Opera o insieme di opere che mirano a diminuire l’efficacia offensiva degli avversari, servendosi delle caratteristiche naturali del terreno e modificandole opportunamente con apprestamenti tecnici.
Con il fissarsi degli abitati sorsero anche le prime cinte murarie di rozze pietre a secco, che si perfezionarono a mano a mano nella tecnica e nell’impianto con contrafforti, torri, fossati, avancorpi. Nell’età preistorica e del Ferro, cinte fortificate si riscontrano presso tutte le popolazioni mediterranee, dalle citanias del Portogallo ai castros della Spagna, ai castelars di pietre a secco della Francia meridionale, frequenti nelle Alpi Marittime e simili ai castellieri della Venezia Giulia e Tridentina. Oppida fortificati si trovano in Gallia, in Spagna, in Ungheria, nel nord balcanico dal primo periodo del Ferro fino all’età romana.
In età storica le città della Grecia si cinsero di mura, sempre più perfette tecnicamente, a blocchi squadrati: l’acropoli di Atene da cittadella micenea si trasformò in quella classica e nel 5° sec. a.C. la città munita fu collegata con lunghe mura al Pireo, creando un unico sistema difensivo. Un esempio grandioso è offerto da Siracusa, fortificata da Dionisio I: opera poderosa che aveva come caposaldo l’altura dell’Eurialo con mura di 6 m di spessore, precedute da tre larghi fossati, e con gallerie sotterranee.
Roma ebbe varie cinte murarie: quella costruita da Servio Tullio, o forse dal suo predecessore Tarquinio Prisco, nel 6° sec a.C., di cui non si conservano tracce; quella, impropriamente conosciuta come serviana, costruita in blocchi di tufo nel 4° sec. a.C. e poi più volte restaurata (se ne conservano resti in vari punti della città); infine, quella fatta costruire in laterizio da Aureliano nel 3° sec. d.C., ampiamente conservata. Un sistema di f. tipicamente romano fu quello spesso costruito lungo le frontiere dell’impero: il limes con valli continui, tratti di muro, torri, fortini, accampamenti (Britannia, Germania, Rezia, Africa).
Anche durante le invasioni barbariche e nel Medioevo la f. permanente ebbe gli stessi elementi (in forme diverse: castelli, rocche, torri). Sorsero importanti cinte di mura a Roma, ad Antiochia, a Costantinopoli. Anche i monasteri furono talora fortificati, come quello di S. Simeone a Siena. Giustiniano svolse un grande programma di difesa: dai Balcani all’Eufrate al Sahara egli costruì oltre cento posti fortificati di frontiera. Si tratta generalmente di corti quadrate o rettangolari, con torri distanziate regolarmente, caserme appoggiate alle mura e il centro occupato per lo più da una chiesa. Tale schema fu ripreso, con grande ingegnosità di soluzioni, nelle f. arabe. Monasteri fortificati si diffusero per tutto il mondo cristiano e, nell’incertezza dei tempi, fortificata fu quasi ogni insula entro un abitato cittadino. Le città si fecero ‘turrite’ e sorsero anche le casetorri isolate.
Contrariamente all’uso bizantino, i popoli germanici elaborarono un tipo di f. a blocco, una grande torre dalle muraglie spessissime e con poche e strette aperture (come la Torre di Londra e quella di Rochester), cui si collegarono vari altri elementi fortificati attraverso passaggi, ponti, mura merlate, adatti ai dislivelli del terreno. È questo il maschio, centro ultimo di difesa di quasi ogni f. medievale. Opere addizionali furono le strade coperte, sopra la controscarpa del fossato (protetta dal rialzo di terra dello spalto) e il rivellino, opera staccata esternamente alla città principale. Con l’introduzione delle armi da fuoco (15° sec.) si modificarono le mura e le torri abbassandole (bastioni a pianta pentagonale); si munì il fossato di muri di scarpa e controscarpa (fossati asciutti o acquei). Si ebbe così la f. a fronte bastionata di origine italiana, con le bocche da fuoco disposte nei torrioni e nelle cannoniere lungo le cortine; il muro fu abbassato e ricoperto dal terrapieno che verso il fosso era sistemato a scarpata (con muro) e protetto dal muro di controscarpa del fosso stesso. Già nel 17° e 18° sec., e sempre più con i perfezionamenti delle artiglierie, la necessità di tenere lontano il nemico portò all’uso di opere più esterne o avanzate (forti, torri, formanti i campi trincerati); queste erano dotate di caponiere con compito di fiancheggiamento del fossato.
L’impiego di mortai e obici a canna rigata, il progresso degli esplosivi, avvenuto nella seconda metà del 19° sec., richiesero il rafforzamento delle opere di difesa (costruzioni di calcestruzzo e ferro) e si ebbero casematte corazzate, torri girevoli, torrette mobili, affusti corazzati per artiglierie mobili, mentre si modificarono i profili delle opere di difesa.
La f. all’inizio della Prima guerra mondiale era costituita da ridotte, forti, piazzeforti con qualche regione organizzata a campo trincerato, qualche altra a frontiera bastionata, però i risultati che si ottennero con le f. permanenti furono inferiori al previsto, tranne che nel caso della difesa di Verdun, dove il forte di Douaumont svolse un ruolo essenziale. Assunse invece grandissima importanza la f. campale perché più efficace ed elastica. In un primo tempo essa consistette essenzialmente in una linea di centri di resistenza collegati da trincee di limitata profondità, protette da reticolati di filo di ferro. In seguito, le trincee divennero più profonde ed aumentarono le difese passive. Negli anni 1917-18, la f. si orientò verso l’organizzazione di posti di vedetta e di ascolto, sparsi per il fronte e collegati con la retrostante linea di resistenza, priva di ricoveri; dietro a essa, si costruirono varie linee di trincee con ricoveri alla prova e posti di comando. Aumentò l’estensione in profondità della f. campale e fu fatto largo uso di opere leggere. I sistemi difensivi erano divisi in fasce o zone. La caratteristica essenziale delle f., dopo l’esperienza della Prima guerra mondiale, in seguito al grande sviluppo balistico delle artiglierie pesanti e del progressivo affermarsi dell’offensiva aerea, è costituita dall’assenza di ogni architettura verticale al di sopra del terreno: le opere si sono interrate dando vita alla tecnica delle f. ipogee.