università Istituto scientifico e didattico di ordine superiore che ha potere di conferire un riconoscimento giuridico particolare a chi ha fruito dell’insegnamento impartito all’interno di esso dai docenti delle varie materie.
Nell’antichità classica non mancarono istituzioni paragonabili alle moderne u.; l’esempio maggiore è l’Accademia Platonica. Ciò che distingue le istituzioni classiche dalla u. medievale è il particolare riconoscimento giuridico che quest’ultima concedeva a chi aveva profittato del suo insegnamento, mentre l’istituzione accademica antica non concedeva titoli o gradi accademici.
L’u. medievale aveva la duplice caratteristica di studium generale, cioè luogo di studi aperto a tutti, e universitas studiorum, cioè corporazione che gestiva gli istituti d’insegnamento, e al tempo stesso corporazione dei maestri e degli scolari, da cui la denominazione più comune di universitas magistrorum et scholarium. Questa u. concedeva, dopo un esame, la licentia ubique docendi e il licenziato, una volta diventato doctor o magister, non veniva accolto nella u. presso la quale aveva frequentato gli studi, ma si recava altrove a insegnare o a svolgere la propria professione. Il punto essenziale dell’evoluzione storica delle u. nei vari paesi d’Europa consiste espressamente nel modo con cui si realizza il distacco dello studente dall’u. presso la quale ha studiato; cosicché u. come quelle francesi hanno conservato la caratteristica medievale della venia legendi, con la quale lo studente, licenziandosi dall’u., vi compie la prima lezione della sua carriera.
Le prime u. sorsero dalle scuole ecclesiastiche, e quindi è impossibile determinarne cronologicamente la nascita; le u. più antiche continuavano a svolgere la propria attività ex consuetudine, ma per l’istituzione di nuove u. divenne necessaria un’autorizzazione papale o imperiale: quindi solo per queste ultime si può parlare di una precisa data di fondazione (v. fig.). Il più antico centro di studi superiori, ma non una vera u., fu la celebre Scuola di medicina di Salerno (già dalla metà dell’11° sec.), riordinata da Federico II nel 1231. A Bologna l’u. ebbe subito più ampio sviluppo, in modo che intorno al 1200 all’originaria facoltà di legge si venivano ad aggiungere quelle di medicina e di filosofia, e più tardi di teologia; allo studio bolognese Federico Barbarossa riconobbe (1158) una serie d’immunità e di privilegi a favore degli studenti, per cui a Bologna prevalse fin dal primo momento il carattere di corporazione di studenti. A differenza di quella di Bologna, fu invece tipica corporazione di maestri quella di Parigi, che, nata dalla scuola della cattedrale di Notre-Dame, ebbe i primi riconoscimenti ufficiali nei primi anni del 13° sec. e lo statuto definitivo nel 1231. Caratteristica dell’u. di Parigi furono i collegi, il più famoso dei quali era la Sorbona (➔ Sorbon, Robert de). Tale peculiarità influenzò la costituzione delle u. inglesi: quella di Oxford deve forse la sua prima origine a una migrazione di studenti espulsi da Parigi, avvenuta intorno al 1167; di poco posteriore è l’origine dell’u. di Cambridge, riconosciuta come studium generale tra il 1230 e il 1240.
L’u. moderna stentò ad aprirsi ai nuovi campi del sapere scientifico, in particolare di quello sperimentale, che invece trovò impulso e sviluppo in sedi differenti, soprattutto le nuove accademie scientifiche, che sorsero, nel corso del Seicento e Settecento, in Italia, Germania, Inghilterra e altrove. Tuttavia, le accresciute esigenze degli Stati, l’ampliarsi del mondo delle professioni, il diversificarsi stesso delle economie, per effetto anche dei progressi tecnologici e della rivoluzione industriale, finirono per influenzare l’u. ottocentesca e ancor più quella d’inizio Novecento. Sorsero nuove sedi, si rafforzarono le strutture tradizionali, nacquero altri corsi di studio, si conseguirono migliori assetti giuridici, anche attraverso legislazioni ad hoc e finanziamenti pubblici. Si diffuse la convinzione che le u. erano sedi, non solo di istruzione e di trasmissione del sapere, ma anche di ricerca e di produzione di nuovo sapere. Sotto il profilo sociale, però, gli studi universitari restarono riservati ancora a lungo a una minoranza di studenti, per lo più provenienti da classi sociali medio-alte. Le u., in effetti, continuavano a formare prevalentemente le leve della classe dirigente, sia pure in senso allargato, e delle maggiori professioni, vecchie e nuove.
A partire dalla fine degli anni 1950, specie nei paesi dell’area industrializzata, si è assistito alla progressiva crescita della popolazione studentesca, un fenomeno cui hanno concorso le migliori condizioni di vita di larghi strati sociali, l’accelerazione dei processi di industrializzazione, di urbanizzazione e di mobilità, le più complesse esigenze dell’economia, dell’organizzazione produttiva, dei servizi sociali. Il fenomeno espansivo fu incisivo nel corso degli anni 1960 e 1970, quando il tasso di crescita del sistema di insegnamento superiore fu, in Europa, più del doppio di quello riguardante i livelli inferiori di istruzione. Ciò pose dei problemi di adeguamento e ampliamento delle sedi universitarie e delle loro attrezzature, di allargamento del corpo docenti, di incremento notevole delle risorse finanziarie. Pose anche l’esigenza di nuove politiche per l’assistenza, per il diritto allo studio, per la stessa democratizzazione e riorganizzazione delle strutture universitarie: processi di adattamento e trasformazione che si sono attuati non senza tensioni (come la ‘contestazione studentesca’, tra la fine degli anni 1960 e la metà degli anni 1970) e che, a loro volta, hanno fatto insorgere nuove problematiche, anche in relazione alle diverse congiunture economiche, ai collegamenti con le trasformazioni dei processi produttivi e dei piani di sviluppo tecnologico, alle prospettive occupazionali di laureati e diplomati. Ma, al di là delle spinte e controspinte dettate dai sistemi economici, l’espansione del numero di fruitori di tale livello di istruzione rispondeva anche a esigenze di natura culturale e sociale più direttamente legate agli orientamenti dei singoli e delle comunità.
Nell’ambito dell’istruzione postsecondaria si è andata progressivamente consolidando la distinzione fra corsi di diverso tipo o livello: corsi di primo grado o ciclo breve, di carattere prevalentemente professionale; corsi di secondo grado, o ciclo lungo, di più organica preparazione scientifica; corsi avanzati, di dottorato o di specializzazione scientifica. Parallelamente si è diffuso un filone di corsi di istruzione terziaria (non universitaria), soprattutto nel campo della formazione superiore tecnico-professionale: si tratta per lo più di corsi della durata di 3-4 anni, che curano un tipo di formazione commisurato alle prospettive locali del mondo del lavoro, prevedono curricula con momenti applicativi o stages aziendali, e adottano anche forme di programmazione flessibile per corrispondere alla richiesta di nuovi profili professionali. Questo filone di istruzione terziaria in taluni casi (come le Fachhoschulen tedesche e austriache e le Hogescholen olandesi) assume una configurazione del tutto autonoma e indipendente dall’u. (sistema binario), mentre in altri casi trova il suo riferimento nelle u. stesse (sistema integrato), in forma ora più organica, come nelle Escuelas spagnole, ora con ampi margini di autonomia, come nelle New universities inglesi o come l’Institut universitaire professionnalisé francese. Un terzo tipo di percorsi, anch’esso professionalizzante ma più settorializzato, si profila come prolungamento, a livello terziario, della scuola secondaria (corsi postsecondari, istituiti per es. in Finlandia, Austria, Repubblica Ceca).
La flessibilità invocata dalle nuove politiche della formazione si indirizza inoltre alla ricerca di modalità alternative di organizzazione dell’insegnamento. Da tempo sono state sperimentate, specie con riferimento a soggetti occupati e che tuttavia aspirano a conseguire un titolo di studio superiore, forme di insegnamento a distanza e in qualche misura personalizzate. Tali forme trovano grande possibilità di sviluppo nell’utilizzo delle tecnologie informatiche e multimediali. Ovviamente tale tipo di iniziative comporta la necessità di individuare corrette procedure di verifica degli apprendimenti, e di valutazione e di certificazione delle competenze acquisite, anche in vista del rilascio di titoli di studio riconosciuti.
Nonostante la diffusione di queste forme alternative di istruzione postsecondaria, i corsi accademici delle università devono ugualmente far fronte alla crescente espansione del numero di studenti. Le misure via via adottate (creazione di nuove sedi, ampliamento del corpo docente, incremento delle attrezzature e dei servizi ecc.) hanno risposto solo in parte ai bisogni, anche per il limite posto dalle risorse finanziarie disponibili. In molti paesi si è fatto ricorso a forme di regolamentazione o programmazione degli accessi agli studi superiori, sia in ragione di un minimo di raccordo fra il gettito dei diplomati e le possibilità del loro assorbimento nelle realtà professionali e produttive sia in ragione dell’opportunità di mantenere un equilibrato rapporto fra numero degli studenti e qualità dei servizi formativi.
La ‘produttività’ dei sistemi di istruzione superiore è misurata principalmente sulla base dei tassi di conseguimento dei diplomi. Secondo il rapporto OECD, mediamente nei paesi aderenti all’organizzazione solo il 25% degli iscritti arriva a conseguire il diploma nel tempo previsto. Questa percentuale varia da più del 30% in Finlandia, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Norvegia, Spagna, Gran Bretagna e Stati Uniti, a meno del 15% in altri paesi come Austria, Germania, Italia e Messico. Non c’è dubbio che su una così accentuata divaricazione di dati incidano fenomeni quali la diffusione o meno di corsi superiori non universitari, la presenza o meno di forme di selezione al momento dell’iscrizione, la qualità e l’intensità delle prove di verifica del profitto, le modalità di assistenza e di orientamento previste.
Un forte elemento di innovazione è la dimensione internazionale della politica universitaria, che non riguarda soltanto i rapporti culturali e l’interscambio scientifico (nell’ambito di progetti comuni a cui attendono università e centri di ricerca di diversi paesi), ma che concerne anche le politiche dirette a promuovere lo sviluppo dell’istruzione superiore sia nei paesi a economia avanzata sia in quelli che presentano ritardi nella diffusione di tale livello di studi. Altro capitolo è rappresentato dalla mobilità internazionale degli studenti, a cui ha dedicato particolare attenzione l’Unione Europea, anche in conseguenza dell’Atto unico del 1986 che ha istituito la libera circolazione, dal 1993, dei cittadini, dei capitali e dei servizi all’interno dell’Unione. Proprio per incoraggiare la mobilità degli studenti, a livello europeo sono stati elaborati alcuni programmi di scambio (Erasmus, Comenius, Leonardo da Vinci, Grundtvig), che riscuotono crescente successo. Con la dichiarazione firmata a Parigi il 25 maggio del 1998 (L’armonizzazione dell’architettura dei sistemi di istruzione superiore in Europa) i ministri competenti di Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia hanno dichiarato che «uno spazio europeo aperto dell’istruzione superiore comporta una ricchezza di prospettive positive», anche se richiede, al contempo, il compimento di «sforzi continui per rimuovere le barriere e sviluppare un quadro per l’insegnamento e l’apprendimento che rafforzi la mobilità e una sempre più stretta cooperazione», e hanno individuato alcune misure per avvicinare i diversi sistemi universitari (l’articolazione del sistema universitario su cicli di studio di 1° e di 2° livello, l’impiego di crediti come parametro identificativo degli esami universitari ecc.).
In Italia, le u. sono dotate di personalità giuridica. Esse organizzano le proprie strutture e agiscono, per la realizzazione delle proprie finalità istituzionali, nel rispetto della libertà d’insegnamento e di ricerca e dei principi generali fissati nella disciplina relativa agli ordinamenti didattici universitari. Più in particolare, in attuazione dell’art. 33 Cost., che conferisce alle università il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalla legge dello Stato, l’art. 6 della l. n. 168/1989 ha riconosciuto agli atenei «autonomia didattica, scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile» (v. Autonomia. Diritto amministrativo). I criteri generali dell’autonomia nel programmare e realizzare i corsi di studio sono stati fissati dal d.m. n. 509/1999, modificato con d.m. n. 270/ 2004. Secondo tali criteri, la funzione didattica è organizzata sulla base di crediti formativi accademici. Le u. possono organizzare diversi tipi di corsi e rilasciare vari titoli di studio: a) la laurea, che lo studente consegue dopo avere acquisito 180 crediti, comprensivi di quelli relativi alle conoscenze obbligatorie, oltre che della lingua italiana e di una lingua dell’Unione Europea (la durata normale del corso è di tre anni); b) la laurea magistrale, che lo studente consegue dopo l’acquisizione di altri 120 crediti (la durata normale del corso è di ulteriori due anni dopo la laurea); c) il diploma di specializzazione, il cui numero di crediti è determinato da decreti ministeriali; d) il dottorato di ricerca, al quale può essere ammesso chi è in possesso di laurea magistrale (o di altro titolo di studio estero riconosciuto idoneo). Inoltre, le u. possono rilasciare: e) master di primo livello e di secondo livello, a seguito di corsi di perfezionamento scientifico e di alta formazione ricorrente, successivi alla laurea o alla laurea specialistica. Il principio che l’u. debba coniugare «in modo organico ricerca e didattica, garantendone la completa libertà» è stato ribadito dalla l. n. 230/2005, che ha autorizzato, fra l’altro, le u. a realizzare specifici programmi di ricerca tramite convenzioni con imprese o fondazioni. Sul piano prettamente interno le u. sono state oggetto di ulteriori interventi legislativi volti a migliorare la qualità del sistema (art. 2, l. n. 1/2009).
5.1 U. degli studi e u. di istruzioni confessionali. Sono istituite dalla Chiesa, in forza del suo munus docendi, per l’investigazione delle discipline sacre o di quelle connesse con le sacre, nonché per istruire scientificamente gli studenti nelle medesime discipline (can. 815-821). Tali istituti possono esistere solo se eretti o approvati dalla Sede apostolica, cui compete la loro superiore direzione e l’approvazione dei relativi statuti e piani di studi; in caso contrario non possono conferire gradi accademici con effetti canonici. 5.2 U. agrarie. Forme associative, variamente denominate (u., comunanze, partecipanze, associazioni agrarie), per il promiscuo godimento di terre: tuttora esistenti in varie regioni d’Italia, rappresentano il residuo storico di antiche forme di proprietà collettiva; la l. 1766/16 giugno 1927, sul riordinamento degli usi civici, ha vietato la costituzione di nuove u. agrarie, pur riconoscendo quelle già esistenti di fatto. 5.3 U. popolari. Istituti sorti, nella prima metà del 20° sec., con lo scopo di diffondere tra gli strati sociali non in grado di frequentare le u. vere e proprie, la cultura di livello universitario, mediante corsi di conferenze, lezioni ecc.; a questo tipo d’insegnamento si è unito talvolta uno di carattere pratico, o specificamente professionale. In tempi più recenti, enti pubblici o associazioni private hanno promosso le cosiddette u. della terza età, la cui attività di insegnamento e promozione culturale si inscrive nella prospettiva dell’educazione permanente.