Antica popolazione d'Italia, insediata soprattutto nelle odierne regioni di Toscana, Lazio e Umbria settentrionali (fig. 1), ma con alcune propaggini anche in Campania, Emilia-Romagna e Lombardia.
Sull’origine degli Etruschi (gr. Τυρσηνοί, poi Τυρρηνοί; lat. Tusci o Etrusci; etrusco Rasna) sono state sostenute diverse tesi opposte: quella di una presenza in Italia fino da età antichissima (discendenza dai villanoviani e quindi dai palafitticoli e dai terramaricoli dell’età del Bronzo, ovvero, considerando i villanoviani italici immigrati, dalle locali genti neo-eneolitiche) e quella di una tarda migrazione dal Nord o per mare. Quest’ultima tesi si basa su motivi linguistici (iscrizioni dell’isola di Lemno, presso la Tracia, in una lingua forse affine all’etrusca) e archeologici (ispirazione orientale della prima arte etrusca). Poiché gli influssi orientali si riferiscono a epoca relativamente recente e possono meglio spiegarsi con rapporti commerciali, la tesi della migrazione dal Nord o dell’autoctonia sembrerebbero preferibili. Recenti studi effettuati sul genoma di 82 individui vissuti in un arco temporale tra l’800 a.C. e il 1000 d.C., confermati dalle ricerche condotte dal dipartimento di Archeogenetica dell'Istituto tedesco Max Planck con le università di Firenze, Tubinga e Jena, e pubblicati nel 2023, documentano una stretta parentela genetica con gli Italici di origine indoeuropea, derivata da antenati provenienti dalle steppe euroasiatiche nel corso dell’Età del bronzo, evidenziando successivi mutamenti genetici verificatisi nel periodo imperiale romano con l'arrivo di popolazioni del Mediterraneo orientale, e nell'alto Medioevo, per il contatto con gruppi dell'Europa settentrionale giunti nella Penisola Italica dopo il crollo dell'Impero Romano d'Occidente.
Quale che fosse il suo originario nucleo etnico, la nazione etrusca, comunque, non ne deriva linearmente e in maniera isolata, bensì attraverso un complesso processo di scambi con popoli vicini e lontani attraverso il commercio, le immigrazioni, le guerre ecc. Quel che è certo è che all’inizio del 9° sec. a.C. fiorì la civiltà del Ferro in molti centri dell’Etruria storica e che da allora è possibile seguire, attraverso i resti archeologici, il loro sviluppo.
Le genti etrusche costituirono varie città-stato, da cui sorsero poi staterelli di maggiore ampiezza; i movimenti unitari furono però sempre limitati. L’ordinamento politico fu a base monarchica in origine, aristocratica dal 5° sec., con successivi sviluppi democratici. Le magistrature note dalle epigrafi sono: purthi, zilath, maru, corrispondenti rispettivamente all’edile, al pretore, al questore in Roma.
Dall’8° sec. a.C. inizia l’età dell’espansione; nelle terre conquistate i vinti furono talora assorbiti culturalmente, come a Veio, altre volte subirono un dominio politico, come a Falerii, Capena, Roma (il temporaneo dominio su Roma nel 6° sec. rimase nella tradizione dei Tarquini, di Mastarna, di Porsenna), in Campania (particolarmente a Capua, Pompei e Salerno), a N dell’Appennino, dove gli Etruschi occuparono Felsina, Mantova, Adria, Spina e fondarono la città di Marzabotto. L’Elba era stata occupata già in età remota; delle coste della Corsica gli Etruschi si impadronirono intorno al 540, dopo la battaglia di Alalia combattuta insieme con i Cartaginesi contro i Focesi.
Il dominio dei territori a S del Tevere cessò alla fine del 6° sec. con la sconfitta di Ariccia inflitta dai Latini, alleati con Aristodemo di Cuma. A Cuma gli Etruschi furono di nuovo battuti nel 474 a.C. Nel 5° sec. ebbero inizio i conflitti con Roma; secondo la tradizione, le prime lotte furono sostenute da Veio e Fidene (guerra del 483-74, con la strage dei Fabi al fiume Cremera); la guerra del 428-25 portò alla caduta di Fidene; la guerra del 405-396 a quella di Veio; costrette Capena e Falerii alla pace, Nepet e Sutri divennero alleate di Roma. Nel 356 Tarquinia, dopo un conflitto con Roma, dovette cedere alcuni territori; nel 353 Cere ebbe la cittadinanza romana senza suffragio. Alla fine della terza guerra sannitica gli Etruschi, in coalizione con Galli, Sanniti, Sabini e Umbri, tentarono di opporsi ai Romani, ma nel 295 i Romani vinsero i Galli e i Sanniti a Sentino e quindi, presso Perugia, i Chiusini e i Perugini; nel 294 Volsini, Perugia, Arezzo, Cortona subirono paci onerose. Nella prima metà del 3° sec. i Romani assoggettarono tutta l’Etruria (per ultima Volsini nel 264). Furono fondate varie colonie, ma iniziò un periodo di decadenza per il prevalere dei latifondi e del lavoro servile e per la diffusione della malaria. Nelle lotte tra Mario e Silla gli Etruschi si schierarono per il primo: furono puniti da Silla nell’81-80 con gravi confische e l’impianto di colonie militari, come ad Arezzo e a Fiesole. Anche dopo essere divenuta con Augusto settima regione d’Italia, nonostante la profonda opera di livellamento attuata dai Romani, l’Etruria conservò a lungo proprie caratteristiche culturali.
Dai testi epigrafici e dalle raffigurazioni nelle tombe sembra che gli Etruschi abbiano accolto le figure divine e i miti della Grecia: certe divinità compaiono con nomi greci appena modificati (come, per es., Apulu-Apòllon, Artumes o Artimi-Àrtemis, Hercle-Heraklès), altre, pur conservando un nome etrusco, risultano identificate con i grandi dei greci (Tinia-Zèus, Turan-Aphrodìte, Sethlans-Hèphaistos, Fufluns-Diònysos ecc.); altre, infine, portano un nome d’origine latina e corrispondono alle classiche figure divine greco-romane (Uni-Iuno, Menerva-Minerva, Maris-Mars). Tuttavia, per quel che si può ricavare dall’esame delle fonti dirette e dagli autori greci e latini, la religione etrusca rivela caratteri nettamente diversi da quella ellenica e ricorda piuttosto la religiosità del Vicino Oriente antico.
Uno dei caratteri distintivi è il ritualismo. Dagli autori romani si sa che gli Etruschi avevano un’abbondante letteratura ritualistica (disciplina etrusca), in gran parte relativa a procedimenti divinatori, basati sull’interpretazione dei fulmini e delle viscere delle vittime sacrificali. Come il fegato dell’animale sacrificato era considerato immagine del cielo di cui ogni punto era presieduto da divinità o gruppi di divinità differenti (ne è testimonianza un modello di fegato in bronzo con iscrizioni proveniente da Piacenza), così nell’osservazione dei fulmini si teneva presente il punto preciso del cielo ove il fulmine appariva. La scrupolosa distinzione delle parti del cielo si manifestava anche nell’orientamento secondo i punti cardinali sia nei riti sia nella disposizione dei templi e delle tombe. Alla stessa tendenza di organizzazione del cosmo risale l’attenzione dedicata ai numeri: le città dovevano avere tre porte e tre templi; alcune divinità erano riunite in gruppi di tre, di nove e di dodici. Dodici erano le città appartenenti alla lega sacra che aveva il suo centro nel Fanum Voltumnae. Certi gruppi di divinità (per es., dei involuti o opertanei, dei consentes) sembra avessero funzioni teologicamente definite. Vi erano inoltre divinità appartenenti forse ai destini della singola persona umana, le lase, ed esisteva un concetto religioso simile a quello del genius romano. Analoghe distinzioni minuziose e ben definite appaiono nella varietà delle funzioni sacerdotali.
Nella società la donna aveva una parte di rilievo di cui si hanno riflessi nella religione (dea Turan, nome che significa «la Signora», geni femminili detti lase ecc.).
Enorme importanza aveva il culto dei morti. Dagli affreschi sepolcrali e dai monumenti legati al culto funerario si sa che l’aldilà era popolato da demoni mostruosi e crudeli, quale Charun. Anche le idee relative all’oltretomba erano codificate in scritture sacre, quali dovevano essere i libri Acheruntici.
La scrittura etrusca, documentata sin dal 7° sec., è fondata su un alfabeto d’origine greca. Alcune lettere dell’alfabeto greco (per es., β e δ) mancano in quello etrusco, altre hanno valori fonetici differenti (così il γ, che s’impiegava per la gutturale sorda anziché per quella sonora). Esistono inoltre lettere per suoni mancanti in greco, così per il suono f differente dalla ϕ, e per una sibilante differente dalla s.
La conoscenza della lingua etrusca deriva per lo più da brevi iscrizioni sepolcrali, con eccezione di pochi testi più lunghi (soprattutto quello scritto sulla benda che avvolge una mummia del museo di Zagabria o la cosiddetta ‘tegola di Capua’); di primaria importanza i testi delle lamine d’oro rinvenute nel 1964 a Pyrgi (due in etrusco e una in punico). I tentativi d’interpretazione si sono basati su vari metodi: nel 19° sec. si cercava di dedurre i valori semantici delle parole etrusche da altre lingue che si supponevano affini; più tardi prevalse il cosiddetto metodo combinatorio, fondato sull’analisi comparativa interna delle singole iscrizioni; infine, partendo dall’evidente affinità culturale dei popoli dell’Italia centrale, si cerca d’interpretare le formule etrusche con l’aiuto delle analogie offerte da formule affini latine, umbre ecc. La grande maggioranza dei testi epigrafici è ormai sicuramente traducibile, ma essi mettono a disposizione soltanto un lessico assai ridotto e pochi elementi grammaticali sicuri, di modo che i testi più lunghi restano in gran parte oscuri. Si conoscono vocaboli riferiti alle divinità e al culto: ais «dio», aisar «dei»; alle cerimonie funebri: thaur(a) «tomba», phersu «maschera», da cui prob. il lat. persona; alle parentele: clan «figlio»; all’organizzazione civile: zilath «pretore»; ad alcune suppellettili: cape, cupe, thapua, nomi di recipienti; alcune nozioni temporali: tin «giorno»; alcune azioni: zichuch «scrivere».
La prima fase Durante la sua prima fase (8°-7° sec. a.C.) l’arte etrusca si evolve verso espressioni orientalizzanti, con l’importazione di oggetti dall’Egitto e dalla Fenicia; alla fine del 7° sec. le oreficerie (a filigrana, a granulazione, a pulviscolo) sono, seppure su modelli stranieri, di fabbricazione locale. La tecnica del bronzo si sviluppa alla fine di questo primo periodo con la produzione di troni, sedili, scudi di parata, lamine sbalzate per rivestire carri, specchi e ciste. Nella ceramica, accanto alle imitazioni greche, si avvia un’originale produzione locale: vasi di bucchero, in stile italico-geometrico, grandi vasi con sostegno, ornati con figure di mostri e di animali.
Per quanto riguarda l’architettura domestica, l’iniziale capanna rotonda (la cui forma è ripetuta negli ossuari del Lazio, di Tarquinia, di Vetulonia, di Populonia) e rettangolare si sviluppa in un tipo più complesso, in legno e argilla con tetto displuviato e pareti esterne ornate con un loggiato. L’architettura funeraria del 7° sec. vede la creazione di tombe a fossa e a camera o a corridoio, inizialmente di modeste dimensioni, ma a Cerveteri e altrove si trovano grandi tumuli ricoprenti sepolcri a corridoio. A Populonia e a Vetulonia sorgono le camere a thòlos, con copertura a cupola di blocchi o di lastre di pietra. La copertura a volta fu molto usata in Etruria per monumenti funerari, ponti, cloache e porte urbiche (Volterra). Il tempio etrusco (fig. 2) era costituito di due parti, antica e postica, in mattoni o pietra; aveva tetto ligneo molto sporgente, con fastigi adorni di rilievi (antepagmenta), di antefisse e di statue di terracotta dipinta. Quanto alla scultura, appartiene al periodo orientalizzante la serie dei canopi chiusini.
Dal 6° al 4° sec. a.C. Al periodo detto ionico (fine del 6° sec.), età di massimo splendore dell’arte etrusca, appartengono le arche e i cippi chiusini in pietra e i sarcofagi ceretani in terracotta. Nei primi, l’influsso formale ionico (rilievo pittorico) si unisce a soggetti di carattere prettamente etrusco; nei secondi sono caratteristici la freschezza e il realismo con i quali viene rappresentata la coppia dei defunti, sdraiati sul letto funebre. Fra i bronzi, famosa la Chimera di Arezzo. Durante il periodo arcaico (5° sec.), le lastre fittili dei fregi dei templi hanno ornati vegetali, geometrici, scene fantastiche (mostri alati) o realistiche (corse di carri, cavalieri, cortei, lotte, banchetti); scene mitiche decorano i frontoni. L’influsso classico è forte nelle opere del 4° sec. (Atena di Cagli; terrecotte del tempio di Faleri; Marte di Todi), e molto sviluppata è la ritrattistica (per es., il Bruto capitolino e l’Arringatore del Museo Etrusco di Firenze); nella plastica fittile, invece, il ritratto ha carattere più popolaresco e vivace (figure di sarcofagi; il cosiddetto obesus Etruscus). Per la pittura, come nella scultura, dal gusto orientalizzante astrattamente decorativo (per es., tomba Campana di Veio) si passa a quello ionico (tombe tarquiniesi dei Tori, delle Leonesse, degli Auguri, della Caccia e della Pesca; lastre fittili ceretane). Tuttavia etruschi sono i temi (giochi atletici; spettacoli di giocolieri; caccia, pesca, scene di banchetti), talvolta con divinità e demoni dell’oltretomba, i particolari dell’abbigliamento e degli arredi. Agli inizi del 4° sec. si attenua il dinamismo, mentre predominano le tetre rappresentazioni dell’Ade ed episodi dell’epopea italica.
L’influenza ellenistica La pittura funeraria etrusca del 3°-2° sec. rivela una ricerca di tipo impressionistico che denota un forte influsso dell’arte ellenistica. Con la tomba tarquiniese dei Festoni, dove la decorazione pittorica consiste quasi solamente nell’ornato, il ciclo della pittura etrusca si può considerare chiuso.
Per la disciplina che studia gli Etruschi ➔ etruscologia.