In diritto, serie di atti tra loro collegati e rivolti al conseguimento di uno stesso fine, tale per cui a ogni atto (o gruppo di atti) interno alla serie è riconducibile un’efficacia giuridica di tipo propulsivo (cioè necessaria al compimento dell’atto successivo) nell’ambito della successione che compone il procedimento.
P. giurisdizionali diretti a garantire l’effettività della tutela dichiarativa in quanto volti a evitare che la durata del processo civile di cognizione possa arrecare un pregiudizio all’attore titolare del diritto soggettivo bisognoso di tutela. Nel nostro ordinamento, fatta salva l’ipotesi in cui si sia già in possesso di un titolo esecutivo, il concreto soddisfacimento dei diritti soggettivi violati impone al titolare dello stesso di ricorrere alla tutela dichiarativa per ottenere un provvedimento di cognizione dotato di quella efficacia esecutiva (sentenza di condanna, decreto ingiuntivo ecc.) che gli consenta di attuare coattivamente il suo diritto (➔ esecuzione). D’altro canto, il tempo che occorre fisiologicamente al processo di cognizione per consegnare nelle mani dell’attore un titolo esecutivo giudiziale può arrecare all’attore stesso un danno (periculum in mora), che, secondo i casi, può assumere due diverse connotazioni: il danno da infruttuosità e quello da tardività. Nel primo caso il provvedimento cautelare, che viene detto conservativo, mira a evitare che la durata del processo di cognizione renda praticamente infruttuosa la messa in esecuzione del titolo esecutivo successivamente ottenuto, in quanto, per es., il bene che si pretende è oramai andato perduto o distrutto. Nel secondo caso il provvedimento cautelare, detto anticipatorio, mira a evitare che il soggetto titolare del diritto permanga in uno stato di insoddisfazione, in quanto è la stessa permanenza in tale stato, che produce un danno successivamente non riparabile. Il rapporto che intercorre tra i p. cautelari rispetto al processo di cognizione deve essere qualificato, come insegna la dottrina tradizionale, in termini di strumentalità. Da ciò ne deriva, sul piano strutturale, la provvisorietà del p. cautelare e la sommarietà della cognizione che conduce a esso.
La disciplina comune dei p. cautelari, introdotta con la l. 353/90, è prevista agli art. 669 bis s. c.p.c. e si applica ai sequestri, alle denunce di nuova opera e di danno temuto, ai provvedimenti d’urgenza e, in quanto compatibile, ai p. cautelari previsti dal c.c. o da leggi speciali, nonché, ma solo in riferimento alle disposizioni che disciplinano la riproponibilità della domanda cautelare, anche ai provvedimenti di istruzione preventiva. La forma della domanda cautelare è il ricorso e può essere proposta sia prima sia dopo l’introduzione della causa di merito. Sebbene nel contesto di specifiche regole, per la determinazione del giudice competente il criterio tendenziale seguito dalla legge assegna la competenza cautelare al giudice competente a decidere nel merito la controversia (art. 669 ter-669 quinquies c.p.c.). Nel p. cautelare il giudice, sentite le parti e omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo più opportuno agli atti di istruzione che ritiene indispensabili in relazione ai presupposti (fumus boni iuris e periculum in mora) e ai fini del provvedimento richiesto e provvede con ordinanza all’accoglimento o al rigetto dell’istanza (art. 669 sexies, I, c.p.c.). Se la convocazione della controparte può pregiudicare l’attuazione del provvedimento, il giudice, assunte ove occorra sommarie informazioni, provvede subito con decreto motivato, fissando una successiva udienza di comparizione per confermare, modificare o revocare con ordinanza i provvedimenti previamente presi con il decreto (art. 669 sexies, I, c.p.c.). L’efficacia preclusiva dell’ordinanza di rigetto è così disciplinata: se il giudice rigetta per incompetenza o per altre ragioni di rito, la domanda è liberamente riproponibile; negli altri casi la riproposizione richiede che si verifichino mutamenti nelle circostanze o che vengano dedotte nuove ragioni di fatto o di diritto (art. 669 septies c.p.c.). Come detto, l’efficacia del p. cautelare è provvisoria ed è disciplinata dalla legge distinguendo la natura o la tipologia della misura ottenuta. I p. cautelari anticipatori, i p. d’urgenza, nonché i p. emessi in seguito alle denunce di nuova opera o di danno temuto, perdono la loro efficacia quando l’istante non provvede al versamento della cauzione che condizionava la concessione della misura, o quando il giudizio di cognizione dichiara inesistente il diritto soggettivo sottoposto a cautela. Gli altri p. cautelari perdono efficacia, oltre che nelle suddette due ipotesi, anche se il giudizio di merito non è iniziato nel termine perentorio di 60 giorni o nel termine eventualmente minore fissato dal giudice, oppure se tale giudizio si estingue (cfr. art. 669 octies e 669 novies). Se si verificano mutamenti nelle circostante, o se si viene a conoscenza solo successivamente di fatti preesistenti alla concessione della misura, può essere richiesta la revoca o la modifica della stessa (art. 669 decies). Inoltre, contro l’ordinanza che concede o nega la misura cautelare, è possibile proporre reclamo per contestare la validità o la giustizia del p. (art. 669 terdecies).
Il reclamo si svolge in camera di consiglio, davanti al collegio a cui non partecipa il giudice singolo del tribunale pronunciatosi sull’istanza, oppure davanti ad altra sezione della corte d’appello, rispetto a quella già pronunciatasi, o, in mancanza, davanti alla corte d’appello più vicina. Il giudice investito del reclamo può assumere informazioni e acquisire nuovi documenti. La proposizione del reclamo non sospende l’esecuzione del p., tuttavia il presidente del tribunale o della corte, quando per motivi sopravvenuti il p. arrechi grave danno, può disporre con ordinanza non impugnabile la sospensione dell’attuazione del p. o subordinarla alla prestazione di congrua cauzione. Salvo quando disposto specificamente per i sequestri, l’attuazione dei p. cautelari aventi a oggetto il pagamento di somme di denaro avviene con le forme dell’espropriazione forzata in quanto compatibili, mentre l’attuazione delle misure cautelari aventi a oggetto obblighi di consegna, di rilascio, di fare o non fare, avviene sotto il controllo del giudice che ha disposto la misura stessa, il quale ne determina le modalità di attuazione e, ove sorgano difficoltà o contestazioni, dà i provvedimenti opportuni sentite le parti (art. 669 duodecies c.p.c.).
Per p. legislativo si intende quello specifico p. il cui risultato finale consiste nell’adozione di una legge. Il procedimento legislativo costituisce manifestazione della principale, anche se non unica, funzione espletata dal Parlamento, la funzione legislativa (Separazione dei poteri). La Costituzione italiana, in virtù della sua rigidità, ha distinto, a differenza dello Statuto albertino, tra il procedimento legislativo (artt. 71 ss. Cost.) e il procedimento di revisione costituzione (art. 138 Cost.; Revisione costituzionale), che si struttura in modo diverso dal primo.
Le fasi del procedimento legislativo. - In quanto serie predeterminata giuridicamente e coordinata di atti rivolti a uno stesso risultato finale, il procedimento legislativo si articola in più fasi. La maggioranza degli studiosi parla di tre fasi diverse – quella dell’iniziativa, quella della decisione e quella dell’integrazione dell’efficacia – anche se vi è chi parla di quattro fasi, distinguendo la fase della decisione in due distinti momenti (la fase istruttoria e la deliberazione vera e propria), ovvero distinguendo la fase integrativa dell’efficacia nelle due fasi della promulgazione e della pubblicazione.
Per quanto riguarda la fase dell’iniziativa, hanno diritto di presentare una proposta di legge: ogni singolo parlamentare; il Governo; almeno 50 mila elettori (la c.d. iniziativa popolare; art. 71, co. 2, Cost.); ciascuna Regione (art. 121, co. 2, Cost.); il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, anche se fino alla l. n. 936/1986 tale facoltà era limitata alle sole materie economico-sociali (art. 99, co. 3, Cost.). Tra tutti questi soggetti, solo il Governo è quello che gode di una competenza di tipo generale e, peraltro, in determinate materie (bilancio preventivo; rendiconto consuntivo; legge finanziaria) è l’unico soggetto legittimato a presentare disegni di legge (si parla in questo caso di un’iniziativa obbligatoria e riservata). A questi cinque soggetti una parte della dottrina ha aggiunto i Comuni, limitatamente alla modifica delle circoscrizioni provinciali o all’istituzione di nuove province (art. 133, co. 1, Cost.; l. n. 142/1990), ma, secondo altri, non si tratterebbe in questo caso di un’iniziativa legislativa vera e propria. In ogni caso, l’iniziativa legislativa non può svolgersi al di fuori di questa ristretta cerchia di soggetti, in quanto il conferimento ad altri organi o enti di tale facoltà può avvenire solo tramite una legge costituzionale (art. 71, co. 1, Cost.). Va detto, comunque, che l’iniziativa si riduce a un mero diritto di presentazione di un articolato e non comporta il diritto di vedere discusse (né, tantomeno, approvate) le proprie proposte.
Per quanto riguarda la fase della decisione, il procedimento si articola nel lavoro in Commissione e nel lavoro in Aula. L’organizzazione del lavoro in Commissione risponde non solo a una necessità di carattere procedurale (se la discussione dovesse avvenire esclusivamente in Aula, il procedimento sarebbe eccessivamente lento e macchinoso), ma ha anche una sua specifica tradizione nell’ambito della prassi parlamentare. La Costituzione (e i regolamenti parlamentari, cui rinviano gli artt. 64 e 72 Cost.) distinguono diverse procedure. Il procedimento ordinario, ovvero il procedimento che viene utilizzato normalmente, viene detto per commissione referente. Una volta che sia stata presentata una proposta di legge a una delle due Camere, il Presidente dell’Assemblea la assegna alla Commissione competente per materia perché venga discussa. La Commissione può essere o una di quelle permanenti o una speciale costituita ad hoc. In ogni caso, le Commissioni devono rispettare il fondamentale principio della proporzionalità dei gruppi (devono essere formate, cioè, in modo proporzionale alla consistenza numerica dei gruppi parlamentari). Qualora ci siano più proposte di legge sullo stesso argomento, la Commissione può unificarle tra loro o, comunque, ridurne il numero. Nella Commissione possono essere presentati (e votati) emendamenti al testo: l’eventuale reiezione di un emendamento nella Commissione non pregiudica, tuttavia, la sua riproponibilità durante la discussione nell’Aula.
Una volta esaurita la discussione del progetto di legge, la Commissione approva il testo insieme a una relazione finale in cui vengono esposti l’attività svolta e gli orientamenti emersi durante la discussione: di questa relazione viene incaricato un componente della Commissione, che ne riferisce poi all’Aula (di qui la denominazione per commissione referente). In presenza di progetti di legge politicamente importanti, possono essere previsti più relatori, uno per la maggioranza e uno (o più) per la minoranza.
Una volta esaurito il lavoro della Commissione, il testo passa all’Aula (fase della deliberazione). È in questa fase che la procedura mostra il suo evidente tributo alle teorie politico-costituzionali di J. Bentham, in quanto si utilizza ancora il sistema benthamiano delle c.d. tre letture: il progetto viene, cioè, prima discusso nelle linee generali, poi si passa alla discussione dei singoli articoli, degli eventuali emendamenti e alla votazione del testo definitivo di ogni singolo articolo e, infine, si passa alla votazione dell’intero testo di legge, così come risulta a seguito dell’esame svolto articolo per articolo. Quest’ultima lettura ha uno scopo essenzialmente garantistico, in quanto serve ad evitare che il coagularsi estemporaneo di maggioranze sulla votazione di un singolo articolo pregiudichi la ratio della proposta originaria.
Delle tre letture, la seconda è sicuramente la fase più complessa e più lunga dell’intero procedimento. Momento centrale di essa è la discussione e la votazione degli emendamenti. Il potere di emendamento è un potere fondamentale del Parlamento: secondo parte della dottrina, esso è una manifestazione essenziale della stessa funzione legislativa. Gli emendamenti possono essere presentati dai parlamentari o dallo stesso Governo: per evitare abusi nella loro proposizione, un ruolo fondamentale spetta al Presidente dell’Assemblea, il quale può dichiararli inammissibili. Nel caso in cui il Governo voglia bloccarli, può ricorrere alla questione di fiducia (Fiducia parlamentare), a seguito della quale tutti gli emendamenti decadono e si vota soltanto sul testo presentato dal Governo.
I procedimenti legislativi semplificati. - Oltre al procedimento ordinario ne sono previsti anche altri semplificati. Anzitutto, è prevista la possibilità di un procedimento legislativo abbreviato per quei disegni di legge dei quali è dichiarata l’urgenza (art. 72, co. 2, Cost.; artt. 69, 79, e 81 reg. Camera; 107 reg. Senato). In questi casi, la Commissione è ammessa a riferire oralmente e i tempi vengono ridotti. Un caso peculiare di procedimento legislativo abbreviato è, in particolare, la conversione di un decreto-legge, che, pur utilizzando il procedimento per commissione referente (art. 96-bis reg. Camera), vede i suoi tempi drasticamente ridotti in virtù dell’esiguo margine di tempo entro il quale esso deve essere convertito in legge. Una procedura diversa da quella per commissione referente è quella per commissione deliberante, prevista per la prima volta con la l. n. 129/1939 ed ora disciplinata all’art. 72, co. 3, Cost.: in questo caso, alla Commissione spetta non solo la fase istruttoria, ma anche la fase deliberativa. Va detto, però, che questa peculiare procedura è soggetta a una serie di limiti. In primo luogo, non può essere utilizzata per alcune specifiche materie, che l’art. 72, co. 4, Cost. riserva esclusivamente alla commissione in sede referente (leggi di delegazione, leggi di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali, leggi di approvazioni di bilanci e rendiconti, materia costituzionale e materia elettorale). Inoltre, resta sempre possibile tornare al procedimento ordinario quando lo richiedano il Governo, un quinto dei componenti della Commissione o un decimo dei componenti dell’Aula.
Una forma intermedia tra la commissione referente e la commissione deliberante è la c.d. Commissione redigente, prevista esclusivamente nei regolamenti parlamentari (art. 96 reg. Camera; art. 35 reg. Senato): alla Commissione spetta la discussione e la votazione articolo per articolo, mentre all’Aula spetta la sola votazione finale. Pur se non esplicitamente menzionato, la Commissione redigente incontra gli stessi limiti della Commissione deliberante.
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