa da cinque archi con coronamento gotico di edicole, pinnacoli, trafori e sculture (N. e P. Lamberti). Sui portali sono rilievi romanici con figurazioni dei Mesi, delle Virtù. Delle porte di bronzo, sono bizantine quella di S. Clemente (11° sec.) e quella centrale (1112-38). Di grande interesse è il rivestimento musivo dell’atrio e della basilica (soprattutto sec. 11°-13°) di scuola locale di cultura bizantina, anche nel ricco programma iconografico (proseguito nei secoli successivi anche su disegno di artisti come Paolo Uccello, Andrea del Castagno, M. Giambono). Il campanile romanico, rinnovato all’inizio del 16° sec. e crollato nel 1902, fu ricostruito (1903-12). Sulla Piazzetta sono le enormi colonne di granito orientale con le statue di S. Teodoro e del Leone (capitelli e basi 12° sec.).
Le prime chiese degli ordini mendicanti (S. Maria Gloriosa dei Frari, SS. Giovanni e Paolo), fondate alla metà del 13° sec., furono rinnovate tra fine 14° sec. e inizio 15°: a pianta basilicale, hanno volte a crociera su piloni cilindrici collegati da catene lignee. S. Zaccaria, ricostruita dal 1458 in forme gotiche, con alte volte a crociera e deambulatorio con quattro cappelle radiali, fu proseguita in forme rinascimentali da M. Codussi, autore anche della facciata, dal tipico coronamento a frontoni e spioventi curvilinei o lobati, comune a molte chiese veneziane (S. Aponal, S. Giovanni in Bragora ecc.). I monumenti sepolcrali conservati nelle chiese testimoniano l’evoluzione del genere, in cui influssi toscani o emiliani incidono sulla tipologia locale, con sarcofago sospeso a parete, sovrastato da rilievi e statue entro nicchie o su mensole.
Tra le più antiche costruzioni civili sono le case (sec. 12°-13°, rimaneggiate) nel cosiddetto stile veneto-bizantino (palazzo Falier, Ca’ Businello, Ca’ Lion, Ca’ Da Mosto), con portico nella parte centrale e loggia sovrastante, paramento esterno riccamente decorato e merlature. Lo stile gotico perdura nella seconda metà del 15° sec. (Ca’ d’Oro, case dei Foscari, dei Pisani, dei Pesaro a S. Benedetto, dei Soranzo Van Axel a S. Canciano, casa Contarini Fasan, casa di Dario). Al 9° sec. risale la fondazione del Palazzo Ducale, ricostruito tra 14° e 15° sec., con una contaminazione di elementi gotici e orientali; sopra i portici, ad archi acuti su robuste colonne, è un loggiato sormontato da paramento a losanghe in marmi bianchi e rosa, coronato da merlature; al centro delle due facciate sono due balconi (verso il molo: 1404, P. e I. Dalle Masegne; sulla piazzetta, 1536). Vi lavorarono scultori lombardi e veneziani, tra cui G. e B. Buon (Porta della Carta, 1438-42).
La commissione dei teleri per la Sala del Maggior Consiglio a Gentile Bellini (1474), in sostituzione degli affreschi del Guariento, dà l’avvio alla grande impresa decorativa nel Palazzo Ducale, che proseguirà nei sec. 15°-16° con Giovanni Bellini, Carpaccio, Tiziano, Pordenone, Veronese, Tintoretto ecc. (molte tele furono distrutte nell’incendio del 1577). L’uso della tela diviene consueto anche come supporto per la pittura a olio, perfezionata dai pittori veneziani (Carpaccio, teleri delle scuole di S. Orsola, Gallerie dell’Accademia, e di S. Giorgio degli Schiavoni). Accanto ai Vivarini e a Cima da Conegliano, Giovanni Bellini è figura dominante tra la seconda metà del 15° e l’inizio del 16° sec., con la sua fiorente bottega. Fondamentale per lo sviluppo della pittura è inoltre la presenza nella città di Antonello da Messina (1475-76).
Il Rinascimento in architettura si afferma attraverso compromessi con la precedente tradizione (portale dei SS. Giovanni e Paolo, 1458; arco Foscari del Palazzo Ducale, attribuito ad A. Rizzo, autore anche della Scala dei Giganti e della facciata sul Rio di Palazzo Ducale, completata da P. Lombardo, 1510 circa). Del 1460 circa è la Porta dell’Arsenale, primo coerente riferimento al linguaggio architettonico umanistico. Dopo il 1470 all’opera dei Lombardo e di M. Codussi vanno ascritte alcune tra le maggiori realizzazioni della città. Di Verrocchio è il monumento equestre a B. Colleoni in Campo SS. Giovanni e Paolo (terminato da A. Leopardi, 1496).
Dell’inizio del 16° sec. sono il Fondaco dei Tedeschi, il Palazzo dei Dieci Savi (ambedue dello Scarpagnino), il Palazzo dei Camerlenghi di Guglielmo Bergamasco. Una parentesi in senso classicista, cui contribuì la pubblicazione a Venezia del trattato di S. Serlio (1537), si deve all’opera architettonica e scultorea di I. Sansovino, venuto da Roma nel 1527 (Loggetta del Campanile, Libreria, Zecca, Ca’ Grande Corner ecc.) e alle opere di A. Palladio (S. Giorgio Maggiore, il Redentore, facciata di S. Francesco della Vigna ecc.). L’architettura del 16° sec. è caratterizzata inoltre dall’opera di M. Sanmicheli (palazzi Grimani, Corner Mocenigo, forte di S. Andrea), V. Scamozzi (Procuratie Nuove, terminate da B. Longhena; S. Lazzaro dei Mendicanti; palazzo Contarini degli Scrigni), G.A. Rusconi, A. Da Ponte (autori delle Prigioni). Dalla fine del secolo lavora A. Vittoria (progetto della cappella del Rosario in SS. Giovanni e Paolo), del quale va ricordata la notevole attività di scultore.
La breve ma intensa attività artistica di Giorgione, legata ai nuovi circoli umanistici, segna la pittura del primo Cinquecento. In pittura è Tiziano che raccoglie l’eredità di Giovanni Bellini. Il grandioso linguaggio decorativo di P. Veronese emerge nelle tele per Palazzo Ducale, mentre la pittura drammatica di I. Tintoretto trova espressione nei grandi cicli narrativi (Scuola di S. Marco; Scuola Grande di S. Rocco).
La particolare configurazione dell’architettura barocca veneziana è rappresentata soprattutto da B. Longhena, che innesta una vena vitale e fantasiosa sulla tradizione palladiana (S. Maria della Salute; palazzi Rezzonico e Pesaro). Da ricordare la Dogana (G. Benoni), la facciata di S. Moisè (A. Tremignon), di S. Maria del Giglio, degli Scalzi, di S. Salvador (tutte di G. Sardi). La scultura decorativa è rappresentata da J. de Corte, F. Caprioli, T. Ruer, M. Ungaro (attivi in S. Maria della Salute); allo scorcio del secolo lavora H. Meyring (S. Moisè).
Una memoria palladiana informa l’architettura del 18° sec.; dai riferimenti presenti in soluzioni ancora barocche di inizio secolo (chiesa dei Gesuiti e di S. Stae, D. Rossi), attraverso l’opera di G. Massari (palazzo Grassi, chiesa della Pietà) e G.A. Scalfarotto (S. Simeone Piccolo) si giunge al rigoroso classicismo di T. Temanza (chiesa della Maddalena) e di G.A. Selva (teatro della Fenice). Tra i rappresentanti della scultura rococò figurano G.P. Marchiori e G.M. Morlaiter; nella scultura in legno emerge A. Brustolon. Alla fine del secolo, di grande importanza nella scultura veneziana è l’attività di A. Canova.
A differenza del secolo precedente, in pittura nel 18° sec. la scuola veneziana torna ad affermarsi, con S. Ricci, con G. Piazzetta e soprattutto con G.B. Tiepolo, che rinnova la grande tradizione decorativa veronesiana. La pittura del 18° sec. è caratterizzata inoltre dall’attività dei vedutisti L. Carlevariis, Canaletto, B. Bellotto e, in una diversa interpretazione del genere, F. Guardi; di grande successo la ritrattistica di R. Carriera e di A. Longhi, e le scene di genere di P. Longhi. Durante il governo francese Selva realizzò i giardini nel sestiere di Castello; G.A. Antolini e G.M. Soli eressero la Fabbrica Nuova di piazza S. Marco.
Nel 19° sec. esigenze di razionalizzazione dei sistemi viari portarono alla realizzazione dei ponti sul Canal Grande e di numerosi ponticelli metallici per l’attraversamento dei rii; alla costruzione della stazione ferroviaria (1861-66, rifatta nel 1955) e della Stazione marittima (dal 1880); all’apertura di grandi vie (Strada Nuova, da S. Fosca a SS. Apostoli, 1867-71), con alterazioni del tessuto urbano. Le stesse esigenze portarono alla stesura (1886-91) del piano regolatore e di risanamento: zone centrali con, tra le varie funzioni, abitazioni alto borghesi in un linguaggio eclettico; edilizia popolare nelle zone più marginali di Castello, Cannaregio, Dorsoduro; il quartiere di S. Elena (dopo il 1924) con interventi non unicamente destinati all’edilizia popolare.
Al volgere del secolo anche il Lido, sotto la spinta di interessi turistico-balneari, ebbe una rapida urbanizzazione: case rurali a Malamocco, i complessi del Grand Hotel des Bains (1900, F. Marsich) e del Grand Hotel Excelsior (1908, G. Sardi) in stile moresco, e le numerose ville, in particolare quelle di G. Sullam (autore anche dell’ingresso al nuovo cimitero israelitico, 1911, sempre al Lido), vicine al linguaggio modernista.
Gli anni 1930 furono caratterizzati da numerosi interventi urbanistici che segnarono in modo significativo la geografia della città. Figura centrale in questo periodo fu E. Miozzi (capo dell’Ufficio tecnico del Comune dal 1931 al 1954); suo fu il progetto di affiancare al ponte ferroviario un viadotto autostradale (realizzato tra 1931 e il 1933), che collegò definitivamente Venezia alla terraferma, confermando la nuova direttrice di sviluppo della parte occidentale della città, divenuta poi stabilmente l’area di accesso al centro storico lagunare; al termine del viadotto venne creato piazzale Roma, con il Garage INA (1934), costruito in un linguaggio d’ispirazione razionalista. Ancora a Miozzi si devono il ponte dell’Accademia (1932-33), il ponte degli Scalzi (1932-34), il Casinò municipale (1938) e la sistemazione urbanistica dell’intera area del Lido comprendente il Casinò e il vicino Palazzo del Cinema, lo scavo del Rio Nuovo che collega piazzale Roma con il Canal Grande all’altezza di Ca’ Foscari. L’ultimo progetto di Miozzi per Venezia sarà nel 1956 quello relativo alla realizzazione dell’Isola Nuova del Tronchetto.
Risparmiata dai bombardamenti durante la Seconda guerra mondiale, per tacito accordo tra le parti (duramente colpiti invece il porto di Marghera e Mestre), la città storica si ritrovò comunque nel dopoguerra con una situazione abitativa molto difficile: moltissime erano le abitazioni sovraffollate e in condizioni igienico-sanitarie precarie, soprattutto quelle a piano terra. Tra gli interventi nel settore dell’edilizia popolare, va ricordato il quartiere INA-casa di S. Giuliano (1949-56) a Mestre – che a partire dagli anni 1950 crebbe in maniera esponenziale e spesso in modo disordinata – e l’urbanizzazione di Sacca Fisola (1956) un'area di oltre 100.000 metri quadrati ai margini della Giudecca.
I tentativi di introdurre nel contesto del centro storico realizzazioni architettoniche di linguaggio contemporaneo si sono sempre scontrati nel corso del Novecento con la tendenza ‘conservazionista’ (la stessa che, per esempio, aveva sostenuto la necessità di ricostruire il campanile di S. Marco, crollato nel 1902, esattamente come era). Famose sono rimaste alcune bocciature illustri: il progetto del Masieri Memorial, nel Canal Grande, firmato da Frank Lloyd Wright nel 1954, il nuovo ospedale (Le Corbusier, 1964-65), il Palazzo dei Congressi ai Giardini della Biennale (L.I. Kahn, 1969). Alcune realizzazioni suscitarono reazioni contrastanti, per esempio il cosiddetto Danielino (1946-1948), ampliamento dello storico Hotel Danieli, in riva degli Schiavoni, su progetto di V. Vallot, oppure il nuovo corpo dell’Hotel Bauer (1945-49, M. Meo), di tipo razionalista. Tra gli altri progetti realizzati a partire dagli anni 1950 il colossale edificio della stazione ferroviaria (1954), uffici INAIL a S. Simeone Piccolo (G. Samonà, 1952-56), il negozio Olivetti in piazza S. Marco di C. Scarpa (1958), casa alle Zattere (I. Gardella, 1954-57), l’albergo Cipriani alla Giudecca (1958), la sistemazione della Fondazione Querini Stampalia (C. Scarpa, 1961-63), la ristrutturazione dell’ospedale civile (L. Semerani e G. Tamaro, 1978-89).
Nuovi padiglioni sorsero ai Giardini della Biennale, l'unico territorio della città dove vi fosse spazio per la sperimentazione, tanto che divennero sempre più una sorta di antologia dell'architettura moderna: tra i più rilevanti i padiglioni dell'Olanda (G. T. Rietveld), della Finlandia (A. Aalto), dei Paesi scandinavi (S. Fehn), del Venezuela (C. Scarpa), del Giappone (Takamasa Yoshizaka).
Complessi di case popolari furono edificati anche nei decenni successivi sull’isola del Mulino Stucky alla Giudecca (G. Valle, 1980-86), nell’isola di Mazzorbo (G. De Carlo, 1985) e a Cannaregio (V. Gregotti, 1981-89), accanto alla trasformazione a uso residenziale delle ex Birrerie Veneziane Dreher (G. Gambirasio, 1988).
Tra gli intereventi dei primi anni 2000 si ricordano la ristrutturazione del Mulino Stucky (2007), il Ponte della Costituzione (S. Calatrava, 2008), l’intervento di ristrutturazione dell’edificio di Punta della Dogana condotto da Tadao Ando (2009), che ospita il nuovo Centro d’arte contemporanea - Fondazione Pinault.
Tra gli istituti di cultura si ricordano la Fondazione Querini Stampalia, la Fondazione Bevilacqua La Masa, la Fondazione Giorgio Cini, e Palazzo Grassi, sede espositiva dal 1986. La Biblioteca Nazionale Marciana è di antica fondazione (‘Libreria vecchia’ e Palazzo della Zecca). Altre notevoli biblioteche, quelle della Casa del Goldoni, della Fondazione Cini, Querini Stampalia; di S. Michele in Isola della Congregazione dei mechitaristi (manoscritti in lingua armena dei sec. 7°-13°) ecc.
I principali musei e gallerie sono: Gallerie dell’Accademia, negli ambienti della chiesa e Scuola della Carità e del convento dei Canonici Lateranensi; Galleria G. Franchetti alla Ca’ d’Oro; Galleria internazionale d’arte moderna, a Ca’ Pesaro (opere acquistate alle Biennali d’Arte); Museo archeologico alle Procuratie Nuove; Museo d’arte orientale a Ca’ Pesaro; Civico Museo Correr; Museo Fortuny nell’omonimo palazzo; Museo del Settecento veneziano a Ca’ Rezzonico; Peggy Guggenheim Collection a palazzo Venier dei Leoni; Pinacoteca Querini Stampalia ecc.
La vita musicale veneziana, le cui prime testimonianze, legate alla musica bizantina, risalgono al 6° sec., fu particolarmente attiva tra il 15° e il 19° sec., quando Venezia divenne un centro musicale di importanza europea. La cosiddetta scuola veneziana si espresse in due direzioni: la polifonia vocale e strumentale della cappella di S. Marco e l’opera teatrale seicentesca.
La cappella di S. Marco giunse ad avere propria organizzazione nel 1491, con la nomina di P. de Fossis a ‘maestro di cappella’. Con il suo successore, A. Willaert, nel 1527, ebbe inizio la scuola polifonica veneziana. La massima ascesa e purificazione dello stile veneziano, caratterizzato dal cromatismo, dalla spezzatura dei cori (cioè l’antifonia tra una metà e l’altra della massa corale, ognuna appoggiata a uno dei due organi grandi), oltre che da stilemi interni diversi, si avrà con G. e A. Gabrieli, i quali inoltre risollevarono, insieme con L.A. Cavazzoni, le sorti della musica strumentale, per troppo tempo subordinata alle esigenze della musica vocale. In questo periodo operarono a Venezia musicisti di fama europea come C. De Rore, G. Zarlino e C. Monteverdi. Tra gli organisti di S. Marco il maggior contributo allo sviluppo della musica per tastiera è da attribuirsi ad A. Padovano, C. Merulo e ai Gabrieli. Alla fine del 16° sec. Venezia rappresentava un punto di irradiazione di importanza capitale. Alla sua scuola vennero musicisti di ogni paese, tra i quali H.L. Hassler e H. Schütz, ‘il padre della musica tedesca’.
Gli stilemi della polifonia veneziana vennero poi trasfusi all’interno del nascente stile concertante elaborato da Monteverdi, e in tale solco la tradizione del melodramma veneziano venne sviluppandosi secondo direttrici proprie, anche dal punto di vista strettamente spettacolare (per es., accogliendo figure comiche vicino alle eroiche e passando ben presto dagli argomenti mitologici agli argomenti storici e cavallereschi). È da ricordare, inoltre, che proprio a Venezia si deve l’apertura del primo teatro pubblico, il celebre San Cassiano inaugurato nel 1637. Numerosi altri teatri furono aperti in seguito e nel solo 17° sec. (cioè nel primo secolo di esistenza dell’opera) furono allestite 356 opere di 72 compositori.
Nel 18° sec. lo stile veneziano puro si contaminò accogliendo influenze esterne. Venezia si distinse nell’opera comica, il cui maggiore esponente fu B. Galuppi, e nell’opera seria, influenzata però dai napoletani. La passione per il teatro musicale favorì la nascita di una serie di importanti istituzioni, quali i conservatori (‘Ospedali’) della Pietà, dei Mendicanti, degli Incurabili, dell’Ospedaletto. La grande corrente strumentale seicentesca, sfociata nel 18° sec. nel trionfo vivaldiano, trovò ancora a Venezia nuovi impulsi stilistici nel genere clavicembalistico, di cui massimi esponenti furono tra gli altri G. Platti, D. Alberti, B. Galuppi. Nella musica d’insieme (concerto grosso, concerto per violino e orchestra), ad A. Vivaldi si affiancano i nomi di T. Albinoni e di G. Tartini. Al 19° sec. Venezia non offrì un contributo artistico autonomo, anche se nel corso dell’Ottocento venne sviluppandosi la tradizione gloriosa del teatro La Fenice, fondato nel 1729. Per tutto il 20° sec. il rinnovamento della vita musicale veneziana si è basato sul ripreso studio, anche archivistico, delle grandi tradizioni dei sec. 16°-18°, sul Civico liceo musicale B. Marcello fondato nel 1877, sulle sue associazioni culturali, sui suoi teatri. Dal 1930 ha luogo a Venezia un Festival internazionale di musica contemporanea, inizialmente in forma biennale (perché nell’ambito della Biennale d’arte), poi annuale: la manifestazione, che ha ottenuto subito una grande notorietà internazionale, comprende concerti, opere e balletti.
Esposizione internazionale di arti figurative e applicate, ideata nel 1893 da R. Selvatico e da A. Fradeletto: la prima edizione (1895) fu allestita nel padiglione (poi padiglione Italia) nei Giardini di Castello, intorno al quale sorsero, dal 1907, i padiglioni delle nazioni partecipanti su progetti di numerosi noti architetti delle rispettive nazioni; la sistemazione dell’ingresso (1952) si deve a C. Scarpa; di J. Stirling & M. Wilford è il padiglione del Libro (1991). In seguito ha acquisito altri spazi espositivi: Tese e Corderie dell’Arsenale, Magazzini del sale, antichi Granai alla Giudecca ecc. Dal 1980 l’architettura è presente in forma autonoma con la Mostra internazionale di architettura. Nel 2004 la Biennale di Venezia è stata costituita in fondazione.
Organizzato dall’Ente autonomo della Biennale di Venezia è anche il Festival internazionale del teatro di Venezia che deriva dalle manifestazioni teatrali che, sempre in seno alla Biennale d’arte, si svolsero a Venezia dal 1934 al 1941. Il primo festival ebbe luogo nel 1948 e si chiamò IX festival, per sottolineare la continuità con le manifestazioni precedenti; ai festival sono invitate compagnie italiane e straniere.
Vasta zona umida compresa tra l’antica foce del Piave (ora occupata dal fiume Sile), a N, e la foce del Brenta, a S, che si estende parallelamente alla costa per circa 52 km, con una larghezza compresa tra gli 8 e i 14 km, per una superficie complessiva di 552 km2. La sua formazione è probabilmente da connettersi con la scarsa profondità marina in prossimità della costa, fatto che ha permesso il deposito dei sedimenti fluviali in scanni, successivamente evolutisi in lidi. L’effetto combinato di fenomeni di eustatismo e subsidenza ha permesso, successivamente, il completamento della caratteristica morfologia lagunare, che, nel caso specifico, appare profondamente modificata dall’intervento antropico. La sequenza dei cordoni litoranei (da nord a sud: Penisola del Cavallino, isole del Lido e di Pellestrina, Lido di Chioggia) è interrotta da tre `bocche di porto’ (rispettivamente del Lido, di Malamocco e di Chioggia), aperture che permettono l’ingressione della marea e, quindi, il ricambio e la riossigenazione delle acque interne lagunari. La morfologia di questo ambito è stata profondamente modificata dall’intervento dell’uomo, non solo con la progressiva colonizzazione, ma anche con l’approfondimento delle bocche di porto (per permettere l’accesso delle moderne grandi navi alle zone portuali di Venezia e Porto Marghera) e l’approntamento di difese a mare (come i murazzi ideati da V.M. Coronelli, realizzati a metà del 18° sec., e rifatti dopo la catastrofica alluvione del 4 novembre 1966). Il paesaggio delle acque interne non è caratterizzato solo dagli storici interventi sulle isole, ma soprattutto dall’azione di erosione/deposito che porta alla formazione di quelle che sono chiamate velme, vere e proprie isole di fango sommerse durante l’alta marea ed emerse durante la bassa. Le barene invece, pur avendo la stessa origine, si presentano colonizzate dalla vegetazione, che comincia a stabilizzare la massa fangosa.
Nel corso dei secoli, la Repubblica di Venezia compì grandiose opere idrauliche di diversione dei fiumi dal bacino scolante lagunare (quella del Brenta, per es., fu iniziata nel 13° sec., mentre quella del Piave risale al 17°), al fine di evitare l’interrimento e l’impaludamento dell’intero sistema. Anche sfruttando i paleoalvei fluviali, il flusso delle maree ha escavato i fondali della laguna viva (la parte dove intenso è l’effetto della marea, contrapposta alla laguna morta), costruendo la rete dei canali utilizzati per la navigazione interna a causa della loro maggiore profondità rispetto ai 50 cm del valore medio. Proprio le vie d’acqua ben rappresentano le contraddizioni del sistema lagunare. Se da una parte vi è la necessità di garantirne la profondità, al fine di permettere il necessario ricambio d’acqua (l’escavazione dei rii del centro storico di Venezia è stata ripresa nel 1995, dopo oltre 50 anni di abbandono), e l’accessibilità alle zone portuali, dall’altra proprio l’approfondimento dei canali è una fra le cause delle cosiddette acque alte (quella del 4 novembre 1966, giunse a quasi 2 m sul livello medio del mare, ma basta la metà per allagare le parti più basse della città). Questo effetto di sommersione di gran parte del centro abitato è causato sì da fenomeni naturali, quale la concomitanza dell’alta marea con lo spirare di vento di scirocco, ma anche da fenomeni di origine antropica, quali la subsidenza, legata all’emungimento delle falde sotterranee avvenuto in passato per scopi industriali, e la progressiva riduzione della superficie lagunare, dovuta soprattutto all’imbonimento per scopi produttivi.
La risoluzione del problema delle acque alte è oggi affidata al progetto MOSE (Modulo Sperimentale Elettromeccanico), gestito dal Consorzio Venezia Nuova. Si tratta di un sistema integrato di opere di difesa con barriere costituite da paratoie mobili e tra loro indipendenti, in grado di separare temporaneamente la laguna dal mare, proteggendo così la città dalle maree. Le barriere sono collocate alle bocche di porto di Lido, Malamocco e Chioggia, cioè nei tre varchi del cordone litoraneo attraverso i quali la marea si propaga dal mare alla laguna. In condizioni normali le paratoie sono piene d’acqua e sono alloggiate nel fondale, completamente invisibili. In caso di pericolo di maree che possano provocare un allagamento, nelle paratoie viene immessa aria compressa, grazie alla quale, svuotate dell’acqua, esse si sollevano fino a emergere e a bloccare il flusso della marea in ingresso in laguna. Quando la marea cala, e in laguna e mare si raggiunge lo stesso livello, le paratoie vengono di nuovo riempite d’acqua e rientrano nel proprio alloggiamento. Il controverso progetto, la cui realizzazione è iniziata nel 2003, ha avuto un iter complesso, che ha visto tra l’altro nel 2014 anche il commissariamento del Consorzio Venezia Nuova, e la sua conclusione è prevista per il 2018.
(2.472 km2 con 846.962 ab. al censimento del 2011, divenuti 848.829 secondo rilevamenti ISTAT del 2020, ripartiti in 44 comuni). Nel 2014, con la legge 7 aprile n. 56, entrata in vigore il 1°gennaio 2015, la città metropolitana di Venezia è subentrata all'omonima provincia, mantenendo la medesima estensione geografica. L’area si configura come una stretta fascia occupante (a esclusione del delta del Po) tutta la costiera veneta. Alla base dell’attuale città metropolitana è il Dogado (il territorio delle lagune storicamente sotto il dominio diretto della Serenissima), cui è stata annessa la Riviera del Brenta, quella del Miranese e altri territori nelle zone di San Donà di Piave e di Portogruaro. Da un punto di vista fisico, la città metropolitana di Venezia si presenta conformata dal tratto terminale dei fiumi Tagliamento, Livenza, Piave, Sile, Bacchiglione-Brenta e Adige. Infatti i terreni della zona sono costituiti soprattutto dai loro depositi alluvionali, alternati a terreni di origine lagunare e palustre, con relitti di paleodune, testimonianza del progressivo avanzamento della linea di costa. La popolazione della città metropolitana, dopo un periodo di diminuzione negli ultimi due decenni del Novecento, ha mostrato complessivamente al principio del nuovo secolo una lieve tendenza all’aumento. Alcuni fra i maggiori comuni del territorio (Chioggia, Caorle ecc.), oltre al capoluogo che ha segnato una significativa diminuzione della popolazione, hanno subito una contrazione, mentre le aree situate lungo le principali direttrici di comunicazione, in particolare verso Padova, Treviso e in direzione del confine friulano, hanno registrato incrementi demografici legati all’intensa diffusione di attività imprenditoriali e produttive. La struttura economica appare, nel suo complesso, piuttosto articolata. Diffuse sono la coltura del mais e le coltivazioni industriali (in particolare soia e barbabietole). L’area di Jesolo è specializzata nella frutticoltura (melo, pero, pesco), quella di Pramaggiore nella viticoltura DOC e quella di Chioggia nell’orticoltura. Altra attività tradizionale è rappresentata dall’itticoltura e dalla pesca, sia d’altura sia di valle, concentrata nei porti di Chioggia, Venezia e Caorle. Se si esclude l’area industriale di Porto Marghera, il tessuto produttivo della provincia è composto da imprese medio-piccole e da attività artigiane, la cui caratteristica fondamentale è la grande specializzazione e dispersione sul territorio. Tali imprese (spesso di importanza nazionale e internazionale) talvolta si organizzano in distretti industriali omogenei, come nel caso del vetro a Venezia, delle calzature lungo la Riviera del Brenta, del mobilio nella sezione orientale. La grande maggioranza degli attivi opera nel terziario: attività direzionali, commercio, pubblica amministrazione rappresentano storicamente i settori di maggiore occupazione, cui va aggiunto quello importantissimo del turismo. Le risorse turistiche sono rappresentate dalle città d’arte (soprattutto Venezia) e dalle spiagge, articolate nel cordone litoraneo della laguna (Sottomarina, Pellestrina, Lido di Venezia e Cavallino, per un totale di circa 45 km di arenile) e nel sistema orientale (Lido di Jesolo, Eraclea, Caorle e Bibione, 47 km).
Per la Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia ➔ Venezia, Mostra internazionale d’arte cinematografica di