Finto volto, di cartapesta, legno o altro materiale, riproducente lineamenti umani, animali o del tutto immaginari e generalmente fornito di fori per gli occhi e la bocca.
L’uso rituale delle m. è documentato fin dal Paleolitico superiore ed è diffuso ancor oggi in tutti i continenti, sebbene non in tutte le culture. Dal punto di vista esteriore, la m. può far parte di un travestimento completo o può farne le veci. Significato e funzione delle m. variano naturalmente secondo la configurazione storica delle singole religioni e possono essere diversi anche nell’ambito dello stesso sistema religioso, di modo che ogni generalizzazione sarebbe arbitraria. Volendo fissare tuttavia, genericamente, alcuni significati più frequenti, si può dire, anzitutto, che l’atto di portare una m. implica normalmente il desiderio di cancellare o nascondere temporaneamente l’individualità umana del soggetto, sostituendole un personaggio diverso. I personaggi raffigurati dalle m. sono per lo più immaginari, mitologici, divinità, spiriti, demoni o antenati, oppure animali. Il portatore della m. impersona l’essere raffigurato nella m., ma in certi contesti etnografici tale rappresentazione equivale a una vera e propria identificazione.
Le m. mostruose hanno anche la precisa funzione di incutere spavento; perciò si usano sia in guerra, sia nella lotta contro demoni o spiriti maligni. L’intento di provocare terrore è però solo uno dei motivi dell’uso delle m. nei riti d’iniziazione: il personale cui il novizio è affidato per il periodo delle prove iniziatiche, portando la m., rappresenta gli ‘esseri iniziatori’, vale a dire gli dei o spiriti che distruggono la persona infantile dell’iniziando, per dar nascita all’uomo nuovo, adulto, atto a procreare. È comune l’uso delle m. anche nello sciamanismo: lo sciamano, per identificarsi con uno dei suoi spiriti familiari, ne assume l’aspetto mediante la maschera. Anche in religioni organizzate sul piano statale (per es., l’antica religione messicana), i sacerdoti portano talvolta la m. della divinità per identificarsi con essa. In questi casi la m., anche indipendentemente dal suo uso nel rito, funge da idolo o simulacro divino.
Un altro campo in cui la m. ha parte importante è quello funerario: m. modellate sul volto del defunto possono essere investite di diverse funzioni, fra cui quella di preservare il morto dalla distruzione del suo aspetto fisico: si pensi, per es., alla mummificazione, cui l’uso appunto della m. funebre si accompagna nell’Egitto antico; esempi di maschere-ritratto dei morti si hanno nella civiltà micenea, e in Illiria; m. funebri sono state rinvenute in Siria, in Fenicia, in ambiente punico, in Etruria ecc. Altra funzione propria della m. funeraria è quella di rappresentare il morto considerato come antenato divino.
In patologia medica, m. è spesso sinonimo di facies, per indicare un particolare atteggiamento del volto, espressione clinica di un determinato stato psichico e organico. La m. gravidica è caratterizzata da un aumento della pigmentazione della cute in corrispondenza della fronte, della radice del naso e delle regioni sott’orbitarie. La m. tragica è caratteristica dei soggetti affetti, per es., da morbo di Basedow.
L’uso di mascherarsi per divertimento proprio e altrui, già attestato nell’antichità classica, continuò e si rafforzò durante il Medioevo, sì che contro gli scandali che ne derivavano intervenne energicamente ma vanamente la Chiesa. Passò poi anche a soddisfare ben diverse esigenze, come quella di garantire il segreto di determinate persone o uffici (esecutori di giustizia; membri di società segrete; del Consiglio dei Dieci a Venezia; del tribunale dell’Inquisizione); ma fu soprattutto diffuso in occasione di feste, specialmente ma non esclusivamente carnevalesche. Il centro di diffusione fu Venezia. Dall’Italia l’uso si propagò in tutta Europa, specie in Francia e in Inghilterra, aiutato dal favore della commedia dell’arte. L’Ottocento vide scomparire l’uso della m. nella moda e lo conservò soltanto nei balli mascherati.
M. di ferro Espressione con cui si designa un personaggio incognito, prigioniero a Pinerolo, nell’isola di Sainte-Marguerite e, dal 1698 alla sua morte (1703), alla Bastiglia. Portava sul viso una maschera permanentemente chiusa. La più diffusa ipotesi sulla sua identità vede in lui un fratello gemello di Luigi XIV, fatto sparire al fine di evitare questioni sulla successione al trono; un’altra lo identifica con il conte E.A. Mattioli.
L’uso delle m. nel teatro antico deriva sia dal culto degli eroi concepiti come morti divinizzati, sia dal culto dionisiaco che ha con il culto eroico addentellati, ma in cui le m. hanno funzioni più estese, probabilmente anche iniziatiche.
Nel teatro greco la m. (gr. πρόσωπον) copriva il capo dell’attore e aveva per lo più un’apertura boccale imbutiforme, che fungeva da amplificatore della voce. In genere le m., tragiche o comiche, erano bianche per i personaggi femminili e brune per i maschili, abbastanza caratteristiche da esprimere gli stati d’animo, le età e le condizioni dei personaggi. La m. doveva facilitare al pubblico la comprensione del dramma. Il teatro romano continuò per le m. le esperienze di quello greco, senza rinunciare agli insegnamenti delle atellane.
L’uso della m. scenica passò poi nella commedia dell’arte: esso rinacque nelle scene improvvisate dai cantambanchi e nelle feste carnevalesche. Erano usate da comici e da zanni, all’inizio grottesche poi meno mostruose, come quelle che annullavano la riconoscibilità degli attori.
In Giappone le m. sono usate dai personaggi principali del nō.
Dall’uso teatrale della m. derivò alla parola altro significato: quello di un tipo fisso che ritorna uguale in commedie diverse, con vestiti, movenze, psicologia sempre uguali. Tali m. si trovano già nell’atellana, ma poiché questa subì l’influsso dei fliaci e dei mimi della Magna Grecia e della Sicilia, è possibile che qualche m. dell’atellana provenga da tipi già consacrati in quelle composizioni sceniche. Le m. antiche più note sono: Macco, lo sciocco ghiottone, Bucco, il ciarliero sciocco, Pappo, il vecchio rimbambito, Dossenno, il parassita gobbo e scaltro. Tipi fissi si trovano altresì nella commedia del 16° secolo.
Il trionfo della m. è con la commedia dell’arte: l’attore, in tutte le recitazioni, interpreta quasi sempre un unico personaggio. Perfino il suo nome si confonde con quello della m.: nel 16° sec., il personaggio incarnato da Isabella Andreini prende il suo nome di battesimo; più spesso è il nome della m. a cancellare quello dell’attore. Pantalone e il Dottor Graziano erano i due ‘vecchi’; gli ‘zanni’ o ‘zani’ (Brighella, Arlecchino, Mezzettino, Truffaldino, Trivellino, Stoppino, Zaccagnino, Pedrolino, Frittellino, Coviello, Francatrippa, Scapino ecc.), in numero di due in ogni commedia, erano di regola i servi; le servette (Smeraldina, Pasquetta, Turchetta, Ricciolina, Diamantina, Corallina, Colombina ecc.) di solito parlavano in toscano. E in toscano parlavano gli innamorati: fra gli uomini Cinzio, Fabrizio, Flavio, Lelio; fra le donne Angelica, Ardelia, Aurelia, Flaminia, Lucinda, Lavinia e Isabella. Degli altri personaggi, alcuni sono ancora m. vere e proprie (per es. il ‘capitano’), i quali, anche modificando il costume secondo il tempo e il luogo, ma rimanendo essenzialmente identici negli atteggiamenti militareschi e fanfaroni, confessarono nel grottesco l’insofferenza italiana della magniloquente vanagloria dei dominatori spagnoli e spagnolesco, o infarcito di spagnolismi maccheronici, fu per lo più il loro linguaggio. Altri personaggi invece si possono ridurre a semplici ruoli generici: per es. il Mercante (turco, levantino), il Notaio, il Medico, il Boia ecc.
Le m. sopravvivono nel teatro contemporaneo: non solo come tipi fissi – ogni attore, nella diversità delle situazioni dei vari drammi, finisce in fondo con il rappresentare sempre e solo sé stesso – ma anche nel senso sei-settecentesco di tipo a costume e psicologia fissi. Da ricordare, per es., don Felice Sciosciammocca di E. Scarpetta, e Charlot di C. Chaplin.
Nome di varie schermature (costituite da sagome di materiale opaco, come carta, vernice, tela nera, metallo) che si usano per delimitare l’efficacia di una sorgente luminosa e si applicano sia alla sorgente stessa sia all’oggetto o alla parte dell’oggetto che si vuol preservare dall’azione della luce.
Superficie metallica o di materiale fotosensibile, per la formazione di un circuito integrato, con particolari processi chimici.
M. per anestesia Dispositivo per la somministrazione degli anestetici volatili, costituito da una coppa di gomma indurita, con un anello pneumatico gonfiabile alla base (al fine di poterlo bene adattare al massiccio facciale del paziente) e con un raccordo nella parte superiore, mediante il quale si collega all’apparecchio erogatore dell’anestetico.
M. antigas M. avente lo scopo di trattenere le sostanze tossiche contenute nell’ambiente, dovute a varie lavorazioni industriali o volutamente immessevi (azioni belliche ecc.). Tali m. (fig. 1) sono costituite da: un facciale a di gomma sintetica, siliconica o policloroprenica, sagomato in modo da aderire perfettamente al viso e munito di linguette b per il collegamento della bardatura di fissaggio della m.; un visore c trasparente, ad ampio campo visivo, di policarbonato, polimetacrilato o vetro stratificato; una semimaschera interna d che aderisce perfettamente alla zona bocca-naso, munita di una valvola a membrana e di inspirazione, di una valvola a piatto f di espirazione e di una capsula fonica g, che, assicurando una perfetta tenuta dell’aria, permette un’ottima trasmissione della voce; un raccordo h, munito di valvola a membrana i di ingresso dell’aria, per il collegamento del filtro. L’aria inspirata attraverso la valvola e, crea una depressione che richiama, attraverso la valvola i, l’aria esterna filtrata, la quale, lambendo la parte interna del visore, ne evita l’appannamento; l’aria espirata è espulsa all’esterno direttamente tramite la valvola f. Per fissare i diversi aggressivi il filtro (fig. 2) contiene adatte sostanze, a base di carbone attivo opportunamente trattato, capaci di agire per adsorbimento, chemiadsorbimento e conversione catalitica. Nelle m. per uso militare si usano filtri polivalenti formati da sostanze diverse atte ad agire contemporaneamente contro diversi aggressivi. Le m. antigas divengono praticamente inefficaci se usate a lungo senza cambiare il filtro o quando la concentrazione dell’aggressivo nell’atmosfera è molto elevata; in questi casi la m. antigas può essere collegata, anziché al filtro, a un erogatore di aria prelevata da una bombola (respiratore), in modo da realizzare un’alimentazione in leggera pressione che evita l’ingresso nella m. di aria esterna inquinata.
M. antipolvere Usata per impedire l’accesso ai polmoni delle piccole particelle di polvere sollevata da varie lavorazioni industriali ed edili. Il tipo più semplice è costituito da un facciale filtrante di materiale poroso che copre il naso e la bocca, fissato con un elastico che abbraccia la nuca. Per una protezione rigorosa si usano m. identiche a quelle antigas munite di filtri antipolvere, costituiti da un materiale poroso e ondulato per aumentare la superficie di contatto.
M. per lavorazioni meccaniche Costituita nel tipo più semplice da una sagoma di plastica o di metallo, da applicarsi al viso o da tenere a esso vicina, munita di una finestra protetta da vetro colorato, comune o speciale, o da lastre di materia plastica trasparente. È usata dagli operai saldatori, nelle fucine ecc., per proteggere il viso, e, in particolare, gli occhi dalle scintille e dalla luce abbagliante dei metalli incandescenti.
M. per l’ossigeno M. collegata a un dispositivo che regola la quantità di ossigeno da inalare, applicata temporaneamente sulla bocca e sul naso quando l’ossigeno risulti carente nell’ambiente o ne siano necessarie quantità superiori alla norma (per es., in caso di interventi medici, di soccorso ecc.). M. per l’ossigeno più complesse sono impiegate dal personale a bordo dei velivoli militari e, in particolare, dai piloti da caccia; sono munite di valvole di inspirazione e di espirazione e di microfono per le conversazioni con l’esterno. Costituiscono una parte dell’inalatore di ossigeno (➔ respiratore) che fornisce la miscela aria-ossigeno o l’ossigeno puro, necessari all’utente nelle varie condizioni operative, al variare della quota.
M. subacquea Dispositivo usato dai pescatori subacquei e dai sommozzatori, costituito da una montatura di gomma o di silicone aderente al volto, portante nella parte anteriore uno o due vetri, che consentono una visione chiara degli oggetti sommersi, e munita di cinghietta di fissaggio corredata di fibbie di regolazione.
In informatica, m. di input, particolare configurazione realizzata sullo schermo di un terminale per consentire una immissione dei dati controllata e strutturata; consiste in una serie di campi cui corrispondono tipi diversi di dati e su ciascuno dei quali l’operatore posiziona il cursore per immettere il dato relativo (sul resto dello schermo la scrittura non è abilitata); tale sistema permette di ottenere una ridotta possibilità di errore, in quanto i dati vengono letti dal sistema solo quando la m. è terminata e l’operatore dà l’apposito comando.