Stato di completa perdita della coscienza, della motilità volontaria e della sensibilità, con conservazione, parziale o totale, delle funzioni vegetative (circolazione, respirazione ecc.). In base alla gravità della sintomatologia si distinguono quattro gradi di c.: il primo con un semplice stato patologico di sonnolenza; il secondo ( c. vigile), con possibilità di reazione alle stimolazioni energiche; il terzo ( c. poco profondo), con torpore che si attenua dietro stimolazione, persistenza degli ordinari riflessi e di quelli di difesa; il quarto ( c. profondo), con abolizione dei riflessi, compromissione delle funzioni respiratorie e circolatorie. Si considerano, inoltre, due altre varietà: il c. dépassé (collocabile oltre il c. profondo) con abolizione dell’attività elettrica cerebrale, assoluta dipendenza delle funzioni vegetative dalle tecniche di assistenza strumentale; il c. prolungato con perdita irreversibile delle funzioni della vita di relazione e parziale conservazione delle funzioni vegetative ma possibile, lentissimo recupero della coscienza. Il c. può conseguire o complicare vari processi morbosi: traumi cranici, violenti stimoli termici (colpo di sole), elettrici (folgorazione), farmacologici (forti dosi di insulina, di narcotici ecc.). In rapporto alla sede o alla natura della causa determinante, si distinguono vari tipi di c.: c. cerebrale, c. ipoglicemico, c. uremico, c. epatico, c. tossico. Sintomi dello stato di c. sono l’alterazione del respiro (o profondo e continuo o periodico), dell’alito (urinoso nel c. uremico, acetonico nel c. diabetico, fetido nel c. epatico), dei riflessi (per lo più aboliti), delle funzioni degli sfinteri (ritenzione o incontinenza), delle pupille (midriasi o miosi) ecc. La diagnosi di natura di un c. può talora richiedere l’ausilio di esami di urina, sangue e liquor. Il trattamento del c. cambia da caso a caso: per es., insulina, glucosio, potassio e cocarbossilasi nel c. diabetico; solo glucosio o saccarosio nel c. ipoglicemico; alimentazione aprotidica, fleboclisi glucosate, corticosteroidi e antibiotici intestinali nel c. epatico; puntura lombare, terapia dialitica nel c. uremico; analettici, cardiotonici, ossigeno nel c. da barbiturici ecc.
Il c. pone vari interrogativi, sul piano etico, filosofico, assistenziale, medico-legale e di politica sanitaria. Sotto il profilo etico-assistenziale, il principio di proporzionalità terapeutica impone di ricorrere alla distinzione tra mezzi ordinari e straordinari (o mezzi proporzionati e non proporzionati alla situazione clinica del paziente), in base alla quale esiste sempre un obbligo morale di usare i mezzi ordinari per preservare la vita, ma non di impiegare quelli straordinari (eccezionali, sperimentali o particolarmente gravosi per il paziente). La vita fisica costituisce, infatti, il valore fondamentale dell’esistenza; tuttavia, mentre nel caso del c. reversibile vanno usati tutti i mezzi a disposizione, nel caso del c. irreversibile esiste un obbligo solo per le cure ordinarie: tra queste, l’alimentazione, l’idratazione e la prevenzione delle ulcere da decubito e delle infezioni urinarie. Per la sperimentazione clinica su soggetti comatosi, valgono i principi generali del calcolo rischi-benefici in relazione agli obiettivi terapeutici ottenibili. Nella proporzionalità terapeutica va incluso il rifiuto di ogni tipo di eutanasia e di accanimento terapeutico, nel pieno rispetto della dignità della persona. Anche per tale ragione, l’alimentazione – sia che la si consideri una terapia o una cura – è un mezzo ordinario che sostiene la vita e, soprattutto nel caso di pazienti in stato vegetativo persistente – che pertanto non sono terminali – la sospensione di essa può equivalere a eutanasia.
Nella bioetica, in relazione alle situazioni di fine vita e di malattia grave, si sono configurate due diverse definizioni della persona e della sua dignità: una di tipo funzionalista, che identifica la persona a partire dai suoi caratteri (autocoscienza, razionalità, senso morale, capacità di provare piacere o dolore), i quali, venendo meno nelle situazioni di c. e di stato vegetativo persistente, fanno perdere all’individuo la qualifica di persona. Tale approccio, di matrice tipicamente utilitarista (P. Singer) e neo-contrattualista (H.T. Engelhardt), postula in questi casi una scissione tra vita biologica, ancora presente, e vita personale, ormai assente, legittimando la soppressione di coloro che non sono più persone. Alla medesima conclusione si perviene sulla scorta di considerazioni di natura economico-utilitaristica, improntate al mero calcolo costi-benefici e relative all’assistenza di questi pazienti, che difficilmente tornano a una vita qualitativamente normale, accettabile e produttiva. La seconda definizione, di tipo sostanzialista, considera l’individuo un’unità inscindibile di corpo e spirito. L’approccio ontologico-metafisico rende conto della realtà integrale dell’uomo e non consente di separare il concetto di individuo da quello di persona, perché l’individuo è di per sé e sempre persona, a prescindere dalle sue condizioni fisiche o dai suoi caratteri. L’inviolabilità e la dignità della vita umana impongono perciò rispetto e tutela della persona dal concepimento alla morte naturale.