strategia La tecnica di individuare gli obiettivi generali di un’attività, nonché i modi e i mezzi più opportuni per raggiungerli
S. r e K Il complesso delle caratteristiche del ciclo biologico di una specie, che ne determina il tasso di crescita ma anche la capacità di colonizzazione e la fase, nella successione ecologica, in cui la specie compare.
Gli organismi a s. r sono quelli caratterizzati da rapido sviluppo, riproduzione precoce, piccola mole corporea, e semelparità (si riproducono una sola volta nel corso della vita). Quelli a s. K sono caratterizzati da sviluppo lento, riproduzione ritardata, grande mole corporea, prole o propaguli poco numerosi e iteroparità (si riproducono più volte nel corso della vita). Tra questi due estremi esistono tutte le possibili situazioni intermedie, ossia in natura è presente un continuum di caratteristiche e quindi di risposte alle varie situazioni ambientali. Inoltre, una stessa specie può mostrare variazioni nei diversi caratteri. In linea generale, ci si può attendere che un organismo a s. r sia presente in una comunità pioniera, cioè in una fase iniziale di colonizzazione di un sito, mentre si può supporre che gli organismi a s. K siano caratterizzanti delle fasi mature della comunità (climax).
S. aziendale L’insieme delle scelte e delle azioni, coordinate e coerenti, operate all’interno dell’azienda al fine di conseguire un obiettivo predeterminato che riguarda una parte o tutte le aree aziendali. La formulazione della s. avviene dopo un’attenta valutazione delle alternative considerate possibili in relazione all’ambiente (economico, sociale, normativo) in cui opera l’azienda; la sua elaborazione consiste nell’individuazione di un piano definito in base agli obiettivi (determinati dall’enunciato strategico) e alle modalità di attuazione di tali obiettivi. Una volta che l’impresa si adopera per la realizzazione del piano strategico, insorge il controllo strategico volto a confrontare i risultati conseguiti con le azioni originariamente previste. Le s. formulate dall’azienda possono riguardare risultati economici interni valutati con il bilancio o con specifici indicatori, risultati esterni riferiti al mercato in cui opera l’azienda o risultati di carattere sociale.
Gli strumenti di supporto al management per mettere a punto s. efficaci hanno subito una notevole evoluzione. Questo grazie a diversi fattori quali, per es., la disponibilità di dati e informazioni dettagliate in tempo reale sull’impresa e sull’ambiente in cui opera, la capacità di elaborazione di dati e informazioni, la disponibilità di modelli per l’analisi delle situazioni, la simulazione delle possibili evoluzioni del sistema, la scelta delle soluzioni migliori da adottare nei vari contesti. La pianificazione strategica, in particolare, si è arricchita, negli ultimi anni del 20° sec., di strumenti che consentono una verifica veloce e quantitativa di scenari alternativi, con una traduzione di s. complessive nella corrispondente sequenza di scelte specifiche. Questi strumenti, disponibili anche attraverso elaboratori portatili o palmari, collegati in rete attraverso cellulari o linee telefoniche, consentono di visualizzare, secondo diverse prospettive, i dati disponibili, integrarli attraverso opportune stime con gli eventuali dati mancanti, effettuare semplici elaborazioni statistiche di vario tipo, valutare alcune conseguenze delle possibili decisioni da prendere (eventualmente utilizzando programmi remoti, disponibili su server opportunamente predisposti), presentare in modo sintetico i risultati. L’uso di questi strumenti, consolidato per quanto riguarda le valutazioni di tipo finanziario, si è esteso ad altri settori della vita aziendale, quali, per es., la gestione delle risorse umane, delle macchine e degli strumenti di lavoro, la pianificazione delle attività, la prototipizzazione rapida di componenti, parti e unità complete.
Nell’arte militare, s. è la tecnica di individuare gli obiettivi generali e finali di una guerra o di un ampio settore di operazioni, di elaborare le grandi linee di azione, predisponendo i mezzi per conseguire la vittoria (o i risultati più favorevoli) con il minor sacrificio possibile. In particolare, s. diretta o dell’azione frontale è quella che con la prova di forza (distruzione delle forze nemiche ed eventuale occupazione del territorio) induce l’avversario ad accettare le condizioni del vincitore; s. indiretta o della manovra diversiva è quella volta sia a colpire la vulnerabilità dell’avversario con attacchi diversivi (che, inducendo le forze nemiche a concentrarsi in punti che non verranno attaccati, indebolisce quelli su cui effettivamente e di sorpresa verrà sferrato l’attacco principale) sia a minare la capacità combattiva del nemico con azioni eversive e d’inganno effettuate all’interno del sistema difensivo avversario (per es., con iniziative di disinformazione tendenti a distruggere il consenso dell’opinione pubblica e a delegittimare il conflitto, con atti di terrorismo ecc.).
Della s. dei Greci ci si può formare un’idea almeno dal tempo delle guerre persiane: il piano di difesa concepito dalla Lega panellenica per sventare l’invasione di Serse mostra una s. prudente, giustificata dalla composizione degli eserciti greci, che non si potevano mantenere in campagna per lungo tempo, dalle difficoltà del vettovagliamento e dall’importanza della posta che si giocava. Un progresso notevole nella s. dei Greci fu dovuto a Epaminonda che seppe liberarsi dalle pastoie tradizionali, come l’abitudine di sospendere le operazioni nella cattiva stagione e non esitò a richiedere alle truppe grandi sforzi quando era necessario. Nello stesso tempo notevoli progressi tecnici (fortificazioni, macchine guerresche) e organici (truppe mercenarie) aprivano nuove possibilità alla condotta della guerra. Le campagne di Alessandro Magno rappresentano il capolavoro della s. greca, che doveva ora agire su spazi vastissimi e superare difficoltà ardue, specialmente logistiche.
Sempre nel 4° sec. a.C. in Cina, nell’opera L’arte della guerra scritta da Sun Zi, vennero enunciati alcuni dei principi fondamentali della s., tra cui quelli della dispersione e della concentrazione di forze, della conoscenza dei piani nemici e dell’attacco.
Per i Romani lo scopo della guerra era la vittoria totale (debellatio) per cui la s. romana fu di regola offensiva. Essa si basava sulla superiorità di forze che Roma ebbe generalmente sui suoi avversari e sulla fiducia nelle virtù dei soldati e nella bontà degli ordinamenti militari. Un esercito romano non sostava mai senza chiudersi in un campo fortificato, dietro i cui valli avrebbe potuto sfidare un nemico di molto superiore o trovare protezione in caso d’insuccesso; ciò permetteva una grande libertà di manovra. Inoltre un ricco sistema di colonie-fortezze e di strade militari offriva appoggi per la difesa, basi per l’offensiva e facilità di movimenti e di rifornimenti. La s. romana raggiunse il suo apogeo con Giulio Cesare: il segreto delle sue vittorie sta in gran parte nel sapiente sfruttamento della superiorità logistica e tattica dei Romani e nell’organizzazione delle linee di comunicazione oltre che nella superiore visione politica, che potrebbe dirsi anch’essa strategica. Anche le campagne dei generali d’Augusto furono concepite spesso con s. nettamente offensiva; si videro eserciti agire secondo un unico piano o un esercito marciare con diverse colonne convergenti sullo stesso obiettivo. Ma sino dai primi imperatori, la s. che le condizioni generali dello Stato imponevano all’esercito romano fu difensiva, per quanto campagne offensive siano state di tanto in tanto intraprese in tutte le direzioni, e anche con successo, fino al 3° sec. e anche più tardi. Le forze militari romane furono dislocate lungo le frontiere, che avevano uno sviluppo immenso e che furono quasi ovunque munite di valli, forti e strade d’arroccamento.
Gli antichi ebbero naturalmente ben chiara l’importanza del dominio del mare: operazioni combinate dell’esercito e della flotta furono più frequenti nell’epoca romana, specialmente nelle guerre civili, e solo la collaborazione della flotta permise in certi casi ai grossi eserciti dell’epoca di mantenersi in regioni di scarse risorse.
La s. venne ad assumere caratteristiche del tutto diverse nell’Alto Medioevo. Le invasioni barbariche condussero infatti a forme esclusivamente di occupazione con espansione a macchia d’olio: venivano occupate e presidiate le località più importanti, i punti di passaggio obbligato e i luoghi dominanti, secondo le forze disponibili e in relazione alla necessità di preda e di sostentamento, con scarsi scontri frontali e con frequenti operazioni d’assedio; queste ultime erano, però, per lo più infruttuose per la generale scarsità di macchine belliche adatte. Campagne improntate a più evoluti concetti strategici di manovra, intesa a colpire il nemico nel cuore del suo apparato militare e politico, si ebbero nelle guerre gotiche dei generali bizantini Belisario e Narsete e in quelle dei re franchi Carlo Martello, Pipino il Breve e Carlomagno contro Arabi, Longobardi e Sassoni. Successivamente, con il frantumarsi dell’autorità centrale, si accentuarono i caratteri di una s. di logoramento, con scontri frontali di un numero limitato di combattenti (cavalieri armati di lancia) sovente in luoghi stabiliti in precedenza e assedi di durata limitata per la scarsità di risorse disponibili e per le difficoltà logistiche, di trasporto e di rifornimenti. Con il passaggio a un sistema politico diverso (principati territoriali, grossi Comuni, prime affermazioni delle monarchie), con conseguente maggiore disponibilità di risorse in uomini e vettovaglie, ma soprattutto per l’impostazione di più ampie visioni politiche di egemonia e di espansione, le manifestazioni strategiche, seppure condizionate dagli armamenti disponibili, portarono all’impostazione di forme di manovra tendenti a colpire il nemico nel vivo delle sue risorse militari e politiche: la necessità di poter disporre di eserciti professionali per attuare tale s., portò alla costituzione delle compagnie di soldati mercenari, costosi e pericolosi per lo stesso padrone, i cui condottieri furono, naturalmente, indotti a limitare al massimo le perdite ricorrendo a lunghe schermaglie di manovre e contromanovre, evitando gli scontri risolutivi e cercando più di stancare che di annientare il nemico in attesa di una soluzione politica della guerra.
In Oriente, spicca la figura di Genghiz khān, geniale stratega della guerra-lampo, capace di organizzare con audacia e precisione le campagne offensive dei Mongoli nella profondità dei territori nemici: i ritmi di avanzata delle sue divisioni di cavalleria non sono mai stati uguagliati.
La s. mutò volto con il costituirsi di Stati a forte potere centrale e soprattutto con l’introduzione di nuovi mezzi bellici (armi da fuoco portatili, artiglierie leggere ecc.) e l’affermazione della fanteria come massa d’urto e della cavalleria leggera come massa di manovra.
Gli ordini sociali e politici nati dalla Rivoluzione francese crearono ulteriori orizzonti e trasformarono lo strumento bellico. Volontarismo e coscrizione obbligatoria fornirono alla Francia, impegnata a fondo contro l’assolutismo, truppe numerose, scarsamente addestrate ma aggressive. L’adozione di una s. nettamente offensiva fu favorita dalla giovane età dei generali improvvisati, di scarsa preparazione tecnica, ma entusiasti e audaci; questa s. li portava a combattere sul territorio nemico, del quale sfruttavano le risorse, vivendo di prede e saccheggi, liberi per quanto possibile da gravami logistici. Le caratteristiche di questo tipo di s. offensiva furono portate a perfezione da Napoleone, che tendeva a risolvere le guerre con una sola, decisiva battaglia.
Nel 19° sec. l’organismo militare andò diventando sempre più complesso e sempre maggiore diventò la connessione fra politica e strategia. Con la costituzione di Stati Maggiori organizzati, si iniziarono a formulare dottrine e piani strategici, basati su ipotesi logiche e su concezioni politiche predeterminate. Gli Stati nazionali con l’obbligo generale del servizio militare diedero vita a eserciti assai numerosi; con la maggiore complessità degli scopi politico-strategici i teatri di guerra si allargarono; le ferrovie agevolarono gli ampi spostamenti. Il condottiero, pur valendosi dei nuovi mezzi celeri di trasmissione, non poteva guidare direttamente gli interi eserciti. Sorse la necessità di creare unità strategiche, le armate, i cui comandanti non potevano essere sorretti che da direttive; si formò presso ciascun esercito una dottrina, alla quale i comandanti erano educati così che l’interpretazione delle direttive fosse nel quadro del piano di guerra del comandante supremo.
Dopo la vittoria di Sedan nel 1870, ottenuta dai Prussiani con s. spiccatamente offensiva (ricerca del nemico nella direzione strategica prescelta, manovra suggerita dallo scopo, esecuzione energica e rapida, cooperazione spinta al massimo), la dottrina tedesca fece scuola. La s. offensiva fu però messa in crisi da una parte dall’avvento delle armi automatiche, che resero vulnerabili le concentrazioni di forza a essa necessarie (la Prima guerra mondiale vide il susseguirsi di innumerevoli quanto sterili offensive frontali, regolarmente respinte dai difensori con perdite terribili per gli attaccanti); dall’altra, dal fatto che gli enormi eserciti prodotti dalle mobilitazioni generali non potevano essere spostati con agilità, e la capacità di manovra ne soffrì conseguentemente. Negli anni 1920 e 1930 il concetto di s. offensiva si sviluppò per tener conto dei nuovi mezzi apparsi solo marginalmente nel primo conflitto mondiale: l’aeroplano e il carro armato. Il primo permetteva di insidiare le città e il potenziale industriale nemico anche a grande distanza dal fronte. Il secondo rendeva possibile sia una concentrazione di fuoco che, opportunamente gestita assieme alla fanteria, poteva essere validamente contrapposta alle armi automatiche della difesa, sia una nuova formidabile possibilità di manovra.
Nel secondo conflitto mondiale, i bombardamenti a tappeto delle città furono devastanti, ma non sortirono l’effetto desiderato sul morale della popolazione e sull’industria bellica. Le grandi offensive di mezzi corazzati furono spesso folgoranti, ma la vittoria arrise ancora una volta alla parte che, alla lunga, meglio poteva sostenere il logoramento quantitativo delle proprie forze.
L’avvento delle armi nucleari, in grado non solo e non tanto di sconfiggere il nemico sul campo, ma di cancellare intere città portò a uno stravolgimento della s., specialmente dopo che negli anni 1950 furono introdotte testate di missili balistici intercontinentali. Si affermò così il concetto di ‘deterrenza’, secondo il quale l’arma nucleare doveva servire soprattutto a dissuadere un potenziale avversario, anche militarmente più forte, da azioni offensive. Divenne anche essenziale la stabilità strategica: le potenze nucleari dovevano essere in grado non tanto di usare per prime o più efficacemente le proprie armi nucleari l’una contro l’altra, quanto di replicare a un eventuale primo uso nemico in ogni possibile circostanza. La ricerca di questa stabilità ha costituito la sfida principale degli strateghi del dopoguerra. Di questo equilibrio, l’elemento più difficile da accettare per le potenze nucleari è stato il paradosso che l’acquisizione dell’arma più potente di tutti i tempi aveva portato un’inevitabile interdipendenza strategica con potenziali avversari, dato che ogni tentativo di creare difese credibili contro di esse sarebbe risultato vano. Di qui risultava anche un problema di credibilità della s. nucleare: se da una risposta nucleare di un nemico non ci si può difendere, l’unico modo per pensare di usare le proprie è di mettere a segno un ‘primo colpo’ decisivo, cosa peraltro praticamente impossibile. Questi problemi di credibilità hanno portato a successive revisioni della s. della NATO. Negli anni 1950 questa era improntata sul principio della rappresaglia massiccia, per cui a un attacco convenzionale sovietico si sarebbe risposto con un attacco nucleare generalizzato. Quando fu chiaro che i sovietici avrebbero potuto a loro volta effettuare una simile controrappresaglia, nel 1967 la NATO adottò la s. della risposta flessibile: a un attacco sovietico si sarebbe risposto con armi nucleari in modo limitato, per farli desistere e ristabilire la deterrenza. Contemporaneamente, i programmi di riarmo di USA e URSS puntarono sulla precisione e l’affidabilità delle armi nucleari, piuttosto che sul loro numero e la loro potenza.
Dopo la fine della guerra fredda e della s. fondata sull’equilibrio del terrore si è avuta la vera e propria caduta di ogni certezza strategica. Cessato il bipolarismo, ogni paese può in sostanza darsi una propria autonoma s., per gestire la sua collocazione in un mondo interdipendente, nello stesso tempo ugualitario e dunque infinitamente più incerto e aperto a ogni nuova strategia. L’agenda politica internazionale di ogni Stato si compone così di voci e interessi che non corrispondono più a quelli del passato: basti pensare alle trasformazioni interne che una struttura importante come la NATO ha dovuto subire nel passaggio da perno strategico dell’alleanza occidentale a organizzazione difensiva cui hanno aderito paesi ex comunisti.
Oggetto della s. navale è il conseguimento di quello che è stato chiamato dominio del mare o anche, in versione più moderna, comando o controllo del mare. Esso consente la più ampia utilizzazione delle vie di comunicazione marittime e la sua importanza è apparsa chiara fin dai tempi più antichi, allorché le grandi difficoltà delle comunicazioni terrestri rendevano ancora più vitale la possibilità di muoversi liberamente sul mare. Il dominio del mare, che veniva ottenuto in modo certo e duraturo se si riusciva a distruggere, in una o più battaglie, le forze navali nemiche, poteva anche essere limitato nel tempo e circoscritto a una più ristretta zona di interesse, ma costituiva sempre l’obiettivo fondamentale nella condotta delle operazioni navali.
Le flotte greche, nelle guerre contro i Persiani, e quelle romane, nelle guerre puniche, offrirono esempi classici degli effetti decisivi di una intelligente s. navale. Ma le forze navali del periodo remico erano vincolate sia dalla scarsa autonomia delle navi, sia dall’andamento delle stagioni, e quindi la manovra strategica risultava limitata nel tempo e nello spazio. Il periodo velico, concedendo ben più ampio respiro ai movimenti delle flotte, può forse considerarsi il momento culminante della s. navale pura, quando i grandi vascelli potevano assicurare al vincitore l’assoluto dominio del mare.
L’uso del mare è rimasto di primaria importanza soprattutto agli effetti dei trasporti marittimi, specie intercontinentali, insostituibili in una guerra di materiali, come quelle odierne, che richiedono grandiosi rifornimenti; tuttavia l’avvento delle armi subacquee e dei sommergibili prima, e dell’aviazione poi, ha profondamente modificato la condotta della guerra sul mare e di conseguenza anche la s. navale. Le navi non bastano più a proteggere le vie del mare; l’aviazione è il complemento indispensabile di una flotta: al potere marittimo è subentrato il potere aeronavale. Non vi è più una s. navale a sé stante, ma una s. aeronavale, molto più complessa e articolata. Lo sviluppo delle tecniche radaristiche, l’avvento dei sottomarini a propulsione nucleare, della missilistica in generale e dei missili intercontinentali in particolare, la sempre crescente velocità e sicurezza delle telecomunicazioni tendono sempre più a fondere e confondere gli antichi concetti di s. e tattica navale o aeronavale quali si concepivano fino a un recente passato. Infatti, in linea con i concetti di una sempre più spinta integrazione fra tutte le forze armate, si sta ormai passando da una s. puramente navale, o anche aeronavale, a una s. marittima, intesa come s. interforze, nella quale, a seconda del tipo di operazioni da svolgere, le componenti navale, aerea e terrestre, dirette da un comandante interforze, dovranno essere dosate opportunamente e impiegate con visione unitaria.
Le armi strategiche rappresentano una categoria di sistemi d’arma in grado di colpire i vertici dell’apparato bellico nemico (comando supremo, autorità politica) o i suoi gangli vitali nella società civile (fabbriche di armi, industrie, fonti di materie prime, comunicazioni ecc.), coinvolgendo così direttamente nella guerra i massimi livelli politico-militari e tutta la popolazione. Per convenzione, nei negoziati SALT (➔) e START (➔) sono classificate come armi strategiche, in base al loro raggio d’azione e al carico utile, alcune categorie di missili e bombardieri intercontinentali, anche se sistemi d’arma a più corto raggio, se opportunamente spiegati, potrebbero anch’essi svolgere funzioni di tipo strategico. Materiali strategici In senso lato, tutti quei materiali che, per rarità o per frequenza d’impiego, sono essenziali per lo sforzo bellico (componenti elettronici, macchine utensili ecc.). Un significato più preciso fu codificato tra gli alleati degli USA con la creazione del COCOM (Coordinating committee for multilateral exports control), organismo informale intergovernativo che stilava e aggiornava su precisi criteri una lista internazionale di materiali strategici, che serviva da base per le relative liste nazionali, le quali a loro volta servivano per decidere se o con quali limitazioni esportare questi materiali. Sciolto il COCOM nel 1994, le liste più ridotte sono rimaste in vigore.