Spostamento di una cellula o di un organo dalla sede abituale.
Le cellule migranti (o migratorie o macrofagi), di natura reticolo-endoteliale, hanno notevole importanza nei fenomeni infiammatori. Rene migrante è il rene che si è spostato dalla sua sede normale.
L’ascesso migrante è quello freddo, che dalla primitiva sede di formazione si sposta per gravità, seguendo le vie di minore resistenza.
In embriologia, gastrulazione per m., tipo di gastrulazione, che si verifica nell’embrione di alcuni animali, dove gruppi di cellule costituenti la blastula raggiungono la cavità del blastocele e formano l’endoderma.
Il movimento d’insieme di particelle per effetto di un campo di forza, del trascinamento da parte di un fluido in cui si trovino ecc.
In fisica nucleare, area di m. neutronica il valor medio (moltiplicato per il fattore 1/6) del quadrato della distanza che un neutrone percorre in un dato mezzo dall’istante della sua formazione come neutrone veloce in un processo di fissione all’istante del suo assorbimento come neutrone termico; la radice quadrata di tale area è detta lunghezza di migrazione.
Fenomeno di spostamento di entità varie; così, per es., si parla di m. torrentizia glaciale, per indicare la variazione di posizione che il torrente subglaciale assume con il passare del tempo, essenzialmente nel semestre caldo rispetto al semestre freddo; di m. dei meandri di un fiume, che tendono ad allargarsi e a spostarsi in avanti; di m. dei pozzi glaciali in concomitanza con il moto di avanzata della massa dei ghiacciai.
Spostamento, definitivo o temporaneo, di gruppi da un territorio a un altro, da una ad altra sede, determinato da ragioni varie, ma essenzialmente da necessità di vita. Il fenomeno delle m. è, in via generalissima, conseguente per lo più all’incremento demografico di una popolazione cui non corrisponda più la capacità di popolamento del paese: si fa necessaria quindi la m. verso regioni che presentino ancora riserve da utilizzare. Le m. possono essere di massa o di infiltrazione, a seconda che avvengano per grandi masse di uomini (sono allora per lo più permanenti) oppure per piccoli contingenti, così che nel nuovo territorio verso il quale la m. è avvenuta la compagine etnica non è radicalmente modificata. I mutamenti ambientali avvenuti nel corso del Pleistocene in seguito all’alternarsi dei periodi glaciali e dei periodi interglaciali, uniti all’evoluzione biologica, sono da porsi tra i principali fattori che determinarono i movimenti migratori dei gruppi umani primitivi, dediti alla raccolta, alla caccia o alla pesca.
La m., o movimento migratorio, ha una sua connotazione nell’ambito della mobilità spaziale, in quanto si caratterizza per modalità, durate, motivazioni, percorsi individuali, familiari, generazionali, aspetti formali e normativi. Nell’ambito della mobilità si parla di m. quando gli spostamenti avvengono da e per un certo ambito territoriale, distinguendosi i movimenti effettuati da individui che vi confluiscono dall’esterno (immigrazioni) oppure da coloro che ne escono per andare altrove (emigrazioni). Quando questi movimenti avvengono entro un solo Stato, si parla di m. interne; quando gli spostamenti comportano il passaggio delle frontiere nazionali, si parla di m. con l’estero. Entrambe sono legate, in realtà, alla dimensione dell’area territoriale che si prende in considerazione: così, si è in presenza di movimento migratorio con l’estero quando un individuo si sposta, per es., dall’Italia alla Francia, ma lo stesso diviene movimento migratorio interno se si considera come area di riferimento l’Unione Europea.
Anche la classificazione temporale delle m. presenta notevoli differenziazioni: si parla di m. temporanee e definitive. Un caso particolare di m. temporanea è costituito dalla m. stagionale, che interessa quei lavoratori che si recano all’estero solo in concomitanza di certe attività svolte in particolari periodi dell’anno (turismo, edilizia, raccolte agricole). Le m. pendolari riguardano, invece, quei lavoratori che trovano impiego in località diversa da quella di residenza e vi si recano giornalmente; dove tale spostamento comporti il superamento di confini nazionali, si hanno le cosiddette m. frontaliere. Un tipo intermedio è costituito dalle m. ricorrenti, quando gli spostamenti hanno piuttosto un carattere ciclico: a periodi di soggiorno all’estero fanno seguito periodi di rientro in patria.
Con riferimento al numero degli individui oggetto degli spostamenti, si può distinguere la m. individuale da quella familiare, da quella per gruppi etnici e per esodi. In una prima fase, le migrazioni hanno generalmente carattere individuale e interessano soggetti celibi, giovani, più intraprendenti e predisposti a sopportare i disagi di una vita quale si prospetta in un paese differente dal proprio. Non rari, tuttavia, sono i casi di spostamenti di interi gruppi familiari. Questi primi migranti possono attivare una catena migratoria: un complesso di legami personali e familiari che agiscono da richiamo di nuovi migranti con la stessa provenienza e che, una volta innestatosi, finisce con il rendere i flussi parzialmente indipendenti dalle opportunità di vita e di lavoro realmente disponibili nelle aree d’arrivo. Le m. per gruppi si caratterizzano per la solidarietà etnica che ne è il presupposto: si tratta di più individui, legati da vincoli di parentela o di amicizia, che decidono lo spostamento simultaneo. Si parla di esodi quando le m. interessano buona parte di una popolazione e sono determinate da fattori ambientali (calamità naturali) o da gravissime quanto eccezionali circostanze (repulsioni di carattere politico o religioso). Storicamente, le m. avevano piuttosto il carattere di gruppo, mentre quelle più recenti sono prevalentemente di tipo individuale.
Quanto agli aspetti formali, si può distinguere fra m. legali, illegali e clandestine. Le prime sono costituite da quegli spostamenti che avvengono nel pieno rispetto delle procedure normative previste sia dal paese di partenza sia da quello di arrivo: esse presuppongono un regolare passaporto, un visto di ingresso, un permesso di soggiorno, un permesso di lavoro, nonché i cambiamenti formali di residenza (quando necessario). Sono considerate illegali quelle in cui un soggetto entra in un paese straniero in forma legale, ma poi prosegue il suo soggiorno in maniera non conforme alle norme locali: è questo il caso di individui che entrano con un permesso di soggiorno turistico e poi permangono anche quando tale permesso è scaduto, oppure il caso di soggetti che entrano con una motivazione ufficiale (per es., studenti), ma poi seguono attività diverse. Sono clandestini quei soggetti che entrano in uno Stato estero valicando le frontiere in maniera informale, senza alcun documento di rito (visto di ingresso, permesso di soggiorno, permesso di lavoro) e spesso senza nemmeno documenti di riconoscimento.
Secondo le Nazioni Unite, il numero dei migranti internazionali (cioè delle persone trasferitesi temporaneamente o definitivamente in un paese diverso dal proprio), che era di 75.000.000 nel 1965, di 105.000.000 nel 1985, è salito a ben 191.000.000 nel 2005. La percentuale di stranieri sul totale della popolazione è cresciuta in quasi tutti i paesi a sviluppo avanzato. A tale aumento hanno concorso anche processi di natura politica, dalla fine della guerra fredda alla moltiplicazione delle situazioni di tensione e di conflitto armato (fino ai casi estremi di pulizia etnica) che hanno alimentato il fenomeno delle m. forzate. Tra i migranti forzati vanno annoverati i rifugiati politici: oltre 9.000.000 nel 2005. Le cifre più consistenti di rifugiati si registrano nel Vicino e Medio Oriente e in Africa; seguono l’Europa, l’Asia meridionale, l’America, l’Asia orientale e i paesi del Pacifico. Il numero di coloro che hanno trovato rifugio in un paese straniero per ragioni di protezione umanitaria sarebbe assai più elevato se non fossero intervenute, negli ultimi decenni, vaste operazioni di rimpatrio e se i criteri d’ammissione fossero stati meno restrittivi.
Se si considerano i valori assoluti, gli Stati Uniti rappresentano di gran lunga la principale destinazione dei flussi migratori, con circa 30.000.000 di residenti nati all’estero. L’India, il Pakistan, la Francia, la Germania, il Canada, l’Arabia Saudita, l’Australia, la Gran Bretagna e l’Iran, insieme con gli Stati Uniti, arrivano a totalizzare oltre la metà di tutti i migranti internazionali. Se, invece, si considera la percentuale degli stranieri sul totale della popolazione, la graduatoria per paese si modifica significativamente, e sono in genere gli Stati di più piccole dimensioni a registrare tassi più elevati, fino al caso degli Emirati Arabi Uniti e del Qatar, nei quali oltre il 70% della popolazione residente è costituita da immigrati stranieri. I dati disponibili per i principali paesi d’immigrazione sono solo parzialmente confrontabili, perché alcuni Stati forniscono il numero degli «stranieri» e altri quello dei «nati all’estero».
Per quanto riguarda le cause delle m., si può fare riferimento ai fattori di repulsione dal paese di origine e a quelli di attrazione da parte del paese di destinazione. Fra le motivazioni di tipo espulsivo possono rientrare quelle naturali (come inondazioni, terremoti, eruzioni vulcaniche ecc.) oppure quelle sociali, economiche, politiche, culturali. Particolare peso possono avere i conflitti etnici, le incompatibilità religiose e quelle politiche. I fattori attrattivi sono costituiti dalle soluzioni ai fattori espulsivi dal paese di origine: pertanto si sceglierà di emigrare verso quei paesi dove vi sono possibilità di vita e accettazione migliore. Tra i fattori che possono orientare o facilitare le m. si possono annoverare le relazioni parentali o di amicizia, che favoriscono l’instaurarsi della catena migratoria. Le scelte individuali vengono fatte sulla base della conoscenza che il soggetto ha delle possibilità di vita all’estero raffrontate con quelle del paese di origine. Una causa preponderante delle m. è nelle differenze di sviluppo fra le aree di origine e quelle di destinazione, mentre si riconosce che una differenza di densità, anche marcata, di per sé stessa non è sufficiente a provocare un movimento migratorio.
Le stesse m. di sopravvivenza, dunque, non possono fare riferimento separatamente allo sviluppo e al differenziale demografico: la corrente migratoria si origina quando fra le due zone vi è uno squilibrio nei rapporti tra sviluppo e dimensione demografica (pressione demografica differenziale). In passato, l’analisi delle cause delle m. tendeva a dare massimo risalto ai fattori di attrazione, costituiti dai fabbisogni di manodopera aggiuntiva espressi dalle economie dei paesi d’arrivo; in seguito, si è piuttosto sottolineata l’importanza dei fattori di espulsione, rappresentati dalle dinamiche demografiche espansive, dalle situazioni di povertà diffusa, dalle congiunture politiche critiche che caratterizzano i paesi di partenza. Tuttavia, benché la loro rilevanza sia provata, i fattori di espulsione non sono sufficienti a spiegare il fenomeno: la decisione di migrare viene infatti assunta solo da una ristretta minoranza della popolazione da essi interessata, e a tale decisione concorrono anche altre cause, quali la pressione a emigrare da parte dell’ambiente familiare e comunitario (che opera una sorta d’investimento sul migrante, attendendosene un qualche «ritorno») o, alternativamente, il desiderio di recidere i legami con quello stesso ambiente.
La rivoluzione intervenuta nel campo delle comunicazioni non solo ha reso relativamente più facile emigrare, perfino in un paese molto lontano, ma ha anche consentito il mantenimento di legami continuativi con la comunità d’origine e tra connazionali emigrati in paesi diversi (l’esempio più noto è quello della diaspora cinese), cui si deve la nascita di attività commerciali transnazionali. Per spiegare le m. occorre dunque mettere a fuoco il complesso delle relazioni che si sono storicamente sedimentate tra un contesto d’origine e uno d’approdo, che a loro volta spingono a emigrare i soggetti portatori di una specifica combinazione di tratti anagrafici e di personalità.
La distribuzione strutturale delle m. consente di identificare il migrante come prevalentemente di sesso maschile, in età piuttosto giovanile e di stato civile celibe. Da questa tipologia generale si registrano scostamenti più o meno significativi a seconda delle diverse provenienze geografiche: notevole, per es., il flusso di donne asiatiche e africane impegnate in lavori domestici, spesso coniugate e con figli; viceversa, i provenienti dal mondo islamico sono in maniera preponderante maschi, giovani e non sposati. I flussi migratori provenienti dai paesi dell’Est europeo vedono meglio rappresentati i due sessi, una maggiore distribuzione nelle varie fasce di età e spesso un accorpamento per gruppi familiari. Le m. sono selettive soprattutto dal punto di vista dell’età e dello stato di salute, in quanto sono coinvolti essenzialmente i giovani in buona salute. I vecchi, i malati e i bambini si spostano più raramente e solo quando si tratta di m. di un intero nucleo familiare. Per quanto concerne la struttura professionale, rispetto al passato, i migranti sono assai più spesso dotati di livelli d’istruzione medio-alti, al punto che diversi studiosi richiamano l’attenzione sul fenomeno del brain drain («fuga dei cervelli») che in tal modo si determina ai danni dei paesi d’emigrazione (in particolare di quelli economicamente più svantaggiati), i quali, dopo aver provveduto ai costi della formazione, si vedono privati delle risorse umane più qualificate. Un altro mutamento rilevante riguarda la composizione per genere: all’inizio del nuovo millennio le donne rappresentano il 50% degli stranieri residenti nei paesi sviluppati; la loro quota è andata crescendo nel tempo, mentre all’emigrazione per motivi familiari si è andata sempre più sostituendo l’emigrazione per ragioni di lavoro. Continua invece pressoché immutata la rilevanza delle reti etniche nel dare origine alla catena migratoria.
In merito alle conseguenze delle m., si deve distinguere fra quelle di tipo economico e quelle di tipo demografico e antropologico. Da un punto di vista economico le m. possono essere considerate un fattore di riequilibrio in quanto, nel paese di partenza, alleggeriscono i problemi della disoccupazione, mentre nel paese di arrivo costituiscono un fattore della produzione a costo più contenuto della manodopera locale, a minor potere contrattuale, a maggiore flessibilità di impiego. I ridimensionamenti programmatici da parte delle aziende penalizzano, in prima battuta, la forza lavoro straniera, come è accaduto nella metà degli anni 1970, in occasione della crisi petrolifera che ha comportato un lungo periodo di restrizioni nel mercato del lavoro e forti flussi di rientro in patria. Le posizioni sulle conseguenze economiche sono tuttavia contrastanti, in quanto a elementi di carattere positivo si contrappongono visioni negative. Da parte dei paesi esportatori di manodopera si fa presente che i paesi di immigrazione utilizzano elementi giovani, il cui costo di formazione è stato sostenuto nel paese di origine. Inoltre questa manodopera viene utilizzata come elemento di manovra per regolamentare il mercato del lavoro in funzione delle congiunture produttive, proprio a motivo della flessibilità di impiego e delle possibilità di rientro. Sul fronte opposto si fa notare che gli immigrati vengono sottratti a una forza lavoro locale eccedente le reali possibilità di impiego in paesi dove i livelli di industrializzazione e terziarizzazione sono molto deficitari e dove, di contro, sono molto elevati i livelli di disoccupazione e sottoccupazione. Inoltre, va rilevata l’importanza che le rimesse effettuate dai migranti ai familiari possono avere per il decollo economico del loro paese e il riequilibrio della bilancia dei pagamenti, così come si è del resto verificato nei paesi dell’Europa mediterranea.
Sempre centrale è la questione della partecipazione degli immigrati al mercato del lavoro del paese ospite. La storia delle m. mostra come i lavoratori stranieri abbiano spesso occupato i ruoli professionali rifiutati dai lavoratori del paese d’immigrazione a causa della modesta retribuzione e dello scarso prestigio sociale che vi è associato. La forza lavoro straniera è copiosamente presente nei gradini più bassi della gerarchia professionale in comparti diversi che vanno dalla raccolta di frutta e verdura all’edilizia, dall’industria manifatturiera alla ristorazione, dalle pulizie industriali all’assistenza domiciliare ai malati e agli anziani, dalla cura dei bambini all’aiuto domestico. Molto elevata è, inoltre, la propensione degli immigrati al lavoro autonomo e all’iniziativa imprenditoriale, spesso vissute come strategie di mobilità sociale e professionale a fronte degli ostacoli che essi incontrano nell’ambito del lavoro dipendente, anche quando sono dotati di elevati titoli di studio. La discriminazione e la dequalificazione sono infatti fenomeni che colpiscono gli immigrati di prima generazione (e sovente anche i loro figli), penalizzati da un tasso di disoccupazione superiore a quello della popolazione complessiva e da una sovrarappresentazione in lavori precari, a bassa qualificazione e basso reddito.
Va aggiunto che le politiche che regolamentano l’ingresso e l’accesso all’occupazione degli stranieri hanno per certi versi contribuito, in particolare in Europa, alla marginalizzazione del lavoro immigrato, limitando fortemente l’immigrazione legale per motivi di lavoro e circoscrivendone le possibilità di impiego. Per alcuni decenni, dopo la Seconda guerra mondiale, l’immigrazione nei paesi sviluppati è stata riconosciuta come funzionale a ricoprire carenze di manodopera e organizzata attraverso un sistema di reclutamento pianificato mediante accordi bilaterali. Dalla fine del 20° sec., invece, la preoccupazione prevalente è divenuta quella di tenere sotto controllo la pressione a emigrare, mentre il ruolo delle politiche di reclutamento attivo, ancorché non scomparso del tutto, si è decisamente ridotto: la domanda di manodopera d’importazione è assai più dispersa e diversificata d’un tempo, e il consenso politico verso i dispositivi di richiamo di forza lavoro dall’estero è più difficile da ottenere.
D’altro canto, il volume dell’offerta di lavoro straniera sfugge in misura ragguardevole alle politiche che regolamentano gli ingressi, alimentandosi anche dei familiari ricongiunti e dei discendenti della prima e delle successive generazioni non naturalizzati. Conseguentemente, la popolazione attiva straniera è cresciuta in quasi tutti i paesi a sviluppo avanzato in maniera parzialmente indipendente dalle politiche di regolazione dei flussi per lavoro.
Riguardo alle modificazioni di carattere demografico, la più evidente riguarda il numero complessivo degli abitanti che cresce nel paese di arrivo e diminuisce nel paese di partenza. Ma a ciò vanno aggiunte le influenze sulle altre caratteristiche demografiche, come la composizione per sesso (le migrazioni sono prevalentemente maschili), per età (riguardano essenzialmente i giovani) e per stato civile (sono in maggioranza i celibi). Questo significa che il paese di arrivo, quanto a struttura demografica, ringiovanisce e rinvigorisce la parte più produttiva e riproduttiva della popolazione. Nel paese di partenza avviene esattamente l’opposto. Gli studiosi concordano nel non ritenere sufficienti le immigrazioni degli stranieri, generalmente a più elevata fecondità, come fattori di riequilibrio in un quadro demografico astenico e in cui la riproduttività sia molto al di sotto dei puri livelli di sostituzione generazionale, come accade ormai in buona parte dei paesi europei. Si è potuto constatare come gli immigrati provenienti da paesi dove il tasso di fecondità totale è di 5 o più figli, in media, per donna feconda, una volta inseriti in un altro paese tendono ad acquisire rapidamente i comportamenti demografici che trovano sul posto. Ne discende che i movimenti migratori hanno un notevole potere di omogeneizzazione, in quanto l’influenza delle diverse culture che si incontrano porta a un adattamento reciproco su modelli comportamentali meno variabili. Adattamento è un termine che deve essere visto in concomitanza con l’integrazione e con le manifestazioni di razzismo, che costituiscono due aspetti contrapposti del fenomeno immigrazione. In genere l’integrazione avviene più sul piano sociale e culturale che non su quello etnologico e antropologico.
Le politiche migratorie vengono messe in atto dai paesi di accoglienza per regolamentare i flussi di ingresso. I paesi di partenza normalmente non attuano vere e proprie politiche migratorie, che dovrebbero presupporre una capacità programmatoria quasi sempre inesistente. Solo alcuni paesi a economia pianificata hanno regolamentato, in passato, i flussi di uscita di propri studenti che sono stati mandati a formarsi presso altri paesi ad analogo sistema politico-economico. Le politiche migratorie attuate dai paesi riceventi hanno dimensione e rigorosità legata ai momenti congiunturali. Quando il mercato del lavoro non assorbe la manodopera straniera o quando le forme di riflusso da parte dei cittadini assumono dimensioni esasperate, si tende a chiudere le frontiere, a regolamentare i nuovi accessi attraverso quote, a privilegiare i ricongiungimenti familiari, a favorire i rientri in patria con premi e incentivi economici. Le politiche migratorie possono essere attuate anche in maniera selettiva nei confronti di certe provenienze (il Quota Act, negli Stati Uniti, prevedeva quote diverse di immigrati da ammettere, in funzione delle provenienze geografiche) oppure graduando i livelli di integrazione in base alla durata della permanenza. Le politiche di regolazione dei flussi per lavoro possono essere ricondotte a due fondamentali obiettivi: riacquisire il controllo sugli ingressi e promuovere l’inserimento socioeconomico degli immigrati già presenti. Per quanto riguarda il primo aspetto, sono stati introdotti filtri che, oltre che a criteri di tipo tradizionale (la provenienza da paesi con i quali esistono rapporti privilegiati o il fatto di essere imparentati con immigrati già presenti), fanno riferimento al possesso di qualifiche professionali e credenziali formative atte a soddisfare specifici fabbisogni del sistema produttivo. Altra tendenza è quella a incentivare la temporaneità dell’immigrazione. Generalmente, questa scelta viene giustificata adducendo fabbisogni di carattere esclusivamente stagionale (nei settori agricolo e del turismo) o temporaneo (per es., la realizzazione di grandi opere immobiliari), o appellandosi all’esigenza di colmare squilibri congiunturali sul mercato del lavoro. Non si può però negare che tra gli obiettivi vi sia quello di prevenire i problemi causati dalla permanente concentrazione delle popolazioni immigrate. Una più rigida regolamentazione dell’immigrazione per ragioni familiari e umanitarie costituisce un’ulteriore tendenza diffusa a livello internazionale, e in particolare a livello europeo.
L’avvento di politiche restrittive in materia di immigrazione per motivi di lavoro ha comportato la lievitazione degli ingressi attraverso le procedure del ricongiungimento e della richiesta di protezione umanitaria, ingressi che si traducono in una crescita non pianificata dell’offerta di lavoro. Per quanto riguarda le politiche di sostegno all’inserimento socioeconomico dei migranti della prima e delle successive generazioni, accanto alle misure di tipo tradizionale (alloggio, riqualificazione urbana, assistenza sanitaria e sociale, formazione professionale, scuola e alfabetizzazione, ma anche conservazione della lingua e della cultura d’origine), si registra un’attenzione crescente alla necessità di combattere pratiche dis;criminatorie, razzismo e xenofobia: diversi paesi hanno intrapreso campagne di sensibilizzazione, anche sulla scorta degli interventi di organismi sovrannazionali, a partire dall’Unione Europea, e investito risorse nel monitoraggio degli atteggiamenti verso le minoranze etniche, nell’analisi dei fenomeni discriminatori, nella formazione e riqualificazione dei funzionari pubblici. In termini generali, le più recenti politiche per l’integrazione delle minoranze etniche assumono come dato problematico la dis;continuità che spesso si registra tra le differenti dimensioni dell’integrazione (economica, sociale, abitativa, culturale ecc.). Per es., si sarebbe portati a pensare che l’assimilazione culturale si manifesti solo dopo il raggiungimento di un discreto livello di inserimento socioeconomico; l’evidenza empirica suggerisce invece che, specie per gli immigrati più giovani e per quelli di seconda generazione, l’interiorizzazione dei modelli culturali e degli stili di consumo della società ospite spesso precede l’ottenimento di un’adeguata sistemazione socioeconomica.
Uno dei fattori che maggiormente incide sull’evoluzione della convivenza interetnica è l’atteggiamento della società ospite verso gli appartenenti alle minoranze. In diversi paesi europei si è registrata una crescita di consenso verso formazioni politiche nazionalistiche e xenofobe, caratterizzate da atteggiamenti apertamente ostili nei confronti degli immigrati. Questo fenomeno, interpretato dai più come la conseguenza del senso di insicurezza indotto dai rapidi mutamenti intervenuti nella sfera economica e in quella politica, produce anche episodi di violenza razziale; allo stesso tempo, le società contemporanee esprimono anche movimenti antirazzisti e vedono lo sviluppo di attività di volontariato in favore degli immigrati. Da ultimo si registra la tendenza a costituire spazi sovrannazionali per il controllo delle migrazioni.
Per il peso politico che rivestono, hanno particolare risalto i rifugiati che costituiscono una specifica forma di migrazione. Vengono considerati tali quei soggetti che sono costretti ad abbandonare il proprio paese in quanto minacciati nella loro integrità fisica o addirittura di morte. È stato istituito un apposito organismo internazionale, l’UNHCR (United Nations High Commissioner for Refugees) che ha la funzione di agevolare l’inserimento di tali profughi politici in terre straniere e che ha rappresentanze in buona parte del mondo occidentale e di quello in via di sviluppo.
La mondializzazione del fenomeno migratorio, il quale si diffonde nella massima parte del pianeta e alimenta robusti spostamenti anche tra paesi assai lontani, va di pari passo con una tendenza solo apparentemente di segno opposto, una tendenza alla ‘regionalizzazione’ del fenomeno stesso, dovuta alla crescente importanza dei movimenti migratori tra paesi vicini, appartenenti a una medesima regione (o macroregione) in senso ampio. In realtà, mondializzazione e regionalizzazione sono entrambe il prodotto di una sempre maggiore mobilità della popolazione: lo provano gli esempi dell’Asia e dell’Europa centro-orientale, che, mentre formano nell’insieme grandi aree d’emigrazione verso terre lontane (anche di altri continenti), al tempo stesso sono interessate da intensi flussi intraregionali. In particolare, l’Europa centro-orientale si è venuta costituendo come nuovo spazio migratorio a partire dalla fine degli anni 1980 (con la dissoluzione del sistema guidato dall’Unione Sovietica), grazie alla rilevanza dei movimenti tra paesi che condividono tradizioni storiche, culturali ed economiche, nonché ai flussi dovuti alle tensioni politiche, etniche e sociali che hanno turbato la regione.
Le m. degli animali sono spostamenti periodici tra due aree geografiche con diverse caratteristiche ecologiche, grazie ai quali molte specie si assicurano alimento e condizioni di esistenza favorevoli alla conservazione propria e della discendenza. I movimenti migratori sono massicci (interessano un gran numero, talora la totalità degli individui di una popolazione), attivi (sono, in parte, sotto il controllo attivo dell’individuo) e direzionali (il flusso migratorio avviene in direzioni determinate). Dalle m. vanno distinti sia il comportamento erratico, che si ha quando gli animali si spostano continuamente, in varie direzioni, a secondo delle risorse dell’ambiente, sia i dislocamenti passivi, dovuti a correnti fluviali, marine o aeree o al trasporto da parte di altri animali o dell’uomo. Le m. sono dette trofiche se hanno per scopo la ricerca di cibo; genetiche se hanno finalità riproduttive; continue quando si ha il movimento regolare e costante lungo itinerari determinati; discontinue quando fra eventi migratori successivi è intercalato un periodo più o meno lungo di vita sedentaria.
Un tipo particolare di m. sono le emigrazioni (o esodi), nelle quali, al contrario di quanto avviene nelle m. in senso stretto, non si ha ritorno al punto di partenza degli individui migranti.
Gli Insetti possono compiere m. a piccoli gruppi o individualmente, ma più spesso in numero enorme (anche miliardi d’individui). Le masse migranti possono essere omogenee (cioè costituite da una sola specie), oppure eterogenee (cioè costituite da più specie). A migrare possono essere le larve (per es., Ditteri Nematoceri del genere Sciara), oppure, più frequentemente, gli adulti (Tisanuri, Efemerotteri, Odonati, Ortotteri Acridoidei, Emitteri, Lepidotteri, Ditteri, Coleotteri, Imenotteri). Particolarmente noti per la loro imponenza sono gli esodi di vari Odonati (Libellula quadrimaculata), Lepidotteri (Donaus plexippus) e Ortotteri Acridoidei (Locusta migratoria, Schistocerca gregaria, Dociostaurus maroccanus). Essi sono dovuti, in genere, a un massiccio aumento della densità della popolazione adulta, in dipendenza di particolari condizioni ambientali. Negli Ortotteri Acridoidei (locuste) le m. sono connesse al fenomeno delle fasi: l’esistenza, in una specie, di due forme (fasi) che differiscono fra loro per caratteri morfologici, fisiologici ed etologici. Una di queste forme è solitaria e statica, l’altra è gregaria e migrante. Quando una popolazione di locuste presenta un forte aumento nella densità degli individui, si realizza, attraverso una o più generazioni con caratteristiche intermedie, il passaggio dalla fase solitaria a quella gregaria; questa assume aspetti diversi a seconda delle zone in cui avviene la migrazione. Si formano sciami di dimensioni varie (possono coprire da 1 a più di 1000 km2), che colonizzano territori distanti anche migliaia di chilometri, arrecando danni ingenti alle coltivazioni.
Tra i Pesci compiono m. particolarmente estese i Clupeidi (sardine, aringhe, alose), gli Scombridi (sgombri), i Tonnidi (tonni), i Gadidi (merluzzi) ecc. Tali m. possono avvenire in senso verticale (cioè tra gli strati profondi e superficiali delle acque), oppure in senso orizzontale (tra il largo e la costa). Alcuni Pesci (per es., gli storioni, i salmoni, le alose ecc.) nell’epoca riproduttiva si portano dal mare nelle acque dolci (specie anadrome o potamotoche); altre (per es., le anguille) si portano dalle acque dolci al mare (specie catadrome o talassotoche). Tutte queste specie sono spiccatamente eurialine, cioè capaci di resistere a forti cambiamenti di salinità.
Particolarmente interessante è il caso dell’anguilla europea, che avrebbe un’unica area riproduttiva, situata nel Mar dei Sargassi; ogni anguilla compirebbe nella propria vita due volte la traversata dell’Atlantico.
Numerose specie di Anfibi compiono m.: tra queste gli esodi occasionali del rospo americano Bufo cognatus, e le m. stagionali del rospo comune (Bufo bufo). Quest’ultima specie, come molti altri Anuri e alcuni Urodeli, lascia dopo l’accoppiamento l’ambiente acquatico per tornarvi all’inizio della primavera successiva.
Tra i Rettili migratori, le tartarughe marine vivono e si accoppiano in mare, ma depongono le uova a terra, sotto la sabbia. Subito dopo la schiusa, i piccoli si dirigono verso il mare. M. a scopo riproduttivo sono compiute anche da tartarughe di acqua dolce.
Le m. degli Uccelli nella maggioranza dei casi hanno periodicità stagionale e sono interpretate come un adattamento della specie a condizioni ambientali che nel corso dell’anno divengono alternativamente favorevoli e sfavorevoli. Nell’emisfero boreale i migratori si spostano verso S all’avvicinarsi dell’inverno (passo) e tornano al Nord con il sopraggiungere della primavera (ripasso); inverso è il comportamento nelle specie dell’emisfero australe. Alcune specie compiono le m. entro l’area temperata (per es., merli, storni, tordi, fringuelli), altre tra la zona temperata dell’emisfero boreale e quella corrispondente dell’emisfero australe (per es., rondini, cicogne, fig. 1), altre ancora si spostano dalla zona temperata a quella tropicale dello stesso emisfero (gru, usignolo). Il territorio in cui gli uccelli migratori compiono la riproduzione è detto quartiere nuziale, quello in cui passano la maggior parte del periodo di sospensione dell’attività riproduttiva quartiere contranuziale. Le m. avvengono generalmente in stormi, ma non mancano specie che migrano isolate. Alcune specie (fringuelli, tordi, corvi, cicogne, rondini) compiono il volo migratorio nelle ore diurne, altre (cuculi, anitre, molti Passeriformi) durante quelle notturne, altre ancora (per es., le gru) sia nelle ore diurne sia in quelle notturne. L’estensione degli spostamenti, la velocità e la durata dei voli sono in rapporto con le capacità fisiologiche delle diverse specie.
Generalmente gli uccelli migratori compiono i viaggi quando le loro gonadi entrano in attività, oppure quando regrediscono, mentre dimorano quando le gonadi sono in pieno sviluppo oppure in periodo di riposo; tuttavia, lo stimolo non dipende esclusivamente dalle condizioni delle gonadi. Per molte specie di Uccelli ha importanza nel determinismo delle m. la lunghezza del periodo buio-luce (fotoperiodo). La diversa durata dell’illuminazione diurna stimola gruppi di cellule neurosecretrici ipotalamiche, che inducono nell’adenoipofisi un aumento della produzione di ormoni gonadotropi. Tali ormoni promuovono la gametogenesi e la secrezione di ormoni sessuali, provocano un aumento del volume delle gonadi e determinano l’instaurarsi del comportamento migratorio. Per altre specie di Uccelli sembra che il determinismo delle m. sia legato a un ciclo endogeno indipendente dalle condizioni ambientali. Più complesso è il problema dell’orientamento nelle m. degli Uccelli: la capacità di mantenere una corretta direzione di volo (orientamento direzionale) è innata e propria anche degli uccelli giovani e inesperti; si realizza mediante l’utilizzazione del Sole o delle stelle come punti di riferimento (orientamento astronomico). Una notevole importanza ha anche la percezione del campo magnetico terrestre.
Specie che effettuano m. sono presenti in vari ordini di Mammiferi. Tra i Roditori, notissimi da questo punto di vista sono i lemming (Lemmus lemmus), che, oltre a m. regolari tra quartieri invernali nella zona delle betulle e quartieri estivi nelle zone paludose, compiono a intervalli irregolari esodi imponenti: centinaia di migliaia di individui scendono dagli altipiani nelle vallate e nelle pianure, distruggendo la vegetazione e spingendosi a volte fino al mare. Tali esodi sono dovuti a un’eccessiva moltiplicazione della specie in relazione a condizioni ambientali particolarmente favorevoli. Tra i Chirotteri (pipistrelli) sono da ricordare le estese m. compiute dalla nottola (Nyctalus noctula). Tra i Cetacei compiono lunghe m. (1000-3000 miglia) le balene azzurre (Sibbaldus musculus), le balenottere comuni (Balaenoptera physalus) e le balene gobbe (Megaptera novaeangliae, fig. 2). Queste specie si dirigono d’estate verso le acque polari o subpolari, dove hanno le loro aree di nutrizione, e d’inverno verso le acque tropicali o subtropicali, dove hanno le aree di riproduzione. M. più brevi sono compiute dai capidogli (Physeter catodon). Tra i Pinnipedi, compiono vaste m. regolari il tricheco (Odobenus rosmarus), la foca di Groenlandia (Pagophilus groenlandicus), la foca leopardo (Hydrurga leptonyx), l’elefante marino (Mirounga leonina). Molti Ungulati compiono m. stagionali in rapporto alle condizioni della vegetazione. Così renne (Rangifer tarandus tarandus) e caribù (Rangifer tarandus caribou) si spostano a grandi branchi dalla tundra, dove vivono nel periodo estivo, alla taiga, dove hanno i loro quartieri d’inverno. Gli alci (Alces alces) lasciano all’inizio della cattiva stagione le foreste caducifoglie e si trasferiscono nelle foreste a conifere. Gli stambecchi (Capra hibex) e i camosci (Rupicapra rupicapra) salgono alla fine della primavera nella zona più alta della montagna e l’abbandonano quando comincia la cattiva stagione. Anche i cervi (Cervus elaphus) e i caprioli (Capreolus capreolus) si spostano in estate nelle parti alte della foresta e scendono a valle quando cadono le prime nevi. Numerosi Ungulati africani compiono estese m. in rapporto al periodico inaridirsi dei pascoli.
Lo studio delle m. viene condotto sia mediante l’osservazione diretta sia mediante la marcatura; quest’ultimo metodo può fornire dati molto precisi sugli spostamenti compiuti dall’animale, sulla direzione, la distanza percorsa, il tempo impiegato a percorrerla ecc. Le tecniche di marcatura variano da organismo a organismo. Per gli uccelli e i pipistrelli il metodo più usato è quello dell’inanellamento: gli esemplari, catturati per mezzo di reti o di trappole, sono contrassegnati con un anellino metallico o di materie plastiche che porta incisa la sigla dell’istituto scientifico che ha eseguito la marcatura e un numero individuale di matricola. Negli uccelli vengono applicati al tarso, nei pipistrelli all’avambraccio. Le successive catture degli individui così marcati permettono di conoscere il percorso effettuato e il tempo impiegato. Per i Mammiferi terrestri di una certa mole vengono usati per la marcatura bottoni colorati di plastica applicati agli orecchi in modo che l’animale sia riconoscibile anche di lontano. Nei Pesci la marca è applicata all’opercolo, alla mascella, sull’inserzione della pinna dorsale ecc. Gli Insetti sono marcati per mezzo di vernici speciali con cui si fanno macchie di diversa forma e colore sulle ali, le elitre, il torace ecc. Diffusa per vari animali, sia terrestri sia acquatici, la marcatura con isotopi radioattivi o con piccoli radiotrasmettitori che permettono il posizionamento preciso dell’animale.