Assenza della sensibilità dovuta a cause organiche (a. organica) o indotta artificialmente.
È quella provocata dalla distruzione delle vie o dei centri della sensibilità nelle sue varie forme. A seconda del livello a cui è intervenuta la lesione si distingue in corticale, sottocorticale, talamica, capsulare, spinale, radicolare e periferica. In ciascuna di queste sedi, per caratteri intrinseci o per l’associazione di sintomi di lesione di organi vicini, l’a. acquista una particolare configurazione. L’a. corticale dipende dalla distruzione dell’area di proiezione sensitiva, ha carattere globale, abbracciando più forme di sensibilità e tende a colpire distretti somatici limitati (un arto). L’a. sottocorticale è dovuta alla lesione delle fibre di proiezione che s’irradiano dal talamo nella corteccia; ha caratteri analoghi alla precedente, ma tende a colpire distretti più vasti. L’a. talamica dipende da lesione dei nuclei sensitivi del talamo, organo d’integrazione, ed è inquadrata nella sindrome talamica. L’a. capsulare, per lesione delle fibre sensitive della capsula interna, di solito dà luogo alla perdita della sensibilità nella metà del corpo (emi-a.) opposta alla lesione. L’a. spinale ha caratteri diversi a seconda dell’estensione della lesione: nella sindrome da lesione completa, cioè a tutto spessore, del midollo spinale si ha la soppressione di tutte le forme di sensibilità nei distretti somatici tributari dei tratti del midollo spinale posti inferiormente alla lesione. Nelle lesioni parziali si ha a. per la sensibilità tattile e profonda nella metà del corpo omolaterale rispetto alla lesione e a. per la sensibilità termica o dolorifica dall’opposto lato. Tale distribuzione è dovuta alla diversità del decorso, nell’interno del midollo, delle vie di queste forme di sensibilità. L’a. radicolare riproduce la caratteristica distribuzione a strisce delle radici sensitive. L’a. periferica è dovuta a lesione di un nervo periferico e ha la stessa distribuzione delle fibre del nervo in questione.
Forma completamente diversa di a. è la cosiddetta a. funzionale, che ha una distribuzione topografica svincolata da qualsiasi fondamento anatomico e s’instaura con un meccanismo ‘psicogeno’; di solito varia per estensione nei successivi esami.
La soppressione transitoria della sensibilità, in special modo quella dolorifica, può essere indotta con mezzi farmacologici o con metodi non convenzionali (agopuntura, ipnosi), quella definitiva con l’interruzione chirurgica delle vie sensitive. Nei vari rami della chirurgia, in ostetricia ecc., la soppressione temporanea della sensibilità viene realizzata mediante un gruppo di farmaci ( anestetici) di diversa composizione chimica, aventi tutti in comune, però, la capacità di abolire, con diverso meccanismo, la sensibilità. L’ anestesiologia è il ramo specializzato della medicina che ha per oggetto lo studio e l’attuazione dell’a. indotta come atto preliminare agli interventi chirurgici, la preparazione del paziente all’intervento, il controllo delle sue funzioni vegetative, sia durante l’atto operatorio sia nella fase successiva.
A seconda della tecnica seguita si distingue tra a. generale e a. periferiche. Con la prima si produce offuscamento del sensorio o abolizione totale della coscienza, perdita della sensibilità e rilassamento muscolare. Con la seconda l’azione è localizzata alla zona interessata, con integrità della coscienza e del sensorio, essendo bloccata la conduzione degli stimoli dolorifici a livello dei tronchi nervosi.
A. generale (o narcosi). - A seconda della via di somministrazione degli anestetici, si distingue un’a. per inalazione e un’a. endovenosa. Nella pratica clinica una netta distinzione tra le due forme non esiste. Solo i primi anestetici inalatori, per es. l’etere e il cloroformio, erano utilizzati singolarmente in concentrazioni modificate in rapporto alla profondità del piano di a. che si desiderava ottenere. Oggi si preferisce utilizzare sostanze con differenti caratteristiche farmacologiche, sfruttandone le diverse proprietà: anestetici inalatori, endovenosi, farmaci adiuvanti, tanto da configurare quel tipo di a. definita a. per inalazione o endovenosa mista, in rapporto al prevalente impiego dell’una o dell’altra tecnica. In generale viene preferito l’impiego di un ipnotico somministrato per via endovenosa, che induce rapidamente la perdita della coscienza, seguito come mantenimento da anestetici endovenosi o inalatori. a) A. per inalazione. Gli anestetici inalatori sono sostanze non sempre chimicamente correlate tra loro (molecole organiche e inorganiche, idrocarburi o eteri ecc.: per es., etere solforico, etilene, protossido d’azoto, alotano, ciclopropano, cloroformio, cloruro di etile, enflurano, isoflurano, desflurano, sevoflurano ecc., v. fig.) che producono una condizione di coma farmacologico. A eccezione del protossido di azoto, gli anestetici impiegati sono vapori alogenati la cui sintesi e sperimentazione risale agli anni 1950. Di questi meritano menzione l’alotano e l’isoflurano, i più diffusi, e il sevoflurano e il desflurano, sperimentati e approvati per l’impiego clinico solo a partire dall’ultimo ventennio del Novecento. La somministrazione degli anestetici inalatori è resa agevole e sicura dall’impiego di vaporizzatori che erogano con precisione la quantità di anestetico prestabilita. La concentrazione impostata viene regolata in rapporto a vari fattori: tipo di anestetico; potenza anestetica; proprietà intrinseca di ogni molecola (che dipende principalmente dalla solubilità della stessa nel sangue e nei tessuti); tipo di paziente; età dei soggetti; condizione clinica preesistente; tipo d’intervento. b) A. endovenosa. Nuovi farmaci anestetici a rapido metabolismo e pronta eliminazione permettono una rapida e dolce induzione dell’a., seguita da un mantenimento della stessa adeguato al tipo di chirurgia e al momento dell’intervento. All’a. endovenosa hanno dato impulso ipnotici come il propofol, le benzodiazepine a durata di azione intermedia e il midazolam, oppioidi come l’alfentanil a durata di azione intermedia e, soprattutto, il remifentanil (il cui effetto farmacologico non supera i 10 minuti e quindi non provoca effetti indesiderati a distanza), miorilassanti a durata di azione breve o intermedia. La somministrazione dei farmaci con pompe da infusione consente di variare con rapidità e precisione la velocità di infusione al fine di mantenere il piano di a. desiderato e di modificare, in rapporto alle esigenze, la concentrazione ematica.
A. periferiche. - Gli anestetici locali sono farmaci che bloccano reversibilmente la trasmissione di stimoli, tra cui quelli nocicettivi, che si propagano lungo i fasci del sistema nervoso periferico sino a raggiungere quello centrale. In rapporto alla sede d’iniezione, al tipo e alla dose di anestetico impiegato, possono interessare anche l’attività motoria e il sistema nervoso autonomo. Il prototipo degli anestetici locali è la cocaina, oggi sostituita da numerosi succedanei sintetici (procaina, amilocaina, tetracaina ecc.), che possono essere usati per infiltrazioni in tessuti o in tronchi nervosi (a. tessulare o tronculare) o essere iniettati negli spazi epidurali o spinali (a. regionale o spinale) o spruzzati sulle mucose. Dal punto di vista della struttura chimica gli anestetici locali possono essere distinti in esteri dell’acido benzoico, come la cocaina, e derivati, esteri dell’acido p-amminobenzoico, derivati chinolinici, anestetici locali a struttura diversa.
Complicanze. - La maggiore incidenza di complicanze anestesiologiche perioperatorie è ascrivibile a problemi di tipo respiratorio, vale a dire impossibilità di ventilare e di assicurare un’adeguata ossigenazione. Le complicanze operatorie, quindi, non sono sempre in relazione con la patologia preoperatoria del paziente, ma piuttosto legate a una determinata conformazione fisica o alla presenza di patologie delle vie respiratorie superiori. Non meraviglia, pertanto, che una fallita intubazione, l’impossibilità di mantenere pervie le vie aeree, la comparsa di broncospasmo, l’inalazione di materiale gastrico siano tutte complicanze temibili e potenzialmente fatali. Quelle di tipo cardiologico, quali aritmie e arresto cardiaco, e lo shock anafilattico, sono più rare e, comunque, incidono meno sulla mortalità.
Tecniche anestesiologiche. - Fra le tecniche inerenti ai compiti di spettanza degli anestesisti rientrano il controllo della pressione arteriosa e quello del metabolismo. L’intervento sulla pressione in senso ipertensivo, in caso di sua caduta, viene attuato compensando le eventuali perdite ematiche con trasfusioni e fleboclisi, oppure provocando una vasocostrizione periferica e sollecitando l’attività cardiaca con l’ausilio di simpaticomimetici; l’intervento opposto (ipotensione controllata) ha lo scopo di ridurre il sanguinamento operatorio qualora per il tipo d’intervento (tumori cerebrali, grossi aneurismi) i comuni mezzi di emostasi siano di malagevole applicazione: in queste circostanze vengono usati i ganglioplegici, farmaci che hanno la proprietà di bloccare le sinapsi dei gangli simpatici. Gli interventi sul metabolismo hanno lo scopo di riportarlo su valori normali, qualora sia abnormemente aumentato (crisi tireotossiche post-operatorie) oppure quello di ridurre il consumo di O2 e l’attività enzimatica in tessuti particolarmente sensibili all’anossia, in occasione d’interventi sul cuore, anche, per aneurismi dell’aorta toracica o delle arterie cerebrali, che implicano la sospensione temporanea del flusso sanguigno.
Tecniche speciali. - I progressi anestesiologici consentono di eseguire interventi chirurgici in situazioni definibili parafisiologiche, raggiungendo obiettivi altrimenti difficilmente ottenibili. Ne sono un esempio l’ipotensione controllata indotta farmacologicamente e l’ipotermia intenzionale. L’ipotensione controllata ha la funzione di ridurre il sanguinamento o rendere esangui campi operatori molto piccoli; pur utilizzata in molti interventi, il suo campo precipuo riguarda gli interventi di aneurismectomia cerebrale. Anche l’ipotermia, lieve, moderata e profonda, è usata per ridurre gli effetti indesiderati a livello cerebrale, ma soprattutto è impiegata in cardiochirurgia, dove viene ottenuta con la circolazione extracorporea, che consente un raffreddamento e un riscaldamento progressivi sino a raggiungere la temperatura desiderata, permettendo anche in questo caso l’esecuzione di interventi a cuore fermo. L’attuazione dell’ipotermia richiede un accurato monitoraggio delle funzioni vitali. La riduzione della temperatura produce, infatti, numerose e rilevanti modificazioni fisiologiche di tutti gli organi e apparati, modificazioni che non sempre sono favorevoli e auspicabili. Non di meno è l’unica tecnica che consente di ottenere una notevole riduzione del consumo di ossigeno rivestendo, sotto molti aspetti, un ruolo protettivo nei confronti degli organi ‘nobili’ (cervello, cuore, fegato).