Nella sistematica botanica e zoologica, definizione di una categoria sistematica o taxon (classe, genere, specie ecc.). Dalla d. devono risultare i caratteri differenziali rispetto alle altre categorie. Il sistema fu introdotto dal Linneo e ancora oggi, nelle d., si utilizza la lingua latina. Tipicamente, le d. sono tanto più brevi quanto più ampio è il gruppo. La prima descrizione pubblicata dall’autore di un taxon nuovo, è chiamata protologo.
Processo consistente nell’individuare e localizzare errori in un programma o malfunzionamenti nei componenti di un elaboratore attraverso l’utilizzo di strumenti diagnostici, in grado eventualmente di correggere gli errori in maniera automatica (➔ debug).
D. continua dei sistemi timesharing Processo con il quale il sistema viene tenuto costantemente sotto controllo, mediante un’opportuna serie di programmi di bassa priorità, residenti in permanenza nelle code di esecuzione. D. programmata dei componenti (o programmed marginal check) D. realizzata utilizzando programmi capaci di far variare i parametri critici del componente in esame.
I messaggi diagnostici sono prodotti dal sistema operativo o da un compilatore e informano l’utente che la struttura di un’istruzione o di un dato non è in accordo con le definizioni. Routine diagnostica è il programma che permette di sottoporre le componenti di un elaboratore a sollecitazioni definite e note, in modo da poterne verificare il corretto funzionamento, o che consente di seguire l’evoluzione di un programma in maniera da individuarne le istruzioni e i passi critici.
In medicina, giudizio clinico che mira a riconoscere una condizione morbosa in esame, cioè a identificarla con uno dei quadri morbosi descritti in patologia. La d. rappresenta il risultato di una complessa analisi di vari ordini di elementi che vengono ricercati, elaborati e concatenati in vari momenti: l’ordinata e completa raccolta dell’anamnesi, il rilievo dei segni attraverso l’esame obiettivo, la valutazione e interpretazione di essi, l’orientativo incasellamento nosografico del caso in esame, la critica discriminazione di quest’ultimo dagli altri quadri morbosi che possono in qualche modo simularlo o rispecchiarlo ( d. differenziale). Tutto ciò presuppone la conoscenza della patologia generale e speciale, della semeiotica e della clinica, oltre che dell’anatomia e della fisiologia. Tuttavia, assai spesso, per giungere a conclusioni diagnostiche, è indispensabile ricorrere a vari mezzi d’indagine: microscopici, chimici, microbiologici, immunologici e radioimmunologici, elettrodiagnostici, radiologici, scintigrafici, ecografici ecc. Tali ricerche servono anche a convalidare la d. clinica, o a corredarla di precisazioni circa l’eziologia e la precisa sede delle alterazioni anatomiche. La precisa formulazione della d. permette di enunciare la prognosi e applicare razionalmente la terapia.
Sono dette apparecchiature per d. le apparecchiature più o meno complesse di cui si avvale il medico per poter formulare un giudizio clinico; tali apparecchiature sono utilizzate per il rilievo dei segnali bioelettrici (elettroencefalografi, elettrocardiografi, elettromiografi), per la misurazione di parametri fisiologici (termometri, ossimetri), per l’analisi di campioni del corpo umano (analisi cliniche, ematologiche, batteriologiche, molecolari ecc.), per la presentazione di bioimmagini (apparecchi radiologici, tomografi, ecotomografi).
Le apparecchiature per d. sono sostanzialmente strumenti di misurazione. In alcuni casi il corpo umano costituisce un ‘generatore’ che produce un flusso di energia nel senso paziente-strumento; in tali casi, lo strumento (elettrocardiografo, elettroencefalografo, elettromiografo) elabora e presenta il segnale bioelettrico messo a disposizione. In altri casi l’apparecchiatura utilizza ‘energia esterna’, e allora il corpo umano si comporta come un elemento passivo che modifica l’azione di una radiazione generata all’esterno e inviata al suo interno: tale radiazione, se fortemente penetrante (per es., radiazione X), fuoriesce modificata dalla parte opposta a quella di ingresso, e in tale modifica risiede il contenuto diagnostico; nel caso invece di onde ultrasonore, queste vengono riflesse modificate dagli organi interni incontrati nel loro cammino e rilevate dallo stesso trasduttore che le ha emesse; a parte la pericolosità intrinseca nell’utilizzazione delle radiazioni X, γ, o, in altri casi, laser, le apparecchiature di d. sono, nella grande maggioranza dei casi, non invasive, nel senso che la cute del paziente rimane integra.
In alcuni casi alle tecniche di diagnostica per immagini si uniscono metodiche di d.-terapia ( diagnostica interventistica: agobiopsia, endoprotesi, radiologia operativa dei vasi sanguigni, sia arteriosi sia venosi).
D. effettuabile sull’embrione e sul feto allo scopo di evidenziare patologie di natura genetica e/o malformativa, attraverso tecniche che possono essere di natura invasiva (amniocentesi, prelievo dei villi coriali, funicolocentesi, embrioscopia, fetoscopia) o non invasiva (ecografia, triplo-test, un’indagine probabilistica di patologia cromosomica fetale realizzata sul siero materno). Le metodiche invasive si avvalgono di analisi citogenetiche e biochimico-molecolari in grado di rilevare l’assetto cromosomico delle cellule e il ‘cariotipo’, che può modificarsi nel numero (anomalie cromosomiche numeriche) o nella morfologia dei cromosomi (anomalie cromosomiche strutturali).
La d. prenatale ha contribuito in maniera determinante allo sviluppo del concetto di ‘feto come paziente’, avendo consentito di mettere a punto nuove forme di intervento terapeutico fetale. Tuttavia, la forte discrepanza che sul piano delle malattie genetiche persiste tra ciò che può essere diagnosticato e ciò che può essere curato continua a sollevare seri interrogativi etici sull’opportunità di proporre d. che, nella pratica, risultano indirizzate all’aborto selettivo dei feti malati. In tal senso, l’approccio eugenetico si rivela carico di implicazioni etiche, giuridiche e deontologiche e deve essere sostituito da valutazioni etiche più ampie. Ciò richiede che la d. sia preceduta da un momento di riflessione insieme alla coppia, il cosiddetto counseling genetico. Il ricorso alla tecnologia invasiva, infatti, può presentare rischi e incertezze e deve pertanto avvenire nell’ambito di un contesto di responsabilità, nel quale siano valutati quattro principi fondamentali: la vita del feto, anche in caso di responso di malattia; il principio terapeutico, affinché l’atto diagnostico non sia causa di rischi sproporzionati, per la madre e per il concepito; il principio di libertà-responsabilità nell’uso del responso diagnostico e nella comunicazione della verità; il principio di socialità-sussidiarietà nell’allocazione delle risorse sanitarie e nel sostegno adeguato alle famiglie che si preparano ad accogliere un bambino malato o disabile. In assenza di un rischio specifico non si dovrebbe giustificare il ricorso a metodiche invasive o a test di screening che non abbiano una sufficiente attendibilità e certezza (triplo test). Particolare attenzione è necessaria nei casi di d. incerte, predittive o nel caso di d. di individui eterozigoti (portatori sani di geni patologici o di aberrazioni cromosomiche bilanciate). In tale contesto occorre anche garantire la possibilità dell’obiezione di coscienza del medico/genetista innanzi alla richiesta di una d. prenatale finalizzata all’aborto.
Nel linguaggio tecnico, la d. è frutto dell’analisi di malfunzionamenti, guasti ed errori in apparati, sistemi o programmi di calcolo, che porta a individuare il punto in cui questi si sono verificati e a identificarne il tipo. Oltre che nel settore spaziale, il primo a sviluppare la diagnostica come processo completamente automatizzato, sistemi di diagnostica integrati sono oggi diffusi nel settore aeronautico, dei grandi impianti, automobilistico, elettronico e informatico.