Termine sotto il quale si è soliti comprendere tre significati distinti: una serie di attività volte a far apprendere un insieme coordinato di conoscenze; il risultato riscontrabile nel soggetto dell’insegnamento a lui impartito; l’insegnamento istituzionalizzato entro strutture scolastiche ed extrascolastiche.
L’istruire, in quanto fornire strutture, è un passo ulteriore rispetto all’insegnare, ossia all’imprimere segni, per cui non vi è corrispondenza esatta tra insegnamento e istruzione. Quest’ultima non è puro e semplice travaso di conoscenze, ma alimentazione di processi cognitivi che presuppone la partecipazione attiva del discente, o meglio una comunicazione interpersonale (tra docente e discente) e interattiva (tra discente e aspetti della realtà assunti in forma problematica). L’i. consiste nel fornire al discente insegnamenti sequenziali (ossia successivi e propedeutici per ulteriori progressi) e strutturati (ossia coordinati logicamente per ulteriori espansioni), con i quali egli si rende partecipe del progresso culturale in genere. La funzione mediatrice del docente si pone tra un sapere ordinato e codificato da un lato e i processi cognitivi maturati, o in via di maturazione, nel discente dall’altro. Chi presiede all’i. valorizza o predispone situazioni di esperienza affinché il discente sia stimolato nelle sue operazioni intellettuali e sia posto in grado di valutare egli stesso le conoscenze che viene acquisendo.
Nei trattati di pedagogia e didattica è tuttora frequente la distinzione tra educazione e i.: la prima, intesa come formazione generale del carattere o, in senso più esteso, della personalità; la seconda, intesa come padronanza di determinate informazioni e tecniche, e acquisita dal soggetto in riferimento a campi specifici di conoscenze e di attività. Per quanto la distinzione conservi una sua fondatezza, non può esservi educazione completa se il soggetto non è fornito degli strumenti indispensabili sia per valutare secondo propri criteri sia per agire secondo proprie scelte, così come non può esservi i. vera e propria se essa non è capacità di fondare e ampliare le proprie conoscenze o affinare le proprie abilità secondo determinati fini.
A un ben preciso bagaglio di informazioni la cui diffusione si desidera universale e all’utilizzazione di procedimenti istituzionalizzati fa riferimento anche l’espressione i. obbligatoria, che allude a quella fascia scolastica considerata un diritto e un dovere per il giovane cittadino di una certa società politica (in Italia attualmente l’i. obbligatoria giunge ai 16 anni, così come previsto da d.m. 139/2007).
L’età antica. La storia dell’i. coincide in larga parte con la storia della riflessione didattica. La prima traccia di i. è presente nelle civiltà orientali, sia con la preparazione impartita agli scribi, sia con quella fornita ai sacerdoti nell’antico Egitto. Ma un vero e proprio discorso sull’i. e sul modo in cui praticarla è presente solo nelle concezioni educative di Sparta e Atene. A Sparta i bambini erano affidati alle cure dello Stato, che già all’età di 7 anni interveniva sottraendoli alle cure della famiglia e solo all’età di 30 li lasciava liberi. Il sistema, in cui poco posto spettava alla cultura intellettuale, era di carattere prevalentemente militare e fisico. Ad Atene i bambini erano invece affidati dapprima alla madre e alla nutrice, poi mandati, dopo i 7 anni, alle scuole, che pare esistessero già nel 6° sec. a.C. e che erano private, anche se con qualche controllo dello Stato. I bambini vi facevano esercizi letterari, di musica e di ginnastica. Con Socrate e i sofisti, la scuola in Atene si fa sempre più ricca e viva; l’aritmetica, la geometria, il disegno diventano materia d’insegnamento, il gusto alla ricerca e alla discussione si accende. Il curriculum presentato da Platone prevedeva inizialmente un’i. limitata a calcoli e misurazioni applicate a problemi concreti, per poi passare, dopo una parentesi militare, a un esame della matematica, dell’astronomia e dell’acustica. Infine l’i. si concludeva per Platone con 5 anni dedicati allo studio della dialettica. Ma i caratteri propri dell’i. greca sono presenti nelle riflessioni di Isocrate, che considera di secondaria importanza la matematica e la dialettica e mette al primo posto lo studio della grammatica e dei classici. In Aristotele troviamo infine alcune considerazioni sui metodi più idonei da seguire nell’i.: si insiste sull’opportunità di una gradualità dell’i. e di un’i. che parta dall’osservazione per risalire ai principi generali.
Tuttavia il periodo più luminoso della scuola nell’età antica è indubbiamente quello ellenistico: nascono, accanto alle tradizionali scuole filosofiche ateniesi, i grandi centri di cultura presso le corti di Alessandria (con la Biblioteca e il Museo), Pergamo, Antiochia, Rodi ecc. Nell’i. ellenistica diminuì l’importanza sia dell’educazione fisica sia della musica. Materie della scuola primaria erano il leggere, lo scrivere e il contare, mentre la scuola secondaria era concentrata prevalentemente sulla letteratura, e in particolare sui classici (specialmente Omero, Euripide, Menandro e Demostene). L’i. ellenistica prevedeva inoltre altre materie, a livello estremamente elementare, come la geometria, l’aritmetica e l’astronomia (si configura così – in età ellenistica – il ‘ciclo delle arti liberali’). In questo periodo si ha anche un inizio d’i. professionale, principalmente al livello superiore, nella preparazione dei medici.
A Roma il problema educativo è strettamente congiunto con l’istituto della famiglia. Il pater familias può disporre in tutto dei propri figli; quindi anche la loro educazione e i. è interamente affidata a lui o a chi egli delega a tale compito. In tal modo l’educazione del bambino esclude ogni ingerenza di altri poteri e di altri indirizzi ed è orientata al vantaggio e all’incremento della famiglia, serbando un carattere essenzialmente pratico. Non si può stabilire quando sia sorta a Roma la prima scuola pubblica: certo nel 3° e nel 2° sec. a.C. i metodi d’insegnamento subirono l’influenza greca. In complesso le scuole a Roma erano di tre gradi: una primaria tenuta dal litterator, una secondaria tenuta dal grammaticus, che leggeva e spiegava gli scrittori latini e greci, una superiore affidata al rhetor, in cui si apprendeva l’arte del parlare. Escluse la musica e la danza, come occupazioni servili, gli esercizi fisici avevano uno scopo puramente militare. Vespasiano decretò sovvenzioni ad alcune scuole, e dopo di lui Adriano ne fondò molte ponendole sotto il controllo dello Stato.
Il Medioevo. - Nel Medioevo tutto il curriculum al centro dell’i. era finalizzato a un uso teologico: la conoscenza della grammatica greca, latina ed ebraica, della storia, delle scienze naturali, di geografia, di astronomia e una certa informazione sulle arti meccaniche erano ritenute indispensabili per rendere possibile la comprensione delle Sacre Scritture. La dialettica era poi insegnata come mezzo per contrastare posizioni ereticali e la retorica per presentare in modo più efficace le verità rivelate. Inoltre, i metodi d’insegnamento erano strettamente legati alle nuove forme della vita, politica ed economica. Particolare peso ebbe il rilievo dato nei monasteri benedettini a un’i. che avviasse ai lavori manuali. Contro il rifiuto che dell’i. manuale si era avuto nel mondo greco-romano, si assiste ora a una rivalutazione dell’i. professionale. Dopo il Mille, sorsero le prime università, sia per editto sovrano o vescovile, sia, come nel caso delle più illustri e antiche, quelle di Bologna e di Parigi, come fusione delle scuole private più note con l’organizzazione scolastica statale. Il metodo d’insegnamento più diffuso era quello dialogico, dal quale derivò poi l’istituto dell’esame.
Umanesimo, Riforma e Controriforma. - Le grandi correnti umanistiche che si occuparono dell’insegnamento in genere fanno capo a Giovanni da Ravenna (1343-1408): egli propugnava un nuovo metodo d’insegnamento più intimo e spirituale, che avesse le sue basi in una rispondenza d’affetto tra il maestro e il discente e in una collaborazione tra la scuola e la famiglia. A Padova (tra il 1392 e il 1396) dalla scuola di Giovanni da Ravenna uscirono P.P. Vergerio, che fu il teorico di questo nuovo metodo di educazione, Guarino da Verona e Vittorino da Feltre, che ne furono i grandi realizzatori pratici.
Nuovo impulso al rifiorire degli istituti scolastici fu dato dai moti religiosi della Riforma e della Controriforma. Con la dottrina di M. Lutero, la conoscenza della Bibbia diventava necessaria per la conoscenza della verità e per la salvezza: necessario quindi era saperla leggere e comprendere. Ne derivava da una parte il diritto di tutti al sapere, dall’altra il dovere per la società di far sì che questo diritto potesse essere soddisfatto. Di qui il grande interessamento di Lutero per la diffusione dell’i. popolare e per l’introduzione dell’obbligatorietà della frequenza alla scuola. Anche H. Zwingli e G. Calvino si occuparono del problema della scuola sia dal punto di vista teorico, sia dal punto di vista dell’organizzazione pratica.
La necessità di creare, così nel clero come nei laici, una coscienza religiosa che si opponesse validamente alla propaganda protestante, determinò la Chiesa cattolica a vari provvedimenti per la riorganizzazione della scuola. Con tale intento il Concilio di Trento emanò una serie di decreti sulle istituzioni scolastiche, da cui sarebbe derivato un gran fiorire di opere educative e sociali: basti pensare all’opera di s. Carlo Borromeo e di s. Giuseppe Calasanzio, il fondatore di quelle Scuole Pie che sono il primo esempio di scuola elementare gratuita; all’opera di M. De Sadis Cusani a Roma, di I. Galantini a Firenze. Furono fondati nuovi ordini religiosi, rivolti all’educazione cattolica: i teatini, i somaschi, i barnabiti, le orsoline. I gesuiti soprattutto crearono una perfetta organizzazione scolastica, compendiata nella Ratio atque institutio studiorum stesa nel 1599 dal padre generale C. Acquaviva, dando ampio sviluppo al sistema del collegio.
Dal 17° al 19° secolo. Nel 17° sec. ebbero particolare rilievo le considerazioni sull’i. di Comenio, dei giansenisti e di J. Locke. Per Comenio l’i. doveva porsi al passo con la rivoluzione scientifica operata da F. Bacone e da G. Galilei. I giansenisti, nelle piccole scuole diffuse in Francia intorno al 1650, promossero un’i. che, utilizzando il latino, la matematica e la logica, permettesse al discente di sviluppare in pieno le proprie capacità razionali. Un’i. finalizzata alle esigenze pratiche della classe mercantile inglese era auspicata da J. Locke in Some thoughts concerning education: egli auspicava un’i. centrata sulla storia, la geografia, la lingua nazionale e l’apprendimento di mestieri manuali, che andava incontro a una richiesta di preparazione meno tradizionale e più vicina alle esigenze di una larga parte della popolazione inglese.
L’i. umanistica fu combattuta, nel corso del 18° sec., dalla critica dell’Illuminismo, a cui infatti risale la prima forma d’educazione laica moderna. Si compì, soprattutto in Francia, quella trasformazione che, annunciata dall’Émile (1762) di J.-J. Rousseau, ebbe vari tentativi di attuazione nell’opera di Condorcet, di P. Daunou, di Talleyrand e nei provvedimenti della Legislativa e della Convenzione. La lotta contro la tradizione umanistica muoveva da una concezione utilitaria, coincidente con le aspirazioni della nuova classe borghese. La scuola, in cui erano affrontati soprattutto i problemi morali, sociali, economici e politici, considerati gli elementi essenziali della moderna cultura dei cittadini, diventava un organismo dello Stato e aveva una funzione essenzialmente pubblica. Questo carattere che la critica illuministica e la Rivoluzione francese diedero agli ordinamenti scolastici diventerà il fondamento delle istituzioni scolastiche in tutti gli Stati moderni.
Il contributo principale del 19° sec. alla storia dell’i. consiste nella rivalutazione, operata da F.W. Fröbel, dell’importanza degli aspetti creativi e giocosi per il processo didattico, e nel primo tentativo, proprio di J.F. Herbart, di fondare l’i. su un’analisi psicologica delle motivazioni del discente.
Il Novecento. Molto più fertile di risultati si è mostrato il 20° sec., all’inizio del quale si assistette, specialmente con l’opera di M. Montessori e di O. Decroly, a un tentativo di fondare sulle conclusioni della psicologia scientifica il curriculum didattico e i metodi da utilizzare nell’istruzione.
Due sono stati i grandi fenomeni ‘quantitativi’ che hanno contrassegnato a livello mondiale lo sviluppo dell’i. nel corso della seconda metà del 20° secolo. Prima l’espansione della scolarizzazione di massa (che ha interessato via via l’i. secondaria, quella professionale e ancora quella universitaria), successivamente il progressivo sviluppo di una rete di opportunità formative al di fuori dei percorsi formali di i. (dai nidi per l’infanzia alle università per la terza età e alle iniziative per la formazione continua), che hanno finito per porre in termini nuovi, più problematici e complessi, gli aspetti ‘qualitativi’ dei processi di istruzione. A entrare in crisi, in modo sempre più evidente, è stato anzitutto il profilo tradizionale della cultura scolastica. Le ragioni di questa crisi sono dovute non soltanto alle esigenze della scolarizzazione di una massa molto eterogenea di giovani, con bisogni, interessi, motivazioni e prospettive assai diversificati. Esse risiedono anche nelle trasformazioni per certi aspetti radicali che hanno riguardato molte dimensioni della vita sociale: l’accelerazione dello sviluppo tecnologico in ogni settore, le trasformazioni del mercato del lavoro, l’incidenza capillare dei media, i mutamenti del costume e degli stili di vita verificatisi soprattutto nelle giovani generazioni ecc. Di fronte a tali trasformazioni si è pensato di dover abbandonare quel modello di cultura scolastica legato all’idea di un sapere consolidato, stabile e analiticamente strutturato; mirando a un tipo di scuola capace di trasmettere una formazione polivalente, finalizzata soprattutto all’apprendimento di metodi di studio e di lavoro, di capacità elaborative e applicative. Di conseguenza i primi livelli di i., comprendenti l’i. primaria e quella secondaria di primo grado, oltre che rientrare nell’i. obbligatoria, sono diventati quasi dovunque un percorso unico di studio comune a tutti e senza articolazioni interne. Anche l’i. secondaria superiore viene ormai considerata in una prospettiva unitaria, con indirizzi poco differenziati, di formazione più generale che specifica, e secondo percorsi non selettivi che consentano, fra l’altro, passaggi non traumatici dall’uno all’altro indirizzo. La formazione professionale è distinta in percorsi formativi a livello di scuola secondaria superiore e in percorsi alternativi, che non rientrano nell’i. statale essendo di competenza delle Regioni. L’i. superiore, universitaria e non universitaria, viene perdendo quei caratteri di specializzazione professionale e scientifica, che ormai sono posticipati e affidati ai master e ai corsi di dottorato ed equiparati. Infine, per agevolare i passaggi da un indirizzo di studi all’altro, si è diffusa dovunque la definizione di criteri oggettivi e comparabili di misurazione e valutazione degli apprendimenti conseguiti e anche delle esperienze acquisite al di fuori dei circuiti formativi in senso stretto. Da qui l’esigenza di definire e diffondere in tutti gli ambiti di studio e di esperienza la pratica dei crediti.
Per i. programmata (o insegnamento programmato) si intende un metodo in cui sia ben definita la successione logica dei contenuti di studio e siano stabiliti i compiti, i problemi e gli esercizi di controllo in modo tale che il processo di apprendimento sia reso attivo, l’insegnante possa predisporre le tappe di tale processo e gli stessi allievi possano via via controllare l’apprendimento conseguito nei singoli argomenti. Questo metodo si è andato sviluppando a metà Novecento dalle ricerche di alcuni psicologi statunitensi di orientamento comportamentistico e con i contributi di B.F. Skinner, N.A. Crowder, D. Cram. La materia da apprendere si presenta suddivisa in tante piccole unità fondamentali concatenate tra loro (quadri) che si susseguono in un ordine progressivo di difficoltà. Ogni quadro presenta un’informazione e pone una o più domande a cui lo studente deve rispondere in base alle informazioni contenute o nel quadro stesso o nelle parti precedenti del programma. Se lo studente risponde in forma corretta, riceve immediatamente la conferma alla risposta e procede secondo la sequenza preordinata; diversamente viene dirottato su di una sequenza correttiva. La ricerca intorno all’i. programmata ha portato a sviluppare l’uso di diversi mezzi attraverso cui si realizza questo metodo di insegnamento, per il quale si ricorre a sussidi o estremamente semplici, come gli appositi fascicoli programmati, o notevolmente sofisticati, come elaboratori con incorporati strumenti audiovisivi, in cui il processo è completamente automatizzato.
Nell’ordinamento italiano l’i. è considerata un servizio ‘d’interesse sociale’ e nell’ordinamento comunitario è inclusa tra i servizi d’interesse generale.
In materia di i. sussistono funzioni e compiti amministrativi. Una prima disciplina è contenuta negli art. 33-34 Cost., in cui si affermano il principio di libertà di insegnamento (art. 33, co. 1), il libero accesso all’i. scolastica (art. 34, co. 1), l’obbligatorietà e gratuità dell’i. inferiore (art. 34, co. 2), il riconoscimento del diritto allo studio anche per coloro che sono privi di mezzi, purché capaci e meritevoli (art. 34, co. 3), l’ammissione, per esami, ai vari gradi dell’i. scolastica (art. 33, co. 5). Nella Costituzione sono, inoltre, dettate norme che definiscono un vero e proprio sistema nazionale d’i., in cui è riconosciuto valore legale al titolo di studio: così, è prevista l’istituzione di scuole statali per tutti gli ordini e i gradi di i. (art. 33, co. 2); al contempo, è riconosciuta la libera istituzione di scuole da parte di enti o privati (art. 33, co. 3) e la parificazione delle scuole private a quelle statali (art. 33, co. 4).
A seguito della riforma del titolo V della Costituzione, intervenuta nel 2001, spetta alla legislazione esclusiva dello Stato dettare norme generali sull’i. (art. 117, co. 2, lett. n), ma la materia rientra anche tra quelle di legislazione concorrente (art. 117, co. 3). Nell’ambito dell’amministrazione centrale, le funzioni e i compiti spettanti allo Stato in materia di i. scolastica sono esercitati dal ministero della Pubblica Istruzione. A livello periferico operano uffici scolastici regionali e provinciali. In attuazione dell’art. 21 della l. 59/1997, inoltre, gli istituti di i. sono stati investiti da una riforma volta a dare attuazione alla loro autonomia giuridica e gestionale, con l’attribuzione della personalità giuridica.
Anche gli ordini degli studi sono stati oggetto di un intervento che, a oggi, ha trovato solo parziale realizzazione. Con la l. 53/2003 il governo, infatti, è stato delegato ad adottare uno o più decreti legislativi per la definizione delle norme generali sull’i. e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di i. e di i. e formazione professionale. Tra i principi e i criteri direttivi della delega (art. 2), viene promosso l’apprendimento in tutto l’arco della vita e sono assicurate a tutti pari opportunità di raggiungere elevati livelli culturali e di sviluppare le capacità e le competenze coerenti con le attitudini e le scelte personali; sono promossi il conseguimento di una formazione spirituale e morale, anche ispirata ai principi della Costituzione, lo sviluppo della coscienza storica e del senso di appartenenza alla comunità locale, alla comunità nazionale e alla civiltà europea; è assicurato a tutti il diritto all’i. e alla formazione per almeno 12 anni o, comunque, fino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di età; l’attuazione di tale diritto si realizza nel sistema di i. e in quello di i. e formazione professionale, secondo livelli essenziali di prestazione definiti su base nazionale; il sistema educativo di i. e di formazione si articola nella scuola dell’infanzia, in un primo ciclo che comprende la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado, e in un secondo ciclo che comprende il sistema dei licei e il sistema dell’i. e della formazione professionale. La legge prevede, inoltre, l’introduzione della valutazione periodica sia del sistema educativo di i. e di formazione sia del livello di apprendimento degli studenti. L’esame di Stato conclusivo dei cicli di i. valuta le competenze acquisite dagli studenti e si svolge su prove organizzate dalle commissioni d’esame e su prove predisposte e gestite dall’Istituto nazionale per la valutazione del sistema di istruzione.
Riguardo la disciplina dell’i. privata, è intervenuta la l. 62/2000 (intitolata «norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’i.»), la quale ha confermato che il sistema nazionale di i. è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali. Le scuole paritarie sono le istituzioni scolastiche non statali che corrispondono agli ordinamenti generali dell’i. e sono equiparate a tutti gli effetti alle scuole statali, in particolare per quanto riguarda l’abilitazione a rilasciare titoli di studio aventi valore legale. La parità è riconosciuta alle scuole non statali che ne fanno richiesta e che sono in possesso dei requisiti richiesti dalla legge.