Operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporta il mutamento della titolarità di un’attività economica organizzata (art. 2555 c.c.), con o senza fini di lucro, preesistente al t. e che con il t. stesso conserva la sua identità (art. 2112 c.c.). La disciplina riguarda anche il t. di «parte dell’azienda» intesa come «articolazione funzionalmente autonoma» (art. 2112, co. 5, c.c.) restando esclusa invece la cessione dei singoli beni aziendali. In occasione del t. ai lavoratori è riconosciuto il diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro con il cessionario, senza necessità di dover manifestare il loro consenso e senza alcun tipo di regressione nella disciplina retributiva e normativa del rapporto, che prosegue alle medesime condizioni. Questo regime di tutela dei lavoratori ceduti non trova applicazione nel caso in cui il t. riguardi imprese che versano in uno stato di crisi. Il regime derogatorio si applica in caso di procedure concorsuali (fallimento, concordato preventivo con cessione dei beni, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria) oppure di provvedimento dichiarativo di crisi aziendale (art. 47, co. 5, l. 428/1990). Le deroghe non sono automatiche, bensì dipendono dalla conclusione di un apposito accordo collettivo nel corso della procedura sindacale, che si rende obbligatoria in qualsiasi tipo di t. d’azienda o di ramo di azienda con più di 15 addetti.
Mutamento del luogo in cui il lavoratore svolge della prestazione lavorativa, stabilito del datore di lavoro. Nell’ordinamento italiano, la disciplina del t. è contenuta nell’art. 2103 c.c. (testo modificato a seguito dell’entrata in vigore dello Statuto dei lavoratori nel 1970). La norma stabilisce che il lavoratore non può essere trasferito ad altra unità produttiva da parte del datore di lavoro se non per comprovate ragioni di carattere tecnico, produttivo o organizzativo. Ciò valorizza l’interesse del lavoratore a una sostanziale inamovibilità dal proprio posto di lavoro, dal momento che un consistente spostamento geografico del luogo di esecuzione della prestazione comporta effettivi disagi. Tra le cause di t. figura spesso quella di incompatibilità ambientale, dovuta a difficoltà nei rapporti tra il lavoratore oggetto di t. e i colleghi o i superiori. L’esercizio del potere di t. non può essere sindacato nel merito da parte del giudice; si può soltanto verificare la sussistenza di un nesso di causalità tra il t. e la scelta tecnico-produttiva. Quanto agli oneri formali di comunicazione, la legge nulla prevede, poiché demanda tale aspetto della materia interamente alla contrattazione collettiva di riferimento. Il t. si distingue dalla trasferta, poiché questa è uno spostamento temporaneo dal luogo della prestazione lavorativa, ed è, pertanto, sempre ammessa. Diverso dal t. di cui all’art. 2103 è anche il t. disciplinato dagli art. 15 e 22 dello Statuto dei lavoratori, facenti riferimento, rispettivamente, ai t. discriminatori e ai t. dei sindacalisti interni. Queste due forme di t. sono infatti sempre vietate, la prima perché illecita, la seconda perché andrebbe a colpire il rappresentante sindacale eletto all’interno dell’azienda, il quale necessita di un contatto con la base per il ruolo e l’attività che è chiamato a svolgere. Il t. collettivo, ulteriore fattispecie prevista dall’ordinamento italiano, consiste invece nello spostamento di una pluralità di lavoratori dell’impresa da una sede all’altra e la sua disciplina è soggetta a regole e procedure proprie. In quanto investe problematiche legate alla sopravvivenza della stessa impresa, nonché dei posti di lavoro, tale forma oltrepassa le ragioni di carattere tecnico-produttivo e organizzativo, su cui si basa il t. individuale. La normativa contenuta nell’art. 2103 c.c. si applica anche al pubblico impiego, in virtù della privatizzazione di tale rapporto di lavoro. Il t. nel pubblico impiego è ammesso, inoltre, all’interno delle procedure dirette a ottenere un impiego più razionale delle risorse impiegate.
Fenomeno complesso (in ingl. transfer pricing), correlato all’analisi delle relazioni economiche intercorrenti tra imprese residenti in Stati diversi e facenti parte dello stesso gruppo. La disciplina del prezzo di t. ha l’obiettivo di far sì che le transazioni commerciali intercompany siano effettuate rispettando il principio della libera concorrenza, in modo tale che sussista corrispondenza tra il prezzo stabilito nelle operazioni commerciali tra imprese associate e quello che sarebbe stato pattuito tra imprese indipendenti sul libero mercato. La ratio sottostante alla disciplina in esame è quella di evitare che con l’alterazione del valore al quale avvengono le transazioni infragruppo si possa realizzare uno spostamento di materia imponibile da Stati con un alto livello di pressione fiscale a Stati o territori caratterizzati da una minore pressione fiscale. Il prezzo di t. è regolato a livello sia internazionale (nei modelli di convenzioni OCSE) sia nazionale. La disciplina italiana è contenuta nell’art. 110, co. 7, del d.p.r. 917/1986 (testo unico delle imposte sui redditi, t.u.i.r.), in base al quale «i componenti di reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, sono valutati in base al valore normale dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni e servizi ricevuti». In virtù di tale disposizione è possibile individuare i presupposti soggettivi e oggettivi in presenza dei quali si può procedere a una rettifica dei prezzi di t. infragruppo. L’elemento centrale per verificare la congruità dei prezzi applicati infragruppo è identificato nel valore normale; questo consiste, a norma dell’art. 9 del t.u.i.r., nel «prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e servizi della stessa specie o similari in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione».
Ogni pagamento unilaterale elargito senza corrispettivo in beni e servizi, in genere con fini di redistribuzione delle risorse: per es., i t. statali a favore di settori svantaggiati della popolazione (pensioni sociali, sussidi di disoccupazione ecc.), di imprese ed enti (contributi agli investimenti, fiscalizzazione degli oneri sociali ecc.), di specifiche aree territoriali (somme stanziate tramite leggi speciali, fondi comunitari ecc.).
In finanza pubblica, l’insieme delle sovvenzioni e delle assegnazioni concesse ai vari settori dell’amministrazione pubblica dai livelli gerarchicamente superiori (dallo Stato alle regioni, dalle regioni a province e comuni ecc.).
Per i t. internazionali di capitali ➔ capitale; per il t. dell’onere di un tributo ➔ traslazione.
T. di materia Trasporto di materia (➔ trasporto) tra due fasi, che si verifica in processi naturali di rilevante importanza, come, per es., l’evaporazione e la riaerazione di laghi e fiumi, e interviene anche in numerose operazioni industriali di separazione e purificazione (assorbimento di gas in liquidi, estrazione con solvente ecc.). T. di calore Trasporto di calore tra due fasi (per es., tra due fluidi a temperatura diversa separati da una parete solida). Reazione di t. Reazione nucleare in cui due nuclei si scambiano nucleoni per effetto tunnel (➔ reazione).
In ottica, si definisce funzione di t. di un sistema ottico il prodotto di una funzione di t. di ampiezza o di contrasto, che tiene conto anche della risoluzione del sistema, per lo spostamento di fase spaziale introdotto dal sistema nella distribuzione del campo dell’onda incidente.
T. di embrioni (ingl. embryotransfer) Il t. nell’utero di un embrione umano ottenuto da una fecondazione in vitro (➔ procreazione assistita).
Nella tecnica si parla di funzione di t. con riferimento alla relazione analitica esistente tra una grandezza d’ingresso e una di uscita di un sistema. Nello studio di un sistema (elettrico, meccanico ecc.) lineare (cioè con comportamento retto da equazioni differenziali lineari a coefficienti costanti) che parte da condizioni di riposo (condizioni iniziali tutte nulle), si dice funzione di t. il rapporto H(p) tra la trasformata di Laplace della funzione di uscita U(p), risposta del sistema, e la trasformata di Laplace della funzione di ingresso E(p), comando del sistema: E(p)H(p)=U(p). La funzione di t. H(p) agisce quindi come un operatore che trasforma E(p) in U(p); essa definisce completamente le proprietà e il comportamento del sistema.