Siracusa Comune della Sicilia sud-orientale (207,7 km2 con 119.056 ab. nel 2020), capoluogo di provincia. La città, nel suo nucleo originario continuativamente abitato dal 14° sec. a.C., occupa l’isola di Ortigia (alla quale l’insediamento si ridusse e rimase circoscritto fino alla fine dell’Ottocento), unita alla terraferma da due ponti; l’isola delimita i due bacini del Porto Piccolo a N e del Porto Grande a S. L’abitato sull’isola presenta evidente la stratificazione della lunga occupazione urbana del sito, nonostante la riedificazione e il rimaneggiamento compiuti a seguito del terremoto del 1693. Alla fine del 19° sec., abbattute le fortificazioni e colmati i canali che difendevano la città dalla parte di terra, si procedette all’urbanizzazione, su pianta regolare, di nuovi quartieri verso N e O.
Dopo un periodo di sostenuta crescita demografica negli anni 1960-80, la popolazione cittadina ha subito una flessione piuttosto pronunciata, in parte dovuta alla forte attrazione esercitata dalle industrie della conurbazione formata dai vicini comuni di Augusta, Melilli e Priolo Gargallo. Nei primi anni del 21° sec., anche grazie allo sviluppo delle attività turistiche, il calo demografico si è arrestato e la popolazione si è mantenuta stazionaria.
L’economia cittadina si fonda sul settore terziario, rappresentato dalle attività commerciali, dalla pubblica amministrazione e, soprattutto, dal turismo, favorito negli ultimi anni dalla valorizzazione del centro storico, dal potenziamento della ricettività alberghiera e dalla creazione di nuove strutture balneari. L’industria, che ha perso d’importanza a vantaggio dell’area di Augusta, conta stabilimenti alimentari, petrolchimici e dei materiali da costruzione.
Sede di insediamenti dalla media età del Bronzo (14° sec. a.C.), S. fu fondata nel 734-33 a.C. da coloni greci di Corinto nell’isola di Ortigia. La città fondò presto colonie nell’interno della Sicilia, tra cui Acre, la più antica. Nel 6° sec. S. era governata da un’aristocrazia di γαμόροι (proprietari terrieri) a cui obbediva il demo; privi dei diritti politici erano invece i cilliri o cilliciri, discendenti dalle popolazioni indigene assoggettate. Nel 5° sec. Gelone, membro della famiglia dei Dinomenidi di Gela, si impadronì di S., la unì a Gela e vi assunse i pieni poteri. Distrusse la ribelle Camarina e, con il tiranno di Agrigento, Terone, vinse i Cartaginesi a Imera (480). A Gelone successe il fratello Gerone, che lottò contro Catania e vinse gli Etruschi a Cuma (474), assicurando a S. il dominio commerciale del basso Tirreno. Con il successore di Gerone, Trasibulo, cadde la tirannide dei Dinomenidi e fu istituito un governo democratico; S. rinunciò all’egemonia sulle altre città greche della Sicilia e riprese la lotta contro gli Etruschi e i Siculi raccoltisi attorno a Ducezio, che i Siracusani debellarono. Era ormai inevitabile l’urto con Atene, l’altra grande potenza commerciale greca del Mediterraneo: la guerra terminò nel 413 con la rotta ateniese. Pochi anni dopo i Cartaginesi si impadronirono di Selinunte, Imera e Agrigento; contro tale pericolo, fu eletto stratego con pieni poteri Dionisio I, che iniziò un nuovo periodo di tirannide (406-367); alla sua morte le lotte tra suo figlio Dionisio II e Dione furono disastrose per la città; ucciso Dione da Callippo (354), una nuova serie di tiranni mandarono in rovina l’impero di Dionisio; nel 344 fu richiesto a Corinto uno stratego: fu mandato Timoleonte, che vinse i Cartaginesi al Crimiso, liberò le città siciliane e istituì a S. una democrazia moderata di tipo corinzio. Agatocle (317-289) cercò di imitare il saggio governo di Dionisio I: estese il suo dominio nella Magna Grecia e riprese la guerra contro i Cartaginesi. Alla sua morte ricominciarono le lotte che non cessarono neanche con il breve intervento di Pirro, re dell’Epiro (278). Poco dopo si impadronì del potere Gerone II, che assunse il titolo di βασιλεύς; lottò contro i Mamertini, mercenari italici stanziatisi presso lo Stretto di Messina; mantenendosi estraneo alla prima guerra punica, poté riordinare la città, regolandone il regime fiscale mediante la famosa lex Hieronica e abbellendola di monumenti. A Gerone successe Geronimo, alleato dei Cartaginesi contro i Romani; alla sua morte si ebbe un nuovo periodo di discordie, a cui pose termine la conquista romana (212): assediata da Marcello, dopo lunga resistenza S. fu presa e saccheggiata. Nella provincia di Sicilia S. fu sede del pretore e di uno dei questori; subì ingenti spoliazioni da Verre, accusato da Cicerone. Al tempo di Augusto fu ripopolata con coloni romani.
Centro assai importante del cristianesimo siciliano, S. fu occupata dai Vandali, da Odoacre, dai Goti, che vi posero un comes. Fu poi conquistata da Belisario ai Bizantini (535), sottomessa dai Saraceni (878) e occupata dai Normanni (1085). Alleata di Federico d’Aragona contro Roberto d’Angiò, ottenne immunità e privilegi; Federico III, che assegnò S. al demanio della regina, fissò le Consuetudini cittadine (1318). Re Martino concesse alla città il porto franco ed elevò il corpo municipale a senato. Le due amministrazioni, municipale e regionale, coesistettero fino al 1538 quando, con la soppressione della Camera regionale, S. divenne completamente demaniale. Nel 1647 partecipò all’agitazione che si diffuse da Palermo in quasi tutta l’isola. Nel 1718 resistette all’assedio degli Spagnoli, mentre si arrese alle milizie di Carlo III di Borbone nel 1735. La popolazione di S. subì una sanguinosa repressione durante i moti del 1837; partecipò poi alle rivoluzioni del 1848 e del 1860; il presidio borbonico si arrese ai garibaldini il 3 settembre 1860.
La città greca nata nell’isola di Ortigia si espanse sulla terraferma con i quartieri di Acradina, Tyche e Neapoli, circoscritti nel 402-01 a.C. dalla cinta muraria di Dionisio II. Dopo la conquista romana nel 212 a.C. furono abbandonate le mura dionigiane, ma gli altri quartieri, circondati da mura, sopravvissero, pur se con variazioni nella perimetrazione e nella densità abitativa. Il tessuto urbano continuò a ricalcare, e ricalca in buona parte ancora oggi, quello greco (6° sec. a.C.), costituito da un reticolato di platéiai e stenopói intersecantisi ortogonalmente e avente come assi principali le odierne via Dione e via Roma. Sono documentati vari templi, l’acropoli, la reggia, le case e le tombe dei tiranni, e altre costruzioni di cui non si hanno tracce. In Ortigia rimane la fonte Aretusa, mentre presso l’odierna piazza del Foro doveva sorgere l’agorà e a O del porto il ginnasio e l’odèion, di cui rimane l’emiciclo. Il teatro a mezza costa è uno dei più noti, incavato nella roccia e risalente forse a Dionisio I. Si conservano inoltre il nucleo dell’ara grandiosa di Zeus Eleuterio, l’anfiteatro, il complesso di fortificazioni (Castello Eurialo) ideato da Dionisio I. La pietra necessaria alle numerose costruzioni della città antica fu cavata dalle colline circostanti ed era un calcare biancastro. Le cave, dette latomie, sussistono ancor oggi con le volte in parte crollate, ora sistemate a giardino; in esse si trova la grotta nota come Orecchio di Dionisio.
Il Museo archeologico regionale P. Orsi, trasferito nel 1988 in una sede appositamente costruita, raccoglie una vastissima e importante collezione di reperti e testimonianze artistiche dall’epoca preistorica a quella romana.
Numerose le strutture cemeteriali cristiane (catacombe di S. Giovanni e di S. Lucia ecc.). Malgrado consistenti alterazioni, nell’isola di Ortigia sono i maggiori monumenti medievali e barocchi entro un tessuto urbano di grande interesse. Del periodo normanno sono S. Giovanni, con la cripta di S. Marziano (4° sec.), S. Martino, S. Tommaso. Di struttura bizantina, rinnovate nel 14° sec., sono S. Giovanni Battista e S. Pietro; S. Maria dei Miracoli ha forme gotico-aragonesi. Il tempio di Apollo fu trasformato in moschea e poi in chiesa (sotto i Normanni); al periodo bizantino risale la trasformazione del tempio di Atena nell’attuale duomo. Fuori di Ortigia sono importanti la chiesa normanna di S. Lucia e il castello Maniace, fondato nel 1038, e ricostruito da Federico II a pianta quadrata con torri cilindriche angolari. Di epoca sveva è Palazzo Bellomo, rifatto nel 14° sec. e successivi, sede della Galleria Regionale. Notevoli i palazzi Mergulese-Montalto, Abela, Cireco (14° sec.); Lanza, Migliaccio, Gargallo, Interlandi (15°-16° sec.); Palazzo Arcivescovile e Palazzo Senatorio (17° sec.), Beneventano, Borgia, Bongiovanni, Rizza (18° sec.). Numerose le chiese barocche: del Collegio (1635-87), di S. Lucia alla Badia, di S. Filippo Neri, dello Spirito Santo; tra 1728 e 1757 fu rifatta la facciata del duomo.
Provincia di S. (2124 km2 con 389.344 ab. nel 2020, ripartiti in 21 Comuni) Si estende su un territorio per circa due terzi collinare, occupato dalle pendici orientali dei Monti Iblei, e per il restante interessato dalla parte meridionale della Piana di Catania e da altre brevi pianure litoranee (Lentini, Pachino). I corsi d’acqua (Lentini, Anapo, Cassibile, Tellaro) hanno regime torrentizio. Le condizioni del territorio, favorevoli da un lato all’agricoltura, ancora largamente praticata (agrumi, ortaggi, cereali, mandorle, olive), e dall’altro alla pesca, ormai molto ridotta, hanno contribuito, in passato, a contenere l’emigrazione a lungo raggio; tuttavia, importanti flussi locali, spopolando la collina, hanno concentrato gli abitanti nelle aree industrializzate, specialmente lungo il litorale tra Augusta e Siracusa (petrolchimica, metalmeccanica, materiali da costruzione, impiantistica), o in quelle (sempre litoranee) in cui si è consolidata la fruizione turistica. I centri principali, oltre al capoluogo, sono Augusta, Avola, Lentini, Noto, Pachino, Rosolini.