Complesso di norme che ordinano e disciplinano una determinata istituzione o attività.
Dell'o. giuridico si hanno sostanzialmente tre concezioni. La teoria normativa, che fa capo a H. Kelsen, lo definisce come un complesso o sistema di norme giuridiche positive generali (leggi formali) o individuali (atti amministrativi o sentenze), ordinati secondo una norma fondamentale (cosiddetto principio della costituzione più antica). La teoria istituzionale, di cui il maggiore esponente è S. Romano, lo identifica con la istituzione, ossia con un ente o corpo sociale reale ed effettivo coincidente con il diritto oggettivo (ubi societas ibi ius). Infine la teoria del rapporto, illustrata da A. Levi, considera l'o. giuridico come un sistema di rapporti giuridici. Queste concezioni non si escludono, ma si integrano a vicenda, contenendo ciascuna qualche elemento necessario a identificare il concetto di o. giuridico. La concezione normativa e quella istituzionale pongono l'accento soprattutto sull'aspetto oggettivo dell'o., insistendo la prima sul fondamento statuale del diritto, la seconda su quello sociale. La concezione del rapporto giuridico pone invece l'accento soprattutto sull'aspetto soggettivo dell'o. giuridico come matrice di facoltà o di potestà, di diritti o di obblighi per i membri della collettività. In ogni caso, per l'esistenza dell'o. giuridico sono necessarî: a) Una collettività (ente o corpo sociale o istituzione) che riconosce un'autorità, o principio di legittimità del potere, cui è commessa la disciplina dei rapporti intersoggettivi per realizzare i fini di accrescimento e di sviluppo della collettività stessa. Così negli o. democratici, come quello italiano, il principio di legittimità del potere sta nella sovranità popolare (art. 1, co. 2, Cost.: «la sovranità appartiene al popolo»); negli o. assoluti il principio di legittimità del potere sta nella volontà del monarca; negli o. teocratici, nella volontà divina. Il perseguimento di un fine di accrescimento e di sviluppo è presunto nell'autorità investita dei poteri sovrani, ma talvolta può essere espresso, come è nell'art. 1, co. 1, Cost. («Repubblica fondata sul lavoro»). b) Una condizione di uguaglianza giuridica tra i membri della collettività, nel senso che a tutti sia riconosciuta una capacità di diritto. c) Una situazione di disuguaglianza di voleri tra i membri della collettività, basata su una diversità di interessi particolari. Tale situazione determina dei conflitti di interesse, per dirimere i quali l'autorità, in cui si esprime il potere sovrano, opera, con l'emanazione dei comandi giuridici in via preventiva (leggi) o successiva (sentenze e atti amministrativi), una mediazione attraverso cui viene riconosciuto e tutelato l'interesse prevalente e certi comportamenti vengono di conseguenza autorizzati, vietati, o resi obbligatorî (rapporti giuridici). Secondo talune dottrine, il concetto di o. giuridico si identificherebbe senz'altro con quello di diritto in senso oggettivo. Da altri si afferma invece che o. giuridico e diritto oggettivo sono entità distinte. In realtà non sembra che il diritto oggettivo, come complesso di norme scritte o consuetudinarie, esaurisca il concetto di o. giuridico, il quale comprende, oltre alle norme, anche quel principio di autorità da cui le norme stesse emanano e che ben può definirsi potere sovrano o potere normativo. Questo assolve alla funzione di ridurre a unità il complesso delle norme informandole alle esigenze storiche di giustizia che scaturiscono dal corpo sociale. Nell'ambito dell'o. giuridico si risolve quindi lo storico conflitto tra diritto ed equità, dove l'equità non è una categoria extragiuridica, ma l'espressione delle esigenze giuridiche nuove per un regolamento dei rapporti che tenga conto delle modificazioni intervenute nella struttura sociale. Nell'ambito dell'o. giuridico il fenomeno interpretativo è destinato a vivificare in sede di applicazione l'effettiva portata della norma mediante il processo di integrazione della norma stessa con i principî giuridici dell'equità. Le norme giuridiche, diritto in senso obiettivo, non si identificano pertanto con l'o. giuridico, essendo lo strumento di cui l'o. giuridico si serve per dirimere i confini di interesse e dare ai membri della collettività la certezza dell'interesse tutelato. Negli o. moderni caratterizzati dalla codificazione si è acuita l'esigenza della norma giuridica astratta come garanzia di libertà e di autonomia degli individui rispetto all'autorità sovrana; con le costituzioni di tipo rigido si tende a limitare, entro precise norme giuridiche, anche i principî fondamentali su cui si basa l'o. giuridico e quindi a controllare anche il nucleo essenziale della sovranità e cioè il potere legislativo. Tuttavia questa sovranità non può comprimersi oltre un certo limite, perché anche nelle costituzioni di tipo rigido, le norme costituzionali sono modificabili con le prescritte maggioranze parlamentari. Non si può, comunque, escludere che sussista - come caso limite - un o. giuridico senza norme giuridiche, almeno così come comunemente vengono intese; e cioè come regole astratte e preordinate di condotta. Si supponga, per es., una collettività organizzata attorno a un potere sovrano universalmente riconosciuto e chiamato a dirimere i concreti conflitti di interesse (diritto giurisprudenziale tipico dello ius praetorium). Del resto anche negli o. giuridici più evoluti si hanno di solito due sistemi di norme giuridiche spesso contrastanti, il primo improntato a una razionalità deduttiva (codificazione), il secondo a carattere empirico nascente dalle esigenze sociali contingenti (ius civile e ius praetorium, diritto comune e statuti, codici e legislazione speciale). Si è ritenuto pure che i termini di o. giuridico e di stato coincidano. Ora, non v'è dubbio che se si intende lo stato sotto il profilo di comunità organizzata, il concetto di stato si identifica con quello di o. giuridico statuale, ma se si intende lo stato nella concezione di soggettività giuridica, come titolare cioè di diritti soggettivi, i due termini non coincidono, perché l'o. giuridico sovrano si caratterizza al di fuori della regolamentazione giuridica, in quanto fatto produttore del diritto (ex facto oritur ius) e creatore esso stesso delle qualificazioni giuridiche, compresa la stessa qualificazione dello stato come persona giuridica e come titolare di diritti soggettivi. Nell'o. giuridico e sovrano gravitano o. giuridici minori o semiautonomi (pluralità degli o. giuridici), ossia collettività organizzate secondo particolari norme interne, che trovano il loro limite, oltre che nei principî informati alla natura e al tipo dei rapporti intersoggettivi, anche nei principî e nelle leggi dell'o. giuridico statale in cui si muovono e operano. Questi o. sono pertanto giuridici in quanto riconosciuti, e sono riconosciuti in quanto non contraddicano ai principî e alle norme dello stato (morale, buon costume, ordine pubblico) e perseguano i suoi stessi fini di accrescimento e di sviluppo. Non sono pertanto o. giuridici, secondo l'opinione prevalente, le associazioni a delinquere, le quali pur essendo o., si trovano a essere antigiuridiche in senso obiettivo. Sono invece o. giuridici espressamente riconosciuti sul piano del diritto costituzionale e civile: la famiglia come aggregato organizzato nei suoi rapporti da un'autorità cui è commesso il relativo potere (il padre o, nell'o. italiano vigente, entrambi i genitori); l'impresa come aggregato organizzato nei suoi rapporti di lavoro da un'autorità cui è commesso il relativo potere (l'imprenditore); e in genere gli altri enti o istituzioni comunque riconosciuti come ordinamenti.
L’insieme delle norme che regolano la Costituzione e il funzionamento degli organi giurisdizionali; in senso più ristretto e più comune, l’insieme delle norme che regolano la Costituzione e il funzionamento degli organi della giurisdizione ordinaria. In Italia, le norme fondamentali dell’o. giudiziario sono contenute negli art. 101-10 Cost., in relazione ai quali molto lento è stato il processo di adeguamento della legislazione ordinaria. È pertanto in vigore, pur se modificato in modo rilevante, l’o. giudiziario del guardasigilli D. Grandi, adottato con r.d. 12/1941. Principio fondamentale del sistema delineato dalla Costituzione è che la funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari, ossia istituiti e regolati dalle norme sull’o. giudiziario (art. 102). Al riguardo l’art. 1 del r.d. del 1941, modificato dalla l. 374/1991 e successivamente dal d.legisl. 51/98, con cui sono stati soppressi gli uffici dei giudici conciliatori e le preture, stabilisce che la giustizia nelle materie civile e penale è amministrata: a) dal giudice di pace; b) dal tribunale ordinario; c) dalla Corte di appello; d) dalla Corte di cassazione; e) dal tribunale per i minorenni; f) dal magistrato di sorveglianza; dal tribunale di sorveglianza. La Costituzione afferma anche il principio della partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia, ma demanda alla legge di regolare i casi e le forme di essa (Corte di assise). È vietata invece l’istituzione di giudici straordinari o di giudici speciali, potendosi solo per determinate materie provvedere alla istituzione di servizi specializzati presso gli organi giudiziari ordinari.
Altro principio fondamentale è quello dell’autonomia e indipendenza della magistratura da ogni potere: il potere giudiziario è quindi esercitato da organi che esplicano la loro funzione senza alcuna interferenza con quelli che esercitano il potere esecutivo e legislativo. Corollari del principio sono l’inamovibilità dei magistrati, l’autogoverno e l’autodisciplina della magistratura. Questi ultimi sono attuati per mezzo del Consiglio superiore della magistratura, al quale spettano le assunzioni, le assegnazioni, i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati.
Le nomine dei magistrati hanno luogo per concorso, ma la legge sull’o. giudiziario può ammettere la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli (per es., il giudice di pace). Il principio secondo cui i magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni ha avuto una prima attuazione nella l. 382/1951, che aboliva i gradi gerarchici, mentre di particolare rilievo per la progressione di carriera è stata la l. 570/1966; con tale legge e con leggi successive è stato infatti adottato un sistema di progressione automatica a ruoli aperti per anzianità (a seguito di valutazione favorevole del Consiglio superiore della magistratura, previo motivato parere del Consiglio giudiziario) che ha svincolato il grado dal conseguimento delle relative funzioni. Un cenno particolare merita la posizione del pubblico ministero, al quale la Costituzione assicura particolari garanzie di indipendenza in analogia a quelle previste per il giudice, stabilendo che esso gode delle garanzie fissate nei suoi riguardi dalle norme sull’o. giudiziario. Pertanto, pur conservando la sua originaria funzione di collegamento tra il potere politico e quello giurisdizionale, il pubblico ministero è organo soggetto alla sola legge, facendo parte della magistratura e non essendo, come in passato, sottoposto alla direzione del ministro della Giustizia.
Al ministro competono l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia (cancellerie e segreterie giudiziarie, ufficiali giudiziari, locali giudiziari ecc.), e spetta altresì la facoltà di promuovere l’azione disciplinare nei confronti dei magistrati senza che, peraltro, tale potere incida sull’indipendenza del potere giudiziario, dato che la deliberazione del provvedimento disciplinare compete al Consiglio superiore della magistratura anche nel caso in cui l’azione sia promossa dal ministro (art. 14 della l. 195/1958).
O. di un insieme È la disposizione dei suoi elementi in un determinato ordine, a opera di una certa relazione d’ordine. L’o. può essere completo (detto anche lineare, con riferimento ai punti di una linea retta, e totale) o parziale. È completo quando, dati due elementi qualunque x e y, la relazione d’ordine introdotta permette in ogni caso di considerare l’uno come ‘precedente’, l’altro come ‘successivo’; è invece parziale se la relazione d’ordine che si è introdotta non lega ogni possibile coppia di elementi x, y, ma solo alcune coppie. Restano però valide le proprietà fondamentali della relazione d’ordine: a) non può aversi contemporaneamente ‘x precede y’ e ‘x segue y’ (in simboli: x ≤ y, x ≥ y) a meno che non sia x=y (antisimmetria); b) se x ≥ y e y ≥ z, allora x ≥ z (transitività). Potrà però ben darsi che, dati due elementi x e y, la relazione d’ordine introdotta non permetta di affermare né che x precede y, né che x segue y.
Si dà di seguito un esempio di o. parziale; per ulteriori notizie ➔ reticolo. Sia I l’insieme composto dagli elementi A, B, C. Sia P(I) l’insieme dei sottoinsiemi di I. Si tratta di un insieme costituito da 8 elementi, e cioè: l’insieme vuoto, Ø, i tre insiemi {A}, {B}, {C}, ciascuno dei quali è ridotto a un unico elemento, i tre insiemi di due elementi {A, B}, {A, C}, {B, C} e infine l’insieme stesso {A, B, C}. La relazione d’ordine sia l’inclusione, cioè si convenga che un insieme segue un altro quando ne contiene gli elementi. L’o. così introdotto è un o. parziale illustrato dalla fig. 1. In essa ciascuno degli 8 insiemi è rappresentato da un punto; 2 punti vengono uniti da un segmento quando corrispondono a 2 insiemi dei quali quello che si rappresenta con il punto superiore include l’altro.
Si parlerà di buon o. di un insieme I (che si dirà bene ordinato), quando I è ordinato (totalmente) in modo tale che ogni suo sottoinsieme non vuoto abbia un primo elemento. L’o. dei numeri interi naturali secondo i valori crescenti è un buon o.; invece l’o. delle frazioni positive secondo i valori crescenti non è un buon o. (per es., il sottoinsieme di tutte le frazioni maggiori di 1/2 non ha un primo elemento), e così l’o. dei numeri reali secondo la loro grandezza. Il problema se sia possibile ordinare l’insieme dei numeri reali in modo che il loro o. sia un buon ordinamento (problema del buon o. del continuo) ha suscitato vivaci discussioni tra i matematici al principio del 20° sec., in seguito all’affermazione di E. Zermelo (1904) che ogni insieme è suscettibile di un buon o. (teorema del buon o.). Accettando tale teorema, si può estendere l’ordinario procedimento di induzione matematica (completa) valido per i numeri interi (➔ transfinito). Il teorema del buon o. è equivalente all’assioma delle infinite scelte arbitrarie (➔ Zermelo, Ernst) e al lemma di Zorn-Kuratowski (➔ scelta). O. filtrante (o preordine). Particolare o., per solito parziale, che ha interesse soprattutto nella teoria dei limiti. Sia un aggregato {A} di insiemi A appartenenti a uno stesso spazio S: se per ogni scelta di una coppia di insiemi A′, A″ di {A} anche l’insieme intersezione A′∩A″ appartiene ad {A}, si dirà che l’aggregato {A} è un filtro. In questa ipotesi si può introdurre in {A} un o., che si dirà o. filtrante, nel seguente modo: dati due elementi A′, A″ di {A} si dirà che A″ segue A′ se è contenuto in A′; in ogni caso, poiché {A} è un filtro e come tale contiene A′∩A″, si è certi che i due elementi hanno un comune seguente che è appunto A′∩A″. Questa proprietà, ossia che dati due qualsiasi elementi esiste un terzo elemento che segue sia l’uno sia l’altro, si chiama spesso proprietà (o carattere) filtrante e si può assumere a definizione di o. filtrante, anche se non è possibile o non è conveniente riferirsi direttamente a un filtro. Per es., la totalità {A} degli insiemi aperti del piano che contengono un dato punto P è un filtro, mentre non è tale la totalità {C} dei cerchi contenenti P. Tuttavia in {C} si introduce un o. filtrante se un cerchio si dice seguente a un altro nel caso sia contenuto in quest’ultimo: difatti (fig. 2), scelti comunque C′ e C″ esiste sempre un cerchio C‴ contenuto nell’intersezione C′∩C″ e dunque seguente entrambi.