Provvedimento amministrativo con il quale si conferiscono capacità, potestà o diritti. In materia commerciale, contratto con il quale un’azienda concede a un’altra il diritto di vendere i suoi prodotti o servizi usando i propri segni distintivi.
In diritto amministrativo, atto con cui la pubblica amministrazione consente al concessionario l’uso di risorse e/o l’esercizio di attività non disponibili da parte dei privati e riservate ai pubblici poteri. Si distinguono, come tipi principali: la c. di bene pubblico; la c. di servizio pubblico; la c. di opera pubblica. La c. di bene pubblico conferisce, per es., diritti d’uso del demanio marittimo (spiagge, arenili) per lo svolgimento di attività quali la gestione di stabilimenti balneari, o di complessi turistici, o di impianti di raffinazione di idrocarburi; oppure diritti d’uso del demanio idrico (acque dei fiumi) a fini di irrigazione o di conduzione di attività industriali. La c. di servizio pubblico consente lo svolgimento di attività economiche quali la distribuzione dell’energia elettrica o del gas. La c. di opera pubblica attribuisce il diritto di costruire e di gestire opere quali strade o autostrade. In taluni casi si ha una c. mista, come nel caso della c. aeroportuale, che consente l’uso di un bene demaniale (il cosiddetto sedime aeroportuale), la costruzione dell’aeroporto e la gestione dei servizi e delle altre attività aeroportuali. Vi sono anche c. che consentono l’esercizio di funzioni fortemente autoritative, come l’esazione dei tributi.
L’ atto di c., nei casi meno complessi, è un provvedimento amministrativo unilaterale. Vi può essere il provvedimento amministrativo, che concede, e un contratto collegato (cosiddetto ‘contratto accessivo alla c.’), che regola il rapporto patrimoniale che si viene a instaurare fra l’amministrazione concedente e il concessionario. Nei casi più complessi – soprattutto in materia di servizi pubblici e di opere pubbliche – la c. è un contratto che ha la doppia finalità di concedere e di regolare gli aspetti patrimoniali. L’affidamento delle c. è regolato da diverse procedure e modalità. Talora è la legge che disciplina in estremo dettaglio i requisiti del concessionario, tanto da consentirne l’individuazione (è il caso di alcune c. aeroportuali). Spesso l’affidamento è lasciato alla scelta largamente discrezionale dell’amministrazione concedente. In altri casi vi sono procedure di gara o a evidenza pubblica, che consentono la competizione fra diversi aspiranti concessionari. La Commissione europea ha raccomandato l’affidamento con gara delle c., proprio per tutelare la concorrenza e la trasparenza nel conferimento di diritti e di poteri così delicati ai concessionari. Tale prassi, tuttavia, è ancora scarsamente diffusa, non soltanto in Italia.
La c. costituisce un rapporto fra amministrazione concedente e concessionario. Il concessionario ha il diritto di utilizzare il bene, di gestire il servizio, o di realizzare l’opera. Diviene spesso titolare di privilegi, di esclusive, o di posizioni economicamente dominanti, poiché la c. consente la disponibilità di risorse scarse (come le spiagge), o l’esercizio di attività in situazione di monopolio (come la distribuzione del gas a unica impresa concessionaria in un comune). Il concessionario deve rispettare una serie di obblighi nello svolgimento delle attività oggetto di c., di regola stabiliti dal contratto di c. e spesso molto dettagliati nel contenuto (per es., standard e criteri nella realizzazione degli impianti costruiti sul demanio), e deve versare all’amministrazione concedente un canone o altri corrispettivi.
Talora il concessionario può esercitare poteri amministrativi: la giurisprudenza configura come provvedimenti amministrativi alcuni atti adottati dal concessionario di servizi o di opere, come gli atti di aggiudicazione di contratti di appalto per l’esecuzione di lavori. Di regola, l’amministrazione concedente è titolare di poteri molto penetranti. Può controllare l’attività del concessionario e adottare direttive; può sostituirsi al concessionario nei casi di inerzia di quest’ultimo; ha un potere di sanzione, che consiste nel dichiarare la decadenza della c. in caso di inadempimento grave del concessionario; può, ove previsto dalla legge o dal contratto di c., esercitare il diritto di riscatto, che comporta la risoluzione del medesimo contratto e il trasferimento degli impianti all’amministrazione; può revocare la c. per ragioni di pubblico interesse (in tal caso, è dovuto un indennizzo al concessionario se vi è un pregiudizio economico: art. 21 quinquies, l. 241/1990, modificata dalla l. 15/2005).
Il rapporto fra concedente e concessionario è ampiamente disciplinato dal diritto privato e dal codice civile. Si applicano le regole previste consensualmente nelle clausole contrattuali. In via integrativa si applicano, salvo eccezioni, norme e principi del codice civile, per es. in materia di eccessiva onerosità sopravvenuta o di risoluzione contrattuale. La disciplina sostanzialmente paritaria e consensuale delle c. si converte spesso in una posizione di maggiore forza del concessionario – talora un’impresa di organizzazione e dimensioni rilevanti – nei confronti dell’amministrazione concedente, non sempre attrezzata a sufficienza a esercitare la vigilanza e i poteri di controllo sullo svolgimento delle attività del concessionario.
L’impiego di tale strumento si è esteso notevolmente nel corso del 20° secolo. Sul finire del secolo, tuttavia, si è registrata una tendenza di segno contrario, a seguito del rafforzamento del principio della libera concorrenza attuato sia dal diritto comunitario sia da quello nazionale. La c., infatti, consentendo privilegi o esclusive alle imprese concessionarie e, al tempo stesso, prevedendo poteri di controllo e di direzione della pubblica amministrazione sulle attività economiche dei concessionari, può comportare distorsioni o restrizioni della libera concorrenza. Per tali ragioni al posto delle c. sono subentrati, in diversi casi, altri strumenti e misure, come le autorizzazioni (➔), che permettono lo svolgimento dell’attività economica a un maggior numero di operatori e prevedono controlli e poteri discrezionali meno penetranti da parte dell’amministrazione pubblica.
Le tasse sulle c. sono il tributo dovuto, ai sensi dell’art. 1 del d.p.r. 641/1972, per l’emanazione dei provvedimenti amministrativi e degli altri atti elencati nell’apposita tariffa. Soggetti passivi del tributo sono tutti coloro che pongono in essere gli atti o richiedono le formalità previste relativamente alle fattispecie indicate nella tariffa. In via generale, tale tipologia di tributo ricomprende svariate forme di acquisizione del prelievo, qualificate genericamente come tasse di domanda, di rilascio, di rinnovo, di visto o vidimazione di atti e provvedimenti amministrativi. Nei casi espressamente indicati nella tariffa, gli atti la cui validità superi l’anno sono soggetti a una tassa annuale da corrispondersi (nel termine stabilito dalla tariffa stessa) per ogni anno successivo a quello nel quale l’atto è stato emesso. La base imponibile considera il valore dell’atto nella sua unità. L’aliquota consiste in un tasso fisso, ma di diverso ammontare a seconda degli atti e, quindi, in ragione della valutazione normativa della potenzialità economica del bene oggetto della concessione. L’obbligo di pagamento, che sorge a carico del contribuente dal momento in cui sono state effettuate le attività amministrative richieste, deve essere assolto in modo ordinario, con pagamento diretto all’ufficio competente o con versamento sul conto corrente postale a questo intestato, ovvero in modo straordinario, a mezzo di speciali marche da annullarsi a cura del pubblico ufficiale che rilascia l’atto (o degli uffici o degli altri soggetti indicati dalle singole voci della tariffa o da altre norme), ovvero negli altri modi indicati dalle singole voci della tariffa.
Il tributo ebbe origine nella legislazione dell’Italia postunitaria e ha mantenuto sostanzialmente invariata la sua struttura, anche se ha visto progressivamente ridursi il suo campo di applicazione, fino a rivestire scarsa importanza nell’ambito del sistema tributario attuale. Nonostante sia classificato tra le tasse, sussiste la possibilità che l’utilità, che il cittadino dovrebbe ricavare dall’attività amministrativa, manchi assolutamente o sia solo apparente. Peraltro, attualmente, il tributo è acquisibile anche in ipotesi in cui non è possibile rinvenire forme di esercizio di pubbliche funzioni. Quanto alla disciplina giuridica, l’assolvimento del tributo è condizione di efficacia dell’atto e, per il mancato assolvimento, sono previste sanzioni amministrative sia per il pubblico ufficiale che emette l’atto, sia per chi ne usufruisce.
Per ciò che concerne le tasse sulle c. governative, disciplinate dal d.p.r. 641/1972, si rinvia a quanto sopra rilevato in relazione alle tasse sulle concessioni in generale. La tradizionale unitarietà della disciplina è ormai, infatti, venuta meno con l’affermarsi della tendenza al trasferimento del tributo alle regioni e ai comuni, parallelamente al decentramento delle competenze a emanare l’atto colpito. Pertanto le tasse sulle concessioni governative riguardano oggi quegli atti e provvedimenti che vengono ancora emessi da uffici dell’amministrazione statale.
Le tasse sulle c. statali sono un tributo proprio delle regioni (l. 281/1970, art. 2), dovuto per l’emanazione di provvedimenti statali, non regionali e, specificamente, per concessioni di occupazione e uso di beni del demanio e del patrimonio indisponibile statale, siti nel territorio della regione. L’ammontare è commisurato al canone di c. (ma non può eccedere il triplo di questo) e finisce per tradursi in una mera maggiorazione legale, a favore delle regioni, di quanto dovuto allo Stato. Quanto alla disciplina giuridica, l’imposta è dovuta dal concessionario, contestualmente e con le medesime modalità del canone di c. ed è riscossa, per conto delle regioni, dagli uffici competenti alla riscossione del canone stesso.
La disciplina delle tasse sulle c. regionali è contenuta nell’art. 3 della l. 281/1970 (come modificato dall’art. 4 della l. 158/1990), nella tariffa approvata con il d. legisl. 230/1991 e nelle norme relative alle c. governative. Ha carattere sostitutivo della corrispondente tassa sulle c. governative, laddove non più applicabile. Il presupposto consiste nell’adozione di atti e provvedimenti emanati dalle regioni nell’esercizio delle loro funzioni. La tassa è accertata, liquidata e riscossa direttamente dagli uffici competenti di ciascuna regione. L’ambito di autonomia delle regioni è assai ridotto, potendo queste intervenire soltanto in sede di definizione della tariffa (la cui emanazione è subordinata al parere conforme della Conferenza permanente per i rapporti fra Stato, Regioni e Province autonome, istituita ai sensi dell’art. 12 della l. 400/1998) e disporre la non applicazione di alcune voci della tariffa in virtù della facoltà prevista dall’art. 55 del d. legisl. 446/97.
La tassa sulle c. comunali è un tributo istituito dall’art. 8 del d. legisl. 702/1978 (convertito dalla l. 3/1979), che ne attribuiva ai comuni il gettito, e soppresso dall’art. 51 del d. legisl. 446/1997 (a partire dal 1° gennaio 1998). Il tributo era comunque dovuto per atti e provvedimenti emessi dai comuni nell’esercizio delle loro funzioni, così come individuati da un apposito decreto del ministro delle Finanze. Per la disciplina di tali tasse si rinviava alle norme del d.p.r. 641/72.
In economia, la c. è studiata nell’ambito della letteratura principal-agent. Il rapporto fra agente e principale deve essere costruito in modo da allineare gli interessi dell’agente con quelli del principale (o del concessionario con il concedente). Questo non è facile perché di solito sussiste una situazione di informazione asimmetrica, cioè una imperfetta informazione sulle azioni dell’agente (il principale, per es., non può viaggiare con il suo commesso viaggiatore per controllare i suoi sforzi di vendita). Si tratta quindi di costruire un sistema di incentivi e disincentivi, in assenza di informazioni osservabili, tale da assicurare che le azioni del concessionario siano in linea con gli obiettivi e gli interessi del concedente. Un problema di tal genere si presenta nelle relazioni fra proprietari e manager di un’impresa. Questi ultimi si possono in un certo senso considerare come concessionari della proprietà, e i loro sistemi di retribuzione devono essere tali da spingerli a linee d’azione conformi agli obiettivi strategici perseguiti dagli azionisti, sia nel breve che nel lungo periodo.
Approfondimenti:
Concessioni amministrative su risorse naturali di Maria De Benedetto
Il project financing di Arturo Cancrini