servizio In senso astratto, rapporto di soggezione o sudditanza; in particolare, in epoca feudale, l’obbligo del vassallo di rendere tutti i servigi che fossero compatibili con la sua qualità di uomo libero.
Lavoro svolto alle dipendenze di altri, dietro adeguato compenso o espletamento di uno specifico compito connesso alla propria attività.
Rientra in tale nozione quel complesso di attività prestate nei riguardi degli utenti per il soddisfacimento di bisogni collettivi. La nozione di servizio pubblico è stata, in passato, caratterizzata da una concezione soggettiva: era considerato servizio pubblico quello prestato da parte di un pubblico potere. Si è, in seguito, affermata una concezione oggettiva che, indipendentemente dalla natura del soggetto erogatore, riconosce il carattere di servizio pubblico in virtù del suo regime, dettato proprio per il soddisfacimento delle esigenze della collettività.
La Costituzione disciplina i s. pubblici denominati «essenziali» (art. 43 Cost.) prevedendo la possibilità di una riserva delle relative attività economiche in capo ai pubblici poteri. Così, in numerosi ambiti di s. pubblico è stata, in passato, ampiamente legittimata la presenza di monopoli pubblici, che hanno assunto diverse modalità: in particolare, si sono avute forme di gestione diretta del s. pubblico da parte di imprese pubbliche e casi di gestione indiretta, con l’affidamento del servizio in concessione amministrativa a privati (non di rado, imprese a partecipazione statale).
Il diritto comunitario ha disciplinato i s. d’interesse generale assoggettati a obblighi di s. pubblico. Questi possono riferirsi a s. d’interesse generale privi di rilevanza economica (istruzione, sanità, protezione sociale), ma anche a s. d’interesse economico generale, tra cui le poste, le comunicazioni, i trasporti di linea, l’energia elettrica e il gas. La disciplina comunitaria dei s. pubblici ha introdotto – negli anni novanta del secolo scorso - principi di concorrenzialità e regolazione, in particolare per i s. d’interesse economico generale.
Attraverso numerose direttive settoriali i tradizionali ambiti di s. pubblico sono stati aperti alla prestazione competitiva tra più operatori. Il regime amministrativo degli accessi al mercato ha visto una decisa riduzione delle concessioni amministrative a vantaggio di autorizzazioni amministrative e licenze, titoli abilitativi più compatibili con la libera iniziativa economica dei privati. Le stesse autorizzazioni, poi, per la disciplina comunitaria, devono essere rilasciate sulla base di procedure a ridotta discrezionalità.
Le imprese pubbliche che in precedenza avevano gestito i s. in regime di monopolio sono state oggetto di processi di privatizzazione. Le imprese che svolgono il s. pubblico devono, ora, distinguere le loro attività di gestione della rete (ferroviaria, di distribuzione dell’elettricità o del gas, di comunicazioni), su cui il s. deve poter essere prestato liberamente, e le attività di erogazione del servizio. L’attività economica di prestazione del s. è, inoltre, assoggettata alla generale disciplina antitrust, che sanziona la commissione di illeciti concorrenziali, come lo sfruttamento abusivo di posizione dominante.
I s. pubblici sono oggetto dell’attività di regolazione da parte di apposite autorità settoriali che presidiano e promuovono la dinamica concorrenziale all’interno del mercato, già oggetto di monopolio: così, nel 1995 è stata istituita l’Autorità per l’energia elettrica e il gas (Aeeg) e nel 1997 l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom).
Una particolare disciplina viene recata per i s. pubblici locali, le cui modalità di svolgimento sono previste dall’art. 112 ss. del Testo unico enti locali.
Il regime comunitario dei s. pubblici ha contribuito a valorizzare la posizione degli utenti: merita di essere richiamata, anche a livello nazionale, l’introduzione delle carte dei s. pubblici, veri e propri impegni – regolati in via generale e settore per settore - che le imprese esercenti assumono nei confronti degli utenti assicurando gli standard qualitativi circa la prestazione del servizio.
I principi di apertura concorrenziale sono comunque assoggettati alle prevalenti esigenze di garanzia e di coesione sociale attraverso l’imposizione di obblighi di s. pubblico e con la disciplina del s. universale.
Oggetto di apposita regolamentazione, a partire dalla legge n. 146/1990, è lo sciopero nei s. pubblici essenziali.
I s. di informazione e sicurezza, o servizi segreti, sono organismi militari o civili che svolgono attività di spionaggio, controspionaggio e più in generale raccolta di informazioni a fini di tutela della sicurezza dello Stato.
I s. segreti italiani. In Italia il primo s. di sicurezza, denominato Ufficio I (Informazioni) fu istituito nel 1863. Sciolto tre anni dopo, fu ricostituito nel 1900. Nel r.d. 60/6 febbr. 1927 era prevista l’esistenza di un ufficio denominato SIM (Servizio Informazioni Militari). S. analoghi furono istituiti in marina (SIS) e in aeronautica (SIA). Dopo la guerra il s. informazioni fu gradualmente ricostituito e nel 1949 il ministro della Difesa provvide alla costituzione di un s. centrale unico alle dirette dipendenze del capo di Stato Maggiore della Difesa (SIFAR, Servizio Informazioni delle Forze Armate). In tale occasione fu prevista la costituzione, presso ciascuna forza armata, di una Sezione Informazioni Operativa e Situazione (SIOS), alle dirette dipendenze di ciascun capo di Stato Maggiore. Il s. fu gradualmente ampliato negli organi e nelle funzioni, fino a quando, in seguito a un presunto golpe che sarebbe stato pronto a scattare nell’estate del 1964, si procedette al suo riordinamento con il d.p.r. 1477/18 nov. 1965 e al s. fu attribuita la denominazione di Servizio Informazioni Difesa (SID).
Dopo un lungo iter parlamentare, la l. 801/24 ott. 1977 riordinò completamente i s. per le informazioni e la sicurezza. La nuova normativa prevedeva la duplicità dei s. segreti: furono creati il SISMI (Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Militare) e il SISDE (Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Democratica). La legge demandava al presidente del Consiglio l’alta direzione, la responsabilità politica generale e il coordinamento della politica informativa e di sicurezza (art. 1). Alle dirette dipendenze del presidente del Consiglio fu istituito il CESIS (Comitato Esecutivo per i Servizi di Informazione e Sicurezza) con il compito, tra l’altro, di fornire al presidente del Consiglio tutti gli elementi necessari per il coordinamento dell’attività dei s. segreti (art. 3). Fu inoltre istituito un Comitato Parlamentare per i Servizi di Informazione e Sicurezza (COPASIS), composto da 4 deputati e 4 senatori, per il controllo sull’applicazione dei principi stabiliti dalla stessa legge (art. 11). Successivamente (l. 25/1997) le 3 SIOS furono riunificate nel RIS-Difesa (Reparto Informazione e Sicurezza).
Un’ulteriore riforma (l. 124/2007; modificata dal d.l. 85/2008, convertito con modifiche dalla l. 121/2008, e dal d.l. 78/2009, convertito con modifiche dalla l. 102/2009) ha ridefinito la struttura dei s. di informazione e sicurezza nazionali. A SISMI e SISDE si sono sostituiti l’AISE (Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna) e l’AISI (Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna), competenti rispettivamente per le operazioni all’estero e sul territorio nazionale. La direzione e la responsabilità ultima dei s. è rimasta del presidente del Consiglio, mentre compiti di coordinamento sono stati demandati al DIS (Dipartimento dell’Informazione per la Sicurezza), che ha sostituito il CESIS. Al COPASIS è subentrato il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, i cui componenti sono passati da 8 a 10.
Principali s. segreti esteri. In Gran Bretagna sono presenti due Servizi, l’MI5 (Security service) e l’MI6 (Secret intelligence), rispettivamente con funzioni di sicurezza all’interno e di ricerca all’estero. I due Servizi sono alle dirette dipendenze del primo ministro e, rispettivamente, del ministro dell’Interno (l’MI5) e del ministro degli Esteri (l’MI6). Il controllo e il coordinamento delle attività dei due Servizi sono affidati al Joint intelligence committee che ha il compito di definire le strategie e gli indirizzi generali dell’attività di intelligence e al quale pervengono richieste di informazioni od offerte di cooperazione da parte di tutti gli altri ministeri e gli apparati statali.
Nella Repubblica federale tedesca l’intelligence e la sicurezza sono suddivise su base geografica (interno/estero) e affidate a due servizi: il BFV (Bundesamt für Verfassungsschutz), che ha il compito di tutelare la stabilità interna della Repubblica, e il BND (Bundesnachrichtendienst) con il compito di raccolta all’estero di informazioni utili alla sicurezza nazionale. Ambedue i servizi dipendono dal cancelliere federale che per la gestione, il controllo, la direzione e il coordinamento dei due organismi si avvale del segretario generale della Cancelleria, il più alto funzionario politico dell’Amministrazione dello Stato, e dei ministri dell’Interno e degli Esteri, interlocutori istituzionali in materia di sicurezza e d’intelligence.
Negli Stati Uniti, la comunità dell’intelligence (IC, Intelligence Community) è composta da 15 s. segreti, di cui 8 militari. Tra di essi emergono la CIA (Central Intelligence Agency) e l’FBI (Federal Bureau of Investigation): la prima raccoglie informazioni all’estero, la seconda è, a tutti gli effetti, una forza di polizia alle dipendenze del ministro della Giustizia, sebbene operi liberamente con la configurazione di s. di sicurezza nei settori della sfera d’azione tipica dei s. interni, compresi il controspionaggio, il terrorismo e la sovversione. A seguito dei risultati delle numerose commissioni d’inchiesta sull’inefficienza delle strutture informative evidenziatasi in occasione dell’attentato alle Torri Gemelle di New York dell’11 settembre 2001, è emersa l’urgenza di modificare l’assetto dell’IC. Per tale motivo è stata istituita la figura del DNI (Director of National Intelligence), che assume il ruolo di consigliere principale del presidente in materia di intelligence, riferisce quotidianamente sui livelli di minaccia, dispone la raccolta di nuove informazioni, assicura il coordinamento delle diverse agenzie e ha ampi poteri sul bilancio e il personale.
In Francia la DGSE (Direction Générale de la Surveillance Extérieure) svolge compiti esclusivi di ricerca all’estero mentre gli RG (Renseignements Généraux) sono competenti per la sicurezza interna con funzioni di antiterrorismo interno e internazionale; la DST (Direction de la Surveillance du Territoire) è anch’essa competente per la sicurezza interna con compiti di controspionaggio.
In Russia dalle ceneri del KGB, che era un unico ed enorme servizio (con compiti di spionaggio, controspionaggio, polizia politica, controllo delle frontiere), sono nati l’FSB (Federal´naja Služba Bezopas;nosti), che ha competenza di sicurezza interna antiterrorismo, anticriminalità organizzata e controspionaggio e l’SVR (Služba Vnešnej Razvedki), che svolge funzioni di ricerca spionaggio all’estero.
In Spagna il CNI (Centro Nacional de Inteligencia), alle dipendenze del primo ministro, nella sua parte operativa è diviso in tre settori: intelligence (ricerca all’estero), controspionaggio e antiterrorismo.
In Israele, s. segreto più noto è il Mossad (Ha-Mossad LeTeum, Istituto per il coordinamento, ribattezzato nel 1963 Ha-Mossad LeBiyyun U-Letafkidim Meyuhadim, Istituto per lo spionaggio e le operazioni speciali), che è preposto allo spionaggio e controspionaggio all’estero. La sicurezza interna è affidata allo Shabak (Sherut Ha-Bitachon Ha-Klali), comunemente denominato Shin Beth. L’Aman (Agaf Ha-Modi’in) è il s. segreto militare. Dal 2003 opera anche un organismo centrale sovraordinato ai tre servizi, che ne coordina l’attività e mantiene i contatti con i servizi esteri, denominato ISIS (Israeli Secret Intelligence Services).
Operazioni a carattere finanziario o strumentale che le banche tradizionalmente svolgono a favore della propria clientela, diverse e accessorie rispetto alle operazioni passive di raccolta del risparmio e attive di concessione di credito da parte della banca. I s. bancari hanno il contenuto più diverso: dall’incarico alla banca di provvedere all’acquisto o alla vendita di determinati beni, ai pagamenti relativi a contratti di vendita o a utenze di servizi; dall’incarico di trasferire somme di denaro da un luogo a un altro, alla custodia di titoli o valori, al cambio di monete, al pagamento delle imposte. La banca, per l’esecuzione degli incarichi affidatigli dal cliente, risponde secondo le regole del mandato.
Tra i s. bancari rientrano, in particolare, il deposito di titoli in amministrazione e il s. di cassette di sicurezza. Nel deposito di titoli in amministrazione la banca assume la duplice veste di depositaria dei titoli e di mandataria per l’amministrazione degli stessi, dovendo provvedere all’esercizio dei diritti e al compimento degli atti che sono inerenti al titolo (esazione degli interessi e dei dividendi, esercizio dei diritti di opzione, cura delle riscossioni per conto del depositante e in generale tutela dei diritti inerenti i titoli), e riceve in cambio un compenso nella misura stabilita dalla convenzione o dagli usi, nonché il rimborso delle spese necessarie sostenute. Il s. delle cassette di sicurezza consiste nella messa a disposizione del cliente di uno scomparto metallico custodito con altri nei locali della banca nel quale è possibile riporre oggetti, titoli e valori che rimangono ignoti alla banca. La banca risponde verso l’utente per l’idoneità e la custodia dei locali e per l’integrità della cassetta salvo il caso fortuito, mentre sull’utente incombe l’onere della prova del valore del contenuto della cassetta ai fini della determinazione del danno risarcibile.
I s. di linea della navigazione marittima, che si svolgono con itinerari, orari, frequenze e tariffe prestabilite, e accesso garantito a chiunque ne faccia richiesta, sono tendenzialmente liberi e le navi, in ossequio al principio del libero commercio nei mari, possono imbarcare e sbarcare passeggeri e merci in qualunque porto del mondo. Fa eccezione il traffico di cabotaggio, che si svolge tra i porti di uno stesso Stato, tradizionalmente riservato alle navi che battono la bandiera del medesimo Stato al quale appartengono i porti. I s. internazionali di linea sono regolati tramite accordi privati tra le imprese di navigazione, aventi per scopo la ripartizione dei traffici e la disciplina della concorrenza. Questi accordi (conferences) sono stati oggetto della Convenzione di Ginevra del 6 aprile 1974, che riserva ai paesi capilinea l’80% del traffico conferenziato. In ambito comunitario prevale il principio della liberalizzazione dei s. di trasporto fra Stati membri e fra Stati membri e paesi terzi, e anche le conferenze marittime, in un primo tempo tollerate, sono assoggettate alle regole della concorrenza. L’art. 224 cod nav. riserva il traffico di cabotaggio fra i porti della Repubblica agli armatori comunitari che impiegano navi registrate in uno Stato membro e battenti bandiera dello stesso Stato membro. Alcuni s. marittimi di linea, in particolare quelli svolti per il trasporto di merci e di persone tra le isole e il continente, sono stati sovvenzionati dallo Stato italiano. Le sovvenzioni sono considerate aiuti di Stato dalla disciplina comunitaria e sono consentite solo come remunerazione di un obbligo di s. pubblico, cioè di un s. che, per le sue caratteristiche, nessun armatore avrebbe svolto alle stesse condizioni.
I s. aerei di linea internazionali sono regolati da un sistema di accordi bilaterali che esclude i vettori di paesi terzi. All’interno della Unione Europea i s. di linea, compresi quelli che si svolgono all’interno di uno Stato membro, sono stati liberalizzati e sono accessibili a tutti i vettori comunitari in possesso di una licenza di esercizio. Anche i s. di linea della navigazione aerea, alle condizioni stabilite dalla disciplina comunitaria, possono essere assicurati dall’istituzione di oneri di servizio pubblico.
Si definisce s. il risultato di ogni attività svolta dall’uomo direttamente attraverso il proprio lavoro (per es., la consulenza di un avvocato), oppure indirettamente, attraverso beni economici (nei quali si può anche incorporare, per es., il s. del trasporto di un bene), allo scopo di soddisfare propri bisogni. Tradizionalmente al s. è attribuita la caratteristica di essere immateriale, cioè di esaurirsi nel momento stesso in cui viene realizzato, distinguendosi in ciò dal bene economico che invece è materiale. In riferimento ai s. offerti attraverso i beni, si può osservare che i beni di consumo e strumentali durevoli possono rendere più s. e i s. stessi possono essere oggetto di scambio indipendentemente dai beni, qualora si ceda di questi ultimi soltanto l’uso e non la proprietà. I s. così resi dalle cose, o meglio dalle persone che mettono a disposizione di altri temporaneamente cose proprie, sono detti anche s. reali.
Sono detti invece s. personali i s. resi dagli uomini ad altri uomini che non concorrono a creare beni materiali, ma vengono direttamente goduti da coloro che li richiedono (per es., prestazioni di professionisti, di domestici, di insegnanti, di attori, concertisti ecc.). In quanto non produttivi di beni materiali, i s. personali furono esclusi in un primo tempo dalla categoria dei beni economici; in seguito gli economisti, considerando la produzione come creazione di utilità, hanno accettato per lo più l’opinione di J.-B. Say (più tardi avvalorata anche da F. Ferrara) secondo la quale i s. dell’uomo vanno sempre considerati tra i beni economici immateriali in quanto richiesti e quindi economicamente utili. I s. personali infatti hanno anch’essi un prezzo, dato che le qualità naturali o acquisite delle persone che li prestano non sono disponibili in quantità illimitata e dato che le persone stesse vanno compensate per le loro prestazioni in modo che possano vivere e riprodurre altre persone capaci di sostituirle. Anche questi s. vengono quindi calcolati insieme agli altri beni quando si considera la ricchezza come reddito che si produce nel tempo, mentre in un dato istante si possono valutare soltanto i beni materiali esistenti e gli individui atti a rendere s. grazie alle loro capacità naturali o acquisite.
Per i s. pubblici, ai fini del calcolo del reddito nazionale, sorge un duplice problema: l’identificazione di quelli da includere nel calcolo in aggiunta al prodotto netto del settore privato e la valutazione degli stessi, dato che, essendo resi gratuitamente alla collettività, non hanno prezzo di mercato. I s. finali resi dallo Stato e dagli enti pubblici vanno naturalmente considerati alla stessa stregua dei beni di consumo e dei s. prodotti dai privati e inclusi nel calcolo del prodotto nazionale. I s. strumentali, cioè quelli resi alla produzione, non andrebbero invece calcolati nel reddito nazionale in quanto il loro valore si può ritenere già riflesso nel valore dei beni prodotti dai privati; tuttavia, data la difficoltà di distinguerli dai s. pubblici finali, l’uso prevalente in campo internazionale è quello di considerare tutte le spese per s. pubblici come spese per s. finali e includerle nel prodotto nazionale. Quanto al secondo problema, data la necessità di trovare un criterio sostitutivo dei prezzi di mercato per valutare s. ceduti gratuitamente ai cittadini, normalmente il valore dei s. stessi si fa globalmente uguale ai salari e agli stipendi pagati dagli enti pubblici che li hanno forniti. Questa identificazione del valore dei s. con le spese affrontate dagli enti pubblici per produrli non è esente da critiche, poiché basterebbe aumentare il numero dei pubblici dipendenti o la retribuzione di quelli già assunti perché cresca il valore dei s. e di conseguenza il prodotto nazionale. Analoga sopravvalutazione si potrebbe tuttavia verificare nel settore privato qualora un’impresa monopolistica o oligopolistica riuscisse a trasferire sui consumatori un aumento dei costi cui non corrispondesse alcun aumento nella quantità o miglioramento nella qualità del prodotto.
Man mano che l’economia sviluppandosi diventa più complessa, aumenta la domanda di s. da parte della popolazione. Ne deriva il peso crescente del settore dei s., che assorbe una sempre maggiore quantità di occupati. Difatti, poiché nel settore dei s. il prodotto medio per lavoratore è più elevato ma cresce più lentamente rispetto all’industria, per far fronte a un aumento della domanda di s. occorre un maggior numero di lavoratori. D’altra parte, si verifica una contrazione dei lavoratori nel settore dell’industria produttrice di merci, laddove la produttività del lavoro cresce più velocemente e l’incremento di domanda di manufatti si sostiene attraverso il progresso tecnico. La trasformazione nella distribuzione dell’occupazione rappresenta dunque un indicatore dei vari stadi di sviluppo economico analizzato nella cosiddetta legge dei tre settori (il primario, il secondario e il terziario), elaborata da C. Clark e successivamente riformulata da W.W. Rostow. Nello sviluppo economico si distingue infatti una prima fase nella quale prevale il peso relativo del settore agricolo (primario), una seconda in cui prevale il settore industriale (secondario) e una terza in cui prevale il settore dei servizi (terziario). Per definire questo fenomeno si parla di rivoluzione terziaria o anche di terziarizzazione dell’economia.
È impossibile una classificazione completa dei servizi. Una prima distinzione, quella stabilita dall’ISTAT, è fra i s. destinabili alla vendita (commercio, trasporti e comunicazioni, credito e assicurazione, s. vari, cioè alle imprese e di locazione) e s. non destinabili alla vendita (pubblica amministrazione, s. domestici e delle istituzioni sociali private). Un’altra classificazione segue un approccio di tipo storico e distingue i s. più antichi (legati alle attività domestiche) dai nuovi s. (istruzione, cultura, tempo libero ecc.) e dai s. complementari, forniti alle imprese. Questi ultimi sono quelli svolti un tempo direttamente all’interno delle aziende di produzione, quali i s. di marketing, consulenza ecc., e ora affidati generalmente all’esterno; a essi si affiancano i s. di intermediazione che collegano direttamente il produttore al consumatore, come la distribuzione, i s. finanziari ecc. Inoltre si distinguono i s. di tipo terziario (trasporti e s. pubblici), quaternario (assicurazione, credito, commercio) e quinario (pubblica amministrazione, sanità, istruzione).
Determinante nell’economia è il peso dei s. pubblici, che includono fra gli altri il s. dell’energia elettrica, della produzione e distribuzione dell’acqua, i s. postali e telegrafici, i s. di telecomunicazioni, dei trasporti ferroviari e di linea, i s. di credito e assicurativi, i s. di gestione del territorio e delle risorse naturali. Importanza via via crescente hanno inoltre assunto i cosiddetti s. alla persona, strettamente dipendenti dalla crescita del reddito, cioè i s. di intermediazione e tutti i s. legati al tempo libero, alla casa, alla famiglia ecc.
Viene definito sistema di s. quell’insieme di entità che, operando in modo integrato, forniscono una prestazione volta a soddisfare le richieste di uno o più clienti. Un sistema di s. è caratterizzato da: un insieme di clienti potenziali che fanno richieste di operazioni secondo modalità in tutto o in parte note e, generalmente, con requisiti noti; un insieme di operazioni che il sistema è in grado di effettuare con tempi, costi e modalità note; un insieme di punti di accesso al sistema e di uscita dal sistema; un sottosistema di gestione del flusso di clienti e di sequenziamento delle operazioni; un insieme di serventi in grado di effettuare le operazioni; un insieme di file di attesa in cui i clienti arrivati e in attesa di operazioni possono aspettare; un sottosistema informativo per l’acquisizione e la gestione delle informazioni necessarie al funzionamento del sistema e utili per la qualità del s.; un sottosistema di gestione delle risorse necessarie per il funzionamento del sistema e, in particolare, per l’esecuzione delle operazioni. Per il dimensionamento e la gestione dei sistemi di s. sono utilizzati strumenti di simulazione e di ottimizzazione. L’evoluzione dei sistemi di produzione verso reti fornitore-cliente tende a farli assomigliare sempre più a sistemi di s. (➔ anche produzione).
Servizi Unità e organizzazioni militari indispensabili per provvedere a tutte le esigenze delle truppe combattenti. Fino agli anni 1970 nell’esercito italiano si avevano i s. tecnici (artiglieria, motorizzazione, chimico-fisico ecc.) e quelli logistici (sanità, armi e munizioni, genio e trasmissioni, commissariato ecc.). Successivamente questi s. sono stati riuniti in corpi logistici.
Il S. Tecnico è raggruppato sotto il Comando del corpo tecnico che ha funzioni di reclutare e gestire tutto il personale in relazione alle singole specializzazioni (ingegneri, optoelettronici). I comandi di questi corpi hanno competenze secondo una linea tecnico-funzionale, il che significa che anche gli stati maggiori delle grandi unità ricevono disposizioni in linea funzionale dai comandi dei s. (ferma restando la subordinazione gerarchica e operativa). Dei corpi logistici fanno parte: il comando s. Trasporti, Armi e Materiali (TRAEMAT), il cui comandante è lo stesso del comando del corpo automobilistico; il comando materiali Aviazione dell’Esercito (AVES); il comando del corpo di Sanità; il comando del Commissariato, il quale include anche la sussistenza; il comando del corpo di amministrazione e il comando del corpo veterinario, quest’ultimo in esaurimento con la soppressione dei muli dalle unità alpine. Dai comandi dei corpi logistici dipendono una serie di centri tecnici con funzioni tecnico-sperimentali e di studi, tra cui il centro tecnico del genio, quello della motorizzazione, il centro militare trasmissioni, quello armi e munizioni ecc. I s. tecnici comprendono unicamente ufficiali di elevata specializzazione e dotati di competenza tecnica generale (laurea in ingegneria o similare) destinati allo studio, alla sperimentazione, all’allestimento, ai collaudi e alla sorveglianza tecnica della manutenzione dei materiali militari. Quelli logistici, ufficiali, sottoufficiali e truppa per il funzionamento dei vari stabilimenti e magazzini. I militari dei s. portano sull’uniforme fregi e mostreggiature atte a individuarne il s. di appartenenza.
L’insieme degli organi di varia forza e consistenza dei s. logistici appartenenti alla stessa grande unità (divisione, corpo d’armata, armata) viene indicato come Raggruppamento s. o Unità s., posto ai fini disciplinari e per scopi di difesa immediata alle dipendenze di un particolare comando detto appunto Comando s., mentre la zona in cui detti organi vengono a essere schierati assume il nome di zona s. per distinguerla dalla zona di combattimento, in cui sono schierate le truppe di combattimento.
Nella marina militare, i s. di bordo comprendono armi, operazioni (in cui rientrano condotta nave, informazioni, telecomunicazioni ecc.), armi subacquee e antisom, genio navale, subacqueo, marinaresco, volo ecc.
S. sociale Insieme dei servizi di assistenza morale, psicologica e materiale prestati da soggetti pubblici o privati per il miglioramento del benessere sociale, attraverso la rimozione e la prevenzione delle cause di disadattamento sociale.
A seconda dell’oggetto al quale si rivolge, si distingue il s. sociale dei casi individuali, il s. sociale di gruppo e il s. sociale di comunità. Il s. sociale dei casi individuali (ingl. case-work) è rivolto alla comprensione dei bisogni e delle possibilità dell’individuo socialmente anormale, attraverso l’analisi degli elementi che possono esercitare la loro influenza sul medesimo e all’eliminazione o attenuazione delle cause dei bisogni medesimi. Il s. sociale di gruppo (ingl. group-work) comprende una serie di attività culturali, ricreative, sportive ecc., nelle quali l’individuo, pur essendo sempre l’oggetto immediato, è considerato un’unità dell’insieme. Il s. sociale di comunità (ingl. community-work), infine, cerca di migliorare la condizione degli individui su basi collettive, procedendo a una specifica mobilitazione dei gruppi locali delle più svariate origini, in modo da coordinare le attività e orientarle verso il soddisfacimento dei bisogni locali.
Con la l. 328/8 novembre 2000, è stata emanata la prima legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e s. sociali. La programmazione e l’organizzazione di tale sistema integrato competono agli enti locali, alle Regioni e allo Stato. Alla gestione dell’offerta dei s. possono provvedere soggetti pubblici, organismi non lucrativi di utilità sociale, organismi della cooperazione, organizzazioni di volontariato, associazioni ed enti di promozione sociale, fondazioni, enti di patronato e altri soggetti privati (art. 1). La legge prevede che il sistema integrato di interventi e s. sociali si realizzi mediante politiche e prestazioni coordinate nei diversi settori della vita sociale che di fatto si concretizzano nell’adozione di: a) misure di lotta alla povertà e di sostegno del reddito e s. di accompagnamento; b) misure economiche per favorire la vita autonoma e la permanenza a domicilio di persone totalmente dipendenti o incapaci di compiere gli atti propri della vita quotidiana; c) interventi in favore dei minori in situazioni di disagio tramite il sostegno al nucleo familiare di origine e l’inserimento presso famiglie, persone e strutture comunitarie di accoglienza di tipo familiare; d) misure per il sostegno delle responsabilità familiari; e) misure di sostegno alle donne in difficoltà per assicurare i benefici disposti dalle leggi vigenti; f) interventi per la piena integrazione delle persone disabili e realizzazione dei centri socio-riabilitativi, delle comunità-alloggio e dei s. di comunità e di accoglienza per quelli privi di sostegno familiare; g) interventi per le persone anziane e disabili per favorire la permanenza a domicilio, per l’inserimento presso famiglie, persone e strutture comunitarie di accoglienza di tipo familiare; h) prestazioni integrate di tipo socio-educativo per contrastare dipendenze da droghe, alcol e farmaci; i) informazione e consulenza alle persone e alle famiglie per favorire la fruizione dei servizi.
In Italia, la prima scuola di s. sociale sorse nel 1928, ma la professione di assistente sociale si affermò solamente dopo la Seconda guerra mondiale. Tra il 1945 e il 1949 nacquero 7 scuole di s. sociale con il sostegno di privati e con il concorso di enti pubblici, istituti previdenziali ecc. Al 1987 risale il riconoscimento giuridico del titolo di assistente sociale e al 1993 l’istituzione dell’albo professionale. Nel 2000 è stato istituito il corso di laurea in Scienze del s. sociale, con successiva istituzione delle sezioni ‘assistenti sociali specialisti’ e ‘assistenti sociali’ nell’albo professionale dell’ordine (2001).
S. militare Prestazione personale dei singoli cittadini in favore delle forze armate del proprio paese allo scopo di contribuire con le armi alla sua eventuale difesa.
Nei primi Stati storici dell’Oriente classico, cioè nelle monarchie di Egitto, Babilonia, Assiria e Persia, i sovrani arruolavano e armavano i compagni che dovevano seguirli in armi.
Di un vero e proprio s. obbligatorio si può parlare solo con il sorgere delle città greche; poiché in queste coloro che erano chiamati alle armi dovevano equipaggiarsi in proprio, alla leva erano sottoposti ordinariamente solo i cittadini che potevano farlo a loro spese. Il s. militare nelle città greche in età classica era basato sulla divisione dei cittadini per censo: i non abbienti non erano però del tutto esenti da obblighi militari, perché a essi ogni città-Stato poteva ricorrere per i s. ausiliari e anche per quelli di linea, in caso di estrema necessità, fornendo loro le armi a spese dell’erario; in particolare nelle città marinare (come Atene) l’ultima classe dei cittadini forniva le ciurme della flotta. Ad Atene il s. militare divenne generale nel 4° sec., ma al principio del 3° l’obbligo venne meno. Presso gli Spartani, che erano tutti soldati di linea dai 18 ai 60 anni, la leva avveniva per decreto dell’assemblea; come i meteci ateniesi, i perieci spartani, se abbienti, fornivano gli opliti; gli iloti fornivano gli ausiliari e gli armati alla leggera. Negli ultimi tempi le città greche, pur conservando formalmente l’obbligo militare, ricorrevano sempre più largamente a leve di mercenari, che potevano essere arruolati direttamente dalle città, o indirettamente attraverso condottieri che ne assoldavano corpi in proprio.
L’evoluzione del s. militare nella storia dell’antica Roma ha notevole importanza come riflesso della storia sociale e politica. Tutti i cittadini romani potevano essere richiesti del s. militare (delectus); poiché anche a Roma nell’epoca più antica il soldato doveva equipaggiarsi con mezzi propri, la leva venne a interessare solo i possidenti iscritti nelle prime cinque classi censitarie dell’ordinamento serviano. Ma nei casi di necessità lo Stato armava a sue spese i non abbienti, i liberti e finanche gli schiavi. L’esercito di campagna veniva reclutato fra gli iuniores (18-46 anni); i seniores (47-60) potevano essere arruolati per i s. territoriali. Complicate e protette da numerosi istituti giuridici erano le operazioni di leva; in caso di improvvisa necessità i magistrati potevano fare la leva senza l’osservanza delle norme ordinarie e richiedere un giuramento in massa (coniuratio) ai cittadini, che accorrevano al loro appello straordinario (delectus tumultuarius). Mario (fine del 2° sec. a.C.), per fronteggiare le invasioni germaniche, ricorse all’arruolamento sistematico dei nullatenenti, creando così il primo esercito di mestiere. Rimanendo pur sempre l’obbligo teorico della leva, dopo Mario si ricorse con crescente frequenza all’arruolamento di volontari; negli ultimi tempi della Repubblica i generali procedevano alle leve con i loro conquistatores, e Ottaviano organizzò le sue schiere privata impensa, cioè con denaro proprio. Sotto l’Impero la leva era un diritto del principe e avveniva per cura dei suoi legati e di appositi ufficiali (delectatores); con Adriano giunse a compimento quel processo di provincializzazione dell’esercito, che risulta avviato già nel 1° sec. d.C. Al principio del 4° sec., pur rimanendo formalmente l’obbligo generale al s., in realtà l’esercito si alimentava di volontari, cittadini dell’Impero e più spesso barbari d’oltre frontiera. Erano obbligati al s., in virtù dell’ereditarietà delle professioni, i figli dei veterani e i vagi e i vacantes, cioè coloro che non erano occupati nell’agricoltura e negli uffici; certe comunità di dediticii, come i gentiles e i laeti, erano anch’essi obbligati alla leva. I grandi proprietari potevano da tempo molto più antico presentare un sostituto (vicarius). Già alla fine del 4° sec., nonché nel 5° e 6°, l’esercito era formato solo di volontari e di mercenari barbari.
Negli Stati romano-barbarici il s. spettava teoricamente a tutti i liberi; in realtà ben presto, in tempi differenti nei diversi regni (per es., nell’Italia longobarda verso la fine del 7° sec., altrove forse prima), i liberi poveri eludevano il s., prestato quasi soltanto dai possessori di terre o di ricchezza mobile; lo stesso principio fu in vigore in età carolingia, quando ai possessori si aggiunsero i vassalli del re o dell’imperatore o dei grandi (conti, duchi ecc.). Nel caso che i beni di un uomo libero, possessore, non fossero sufficienti per armare un combattente, si ricorreva all’associazione di più uomini liberi, uno solo dei quali andava all’esercito armato a spese di tutti (adiutorium). A partire dall’età postcarolingia, il s. militare si restrinse sempre più ai vassalli e perse gran parte del suo carattere pubblico. In Italia, nel 13° sec. Federico II e i Comuni toscani cominciarono ad assoldare cavalieri mercenari.
Nel 14° sec. si fece largo uso in Italia e in Francia della ‘condotta’: il condottiero disponeva di una sua compagnia e trattava alla pari con gli Stati come da potenza a potenza. Nel 15° sec. le signorie italiane assoldavano compagnie di ventura sempre più piccole e talvolta anche mercenari isolati. In Francia già nel 1439 il re stabilì che a nessuno era lecito disporre di bande proprie o di proprio seguito; nel 1445 infine istituì le compagnie d’ordinanza, primo nucleo d’esercito statale regolare a base di professionisti pagati dallo Stato.
Nel corso del 16° sec. i maggiori eserciti europei erano in gran parte mercenari, ma reclutati dal ‘maestro di campo’ in nome del sovrano. Fra i mercenari più noti i lanzichenecchi (letteralmente «servi del paese»; contadini inquadrati da signori feudali e pagati, almeno in teoria, dallo Stato) e le ordinanze svizzere, che rappresentavano ora per la prima volta la nazione armata, ma erano poste al servizio di questa o quella potenza. Nel 17° sec. per un momento, con A. von Wallenstein, sembrò risorgere la vecchia forma della compagnia di ventura autonoma, Stato nello Stato o anche contro lo Stato; ma nella seconda metà del secolo si accentuò la tendenza verso gli eserciti statali permanenti, a base di professionisti.
Nel 18° sec. (in Piemonte e in Francia) cominciò a svilupparsi, accanto all’esercito permanente, la milizia mobile, adibita soprattutto alla difesa delle fortezze. Nel 1791 l’Assemblea costituente francese riordinò l’esercito, sulla vecchia base dei professionisti volontari; il principio del reclutamento obbligatorio generale fu introdotto dalla Convenzione con il decreto sulla leva di massa (1793), che chiamò alla difesa armata del territorio nazionale otto classi dai 18 ai 25 anni; la legge Jourdan dell’anno VI (1798) disciplinò la materia con l’istituzione del s. militare obbligatorio per cinque anni e l’applicazione della coscrizione a cinque classi di leva, e cioè ai cittadini validi dai 20 ai 25 anni. Tale sistema durò con Napoleone I fino alla proclamazione dell’Impero (1804); in seguito Napoleone dovette attingere anche a classi in anticipo sulle cinque e a quelle già congedate.
La Prussia, dopo la distruzione (Jena, 1806), dell’esercito professionale, nel 1813 istituì il s. militare obbligatorio. Si stabilì un s. di 3 anni nell’esercito attivo e di 2 nella riserva, poi di 15 anni nella Landwehr («milizia territoriale»). Nel 1861 il s. della riserva fu portato a 4 anni, mentre la Landwehr si trasformò in una vera riserva dell’esercito attivo. Dopo la duplice affermazione nelle guerre del 1866 e del 1870, il sistema prussiano si affermò in tutta Europa, fuorché in Gran Bretagna e in Svizzera. Nella Prima guerra mondiale gli eserciti inquadrarono l’enorme contingente di 18-23 classi chiamate per intero alle armi; la Seconda guerra mondiale, più tecnica, richiese effettivi minori.
L’ordinamento di Emanuele Filiberto, perfezionato da Vittorio Amedeo II, aveva dato vita a un esercito di professionisti volontari a lunga ferma, affiancato da un esercito di milizia mobile organizzata in reggimenti provinciali autonomi. Nel 1815 i contingenti provinciali passarono nell’esercito d’ordinanza, che conservò il suo carattere professionistico. La riforma del 1854, estesa nel 1861 a tutto il regno d’Italia, contaminò il sistema francese e il prussiano; pochi i soldati d’ordinanza con ferma di 8 anni rinnovabili, molti di più i soldati di leva. Nel 1871 si entrò decisamente nel sistema prussiano, con un esercito attivo con ferma di 2 o 3 anni e una milizia mobile e territoriale costituente la riserva. Nel 1920 il s. fu ridotto per l’esercito a 18 mesi. In seguito la durata del s. di leva fu gradualmente ridotta fino ad arrivare nel 1996 a 10 mesi. Infine, il d. legisl. 215/2001 ha sospeso il s. militare obbligatorio (➔ leva militare).