Nome con cui è noto il pittore Giorgio da Castelfranco (erroneo il casato Barbarelli; n. Castelfranco Veneto forse 1477 - m. 1510). Capofila della scuola veneta del Cinquecento, con la sua opera ebbe un impatto fortissimo sui più giovani Tiziano e Sebastiano del Piombo, provocando anche un deciso aggiornamento dell'anziano G. Bellini, suo presunto maestro. Nel corso della carriera G. giunse a una pittura tutta colore, quasi a macchia; l'assenza della fase di disegno e l'uso del colore per strutturare le figure apparivano a G. Vasari i tratti salienti dell'arte giorgionesca, identificata così con la maniera veneta.
La scarsità delle notizie biografiche, che si riferiscono in gran parte a opere ora perdute (1507-08: telero per la Sala dell'udienza in Palazzo Ducale, Venezia; 1508: compimento degli affreschi della facciata del Fondaco dei Tedeschi, ivi), insieme alla grande importanza storica della sua arte, subito riconosciuta anche dai contemporanei, hanno fatto sì che la ricostruzione della sua personalità sia stata in ogni tempo prospettata diversamente. Sia l'attribuzione sia la datazione delle opere di G. costituiscono infatti una delle questioni più controverse della storia dell'arte, rispecchiando di volta in volta i gusti e gli interessi delle varie generazioni. Importanti per la ricostruzione storica di G. sono gli appunti di M. Michiel, 1525-43, il Cortigiano di B. Castiglione, 1528, il Dialogo di Pittura di P. Pino, 1548. Opera indubbia di G. sono, a parte gli affreschi di vaste proporzioni del Fondaco dei Tedeschi, espressione della piena maturità di cui restano scarsi avanzi (le composizioni ci sono note attraverso antiche copie), una Giuditta (San Pietroburgo, Ermitage), la pala con la Madonna in trono fra i ss. Liberale e Francesco (Castelfranco, duomo), una Laura (Vienna, Kunst historisches Museum, 1506), una Venere (Dresda, pinacoteca), la cosiddetta Tempesta (Venezia, Accademia). G. esordì, forse sulla base di spunti derivati dalla tradizione emiliana (L. Costa, F. Francia) e da Leonardo (chiaroscuro delicatamente sfumato), probabilmente con opere quali l'Adorazione dei pastori (Washington, National Gallery of art), l'Adorazione dei Magi, (Londra, National Gallery), una discussa Madonna col Bambino (Oxford, Ashmolean Museum), dipinti che preparano la Giuditta, forse un poco posteriore, la Laura (1506), la Prova del fuoco, di discussa attribuzione (Firenze, Uffizi). Rispetto ai modi della contemporanea pittura veneta, si tratta di una innovazione profonda. Nella Tempesta il colore è ricco e profondo, l'interpretazione del soggetto, sia esso mitologico o di genere, è basata su un senso nuovo del paesaggio e dei rapporti tra esso e la figura umana, come poi nella Venere (Dresda, Gemäldegalerie), nei Tre filosofi (Vienna, Kunsthistorisches Museum), nel Tramonto già nella collezione Donà delle Rose. Alla fine della sua breve esistenza, G. forse volgeva verso modi sempre più nuovi, verso una pittura tutta colore, quasi a macchia, indicando la via al giovane Tiziano. Sono di discussa attribuzione a questo ultimo periodo due mezze figure di pastori nella galleria Borghese di Roma, alcuni ritratti, il Concerto della Galleria Palatina di Firenze, considerato dalla maggioranza degli studiosi opera di Tiziano, il Concerto campestre del Louvre, forse di Tiziano, ma attribuito anche a Sebastiano del Piombo, l'Adultera di Glasgow e altre opere in cui è difficile separare la personalità di Giorgione da quella del giovane Tiziano.