D. giudiziale Atto introduttivo del processo e costitutivo di esso, con il quale si chiede al giudice l’emanazione di un provvedimento a tutela del diritto sostanziale dedotto in giudizio.
Il potere di proporre la d. è costituzionalmente garantito, poiché l’art. 24 Cost. permette a tutti di «agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi». L’art. 99 c.p.c. enuncia il principio in base al quale «chi vuol far valere in giudizio un diritto deve proporre d. al giudice competente», principio contenuto anche nell’art. 2907 c.c., secondo cui «alla tutela giurisdizionale dei diritti provvede l’autorità giudiziaria su domanda di parte».
Il principio della d. (o della disponibilità della tutela giurisdizionale) attua sul piano processuale la regola della disponibilità dei diritti soggettivi, la cui tutela può, di regola, essere richiesta solo dal titolare del diritto stesso. Inoltre il principio della d. tende a garantire l’imparzialità e la terzietà del giudice, impedendo che il soggetto chiamato a decidere la causa abbia anche il potere di instaurare il processo. Il principio della d. è rispettato nei casi tassativi in cui il pubblico ministero ha potere d’azione, mentre in ipotesi particolari (in materia di giurisdizione volontaria) subisce delle eccezioni, potendo il giudice procedere d’ufficio. Dalla proposizione della d. sorge il potere-dovere del giudice di pronunciarsi «su tutta la d. e non oltre i limiti di essa»; il giudice non può neanche decidere le eccezioni proponibili solo dalle parti (art. 112, c.p.c., principio della «corrispondenza tra il chiesto e pronunciato»), pena la nullità della sentenza per omissione di pronuncia o per ultrapetizione.
La d. si propone generalmente con citazione(➔) a comparire a udienza fissa e, nei casi stabiliti dalla legge, con ricorso (➔). La d. può essere proposta anche dal convenuto ( d. riconvenzionale) o da un terzo mediante intervento. Dal momento della notificazione della citazione al convenuto si producono gli effetti di carattere processuale e sostanziale della domanda. I primi sono: la litispedenza (art. 39, c.p.c.); la perpetuatio iuridictionis (art. 5, c.p.c.); l’acquisizione del carattere controverso del diritto dedotto ai fini dell’applicazione dell’art. 111 c.p.c.; la determinazione del momento in cui si valuta la sussistenza delle condizioni dell’azione. Gli effetti sostanziali della d. sono diretti a evitare che il processo torni a danno di colui che ha ragione. Dalla notificazione dell’atto introduttivo del giudizio (di cognizione, conservativo, esecutivo e arbitrale), o da una d. proposta nel corso dello stesso, la prescrizione viene interrotta – «anche se il giudice adito è incompetente» (art. 2943, c.c.) – e decorrerà nuovamente dal passaggio in giudicato della sentenza «che definisce il giudizio» (art. 2945, c.c.). Inoltre, la notificazione della d.: a) evita il verificarsi delle decadenze (art. 2966, c.c.); b) obbliga il possessore di buona fede a restituire i frutti derivanti dalla cosa (art. 1148, c.c.); c) impedisce di compiere la prestazione, e di chiederne l’adempimento, quando è stata domandata la risoluzione del contratto (art. 1453, c.c.); d) permette che gli interessi scaduti producano ulteriori interessi («anatocismo», art. 1283, c.c.); e) comporta che il possessore o il detentore – convenuto nell’azione di rivendicazione – che ha «cessato, per fatto proprio, di possedere o detenere la cosa» sia tenuto «a recuperarla per l’attore a proprie spese, o in mancanza a corrispondergliene il valore, oltre a risarcirgli il danno» (art. 948, c.c.); f) impedisce al debitore di pagare «all’uno o all’altro dei creditori in solido» (art. 1296, c.c.). Gli effetti della sentenza di accoglimento della d. proposta sono opponibili a quei terzi che hanno trascritto il proprio atto di acquisto successivamente alla trascrizione della d. giudiziale (art. 2652-2653, c.c.).
Richiesta di beni o servizi sul mercato. La d. individuale è la quantità di un bene che un individuo è disposto ad acquistare in un dato momento a un dato prezzo. Corrispondentemente, il prezzo di d. è il prezzo massimo che l’individuo è disposto a pagare in un dato momento per una data quantità di un bene, la scheda, schedula o lista di d., la serie di prezzi che l’individuo è disposto a pagare per acquistare successive dosi di un bene, o il numero delle dosi che è disposto ad acquistare ai vari prezzi. La rappresentazione grafica della relazione prezzo-quantità è detta curva di domanda.
La somma delle d. individuali dà poi la d. totale o di mercato, che si esprime con una curva analoga, da cui risulta evidente come la quantità domandata, sia da un solo individuo sia dalla collettività, aumenti con il diminuire del prezzo e viceversa. Questa uniformità, cui si è dato il nome di legge della d., subisce però alcune eccezioni reali: a) per i beni che soddisfano i bisogni non facilmente contraibili (per es., spese mediche), nel qual caso l’aumento del prezzo può non provocare diminuzione della richiesta; b) per speciali categorie di prodotti di lusso, per i quali i consumatori più abbienti non si lasciano scoraggiare dall’aumento del prezzo e contraggono anzi la loro richiesta quando il prezzo stesso diminuisce permettendo al prodotto di lusso di diventare d’uso comune; c) per i beni di prima necessità e di consumo generale (per es., il pane), per i quali l’aumento o la diminuzione del prezzo non si traducono rispettivamente in contrazione o dilatazione del consumo del bene stesso, ma inducono, per il cosiddetto paradosso di Giffen (➔ Giffen, sir Robert) a ridurre o ad aumentare l’acquisto di altri beni; d) qualora mutino i gusti degli individui in modo da indurli a comperare di più nonostante il prezzo aumenti e viceversa.
Si hanno invece eccezioni soltanto apparenti nelle operazioni di borsa, nelle quali si verifica un aumento della d. di titoli, valute, merci quando le quotazioni tendono a salire e viceversa, in questo caso interviene infatti l’elemento speculativo che induce ad acquistare o vendere in previsione dell’ulteriore futuro rialzo o ribasso delle quotazioni stesse. Analogo comportamento del mercato si verifica pure quando si teme la rarefazione di una merce e si cerca quindi di accaparrarsela nonostante il prezzo aumenti, o quando viceversa, passato il pericolo, gli acquisti diminuiscano nonostante la riduzione del prezzo.
La d. si dice elastica, quando la quantità domandata tende a variare in proporzione o più che proporzionalmente al variare del prezzo, e rigida o anelastica quando invece risente meno che proporzionalmente o non risente affatto di tale variazione. La quantità domandata varia anche col variare dei prezzi degli altri beni, secondo il valore dell’elasticità incrociata, e col variare del reddito.
La d. può riguardare sia beni di consumo sia fattori di produzione; nel primo caso proviene dai consumatori e dipende soprattutto dal loro reddito (oltre che dal sistema dei prezzi e dai gusti), mentre nel secondo proviene dagli imprenditori ed è in funzione degli sperati margini di profitto e quindi in definitiva della possibilità di assorbimento del mercato.
Nella teoria, oltre all’analisi della d. di singoli beni, legata soprattutto al nome di A. Marshall, si è dato particolare rilievo – su impulso di J.M. Keynes – ai problemi di macroeconomia, in cui si prende in esame la d. globale (o complessiva o aggregata) che rappresenta l’ammontare totale di beni domandati dal sistema economico. In generale, essa dipende dal livello del reddito del sistema economico e va distinta in effettiva e programmata. La d. effettiva è data dalle quantità di beni che vengono effettivamente acquistate dal pubblico per consumi e per investimenti, la d. programmata è costituita dall’ammontare dei consumi che le famiglie prevedono di fare e dall’ammontare degli investimenti programmati dalle imprese. La d. globale effettiva è quella che viene misurata nella contabilità nazionale; essa è rappresentata, più precisamente, dalla d. delle famiglie per beni e servizi di consumo, dalla d. delle imprese e dello Stato per beni di investimento, dalla d. di autorità di governo centrali e locali per beni e servizi, dalla d. di consumatori e imprese di altri paesi per beni e servizi nella forma di esportazioni. Poiché la d. globale determina il livello della produzione e quindi dell’occupazione, l’analisi delle determinanti di queste sue componenti costituisce il nucleo centrale dell’analisi keynesiana della determinazione del reddito nazionale e della occupazione.
Per la teoria della d. derivata, più nota sotto il nome di principio di accelerazione (relazione che indica come la variazione del reddito, o del consumo, influisce sul livello aggregato degli investimenti) ➔ accelerazione. Teoria della d. internazionale reciproca Elaborazione della originaria teoria ricardiana dei costi comparati che fu sviluppata soprattutto da J. Stuart Mill e A. Marshall per determinare, partendo appunto dalle curve di d., il valore normale internazionale.
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