Esigenza di un bene, cioè di cosa atta alla soddisfazione di un bisogno umano e individuale e quindi a contenuto non solo economico, ma anche morale, religioso, scientifico, sentimentale, umanitario.
Nel diritto processuale, i. a ottenere un bene (accertamento, costituzione di una situazione giuridica, restituzione o riparazione) a opera degli organi pubblici (giurisdizionali, amministrativi). Nel processo civile l’i. ad agire costituisce, insieme alla legittimazione ad agire e alla possibilità giuridica, una condizione dell’azione. Ciò comporta che esso debba esistere durante tutta la durata del processo. E così, laddove non sia presente nella domanda, costituendo un suo requisito di natura sostanziale, il giudice non può arrivare a esaminare il merito della causa ma si deve arrestare a una fase precedente e pronunciare una sentenza di rito. Se, al contrario, l’i. ad agire venisse meno nel corso della causa, si configurerebbe la cessazione della materia del contendere, con conseguente e relativa pronuncia di rito. L’i. ad agire deve esistere anche e soprattutto nella fase di decisione della causa; infine, in quella d’impugnazione, altrimenti quest’ultima deve essere dichiarata inammissibile. La mancanza dell’i. ad agire può essere rilevata anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo, come prevede l’art. 100 c.p.c., disponendo che «per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è necessario avervi interesse».
La maggior parte dei giuristi identifica l’i. ad agire nel bisogno di tutela giurisdizionale da parte del singolo, nel caso in cui egli, vantando un diritto rilevante per l’ordinamento, lo veda leso o inattuato e necessiti, rispettivamente, il ripristino dello status quo ante o la sua attuazione mediante l’esperimento dell’azione giudiziale. L’i. ad agire è l’affermazione dei fatti previsti dalle norme che legittimano il ricorso alla tutela tipica, quella espressamente prevista dal legislatore e non, invece, l’esistenza reale di tali fatti, giacché altrimenti ci si troverebbe di fronte al risultato del processo: la sentenza di merito.
Nell’azione di condanna, l’i. ad agire si fa valere nell’affermazione dei fatti costitutivi e lesivi del diritto. In caso di tutela di mero accertamento, esso consiste nel vanto o nella contestazione del diritto. Nell’azione costitutiva necessaria è nell’affermazione dei fatti previsti dalla norma che impone, al verificarsi di determinate circostanze, il ricorso agli organi giurisdizionali per ottenere la costituzione, modificazione o estinzione del rapporto giuridico. Infine, nella richiesta di tutela costitutiva non necessaria, l’i. ad agire consisterà, come nella condanna, nell’affermazione dei fatti costitutivi e lesivi del diritto. Nella fase d’impugnazione l’i. ad agire è nella soccombenza nel precedente grado di giudizio della parte che impugna. Ma, diversamente dall’i. ad agire in primo grado, nella fase d’impugnazione, esso deve esistere realmente e non deve essere soltanto affermato. Ciò per l’evidente ragione che è facilmente ravvisabile nella stessa sentenza impugnata e non implica, per la valutazione della sua esistenza, l’esperimento dell’impugnazione. Infine, si parla di i. ad agire nell’esecuzione forzata, ma ciò è improprio in quanto unica condizione di tale procedimento è costituita dal titolo esecutivo.
Abrogato dalla l. 86/1990, l’art. 324 c.p. configurava tale delitto nella condotta del pubblico ufficiale che, direttamente o per interposta persona, o con atti simulati, prendeva un i. privato in qualsiasi atto della pubblica amministrazione presso la quale esercitava il proprio ufficio. Il trattamento sanzionatorio prevedeva la reclusione e la multa. I fatti in precedenza ricompresi in questa fattispecie sono ora riconducibili al delitto di abuso d’ufficio.
Prezzo pagato da chi prende in prestito una somma di denaro (mutuatario) a colui che concede il prestito (mutuante). Di solito, l’entità dell’i. viene espressa in percentuale sull’entità del capitale prestato: tale rapporto rappresenta il tasso o saggio di interesse.
Nel sistema economico esistono diversi tassi d’i.: il tasso d’i. corrisposto dalle banche ai depositanti (tasso d’i. sui depositi bancari o tasso passivo); il tasso d’i. pagato alle banche da coloro che ricevono prestiti in denaro (tasso d’i. sui prestiti bancari o tasso attivo); il tasso d’i. pagato dagli emittenti (sia pubblici sia privati) delle obbligazioni ai sottoscrittori. La diversità dei tassi d’i. viene attribuita dagli economisti a due fattori: il diverso rischio che i vari prestiti comportano e la diversa durata dei prestiti stessi. Il rischio riguarda la solvibilità del debitore, che potrebbe non essere in grado di restituire il denaro alla scadenza, mentre la durata del prestito comporta, se lunga, sia un maggiore rischio d’insolvenza del debitore sia la rinuncia ad approfittare di occasioni d’investimento che intervengano nel periodo. Il tasso d’i. a lungo termine dovrebbe quindi essere maggiore di quello a breve termine. In periodi d’inflazione talvolta si verifica il contrario in quanto i tassi a breve termine possono innalzarsi velocemente fino a superare quelli contrattati in passato su prestiti a lungo termine. Nel tempo, tuttavia, esiste una tendenza dei tassi d’i. a breve e a lungo termine a livellarsi.
Si parla inoltre di tasso d’interesse nominale (misurato senza tener conto del tasso d’inflazione) oppure di tasso d’interesse reale (misurato come differenza tra il tasso d’i. nominale e il tasso d’inflazione) e di tasso d’interesse naturale (che risulterebbe dall’incontro della domanda con l’offerta del risparmio reale) ovvero di tasso d’interesse effettivo (che risulta dall’incontro della domanda con l’offerta complessiva di prestiti bancari e di moneta).
Accanto ai tassi d’i. bancari esistono i tassi d’interesse di mercato monetario che regolano i flussi di scambio di liquidità tra aziende di credito e tra aziende e privati. Si parla di tasso overnight nel caso l’operazione di scambio duri 24 ore; la media dei tassi overnight delle principali banche europee è noto come eonia. Per durate maggiori si parla di tasso d’interesse interbancario di durate diverse. Di particolare importanza è il tasso interbancario Euribor, cioè la media giornaliera dei tassi interbancari dell’area euro. Nato il 1° gennaio 1999, è utilizzato come base di riferimento del tasso variabile sui mutui bancari.
I tassi d’i. di mercato monetario sono strettamente legati al tasso ufficiale di sconto, cioè al tasso di rifinanziamento delle aziende di credito da parte della banca centrale. Rappresenta cioè il costo di provvista di liquidità da parte delle aziende di credito. La banca centrale usa il tasso ufficiale di sconto come leva per modificare la struttura dei tassi d’i. di mercato nell’economia.
La relazione tra tassi d’i. monetari, detti anche tassi a breve per la loro durata, e quelli su operazioni finanziarie di più lunga durata, come i titoli e le obbligazioni, è denominata struttura per scadenza dei tassi d’i. o curva dei rendimenti per scadenza dei tassi d’i. (yield curve). Quando la curva per scadenza è positivamente inclinata, allora gli operatori hanno delle aspettative di rialzo dei tassi d’interesse futuri (forward), che possono essere indotti anche da un’aspettativa di inflazione. Quando invece la curva è negativamente inclinata, ci si aspetta che in futuro i tassi a breve subiranno una discesa.
La dottrina canonistica medievale, basandosi soprattutto sul versetto evangelico «mutuum date, nihil inde sperantes» (Luca 6, 35), affermava l’illiceità dell’i., detto usura. Tale divieto divenne norma positiva del diritto della Chiesa e dei paesi civili tanto che per sfuggirvi, man mano che cresceva, con il rifiorire dell’attività economica, la necessità di prestiti produttivi, si diffusero contratti (come quelli di commenda) miranti a retribuire e quindi facilitare l’apporto di capitale nell’impresa. Il divieto dell’usura, sostenuto da alcuni anche in base al giudizio attribuito ad Aristotele sulla «sterilità della moneta» o in base all’inscindibilità dell’uso dalla proprietà delle cose fungibili secondo i giuristi romani, fu per secoli oggetto di discussioni e le critiche divennero sempre più appassionate (G. Calvino, C. Dumoulin) man mano che il divieto, in realtà largamente eluso con vari espedienti giuridici, si palesava in contrasto con le necessità dello sviluppo economico. In molti paesi (Inghilterra, Olanda, Austria, Francia ecc.) si arrivò alla sua abolizione già nel 16° sec., mentre nello Stato della Chiesa e in altri si dovette attendere la fine del 18° secolo.
Dovunque alle dispute sulla liceità successero quelle sulla misura dell’interesse. La nascente scienza economica cominciò allora ad appuntare la sua attenzione sul fenomeno dell’i., che per la sua influenza sui costi di produzione di tutti i beni, e quindi sui prezzi, sul valore del capitale sotto le sue varie forme, sulla rendita, sul salario e sul profitto, oltre che per la sua sensibilità alle variazioni di tutti gli elementi del sistema economico, è venuto poi sempre più rivelando la sua importanza di elemento chiave. Tra le prime teorie che hanno tentato di individuare i fattori che determinano il tasso d’i. si ricordano quelle secondo cui l’i. è il compenso per l’astinenza dal consumo immediato (W.N. Senior) ovvero per l’attesa della restituzione (A. Marshall, G. Cassel). Esse sono state poi sviluppate da E. Böhm Bawerk e I. Fisher che hanno sottolineato come il risparmio sia un atto mediante il quale si rinuncia a beni presenti per avere beni futuri. In base a queste teorie, pertanto, l’i. è il compenso per il risparmio prestato, per cui quanto più alto è il tasso d’i. tanto maggiore sarà il risparmio prestato, cioè l’offerta di prestiti. D’altra parte, quanto più alto è il tasso d’i. tanto minore sarà la domanda di prestiti, dato che il tasso d’i. rappresenta un costo per chi prende a prestito il denaro. Vi sarà quindi un livello di equilibrio del tasso d’i., cioè un valore di questo in grado di eguagliare la domanda all’offerta di prestiti.
Mentre secondo i suddetti economisti il tasso d’i. è un fenomeno reale, che esiste anche in un’economia di baratto, per J.M. Keynes il tasso d’i. è un fenomeno essenzialmente monetario. Egli definisce infatti la domanda di moneta come preferenza dell’individuo per la liquidità e l’i. come il premio per la rinuncia a tale liquidità. Le variazioni del tasso d’i. vengono attribuite da Keynes essenzialmente a variazioni dell’offerta di moneta: più in particolare, aumenti dell’offerta di moneta (tipicamente attraverso acquisti di titoli sul mercato aperto da parte della banca centrale) determinano diminuzioni del tasso d’i. e viceversa. Tale ragionamento, tuttavia, è valido in periodi di stabilità dei prezzi, in quanto in presenza di inflazione può accadere che un aumento della quantità di moneta determini un aumento dei tassi d’i. nominali offerti sul mercato finanziario e monetario; i tassi d’i. reali, al contrario, possono comunque rimanere inalterati o anche decrescere.
Le moderne teorie sull’i. sono abbastanza concordi nel definirlo un fenomeno sia monetario sia reale. Nel breve periodo, infatti, è probabile che il tasso d’i. sia determinato da oscillazioni della domanda e dell’offerta di moneta, dovute a movimenti speculativi, a variazioni nella politica monetaria e agli aggiustamenti delle aspettative degli operatori. Nel lungo periodo, tuttavia, le variabili fondamentali sono soprattutto quelle reali: la produttività del capitale, il risparmio, il consumo. Poiché le variazioni del tasso d’i. hanno notevoli ripercussioni sull’attività economico-produttiva (per es., bassi tassi d’i. stimolano gli investimenti, e quindi la produzione), esso rappresenta un importante strumento di politica economica.
Assunto come i. il reddito di un capitale C dato in prestito per un certo tempo t a un dato tasso, o saggio, r (frutto di 100 euro dati a prestito per un anno), l’i. può essere: semplice, quando gli i. maturati alla fine di ogni periodo non fruttano nuovi i., non sono cioè capitalizzati; esso si calcola con la formula I=C r t/100 se il tempo è espresso in anni, ovvero I=C r t/36.500 se il tempo è espresso in giorni; composto, quando gli i. vengono capitalizzati alla fine di ogni anno; si calcola con la
continuo, quando gli i. maturati in tempi ‘infinitesimi’ vengono capitalizzati man mano che si producono; si calcola con la formula I=C ert/100−C, dove e è la base dei logaritmi naturali.
Gli i. sono, per disposizione testuale di legge, frutti civili (art. 820 c.c.) e consistono nella prestazione periodica di un bene fungibile (in genere, una somma di denaro). Gli i. si dicono corrispettivi, se sono dovuti per remunerare il godimento di un capitale (ad esempio, nel caso del mutuo) o per riequilibrare il vantaggio che il debitore di somme liquide ed esigibili consegue dal trattenere presso di sé somme che avrebbe dovuto pagare, data la normale fruttuosità del denaro. Si dicono moratori se sono dovuti a titolo di risarcimento per il ritardo nell’adempimento di un’obbligazione pecuniaria. Si dicono, infine, compensativi (ma la categoria è discussa) se sono dovuti per compensare il creditore del mancato godimento del prezzo di un bene già consegnato (v. art 1499 c.c.). Gli i. possono poi essere, in base al titolo, legali se previsti direttamente dalla legge ovvero convenzionali se pattuiti dalle parti (per iscritto se il saggio è superiore a quello legale: art. 1284 c.c.).
I. usurari, e come tali illeciti, quando eccedono notevolmente la misura legale senza che a ciò faccia riscontro un adeguato corrispettivo (➔ usura).
In caso di ritardo nell’adempimento di un’obbligazione e in mancanza di patto speciale, gli i. si intendono sempre dovuti, e nella misura legale. Tuttavia, essi si prescrivono nel termine di 5 anni. Il pagamento effettuato dal debitore di una data somma e dei relativi i. va imputato prima agli i. (e alle spese) che al capitale. Gli i. scaduti, quando vi sia domanda giudiziale o convenzione posteriore alla scadenza, producono altri i. dal giorno della domanda o dalla data dell’accordo nella misura stabilita (i. composto o anatocismo). Gli i. usurari sono vietati e penalmente perseguiti, ma il mutuo che li contiene rimane valido, solo riducendosi di diritto la misura degli i. a quella legale (art. 1815 c.c.).
Secondo il sistema tributario attuale, il trattamento fiscale degli i. è differenziato in base alla tipologia degli i. stessi; questi ultimi sono suddivisi in quattro categorie: i. di mora, i. di dilazione di pagamento, i. corrispettivi e i. compensativi. A norma dell’art. 6, co. 2, d.p.r. 917/1986, gli i. moratori e gli i. per dilazione di pagamento costituiscono redditi della stessa categoria di quelli da cui derivano i crediti su cui si sono maturati. Con tale disposizione si è affermato il principio secondo cui gli i. delle suddette tipologie si inquadrano all’interno della categoria di reddito nella quale si qualifica la somma cui accedono, superando la precedente regolamentazione che sanciva la tassazione di ogni tipo di i. in qualità di reddito di capitale. Gli i. corrispettivi sono quelli che trovano la loro fonte in un atto di impiego del capitale (per es., gli i. percepiti dal contribuente a fronte di obbligazioni, titoli o conti correnti); tali i. sono, invece, considerati redditi di capitale e assoggettati alla relativa disciplina. Secondo l’attuale regolamentazione (ma anche in precedenza), si ritiene che gli i. compensativi non siano assoggettati a tassazione. Ai fini fiscali, inoltre, la nozione di i. compensativi è stata individuata in modo autonomo rispetto a quella contenuta nel codice civile; tali i. sono stati identificati in quelli che non nascono da un atto di impiego del capitale, in quanto sono corrisposti allo scopo esclusivo di reintegrare una perdita patrimoniale. In particolare, sono considerati i. compensativi quelli dovuti dall’Amministrazione finanziaria per il ritardato rimborso delle somme versate o riscosse indebitamente o quelli dovuti in caso di risarcimento del danno alla persona. Nell’ambito del testo unico una peculiare disciplina è prevista all’interno del reddito d’impresa per gli i. attivi e per quelli passivi.
Fin dove si spinge il principio di infrazionabilità della domanda: il caso del capitale e degli interessi di Fabio Cossignani