Sensazione viscerale stimolata dal bisogno del cibo; è avvertita a distanza varia dal pasto, dapprima nella forma lieve di appetito, poi in quella definita di f., caratterizzata dal desiderio imperioso di cibo, da dolori crampiformi all’epigastrio ( morsi della f.), da debolezza e malesseri generali che possono culminare nel deliquio.
La regolazione del meccanismo della f. viene mediato principalmente da modificazioni del livello di zucchero nel sangue (a una glicemia bassa corrisponde f.) che vengono percepite a livello del sistema nervoso. Almeno due nuclei dell’ipotalamo sembrano implicati nel processo: il nucleo ventromediale, centro della sazietà, la cui asportazione bilaterale provoca iperfagia, e un gruppo di cellule laterali rispetto a questo, che costituiscono il centro della f.: lesioni in quest’area provocano anoressia, mentre una stimolazione elettrica determina iperfagia. La sensazione di f. può essere aumentata o inibita da numerosi fattori, quali livello d’attività, stati emotivi, sostanze chimiche. Deviazioni patologiche della sensazione normale di f. sono la bulimia, l’anoressia e la sitofobia.
Il valore energetico degli alimenti andrebbe misurato in joule, anche se nell’uso corrente si misura in calorie. La FAO ha stimato che individui di 25 anni, con moderata attività di lavoro fisico, in clima temperato, necessitano di 3200 kcal (13.400 kJ) al giorno, se uomini, e di 2300 kcal (9600 kJ), se donne. Le ‘calorie’ provengono da tre diversi gruppi di sostanze: i protidi (1 g = 4,1 kcal ≃ 17 kJ), i lipidi (1 g = 9,1 kcal ≃ 38 kJ) e i glicidi (1 g = 4,1 kcal ≃ 17 kJ). L’apporto di tali sostanze, rispetto al fabbisogno calorico complessivo, deve essere nell’equilibrio: protidi, 12-15%; lipidi, 25-35%; glicidi, 50-60%. Altre sostanze, quali le vitamine, i sali minerali e l’acqua, sono indispensabili alla vita dell’organismo umano. Il problema della f. si pone quando ci si trova di fronte al mancato o insufficiente apporto di tutte o di alcune sostanze necessarie alla vita: le conseguenze vanno dalla insidiosa deficienza cronica al decesso.
Gli stati deficitari e le relative conseguenze vengono di solito analizzati trattando carenze energetiche, proteiche, vitaminiche e saline, anche se nella realtà non sono fenomeni isolati, ma combinati in modalità diverse. Nelle carenze energetiche, nei casi di incompleta soddisfazione di fabbisogno calorico, compaiono manifestazioni cliniche diverse secondo l’entità del deficit. Nei casi più leggeri l’iponutrizione causa dimagrimento, astenia, depressione del tono nervoso, minore resistenza alle fatiche, alle malattie e invecchiamento precoce. Nei casi più gravi il dimagrimento appare scheletrico, i fasci muscolari sono quasi annientati, non vi è più forza fisica. Le minori difese dell’organismo fanno spesso sovrapporre a tali conseguenze varie malattie infettive. Accanto ai casi di iponutrizione totale, vi sono le forme di carenze specifiche.
La f. specifica più grave e diffusa è quella causata da deficit qualitativi (dovuti a mancanza degli amminoacidi essenziali) o quantitativi di protidi. Come prima conseguenza, un’insufficiente ingestione di protidi causa fenomeni di degradazione biologica, quale l’insufficiente sviluppo corporeo (in altezza e peso). La comparsa di edemi su corpi magrissimi, visi tumefatti, ventri enormi e gonfi sono la manifestazione delle forme più acute di carenza protidica che, nei casi cronici, si associa a cirrosi epatica. Sono i bambini, comunque, a sopportare le conseguenze più gravi delle carenze protidiche, che vengono comunemente definite con un termine africano, kwashiorkor («bambino rosso»), indicante una malattia i cui tassi di mortalità variano dal 30 al 90%.
Le carenze vitaminiche e saline assumono in molti casi un significato sociale. Le forme di deficiente consumo di vitamina A compromettono lo sviluppo e causano gravi disturbi della vista. Un apporto deficitario di vitamina B1 causa il beri-beri (paralisi muscolari e alterazioni nervose e cardiovascolari), mentre la carenza di vitamina B2 provoca lesioni alle mucose delle labbra e della lingua e alterazioni agli occhi e alla pelle. La carenza di vitamina PP provoca la pellagra; un insufficiente apporto di vitamina D determina gravi deficienze nella composizione minerale dello scheletro, con manifestazioni di rachitismo nei bambini e di osteomalacia negli adulti. Simili sono le conseguenze dovute a mancanza di calcio. L’anemia da carenza di ferro colpisce profondamente lo stato di salute, diminuendo la resistenza alle infezioni e la capacità lavorativa, ed eleva molto la mortalità infantile e da parto. La carenza di iodio, infine, determina gravi scompensi nella funzione tiroidea (presenza caratteristica del gozzo endemico).
Il problema della f. nel mondo, sia che si chiami sottonutrizione o malnutrizione, f. acuta o cronica, palese o latente, f. specifica o sottoalimentazione, è stato sempre presente; ma la sua persistenza e il suo aggravamento in molti paesi, specialmente africani, rischiano di compromettere il già precario equilibrio sociale, economico e politico dell’intero pianeta. Secondo stime statistico-demografiche gli individui toccati da f. per insufficienza quantitativa di alimentazione sono più di 850 milioni. Altri studi indicano che nella maggior parte dei paesi in via di sviluppo la popolazione non dispone del fabbisogno minimo di calorie e ha una dieta particolarmente carente di proteine: circa 350-400 milioni di bambini nel Terzo Mondo è sottonutrito. La mortalità nel primo anno di vita, legata alla sottoalimentazione, raggiunge livelli del 15-20% in Africa, del 10-15% in India e in alcuni paesi dell’America Centrale e Meridionale. Certo, in alcune aree le carestie sono state sconfitte, soprattutto in Europa (dove l’ultima carestia catastrofica si è avuta in Irlanda nella seconda metà degli anni 1840), in conseguenza dell’aumento delle importazioni dalle Americhe e della crescente produttività dei paesi europei stessi. Ma altrettanto non si può dire della malnutrizione, debellata in Europa solo dopo la Seconda guerra mondiale.
La lotta alla f. è l’obiettivo basilare del terzo millennio, secondo quanto stabilito dall’ONU, e rappresenta inoltre l’impegno principale stabilito dal vertice mondiale dell’alimentazione del 1996, quando ci si è prefissi di dimezzare entro il 2015 il numero di persone che nel 1990 moriva a causa della mancanza di cibo. Il problema della f. non deriva da una non sufficiente produzione globale di alimenti, bensì da una inefficiente distribuzione delle condizioni che consentono la produzione, la conservazione e la divisione degli stessi, che sono state per buona parte monopolizzate dalle popolazioni più organizzate. Le popolazioni più forti e più compatte, sotto il punto di vista sociale e politico, hanno a disposizione le aree più produttive, garantendosi così una maggiore quantità di risorse alimentari e di materie prime. Nei paesi più poveri vari fattori interni, poi, dall’insufficienza di capitali destinati all’uso efficiente delle risorse idriche a problemi di logistica e di commercializzazione, impediscono di sfruttare le potenzialità alimentari.
Per raggiungere gli obiettivi di sviluppo concordati, la FAO ha intrapreso una strategia che mira principalmente all’aumento degli incentivi nel settore agricolo, tra cui gli investimenti in sistemi di irrigazione su piccola scala, le infrastrutture (strade, accesso all’acqua), la promozione della pesca e del settore agroforestale, in modo da poter rafforzare la produttività e i redditi. Le politiche di sviluppo sono focalizzate, pertanto, sulle aree rurali del mondo, in quanto le attività agricole, se sostenute da un’adeguata innovazione tecnologica, sono in grado di aumentare quantitativamente e qualitativamente la produzione di alimenti e di conservare, al tempo stesso, le risorse naturali. Infatti, la maggioranza dei poveri del mondo vive in aree rurali e gli studi dimostrano che la crescita del settore agricolo, soprattutto se concentrata sui piccoli agricoltori, è il più potente motore di sviluppo e di creazione di occupazione e reddito per le popolazioni che vivono in condizioni precarie.