Tutto ciò a cui viene attribuito valore, pregio, dignità qualsiasi. In tal senso può essere inteso come b. tanto un oggetto materiale quanto uno spirituale. In etica, più specificamente, il b. si riferisce alla sfera della moralità, della condotta, individuale e sociale (➔ etica).
Il Codice civile dedica alla disciplina dei b. il titolo I del libro terzo (art. 810-831), dove vengono definiti come le «cose che possono formare oggetto di diritti» (art. 810). Dalla norma si ricava pertanto che non ogni cosa è b. in senso giuridico, sia perché vi sono cose che non sono b., e cioè quelle che gli antichi chiamavano res communes omnium (per es., l’aria) e quelle rispetto alle quali è impossibile costituire un rapporto giuridico (per es., gli astri), sia perché vi sono b. che sono costituiti da entità non materiali.
Fondamentale è la distinzione tra b. immobili e b. mobili. B. immobili sono il suolo, le sorgenti, i corsi d’acqua, gli alberi, gli edifici e le altre costruzioni, anche se unite al suolo a scopo transitorio, e in genere tutto ciò che è naturalmente o artificialmente incorporato al suolo. Sono considerati immobili i mulini, i bagni e gli altri edifici galleggianti, quando sono saldamente assicurati alla riva o all’alveo e sono destinati a esserlo in modo permanente per la loro utilizzazione. Sono invece b. mobili tutti quelli che non rientrano nella prima categoria. La rilevanza della qualità di b. mobile si estrinseca innanzitutto nel particolare regime giuridico predisposto per il trasferimento dei diritti e per l’applicazione del principio ‘possesso vale titolo’ (➔ possesso), nonché nel fatto che taluni diritti reali, come la superficie, l’enfiteusi o le servitù prediali, possono gravare soltanto sui b. immobili, mentre altri, come il pegno, solo sui b. mobili; il privilegio generale può esercitarsi solo sui b. mobili del debitore (art. 2746 c.c.), ma i privilegi speciali anche sugli immobili (art. 2746 c.c.), e così via.
I b. si possono inoltre distinguere in b. pubblici e b. privati, a seconda dell’appartenenza; in b. consumabili e b. inconsumabili, a seconda che siano o meno suscettibili di una sola utilizzazione (per es., le derrate alimentari, da un lato, i libri, dall’altro); in b. deteriorabili (per es., i macchinari) e b. non deteriorabili (per es., le pietre preziose); in b. divisibili e b. indivisibili, a seconda che possano o meno essere frazionati senza cessare di servire all’uso cui erano destinati (per es., un fondo rustico, o, di contro, un animale vivo); in b. fungibili e b. infungibili, a seconda che appartengano o meno a un genere, all’interno del quale possano essere sostituiti con altri (per es., il denaro, da un lato, e un’opera d’arte, dall’altro); in b. commerciabili e b. incommerciabili, a seconda che se ne possa o meno fare commercio (art. 2810 c.c.; tale distinzione ha comunque rilevanza minore che in passato). Infine, si distinguono i b. generici, determinati dall’appartenenza a un certo genere (per es., il vino da tavola), dai b. specifici, dotati di una specifica identità (per es., una bottiglia di vino pregiato).
Si tratta di b. incorporei che assurgono propriamente a nuovo b. nel momento in cui si estrinsecano in un elemento materiale e assumono la qualità di bene giuridico allorché riconosciuti dall’ordinamento come oggetto di una tutela specifica. Ciò avviene, per esempio, per le creazioni intellettuali attinenti al mondo della cultura, al mondo della tecnica e all’identità commerciale dell’impresa, a condizione, però, che presentino i requisiti cui la legge subordina l’applicazione della corrispondente normativa. La loro valutazione economica si fonda non sul b. immateriale in quanto tale, ma sulla sua traduzione (mediante pubblicazione, brevettazione o semplice utilizzazione) in una forma dotata di carattere creativo, riproducibile (per la possibilità di separare la creazione intellettuale dal supporto materiale in cui viene incorporata) in un numero indefinito di esemplari. Si tratta di entità che costituiscono nuove forme di ricchezza, tanto da far registrare, con l’evoluzione delle moderne economie capitalistiche, una forte pressione affinché ne venisse riconosciuta la tutela. La ricerca e l’attività creativa in genere presuppongono infatti costi elevati e determinano l’esigenza di predisporre una disciplina giuridica che garantisca la possibilità di una congrua remunerazione economica del lavoro intellettuale e degli investimenti effettuati, e scongiuri al contempo il rischio che altri li sfruttino ingiustamente. La protezione contro tale rischio si realizza attraverso quel complesso di regole che va sotto il nome di proprietà intellettuale e mira specificamente ad attribuire all’autore/inventore diritti esclusivi sui risultati della sua attività, precludendo a ogni altro l’utilizzazione e il godimento del b. immateriale o, quanto meno, subordinandone l’utilizzazione a un compenso.
Sono l’insieme di mezzi di cui si serve la pubblica amministrazione per perseguire l’interesse pubblico, in base alle norme vigenti in materia di finanza, contabilità dello Stato e procedimenti amministrativi. I b. pubblici rientrano nella categoria dei b. di interesse pubblico e l’art. 1 del r.d. 2440/1923 ne specifica la natura precisando che i primi appartengono esclusivamente allo Stato o agli enti pubblici, mentre i secondi possono appartenere anche a soggetti privati. In particolare, l’ordinamento giuridico non definisce i b. pubblici ma individua categorie di b. sulla base di caratteristiche comuni, quali la finalità pubblica e le limitazioni alla disponibilità, all’uso e alla tutela.
Il primo riferimento normativo si ha nell’art. 42 Cost., dove sono indicati due generi di proprietà e si afferma che i b. possono appartenere a soggetti sia pubblici sia privati: «La proprietà è pubblica e privata. I beni appartengono allo Stato, ad enti pubblici o a privati». Il codice civile (art. 822 e seguenti) e altre leggi speciali di settore distinguono i b. pubblici secondo un criterio formale che si fonda sul regime giuridico a questi applicabile (alienabilità, prescrittibilità dei diritti e pretese dei terzi), e individua due principali categorie di b.: i b. demaniali e i b. patrimoniali.
I b. demaniali sono inalienabili, imprescrittibili, non suscettibili di usucapione né di espropriazione forzata e non possono essere oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano (attraverso concessioni); è prevista anche una tutela nei confronti delle turbative alla proprietà, al possesso e contro le ingiuste pretese dei terzi, attraverso appositi procedimenti amministrativi, oppure mediante gli ordinari strumenti di tutela della proprietà e del possesso. I b. demaniali comprendono le cose che appartengono agli enti pubblici territoriali e sono tassativamente individuati e suddivisi in due ulteriori categorie. Nel demanio necessario sono inclusi tutti quei beni che non possono non appartenere allo Stato o agli altri enti pubblici territoriali; vi rientrano quindi il demanio marittimo (lido del mare, spiaggia, rade, porti, lagune, fari e altre installazioni costiere per la navigazione), il demanio idrico (fiumi, torrenti, laghi, sorgenti e tutte le acque sotterranee e superficiali ancorché non estratte dal sottosuolo; ➔ acqua) e il demanio militare (beni destinati alla difesa nazionale, per es., fortificazioni militari). Del demanio accidentale fanno invece parte quei b. che non necessariamente appartengono alle pubbliche amministrazioni ma che sono tali se divengono proprietà dello Stato o degli enti territoriali, come il demanio stradale (strade, autostrade, ferrovie e aerodromi) e altre tipologie di b. (gli acquedotti, i beni culturali, di interesse archeologico, artistico e storico, i mercati comunali e i cimiteri).
Alcuni autori, prevalentemente per ragioni pratiche, distinguono all’interno della categoria dei b. demaniali, tra b. naturali e b. artificiali. I primi sono tali fin dall’origine (per es., l’alveo dei fiumi) senza la necessità di un formale atto della pubblica autorità, atto indispensabile invece per far acquisire la demanialità ai secondi (per es., le strade). La perdita della qualità di b. demaniale (‘sdemanializzazione’) può avvenire attraverso l’emanazione di un atto da parte dell’autorità amministrativa competente, attraverso fatti (atti univoci e concludenti) che manifestino in modo inequivocabile la volontà della pubblica amministrazione di sottrarre definitivamente i b. alla finalità pubblica, oppure a causa della distruzione del bene. Il passaggio dal demanio al patrimonio, ai sensi dell’art. 829 c.c., deve essere sancito attraverso la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
Per quanto concerne i b. patrimoniali, definiti anche b. in «proprietà privata dell’ente pubblico», si distingue tra b. indisponibili e b. disponibili, a seconda dell’esistenza o meno di uno specifico vincolo di destinazione pubblica. I b. indisponibili non possono essere sottratti alla pubblica utilità (destinazione), se non attraverso modalità stabilite dalla legge, e possono essere oggetto di alienazione purché ne sia mantenuta la destinazione. A differenza dei b. demaniali, possono appartenere a qualsiasi ente pubblico (non solo territoriale), salvo che la legge disponga una riserva allo Stato o a un altro ente pubblico territoriale. Tali b., elencati in modo tassativo, consistono in cose mobili e immobili: foreste, parchi nazionali e regionali; miniere, cave e torbiere; beni d’interesse artistico, storico e archeologico (➔ beni culturali); b. destinati al servizio della difesa (per es., caserme, aeromobili militari ecc.), a esclusione di quelli appartenenti al demanio; b. costituenti la dotazione del presidente della Repubblica; edifici e arredi destinati a pubblici uffici e servizi; acque minerali e termali. Tali b. possono perdere la caratteristica della indisponibilità per cause naturali o per atto espresso che li trasformi in b. disponibili. I b. disponibili sono tutti quelli che non rientrano nelle categorie precedenti, e appartengono allo Stato e agli enti pubblici come qualsiasi altro proprietario; essi sono «semplicemente destinati alla produzione di reddito» e sottoposti alle norme comuni di diritto privato, sebbene la loro alienazione debba avvenire nelle forme e nei modi previsti dal diritto pubblico.
Il diritto dell’Unione Europea si disinteressa della titolarità dei b. pubblici, cioè del regime di proprietà esistente negli Stati membri (art. 295 del Trattato della Comunità Europea, TCE), ma interviene a disciplinarne l’uso in funzione dello sviluppo del mercato comune (intracomunitario) e dell’eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione delle merci e dei capitali (art. 28 e 56 TCE); il diritto comunitario stabilisce altresì l’obbligo di riduzione del disavanzo pubblico eccessivo (art. 104 TCE), che può avvenire, ai sensi dell’art. 29 della l. 326/2003, attraverso le dismissioni del patrimonio nazionale.
Adeguandosi alla tendenza comunitaria, il diritto nazionale ha adottato una classificazione unitaria dei b. pubblici, incentrata sul criterio dell’uso piuttosto che su quello soggettivo della titolarità. In tal senso, nell’ambito del processo di privatizzazione del patrimonio immobiliare pubblico, il d. legisl. 351/2001 (art. 1, co. 6) ha stabilito che le disposizioni in materia di «ricognizione del patrimonio immobiliare pubblico» debbano essere applicate sia ai b. in proprietà dello Stato e degli altri enti pubblici, sia ai b. utilizzati per uso pubblico ininterrottamente per oltre 20 anni, con il consenso dei proprietari; il d. legisl. 63/2002, istituendo delle società per la valorizzazione, gestione e alienazione del patrimonio dello Stato (Patrimonio dello Stato S.p.A.), ha imposto altresì il rispetto delle finalità precipue dei b. pubblici anche nel caso di trasferimento della proprietà a soggetti privati.
Dal punto di vista tributario e fiscale, la nozione ha rilevanza ai fini della determinazione del reddito d’impresa e di quello da lavoro autonomo. Essa si applica ai b. impiegati stabilmente nell’attività imprenditoriale o professionale (o anche artistica) e che contribuiscono pertanto alla formazione del reddito. In via generale, anche i b. immobili possono essere strumentali. In particolare, nell’ambito delle imprese commerciali, si distingue, la strumentalità per natura, che si ha nel momento in cui gli immobili non sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni, dalla strumentalità per destinazione, che si riscontra quando l’immobile è impiegato, esclusivamente, per l’esercizio dell’attività, senza avere caratteristiche oggettive ben determinate. La cessione di b. strumentali dà luogo a plusvalenze (o minusvalenze). L’uso duraturo dei b. strumentali impone, inoltre, che il costo (di tali b.) venga distribuito in più esercizi, corrispondenti, in linea di principio, a quelli in cui il b. è utilizzato. Da ciò deriva la possibilità di dedurre il costo dei b. materiali strumentali per l’esercizio dell’impresa, a partire dall’esercizio di entrata in funzione del b. (t.u. delle imposte sui redditi, approvato con d.p.r. 917/1986, art. 102, co. 1), con l’eccezione dei b. di costo unitario non superiore a 516,46 euro, per i quali è prevista la deduzione integrale delle spese di acquisto nell’esercizio in cui sono state sostenute. Disposizioni speciali sono invece previste per l’ammortamento dei b. materiali strumentali per l’esercizio di alcune attività (t.u., art. 102 bis). Per la determinazione sia del reddito d’impresa sia di quello da lavoro autonomo, l’ammortamento dei b. materiali avviene in base a coefficienti che vengono stabiliti periodicamente attraverso provvedimenti ministeriali.
I b. sono, nell’accezione generale, risorse, prodotti o servizi, mediante i quali gli individui soddisfano bisogni e desideri. Sono b. economici i b. utili e disponibili in quantità limitata che hanno un prezzo di mercato positivo. I b. disponibili liberamente, in quantità illimitata rispetto ai bisogni, sono detti liberi e hanno costo nullo, perché liberamente accessibili. In accezione ristretta, i b. si distinguono dai servizi: i primi sono risorse o prodotti tangibili, mentre i secondi sono l’erogazione di prestazioni nel tempo (la lezione di un docente, la visita di un medico). In questo ambito, si distinguono i b. durevoli, che possono essere usati più di una volta senza logorarsi interamente (automobili, macchinari) dai b. non durevoli, completamente consumati nel corso di un unico uso (alimentari, materie prime, combustibili). I b. di consumo soddisfano direttamente i desideri di chi li usa, mentre i b. d’investimento (b. capitali o strumentali) sono impiegati come strumenti per produrre altri beni di consumo o d’investimento. Si dicono complementari i b. che si consumano congiuntamente (zucchero e caffè); sono detti fungibili o succedanei i b. che possono sostituirsi l’uno all’altro (burro e margarina). Sono b. inferiori quelli il cui consumo diminuisce quando il reddito della persona aumenta (la polenta). Sono, invece, b. di prestigio quelli la cui domanda non scende o perfino aumenta all’aumentare del loro prezzo, perché il loro possesso segnala la ricchezza e la posizione sociale di chi li acquista (imbarcazioni di lusso, gioielli). B. salario Espressione riferita ai b. che si ritiene formino il paniere di consumo abituale di una famiglia di lavoratori salariati.
Dal lato dell’offerta, i b. prodotti in un unico processo produttivo (il latte e la lana) si dicono a offerta congiunta; due b. sono, invece, concorrenti nell’offerta o alternativi se l’aumento d’offerta per uno di essi comporta riduzione d’offerta per l’altro (coltivazioni alternative sullo stesso terreno).
B. rifugio sono i b. che i risparmiatori ritengono in grado di preservare la ricchezza reale nel tempo e quindi, in periodo di inflazione, di conservare il valore reale della moneta investita per acquistarli, ovvero non esposti a perdite in conto capitale per la fluttuazione dei loro prezzi. Sono b. rifugio, di volta in volta, gli immobili, l’oro, le pietre preziose, gli oggetti d’arte, ecc.