Sensazione spiacevole, dovuta all’azione di un agente che compromette l’integrità somatica, o suscitata dallo stato di sofferenza anatomica o funzionale di un organo. I tipi principali di d. sono le nevralgie, le coliche, le cefalee, i d. anginoidi, ischemici ecc.
La capacità di sentire il d. può essere aumentata (iperalgesia), ridotta (ipoalgesia), abolita (analgesia) per malattie organiche che ledono la recettività, la conduzione o anche l’elaborazione centrale del d., oppure per turbe psichiche (stati ansiosi, stati stuporosi e pseudostuporosi).
L’interpretazione attuale del significato fisiologico del d. come forma particolare di sensibilità generale (sensibilità dolorifica o nocicettiva) – autonoma dalla sensibilità tattile, pressoria e termica – non è stata scevra di discussioni. Le vie per la sensibilità dolorifica hanno decorso comune con le altre vie sensitive e sono costituite da due varietà di fibre che differiscono tra loro per il rivestimento mielinico. A livello del midollo spinale sono rappresentate dai cilindrassi dei neuroni dei gangli delle radici posteriori, che attraversano la zona di Lissauer e si articolano con i neuroni delle lamine 4, 5 e 6 i cui assoni incrociano il piano mediano e si portano nel cordone spinale anteriore controlaterale, dove concorrono a formare il fascio spino-talamico; questo, dopo aver attraversato il bulbo, il ponte e il peduncolo cerebrale (mesencefalo), ha la sua terminazione nel nucleo ventrale postero-laterale del talamo, in contiguità col nucleo ventrale posteromediale in cui terminano le fibre dolorifiche di origine trigeminale. Per la sensibilità viscerale si ammette che gli organi interni siano sensibili solo a stimoli dolorifici particolari (distensione, spasmi, irritanti chimici), adeguati cioè al loro ambiente e alla loro funzione e che gli impulsi dolorosi viscerali raggiungano il tratto spino-talamico con le fibre afferenti neurovegetative, dell’ortosimpatico quasi sempre, del parasimpatico eccezionalmente. Per il d. viscerale è fatto di comune osservazione che esso spesso non è localizzato nella sua sede di origine, ma viene avvertito come proveniente da determinate zone cutanee, per esempio dalla spalla destra per il fegato, dalla spalla e dal braccio sinistri per il cuore. D. da fame Il d. dell’ulcera duodenale che tende a manifestarsi a digiuno e a cessare con l’ingestione di cibo.
È assurta, dalla fine degli anni 1980, a ruolo di disciplina autonoma. La contrapposizione fra l’impiego di metodiche di blocco nervoso, di derivazione anestesiologica, e l’impiego di farmaci è stata superata dal concetto di strategia antalgica, ossia dall’assunto che le associazioni farmacologiche debbano, in linea di massima, precedere le metodiche strumentali (v. fig.) A seconda delle loro proprietà farmacologiche o del sito di applicazione, i farmaci antidolorifici possono interferire in qualsiasi punto delle vie di trasmissione del d., dai recettori periferici alle vie di conduzione spinali, al sistema centrale di percezione-integrazione. Il d. si configura infatti come un’esperienza sensoriale soggettiva multidimensionale, nella quale sono presenti componenti sensitive, affettive e cognitive che interagiscono confluendo nella risposta complessa dell’individuo.
Il primo irrinunciabile passo in una terapia del d., e quindi la base di ogni strategia antalgica, è pertanto la tipizzazione del sintomo, cioè la sua valutazione qualitativa e quantitativa. I farmaci antalgici più usati appartengono a tre categorie fondamentali: a) i farmaci analgesici non steroidei (➔ FANS), cioè diversi dai cortisonici, che agiscono inibendo le sostanze algogene liberate nei processi infiammatori; b) gli oppioidi, sostanze naturali o di sintesi ad azione simile a quella dell’oppio; c) gli anestetici locali che, applicati localmente sul tessuto nervoso, interrompono la trasmissione dello stimolo doloroso. A questi gruppi fondamentali si affiancano i farmaci detti adiuvanti quali, per es., gli antidepressivi o i cortisonici, sostanze usate per altri impieghi ma che, combinate con i farmaci analgesici, ne migliorano l’effetto.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha elaborato una scala sequenziale di impiego di sostanze che, nata per il d. neoplastico, è stata successivamente adottata anche per d. diversi da quelli causati dal cancro. In questo schema di trattamento, come base per l’impostazione della terapia antalgica, si prevede l’impiego, in varie associazioni e in successione, di FANS, di oppioidi inizialmente deboli e poi forti e di farmaci adiuvanti. La scala farmacologica può essere progressivamente integrata, caso per caso, con l’uso di tecniche invasive o seminvasive, di derivazione anestesiologica. Esse consentono di portare i farmaci, sia analgesici locali sia oppioidi, a contatto con le radici spinali (analgesia epidurale) o con il sistema nervoso centrale (tecniche subaracnoidee spinali o intraventricolari centrali), modulando l’entrata di impulsi dolorosi (neuromodulazione spinale).
Un cenno a parte deve essere riservato all’uso di sostanze neurotossiche quali il fenolo o l’alcol che, portate a diretto contatto con il tessuto nervoso o con i gangli simpatici e i plessi parasimpatici, causano un certo grado di lesione più o meno duratura, detta neurolisi spinale o gangliare, in grado di interrompere la trasmissione dello stimolo doloroso. Questi trattamenti vengono effettuati solo se le associazioni farmacologiche precedentemente impiegate si sono dimostrate o sono diventate inefficaci. Pertanto le tecniche neurolesive vengono impiegate quasi esclusivamente nelle fasi finali del d. causato dal cancro. In ogni caso, le procedure più complesse di terapia del d., che presentano rischi di complicanze, richiedono il consenso informato del paziente.