Milizia a cavallo. Comparsa fra i popoli asiatici (assiri e soprattutto persiani), nel 1° millennio a.C., la c. era presente negli eserciti greci e a Roma, in rapporto però da 1 a 10 rispetto alla fanteria. Fu la necessità di fronteggiare gli eserciti persiani e germanici, costituiti in prevalenza da formazioni montate, a portare dalla metà del 3° sec. a un aumento notevole della c. romana. Nel Medioevo, la c. rimase l’arma fondamentale, sia presso i Bizantini, sia presso gli Arabi, i Tatari e i popoli dell’Europa Occidentale. Contribuì a un suo ulteriore incremento il largo impiego nel Tre-Quattrocento delle compagnie di ventura. Con la fine del 15° sec., il perfezionarsi e il diffondersi delle armi da fuoco e, soprattutto, la costituzione di agguerritissimi corpi tattici di fanti, fecero perdere alla c. la sua supremazia, per cui l’arma fondamentale di un esercito tornò a essere la fanteria e la c. si ridusse alle funzioni di ausiliaria, utilizzata prima della battaglia nell’esplorazione lontana e vicina e durante il combattimento nell’urto e quindi nell’inseguimento.
Già durante la Seconda guerra mondiale, nella c. ai cavalli furono sostituiti mezzi blindati e corazzati e automezzi. Oggi alla c. così trasformata sono devolute importanti funzioni sia nella battaglia offensiva (esplorazione, combattimenti preliminari), sia in quella difensiva (per es., per la difesa mobile nella manovra in ritirata).
Istituzione politica o sociale, caratteristica del Medioevo, quando il servire a cavallo diventò uno degli attributi della società feudale. Il fatto che nel feudo franco la successione era riservata al primogenito, mentre i cadetti ricevevano per consuetudine quanto bastava loro per equipaggiarsi a cavallo, determinò il formarsi di una classe di cavalieri, viventi fuori della gerarchia feudale sulla base della parità tra di loro. Per essi la c., non più semplice ordinamento militare, assunse una particolare fisionomia, in quanto si trasformò gradatamente da un’associazione fondata sulla comunanza d’interessi in un’istituzione con netta configurazione giuridica. I cadetti, che dapprima si erano distinti per brutalità e insofferenza di ogni freno, nel clima di restaurata autorità e sotto l’influenza costante della Chiesa, adottavano l’abito di una ‘morale cavalleresca’ posta al servizio della difesa delle chiese e dei loro fedeli. Ma con il 13° sec., in riferimento alla non più rigida applicazione del diritto di primogenitura nel feudo franco, per cui i cadetti avevano parte del feudo e giuravano fedeltà al signore, la c. divenne sempre più privilegio nobiliare e si fuse con la feudalità, finché i suoi membri furono sottoposti agli oneri e al vincolo della gerarchia feudale.
Codice cavalleresco L’insieme di norme di fedeltà, virtù, pietà, cortesia, lealtà che costituivano l’ideale del perfetto cavaliere; non formulato in un’ordinata raccolta, è deducibile soprattutto da composizioni letterarie francesi e provenzali. Nell’uso più tardo, l’insieme di norme consuetudinarie che regolavano le questioni d’onore; in Italia la raccolta più nota fu il Codice cavalleresco di I. Gelli (1892).