Stato dell’Europa meridionale, nella parte sud-occidentale della Penisola Balcanica. Confina a N con il Montenegro, a E con il Kosovo e la Repubblica della Macedonia del Nord, a SE e a S con la Grecia; a O si affaccia sul Mare Adriatico.
Il sistema orografico del territorio dell'Albania si compone di tre settori principali: le Alpi Albanesi, orientate in direzione SO-NE, dal Lago di Scutari alla piana della Metochia e culminanti nel Monte Jezercës (2694 m); la regione montuosa centro-orientale, che include tre fasci di montagne, tra cui si inseriscono le valli dell’alto Shkumbin e del Drin Nero e la conca di Korce; la regione montuosa meridionale, formata da catene parallele disposte da NO a SE, la cui vetta principale è il Tomori (2417 m). A tali ampie aree di montagna si contrappone una modesta zona di pianura e bassa collina che forma una fascia costiera lunga oltre 170 km e larga dai 10 ai 30 km.
Il regime fluviale è di tipo nivo-pluviale a carattere torrentizio; i fiumi maggiori, da N a S, sono la Boiana, emissario del Lago di Scutari; il Drin, originato dalla confluenza di due rami, il Drin Bianco e Drin Nero; lo Shkumbin; la Voiussa. I laghi principali sono quelli di Scutari, al confine con il Montenegro; di Ocrida, al confine con la Macedonia; di Prespa, al cui interno si trova il punto triconfinale tra Albania, Grecia e Macedonia del Nord.
Il clima è di tipo mediterraneo, con inverni miti caratterizzati da piogge abbondanti (media annua di oltre 1400 mm) ed estati calde e secche. Si distinguono tre regioni fitogeografiche principali: la regione mediterranea, che interessa la fascia costiera fino a circa 800 m, caratterizzata da macchia mediterranea; quella montana, fino a 1600-1800 m, con prevalenza di faggi e abeti; quella alpina, con vegetazione erbacea.
Nel 1923 l’Albania contava 814.000 abitanti. Le difficili condizioni di vita e la diffusione di malattie (malaria, sifilide) mantenevano alti i tassi di mortalità e frenavano l’aumento demografico, pur in presenza di tassi di natalità anch’essi elevati. Dal secondo dopoguerra, invece, la popolazione albanese si è andata caratterizzando per una notevole vitalità demografica: il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie e le politiche di regime volte a sostenere la natalità hanno comportato un rapido incremento della popolazione, che tra il 1945 e il 1989 è cresciuta a un tasso medio annuo del 2,7% (il più alto d’Europa), passando da 1.122.000 unità a 3.182.000. Con il crollo del regime comunista (1991) si sono attivati imponenti flussi migratori, soprattutto verso Grecia e Italia, con conseguente fuoriuscita, in forme spesso drammatiche, di circa 400.000 persone nella sola prima metà degli anni 1990. Successivamente i flussi si sono attenuati (con l’eccezione del picco registrato in occasione della crisi politica del 1997) e la popolazione ha ripreso a stabilizzarsi, raggiungendo 3.069.000 abitanti al censimento del 2001. I dati dell’ultimo censimento del 2011 testimoniano invece un calo del 7,7% della popolazione: l’Albania oggi conta 2.831.741 abitanti. Una popolazione giovane, per il 23% sotto i 14 anni e appena il 9,7% sopra i 65.
La componente urbana cresce costantemente dai primi anni 1990 (53,7% nel 2011, contro il 36% del 1990), a causa di flussi migratori interni dalle aree rurali alle città. La città principale è Tirana, con 421.286 abitanti; supera i 100.000 abitanti Durazzo, Valona ed Elbasan hanno quasi 80.000 abitanti, Scutari ne conta poco meno di 75.000.
La popolazione albanese è etnicamente omogenea, se si eccettua una consistente minoranza ellenofona nel S del paese. Sono presenti inoltre piccoli gruppi di Slavi, Valacchi e Rom. La religione dominante è l’islamismo sunnita (70%); il cristianesimo (30%) è presente nelle confessioni ortodossa e cattolica. Cospicuo è il numero di albanesi etnici fuori dello Stato, specie in Kosovo (ca. 1,6 milioni) e nella Repubblica della Macedonia del Nord (500.000).
Durante il periodo comunista, l’Albania fu caratterizzata da forme assai rigide di statalismo: nazionalizzazione dell’economia, creazione di un settore di trasformazione delle risorse minerarie, collettivizzazione forzata dell’agricoltura, totale abolizione della proprietà privata e chiusura verso l’Occidente erano le linee-guida della politica economica del regime. I partner economici di riferimento furono prima la Iugoslavia, poi l’Unione Sovietica e infine la Cina. In seguito il regime attuò una scelta autarchica, limitando i rapporti con il mondo esterno al mero interscambio commerciale e relegando il paese in una condizione di profonda arretratezza socioeconomica. La crisi, aggravata dalla fatiscenza dell’apparato industriale e dalle oscillazioni dei prezzi delle materie prime esportate (cromo, petrolio, rame), si manifestò in tutta la sua gravità a partire dalla fine degli anni 1980: nel triennio 1990-92 il PIL si ridusse di oltre il 50%, il tasso d’inflazione raggiunse valori a tre cifre e la produzione industriale e agricola si paralizzò. Le già modestissime condizioni di vita precipitarono e il paese scivolò nel caos politico ed economico. Le drastiche misure (privatizzazioni, liberalizzazione dei prezzi, tagli di bilancio, controllo della circolazione monetaria) adottate a partire dal 1992 dal governo, unitamente alle rimesse degli emigranti e ai consistenti aiuti internazionali, consentirono di riportare le variabili macroeconomiche sotto momentaneo controllo, indirizzando il paese sulla via della normalizzazione. Ma il processo di stabilizzazione durò solo fino al 1997: la nuova crisi politica, scatenata dal fallimento delle finanziarie cosiddette ‘piramidali’ e dalla conseguente rivolta contro il presidente S. Berisha, ebbe gravissime ripercussioni anche sul piano economico; la paralisi dell’attività produttiva e la sospensione dei programmi di cooperazione allo sviluppo causarono nel 1997 una riduzione del 10% del PIL. Anche gli investimenti diretti esteri, che avevano cominciato ad affluire nel paese, subirono una lunga battuta d’arresto. A partire dal 1998, tuttavia, la ritrovata stabilità politica ha permesso di avviare un’efficace strategia di risanamento economico, incontrando il favore delle istituzioni finanziarie internazionali. Il PIL ha cominciato a crescere a tassi sostenuti (13,2% nel 1999; 6,7% nel 2004) e le condizioni di vita sono notevolmente migliorate. Il tasso di crescita del PIL si è attenuato negli ultimi anni, ma il trend è comunque rimasto positivo (3,5% nel 2010, 3% nel 2011).
L’agricoltura, ormai completamente privatizzata, continua a svolgere un ruolo importante anche se il suo peso è andato diminuendo (dal 36% del PIL nel 1996 al 20% nel 2010). Tra le coltivazioni principali figurano cereali, patate, barbabietole; è in atto la valorizzazione di vite e olivo, che presentano buone prospettive d’integrazione con il settore agroindustriale. L’allevamento è soprattutto ovino e avicolo. Piuttosto sviluppata la pesca, sia marina sia d’acqua dolce.
Il settore industriale pesa per il 19% del PIL. I comparti principali sono l’estrattivo, l’agroalimentare e il tessile, mentre dei grandi kombinat (complessi industriali) del periodo comunista (chimica di base, raffinerie, acciaierie) rimane assai poco. Piuttosto sviluppato il settore delle costruzioni, che partecipa al PIL per il 10%.
Il terziario, che nel suo complesso produce circa il 61% della ricchezza nazionale, è riferibile soprattutto alla pubblica amministrazione e ai servizi tradizionali (commercio, trasporti, ristorazione). Considerata la modesta base industriale, le importazioni albanesi riguardano tutti i settori merceologici, mentre il tessile è l’unica voce significativa delle esportazioni, di cui costituiva nel 2010 il 30% del valore complessivo. Il principale partner commerciale è l’Italia, seguita da Grecia, Germania e Turchia, anche se a seguito della crisi economica che ha colpito i principali Paesi destinatari delle esportazioni albanesi, queste hanno subito una contrazione negli anni 2009 e 2010.
Le più antiche testimonianze della presenza umana in Albania risalgono al Paleolitico medio (siti di Xara e Shën-Marina, presso Tirana). Le facies più antiche del Neolitico, caratterizzate da ceramica, indicano l’area come zona di sutura tra i due ambiti balcano-anatolico e adriatico. Agli inizi del Bronzo, l’arrivo di popolazioni indoeuropee è connesso alla comparsa della ceramica a cordicella e alla sepoltura nei tumuli; le armi in bronzo sottolineano i legami con l’area egea, minoica e micenea; cominciò a formarsi la civiltà degli Illiri, che ebbe la maggior espansione nell’età del Ferro, come testimoniano necropoli (valle del Mat e piana del Korce) e fortezze (oppida situati in punti strategici).
Dal 7°-6° sec. a.C. si impiantarono colonie greche sul litorale meridionale: Epidamnos-Dyrrhachion (od. Durazzo), Apollonia, Buthroton (od. Butrinto). In età romana le regioni che avevano costituito il regno dell’Epiro – corrispondente in gran parte all’Albania meridionale – appartennero prima alla provincia di Macedonia (148 a.C.) poi all’Acaia (27 a. C.), mentre quelle a settentrione erano incluse nell’Illirico. Passata, con la suddivisione definitiva dell’Impero romano, alle dipendenze di Bisanzio, l’Albania fu invasa dai barbari, alcuni dei quali crearono delle effimere signorie (fine sec. 6°: slava; 619: avara; successivamente serba).
Dal 917 al 1019 l’Albania fu quasi totalmente assorbita dal regno dei Bulgari. Con il sec. 11°, tornata sotto Bisanzio, iniziò a subire la penetrazione militare dei Normanni e dei successivi re di Sicilia e di Napoli, e quella commerciale di Venezia, che approfittò della quarta crociata (1204) per impadronirsene, anche se i signori feudali si diedero al despota di Epiro Michele Angelo Comneno. Conquistata nel 1230 dallo zar bulgaro Giovanni Asjan II, poco dopo passò per la maggior parte ai re serbi della Rascia. La battaglia di Kosovo (1389) portò in Albania i Turchi, che, dapprima contenuti dalla Lega dei popoli albanesi creata nel 1444 da Giorgio Castriota detto Scanderbeg, ebbero la meglio alla morte di questi (1467). Le popolazioni si islamizzarono e l’Albania fu divisa in piccoli principati autonomi sottoposti alla sovranità ottomana.
Nel 19° sec. si accentuarono le rivolte, fra cui quella di ‛Alī Tepeleni, pascià di Giannina, che riuscì a rendersi di fatto indipendente (1820-22). Dopo i trattati di S. Stefano e di Berlino (1878), che iniziarono lo smembramento dei territori balcanici, la Turchia riguadagnò terreno e promosse la Lega albanese (1878) contro la Serbia, la Grecia e il Montenegro.
Nel 20° sec. l’intersecarsi dei nazionalismi balcanici e le alterne vicende delle potenze europee determinarono in Albania una situazione assai fluida. Nel 1913 la conferenza degli ambasciatori a Londra creò un libero Stato albanese, sotto il principato del tedesco Guglielmo di Wied, il quale però si trovò subito contro il governo autonomo, di fatto greco, di Argirocastro, e la rivolta dei partigiani di Esad pascià, tanto che nel 1914 abbandonò il potere. Terminata la Prima guerra mondiale, nel 1920 la conferenza degli ambasciatori a Parigi riconfermò l’indipendenza dell’Albania, divenuta costituzionalmente repubblica. Ma dal 1920 al 1924 si susseguirono colpi di mano dei vari capi politici (Ahmed Zogu, Ahmed bey Toptani, Shefquet bey Verlaci, Fan Noli), finché nel 1924 Zogu riuscì ad assicurarsi il potere. Appoggiandosi decisamente all’Italia (1927), Zogu fu quindi eletto mbret, cioè re (1928); di fatto, l’Albania era ormai sotto la tutela italiana, e non appena cercò, su pressione francese e inglese, di liberarsene, il governo italiano ne occupò il territorio, in cinque giorni, con la spedizione iniziata il 7 aprile 1939; e Vittorio Emanuele III ne assunse la corona. Nel 1941, sotto la guida di E. Hoxha, sorse un movimento di resistenza contro l’occupazione italiana e quindi contro quella tedesca (1944).
L’11 febbraio 1945 il Fronte di liberazione nazionale proclamò la Repubblica popolare albanese e nel dicembre dello stesso anno confermò il suo potere alle elezioni. Sul piano internazionale, l’Albania perseguì dapprima una politica di stretta alleanza con la Iugoslavia (1946-48), poi dopo la rottura fra Tito e il Cominform si schierò con l’URSS, ricevendo subito tecnici e aiuti economici e militari. Tali relazioni durarono fino al 1961, quando il regime albanese si volse verso la Cina popolare; nel 1968 si ritirò dal Patto di Varsavia. Nel 1974 la formazione di un nuovo governo, dal quale venne escluso il filocinese ministro della Difesa B. Balluku, segnò il raffreddamento dei rapporti cino-albanesi, definitivamente interrotti nel 1978.
Nel 1981 la morte sospetta del primo ministro M. Shehu, sostenitore dell’apertura all’Occidente, aprì una grave crisi, cui seguì una rigida chiusura verso l’esterno. R. Alia, capo dello Stato dal 1982 e segretario del Partito comunista dopo la morte di E. Hoxha (1985), tentò moderate liberalizzazioni, ristabilendo anche relazioni diplomatiche internazionali. Nelle elezioni del 1991, cui parteciparono più forze politiche, il Partito del lavoro conquistò una larga maggioranza; il nuovo parlamento rielesse Alia capo dello Stato, stese una Costituzione provvisoria e nel giugno votò un governo di coalizione formato dal Partito del lavoro (da allora Partito socialista d’Albania) e dal Partito democratico, maggior forza dell’opposizione. La coalizione entrò però in crisi alla fine del 1991 e nel 1992 le elezioni diedero la maggioranza al Partito democratico. Alia fu sostituito alla presidenza da S. Berisha, che proseguì con decisione sulla strada della completa liberalizzazione dell’economia, con il sostegno del Fondo monetario internazionale e della Banca Mondiale. Il crescente autoritarismo di Berisha, il diffondersi della corruzione e il continuo esodo della popolazione verso l’Italia, preludevano però a una nuova crisi interna. Nel 1994 il progetto di una nuova Costituzione, sostenuto dal governo e sottoposto a referendum popolare, fu respinto; nel 1996 il Partito democratico vinse le elezioni, ma i partiti d’opposizione si ritirarono dalla competizione richiedendone l’annullamento; nel 1997 fallirono le numerose società finanziarie nate all’inizio degli anni 1990, in cui larga parte della popolazione aveva investito i propri risparmi. Ciò provocò un’ondata di proteste che assunse ben presto i caratteri di una rivolta antigovernativa. Dopo il fallimento di un governo provvisorio di coalizione, nel 1997 dalle elezioni, tenute in presenza di osservatori internazionali protetti da una forza multinazionale, inviata dall’Unione Europea, con il consenso dell’ONU, uscì vittorioso il Partito socialista. Il leader socialista F. Nano, capo del nuovo esecutivo, e il presidente della Repubblica R. Mejdani (eletto nel luglio dopo le dimissioni di Berisha) cercarono di ripristinare l’ordine pubblico, di risanare l’economia nazionale e di regolare l’esodo della popolazione, che continuò ininterrotto per tutto il 1997. Ma la stabilità del paese fu nuovamente messa alla prova nel 1998, prima da un tentativo insurrezionale promosso da Berisha, poi dalla crisi nel Kosovo, sfociata nella guerra della NATO contro la Iugoslavia (1999). Centinaia di migliaia di profughi si riversarono nel paese, incrementando il consistente e ininterrotto flusso di immigrati verso l’Italia. L’Albania divenne il centro delle attività umanitarie messe in campo dai paesi occidentali e le ingenti risorse legate agli aiuti internazionali contribuirono ad accrescere la già diffusa illegalità. Le elezioni amministrative del 2000 e quelle politiche del 2001 confermarono la maggioranza al Partito socialista, che rimase al governo fino al 2005 quando, dopo le elezioni vinte a larga maggioranza dal Partito democratico, il presidente della Repubblica A. Moisiu (eletto nel 2002) affidò a Berisha l’incarico di formare il nuovo governo. Le elezioni del 2006 hanno portato un esponente del Partito democratico, B. Topi, anche alla presidenza della Repubblica. Nello stesso anno un accordo di stabilizzazione e associazione ha creato una zona di libero scambio tra Albania e Unione Europea, costituendo il primo passo verso la sua adesione all’UE, seguito dalla candidatura ufficiale approvata dal Consiglio dell'UE nel 2014. Nel 2008 l’Albania è entrata a far parte della NATO. Nelle elezioni del 2009 ha vinto la coalizione di centrodestra guidata da Berisha, accusata tuttavia di brogli da parte del Partito socialista. Negli anni successivi l’instabilità politica prodotta da una maggioranza con soli quattro parlamentari in più rispetto all’opposizione e la difficile situazione economica hanno progressivamente eroso i consensi popolari; nel giugno 2012 il Parlamento ha eletto presidente della Repubblica B. Nishani, esponente del Partito democratico del primo ministro Berisha, mentre alle elezioni politiche tenutesi nel giugno 2013 l'alleanza di centro-destra è stata sconfitta da una coalizione di centro-sinistra (53% delle preferenze) e il suo leader E. Rama è subentrato nella carica di primo ministro a Berisha, il quale ha rassegnato le dimissioni da presidente del Partito democratico. Nuovo presidente del Paese è stato eletto nell'aprile 2017 l'ex premier I.R. Metaj (in carica dal luglio successivo), che ha ricevuto dal Parlamento il 62,14% dei consensi, mentre a seguito della netta affermazione alle consultazioni legislative del Partito socialista, che ha ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi (74 scranni su 140), il premier Rama è stato riconfermato nella carica, ottenendo un terzo mandato dopo le elezioni dell'aprile 2021, alle quali i socialisti si sono aggiudicati il 50,5% dei voti e 75 seggi sui 140 del Parlamento. Sul piano internazionale, nel giugno 2021 la Bulgaria ha esercitato il suo veto, già espresso l'anno precedente, all'ingresso del Paese nell'Unione europea; l'apertura dei negoziati di adesione del Paese all'UE è stata decisa nel luglio 2022 grazie al sostegno della Commissione europea. Nel giugno 2022 il generale ed ex capo di Stato maggiore della Difesa B. Begaj è stato eletto a larghissima maggioranza presidente del Paese, subentrando nella carica a Metaj.
L’ albanese, che si divide in due principali dialetti, ghego e tosco, il primo parlato a N del fiume Shkumbin e il secondo a S, è una lingua indoeuropea di tipo intermedio fra satem e centum (come l’armeno). Si ritiene che sia una lingua autonoma, insediatasi nelle sedi attuali sotto la spinta slava nei primi secoli della nostra era. Studi linguistici condotti su testi orali raccolti nel cuore dell’Albania, su brani degli scrittori ecclesiastici del 17° sec. e sul patrimonio espressivo tradizionale degli Italo-Albanesi, hanno confermato l’autonomia delle sue strutture fonologiche e grammaticali, ridimensionando il pur importante influsso lessicale del latino e del neolatino. L’albanese partecipa piuttosto di alcune caratteristiche innovazioni delle lingue balcaniche (articolo posposto al nome, preposto agli aggettivi e ai genitivi, sostituzione dell’infinito con perifrasi participiali, o con il congiuntivo in proposizione secondaria).
Oltre che in Albania, l’albanese è parlato in Grecia intorno a Kastoria e in Iugoslavia nella zona che dalle rive meridionali dei laghi di Presba e Ocrida, si spinge fino a Dibra e Pristina nel piano di Kosovo e di lì sino al confine meridionale del Montenegro. Si devono aggiungere alcune colonie in Turchia, Grecia, Dalmazia (Borgo Erizzo presso Zara), quelle stanziatesi nell’Italia meridionale nonché gruppi di emigrati in Russia, Romania, Bulgaria, Egitto e America Settentrionale.
I primi documenti finora noti dell’albanese consistono in una formula di battesimo (1462) redatta in alfabeto latino (Biblioteca Laurenziana, Firenze) e in una pericope del Vangelo di s. Matteo in alfabeto greco (Biblioteca Ambrosiana, Milano). Seguono in ghego Il Messale (1555) di Gjon Buzuku e la traduzione in tosco del Catechismo del Ledesma (1562) del siculo-albanese Luca Matranga. Nel 17° sec. pubblicano opere in albanese i vescovi cattolici Pietro Budi, Francesco Bardhi o Blanco, Pietro Bogdano, e nel 18° l’albanese scritto trova espressione nelle opere di Teodoro Kavaljoti, Maestro Daniele, Kost Beràtasi. In questi due secoli anche gli Albanesi d’Italia contribuiscono all’incremento della letteratura albanese con Nicola Figlia da Mezzoiuso (Palermo), Giorgio Nicola Brancato, Nicolò Chetta. Fiorisce solitario a S. Giorgio Albanese un originale poeta, Jul Variboba, autore di canti religiosi e del poemetto Gjella e Shën Mërís (1762, «La vita di Maria»). Nel sec. 18° appare una schiera di poeti musulmani che introducono nelle lettere albanesi spiriti, colori e forme dell’Oriente; qualità distintiva è il carattere laico della loro poesia. I più noti sono Muhamet Çami, Zyko Kamberi e Nezim Frakulla.
La vera letteratura nazionale nasce con il Milosao (1836), opera poetica di Girolamo De Rada di Macchia Albanese (prov. di Cosenza), che scrive nella lingua dei padri esprimendo l’aspirazione di rinascita di tutta la stirpe oppressa nella madrepatria: motivo ripreso da Naim Frashëri e dal francescano p. Giorgio Fishta. Questi tre maggiori poeti di lingua albanese attingono materia e modelli dal patrimonio espressivo popolare, dominando il campo letterario fino al 1937, anno in cui esce in edizione definitiva la Lahuta e Malcís («Il Liuto delle Montagne»), capolavoro epico di Fishta e di tutta la letteratura albanese. Una folta schiera di poeti e prosatori ne accompagna l’attività, affinando le strutture formali e apportando vibrazioni moderne. Verso il 1930 nuove idee agitano il campo letterario e una sottile vena d’inquietudine s’insinua anche fra gli scrittori fedeli allo spirito tradizionale, pur nell’accettazione di istanze sociali più adeguate al progresso del paese. In posizione di equilibrio fra la corrente tradizionalista e quella progressista si collocano Bernardin Palaj, Lasgush Poradeci, Ernesto Koliqi. Corifeo dei giovani fautori di radicali mutamenti sociali e politici è Migjeni, pseudonimo di Millosh Gjergj Nikolla, che inserisce nella poesia albanese motivi e forme delle letterature slave.
Le vicende della Seconda guerra mondiale producono una frattura nella linea evolutiva della letteratura nazionale. Tacciono d’improvviso le voci degli scrittori già affermati con opere mature e si impongono giovani poeti e narratori che fanno propri i canoni del realismo socialista. Dopo un periodo di pedissequa imitazione dei modelli serbi e russi, nei migliori prevalgono gli impulsi etnici. Figure di spicco fra i poeti si rivelano Lazar e Drago Siliqi, Luan Qafezezi, Dritëro Agolli; fra i narratori Stërjo Spasse, Fatmir Gjata, Petro Marko e Moisi Zaloshnja. Fuori d’Albania, notevole è l’opera poetica e narrativa dello scrittore Martin Camaj. Il genere drammatico, attardato in forme tradizionali per la rigidità dei costumi e la segregazione della donna, progredisce rapidamente dal 1925 in poi con i lavori di Fishta, Çajupi, Zef M. Harapi, e soprattutto con i poemi drammatici di Andrea Zadêj, che aprono al teatro la via di nuove realizzazioni artistiche.
Dopo la fine della Seconda guerra mondiale la produzione letteraria albanese appare uniformemente vincolata ai canoni del realismo socialista, cui aderiscono una nuova generazione di poeti e narratori, ma anche autori già affermati. Tra questi ultimi si distinguono: D. Shuteriqi, S. Spasse, P. Marko.
A partire dagli anni 1960 la letteratura albanese si apre a innovazioni tematiche e formali. Elemento importante del processo di maturazione è l’unificazione della lingua letteraria, poi codificata dal Congresso di Tirana (1972), che passa dalla base ghega al tosco (accettato anche in Kosovo). Le aperture al formalismo e allo sperimentalismo provocano la reazione del regime, con processi o l’imposizione dell’autocritica a scrittori colpevoli di subire ‘influenze borghesi e decadenti’, mentre fiorisce il genere storico, interpretato come epopea del popolo. Il massimo interprete dei miti nazionali e della storia del suo popolo è I. Kadaré, che dal felice esordio come narratore (Gjenerali i ushtrisë së vdekur, «Il generale dell’armata morta», 1963), elabora eventi remoti e contemporanei per tracciare suggestivi affreschi della storia nazionale. Oltre a Kadaré, si affermano autori come A. Abdihoxha, S. Godo e soprattutto D. Agolli, la cui produzione poetica e narrativa testimonia un percorso tormentato sul piano etico e formale. Analoga tensione si riscontra nella ricerca del poeta F. Arapi, che privilegia il verso libero e abolisce i nessi sintattici e logici, subendo la persecuzione e le censure del regime. Rappresentanti della nuova generazione in cerca di una via d’uscita dallo schematismo del realismo socialista mediante l’adozione di una scrittura metaforica sono anche il poeta R. Dedaj, D. Xhuvani, che per gli errori ideologici del romanzo Tunëli («Il tunnel», 1966) viene mandato al ‘lavoro produttivo’, e T. Laço, romanziere e drammaturgo. L’impulso al rinnovamento si estende anche alla letteratura albanese del Kosovo. A esso contribuiscono l’opera narrativa di A. Shkreli e di A. Pashkue, e la produzione poetica di A. Podrimja, ricca di motivi ermetici e di simbolismo nazionale. Nei primi anni 1990, il clima di libertà instauratosi in Albania favorisce l’affermazione di nuovi autori, quali i poeti B. Londo e M. Ahmeti, e la scrittrice D. Çuli, che affrontano con modernità d’espressione tematiche attuali. Particolare successo ottiene F. Kongoli con i romanzi I humburi («Il perduto», 1992) e Kufoma («Il cadavere», 1994), ricerca di un’identità cancellata dalla politica e ricostruita attraverso la memoria storica della famiglia distrutta dal regime comunista. Lo stesso clima porta alla luce gli scritti dei prigionieri politici, come K. Trebeshina e V. Zhiti.
Le campagne di scavo e di restauro degli edifici tardoantichi e altomedievali, susseguitesi con sempre maggiore rigore dalla metà del 20° sec., hanno messo in evidenza l’arte e l’architettura in Albania come varianti autoctone nell’ambito della sfera bizantina. Esemplari sono la basilica (tre navate, transetto e abside poligonale) e il battistero di Butrinto, del 6° sec., con interventi nel 9° (notevoli i mosaici pavimentali, sec. 6°). La rinnovata attività costruttiva del 10° sec. è testimoniata dall’eptaconco di Santi 1940, mentre si diffondono la pianta cruciforme con cupola (Apollonia, Episcopi presso Argirocastro) e i muri a vista con decorazioni ceramiche (chiese a Berat e a Labovo). Notevole la cappella dell’anfiteatro di Durazzo con la sua decorazione musiva (sec. 10°). Nei sec. 13° e 14° nella pittura murale si nota una forte influen;za dell’arte dei Paleologhi (affreschi di S. Maria ad Apollonia). Tra i sec. 11° e 15° centri come Berat, Scutari, Argirocastro, Canina e i grandi castelli (Petrele) si trasformano, con l’evoluzione delle tecniche di fortificazione.
La tradizione pittorica cristiana prosegue anche dopo l’occupazione ottomana; nel sec. 16° è attivo il più grande pittore albanese, Onufri (a Berat gli è dedicato un museo), libero da schematismi bizantini nei paesaggi e nei ritratti. Dal 17° sec. ha notevole sviluppo la pittura decorativa islamica, spesso a opera delle stesse botteghe attive per edifici cristiani. Un distacco dalla tradizione per un più diretto rapporto con la realtà si avverte nel 18° sec., accanto a influssi del barocco europeo con D. Selenica, K. Jeromonaku, K. e A. Zografi e all’inizio del 19° nell’opera della famiglia Kadro. Tra i sec. 17° e 19° sono realizzati monumentali edifici religiosi islamici (moschea di Ethem Bey a Tirana) e cristiani, caratterizzati localmente da soluzioni barocche e neoclassiche (monastero di Ardenice), mentre acquista ulteriore importanza l’architettura militare.
Un’arte propriamente albanese si sviluppa dalla fine del 19° sec., con la nascita di una coscienza nazionale; dal 20° si afferma l’interesse per la psicologia e gli aspetti sociali e quotidiani e, sul piano formale, il realismo, con K. Idromeno, N. Martini, S. Rota, A. Kushi, Z. Colombi, V. Mio. Gli edifici pubblici e la pianificazione urbana risentono dell’architettura occidentale. Dopo il 1945 gli artisti del realismo socialista producono opere celebrative; in scultura si affermano O. Paskali e J. Paco, mentre la pittura si esprime con maggiore libertà formale grazie a S. Shijaku, M. Fushekati e, per la grafica, N. Bakalli e P. Mele.
Dagli anni 1980 la pittura si orienta verso formati monumentali (affreschi e mosaici nel Museo di storia nazionale a Tirana, di Shijaku e Fushekati, 1981); emergono nuove istanze figurative (E. Rama, A. Sala, E. Hila) che conducono a una varietà di espressioni, combinando riferimenti autobiografici e culturali, ironia, violenza e nonsense.
Dal 2001 a Tirana si svolge la Biennale d’arte contemporanea.
Albanesi d’Italia Gli Albanesi vennero in Italia meridionale a varie riprese dalla metà del sec. 15°. Le zone di maggiore immigrazione furono Calabria e Sicilia. Con l’intensificarsi dei rapporti tra l’Albania e il Regno, Giorgio Castriota Scanderbeg inviò soldati a Ferdinando I per appoggiarlo contro gli Angioini e poi contro i baroni; i Castriota ebbero feudi in Puglia e molti Albanesi seguirono in Calabria Irene Castriota, sposata al principe di Bisignano (1470). L’ultima grande immigrazione si ebbe nel sec. 16°. Ben accolti inizialmente, gli Albanesi costituirono colonie in prevalenza di contadini e soldati, con propri ‘capitoli’ e regolamenti, ma solo nel riformismo settecentesco trovarono una possibilità di ascesa, con la concessione di collegi ecclesiastici e vescovati di rito greco.
Butrinto (1992, 1999); centri storici di Berat e Argirocastro (2005).