Stato federale indipendente nell’ambito del Commonwealth britannico (dal 1901; capo dello Stato è il sovrano del Regno Unito). Il territorio coincide con l’omonimo continente (➔ Australia), includendo però anche l’isola di Tasmania.
Il territorio si può dividere in tre zone: la Gran Catena Divisoria, formata da una serie di catene che si allineano lungo il margine orientale, per poi proseguire in Tasmania culminando con le Alpi Australiane; nella parte centrale i bacini del Murray-Darling e del Lago Eyre, che corrispondono a una zona di basseterre; nella parte occidentale infine una serie di altopiani e zone desertiche. Di fronte al litorale nord-orientale si estende per circa 2500 km la Gran Barriera Corallina. Per un’analisi più approfondita dei caratteri fisici ➔ Australia.
La maggior parte della popolazione (95,2%) discende dagli immigrati italiani, tedeschi, olandesi ma soprattutto britannici, che hanno colonizzato il paese a partire dalla fine del sec. 18°. Gli Aborigeni, valutati in ca. 450.000 unità, vivono quasi tutti in riserve nelle zone settentrionali e centrali del paese; poco meno del 30% di essi vive nel Nuovo Galles del Sud e una quota di non molto inferiore nel Queensland, il resto si ripartisce prevalentemente nell’Australia Occidentale e nel Territorio del Nord. Come tutti i paesi di recente insediamento, l’Australia ha una popolazione giovane per classi di età, i cui caratteri strutturali (istruzione, professionalità ecc.) mostrano però i segni di una notevole ‘maturità’ dovuta, in buona parte, alle misure selettive da tempo adottate per tenere sotto controllo l’immigrazione, evitando che essa possa divenire un fattore di degradazione socio-economica, oltre che di eccessiva commistione etnico-razziale.
Nonostante la bassissima densità della popolazione, il tasso di urbanizzazione è molto elevato (circa il 92% nel 2004). Gli stessi Aborigeni non sfuggono alla tendenza a inurbarsi: oltre un quarto di essi vive nelle metropoli e una parte nei centri urbani più piccoli. Nelle città maggiori essi tendono a concentrarsi in quartieri periferici per lo più degradati, nella maggior parte dei casi veri e propri ghetti; questo è uno dei numerosi elementi che rivelano le tuttora basse condizioni sociali degli Aborigeni, insieme ad altri indicatori, quale per es. il tasso di mortalità infantile, che risulta più che doppio di quello registrato per il resto della popolazione.
La densità è maggiore nell’angolo sud-orientale del paese, dove si va formando una nuova zona di grande addensamento demografico, incentrata sulle quattro grandi metropoli di Brisbane, Adelaide e soprattutto Sydney e Melbourne (rispettivamente di oltre 4.350.000 e 3.700.000 ab. nel 2005, considerando le intere agglomerazioni urbane, risultanti da una serie di insediamenti urbani ininterrotti per decine di chilometri). Lontana e isolata è invece Perth all’estremità sud-occidentale, di minore estensione ma interessata da una forte crescita, anche per l’attrazione che esercita sugli immigrati asiatici.
Il maggior numero di immigrati (ai quali è dovuto l’aumento della popolazione registrato in Australia nel corso degli anni 1990) proviene infatti da paesi del Sud-Est asiatico (1,3% della popolazione), sia per la prossimità geografica sia per la forte pressione demografica esistente nei paesi d’origine sia per la rilevante componente formata dai rifugiati politici, proveniente per lo più dai paesi asiatici.
L’economia australiana, obiettivamente sfavorita dalla dispersione territoriale degli insediamenti e quindi delle attività produttive, ha comunque raggiunto un livello di sviluppo assai elevato, prima grazie a una forma di sostanziale monoproduzione, l’allevamento ovino da lana (e solo in un secondo momento anche da carne), e in seguito grazie alla progressiva differenziazione settoriale, che ha investito sia le attività estrattive sia le industrie manifatturiere sia il settore terziario. Il paese, tuttavia, è ancora fortemente dipendente dall’estero per molti prodotti industriali e per l’esportazione di materie prime. Di conseguenza ha avvertito il contraccolpo della crisi sopravvenuta nei primi anni 1970, pur essendo vicino all’autosufficienza dal punto di vista energetico. Comunque le prospettive restano buone e garantiscono all’Australia un ruolo di sempre maggiore importanza nel quadro economico internazionale.
La presenza di falde artesiane ha permesso, oltre all’allevamento, la coltivazione della terra, anche se ha condizionato la scarsa estensione delle aree coltivate; l’agricoltura è produttiva e diversificata, e soddisfa appieno il fabbisogno interno, contribuendo inoltre all’esportazione. L’Australia è uno dei maggiori paesi cerealicoli del mondo, con particolare riferimento alla produzione di frumento (24.067 t nel 2005), seguito dall’orzo, dal sorgo e dall’avena. Le variabili richieste del mercato mondiale – l’Australia, data la scarsa popolazione, è soprattutto un paese esportatore, attraverso gli scali marittimi di Sydney, Melbourne e Adelaide – provocano sensibili oscillazioni, talvolta accentuate da fattori climatici. Fra le piante industriali, principale è la canna da zucchero, coltivata, come pure il cotone, nelle fasce costiere orientali, a clima piuttosto caldo e umido; il cotone, mediante pratiche irrigue, è prodotto anche nell’Australia Occidentale. Estese le zone frutticole, così come diffusi la vite e gli agrumi, la cui produzione è in buona parte gestita da coloni italiani, particolarmente nel Victoria. L’allevamento è una risorsa fondamentale, soprattutto quello ovino: il paese, pur da tempo superato dalla Cina per numero di capi, detiene ancora il primo posto nella produzione della lana. La pesca è modesta, concentrata su specie pregiate (ostriche e aragoste).
Il sottosuolo è ricchissimo. Le quantità di petrolio consentono di soddisfare quasi completamente il fabbisogno nazionale (i maggiori giacimenti sono nel Queensland, nell’isola di Barrow e nello Stretto di Bass). Tra gli altri minerali si trovano il carbone (quarto produttore mondiale nel 2004), il gas naturale, il ferro, il manganese, il rame e il piombo. Non mancano i minerali preziosi: diamanti (terzo produttore mondiale nel 2004) in Australia Occidentale e a Bow River, oro (secondo al mondo) a Broken Hill e Kalgoorlie; argento (al quarto posto) a Broken Hill, Silverton, Chillagoe, opali a Lightning Ridge, nell’Australia Meridionale.
Per tradizione e per scelta l’Australia è essenzialmente uno Stato produttore ed esportatore di materie prime (primo per il carbone e la lana, secondo per il ferro e terzo per il frumento); non ha mai organizzato un’economia di trasformazione in qualche modo comparabile con quella degli altri paesi sviluppati, anche perché la scarsità della popolazione e il conseguente esiguo mercato interno, da una parte, e la posizione geografica appartata rispetto ai grandi mercati dell’Europa e dell’America Settentrionale, dall’altra, non consentivano di fruire di consistente domanda. Negli ultimi anni del sec. 20° le industrie si sono accresciute, i rami più consistenti sono quelli metallurgico, meccanico e chimico. Tale tardiva e accelerata diffusione delle attività industriali già comincia a manifestare segni di maturità: non mancano, infatti, anche in Australia casi di dismissione di industrie pesanti, soprattutto di stabilimenti siderurgici, e fenomeni di rilocalizzazione, con trasferimenti di fabbriche al di fuori delle agglomerazioni. Questo fenomeno è favorito anche dalle preoccupazioni espresse dai movimenti ambientalisti sui rischi corsi dall’ecosistema australiano, il quale sarebbe stato compromesso, in soli due secoli, in modo non meno grave di quanto sia avvenuto in Europa nel corso della sua storia plurimillenaria.
L’allentamento dei tradizionali vincoli con il Regno Unito e l’avvicinamento prima agli Stati Uniti e poi ai paesi emergenti dell’Asia orientale e sudorientale hanno prodotto radicali cambiamenti nei flussi commerciali: alla fine del sec. 20° il concorso dei paesi asiatici (tra i quali spiccano Giappone, Corea del Sud, Malaysia, Singapore e Cina) all’interscambio australiano supera il 50%; gli Stati Uniti sono il primo paese per le importazioni, il Regno Unito, un tempo partner privilegiato, viene solo al sesto posto e per le esportazioni è al terzo posto dopo Giappone e Cina (2004).
Lo smisurato spazio interno dell’Australia e la sua posizione marginale giustificano la grande diffusione dell’uso dell’aereo, anche per il trasporto delle merci, e infatti il maggiore degli aeroporti, quello di Sydney, si segnala più per il movimento mercantile che per quello dei passeggeri. Nettamente in crescita è il turismo internazionale, grazie alle tariffe aeree convenienti e all’efficienza dell’organizzazione turistica locale (circa 5.498.000 visitatori nel 2005). Tra le attrazioni la Gran Barriera Corallina e Uluru (Ayers Rock), patrimoni dell’umanità. Sulla protezione e gestione del patrimonio naturale australiano sono state espresse perplessità e critiche da studiosi e da movimenti ambientalisti.
Solo successivamente alla spedizione di J. Cook del 1770 gli Inglesi si interessarono all’Australia, che dopo la perdita delle colonie americane diventò luogo di deportazione. I primi due gruppi di deportati (1787, 1790) furono insediati nella regione attorno a Sydney. Gli ufficiali ebbero assegnazioni di terre e costituirono ben presto una casta dominante, in lotta continua con il governatore.
Continuò in quegli anni l’esplorazione delle coste a opera di G. Bass, N. Baudin, M. Flinders (cui si deve l’affermazione dell’attuale nome del continente), J. Grant e J. Murray. Ben più importanti per la vita futura del paese furono i primi esperimenti di allevamento di pecore su vasta scala compiuti da J. Macarthur, divenuto in poco tempo l’uomo più ricco e potente dell’Australia. Intanto, pur ritardata da gravi difficoltà dell’ambiente fisico e dall’ostile accoglienza degli indigeni, si svolse l’esplorazione dell’interno, che diede il via allo sviluppo dell’allevamento di pecore e della produzione di lana.
Nel 1823, sotto il governatore Th.M. Brisbane, il New South Wales Judicature Act sancì la separazione dall’Australia della Tasmania, che restò così la sola colonia di deportazione. Alla fine della politica d’insediamento penale corrispose quella di larga immigrazione, in seguito alla quale si andò creando un ceto sempre più ampio di allevatori e di commercianti e nacquero le prime istanze politiche. Nel 1850 fu promulgata una nuova Costituzione che prevedeva la creazione per il Nuovo Galles del Sud, la Tasmania, l’Australia Meridionale e la nuova colonia di Victoria di camere miste elettive per due terzi. La scoperta dell’oro presso Bathurst (1851) attrasse in Australia dall’Inghilterra e dall’Europa una formidabile invasione di cercatori, che si riversarono nell’interno in tutte le direzioni, aprendo nuovi canali di esplorazione. Lo scatenarsi di pericolosi avventurieri, per lo più provenienti dalle file degli antichi deportati, pose come condizione preliminare per la pacificazione del paese la fine delle deportazioni anche in Tasmania. Nel 1853 il Parlamento inglese decise di istituire un Consiglio legislativo e un’Assemblea elettiva, con governi responsabili nelle diverse regioni, cui si aggiunse il Queensland, separato dal Nuovo Galles del Sud. Nella seconda metà del sec. 19° l’aumento della popolazione e la crescente ricchezza del paese in seguito allo sfruttamento delle miniere d’oro portarono a una rapida trasformazione della vita economica e sociale. Dalla crisi economica degli anni 1880, provocata soprattutto dalla caduta della domanda estera, trasse forza e consistenza il Partito laburista.
Nel 1901 si costituì il Commonwealth. I primi anni del nuovo organismo furono dominati dalle contese di giurisdizione tra organi federali e organi dei singoli Stati, contrasto cui dovette far fronte un governo di coalizione, il cui atto più importante fu l’Immigration Restriction Act (1902). Dopo il clamoroso successo elettorale dei laburisti nel 1910, il governo Hughes mirò a riforme sociali moderate, che gli permisero di mantenere la solidarietà del paese durante la Prima guerra mondiale. Ma, finita la guerra, si rinnovarono le difficoltà tra poteri federali e poteri degli Stati, finché la riduzione delle spese, la riuscita di un prestito nazionale e la ripresa del commercio estero sanarono la situazione.
La Seconda guerra mondiale costrinse l’Australia, principale alleato degli USA nel Pacifico, a un notevole sforzo economico e militare. I governi laburisti affrontarono con successo i problemi posti dalla guerra e dalla successiva riconversione dell’economia, ma poi le tensioni interne portarono alla loro sconfitta elettorale del 1949. Il governo di coalizione fra Partito liberale e Partito nazionale agrario, presieduto da R.G. Menzies, che impresse alla politica estera una netta caratterizzazione in senso filo-occidentale, mantenne la guida del paese per 23 anni fino a quando, agli inizi degli anni 1970, i mutamenti intervenuti nella situazione politica interna e internazionale portarono alla crescita dei consensi e alla vittoria del Partito laburista.
Il governo laburista di E.G. Whitlam, entrato in carica nel 1972, inaugurò una politica estera meno allineata con l’Occidente e più attenta ai rapporti con gli altri paesi dell’Oceania e dell’Estremo Oriente, e sul piano interno promosse una politica di riforme e di espansione del welfare state. Non riuscì tuttavia a far fronte alle conseguenze della crisi economica internazionale del 1973-75 e le elezioni anticipate del 1975 sancirono nuovamente la vittoria della coalizione liberal-agraria, guidata da M. Fraser. Il Partito laburista ritornò vittorioso nelle elezioni politiche del 1983 e con il governo di R. Hawke avviò una politica di rilancio dell’economia e di contenimento dell’inflazione che consentì un calo della conflittualità sociale; in politica estera diede impulso alle relazioni con i paesi del Sud-Est asiatico, pur mantenendo stretti rapporti con gli Stati Uniti.
La coalizione conservatrice, presieduta da J. Howard, ritornò alla guida del paese dopo una netta affermazione ottenuta nelle elezioni del 1996. La vittoria fu confermata nel 1998, nel 2001 e ancora nel 2004, nonostante il crescente malcontento contro le scelte di politica estera a sostegno di Washington e Londra (partecipazione alla guerra in Afghanistan, invio di truppe in Iraq nel 2003). Nel novembre 2007 ha posto fine all’egemonia dei conservatori la vittoria del leader laburista K. Rudd; pur non conseguendo la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera dei rappresentanti, i laburisti hanno confermato il loro successo nelle elezioni federali tenutesi nell'agosto 2010, e formato un governo di minoranza presieduto da J. Gillard. Nel giugno 2013 la donna politica è stata battuta in un voto interno del Partito laburista dal suo predecessore Rudd: dopo le dimissioni rassegnate da Gillard, questi le è subentrato nella carica. Nel settembre 2013, dopo sei anni di governo laburista, le consultazioni legislative hanno registrato l'affermazione dei conservatori, che hanno ottenuto 88 seggi dei 150 seggi del Parlamento; è stato designato nuovo premier del Paese il leader del Partito liberale T. Abbott, che nel settembre 2015 ha rassegnato le dimissioni in quanto sfiduciato dal suo partito, subentrandogli nella carica M. Turnbull, che ha assunto anche la leadership dei conservatori. Il forte calo di consensi verificatosi a pochi mesi dalla sua elezione, dovuto all'assenza di un programma politico chiaro e alla crescente difficoltà di far approvare nuovi provvedimenti in Senato, ha spinto Turnbull a indire elezioni anticipate per il rinnovo del Parlamento al fine di garantire un mandato più forte alla coalizione di centrodestra che sostiene il suo governo: svoltesi nel luglio 2016, le consultazioni hanno registrato una vittoria di misura dell'uomo politico sul leader dell'opposizione B. Shorten e la sua riconferma nella carica di premier, ma il mancato raggiungimento della maggioranza assoluta ha delineato un perdurante quadro di difficile governabilità del Paese, sfociato nell'agosto 2018 in una crisi interna al Partito liberale che ha portato all'elezione di un nuovo leader, costringendo Turnbull a dimettersi e subentrandogli S. Morrison. Le elezioni legislative svoltesi nel maggio 2019 hanno registrato, contro ogni aspettativa, la riconferma al potere della coalizione conservatrice di governo liberal-nazionale del premier Morrison, che - pur non avendo ottenuto la maggioranza assoluta - si è aggiudicata 74 seggi contro i 65 andati al Partito laburista, mentre le consultazioni del maggio 2022 hanno riportato al potere dopo nove anni i laburisti, che con i 77 seggi ottenuti hanno formato un governo di maggiornaza guidato da A. Albanese.
Nell'ottobre 2023 è stata respinta con il 70% dei voti la proposta sostenuta da Albanese di concedere agli aborigeni il riconoscimento costituzionale e maggiori diritti civili.
I fattori che più caratterizzano il mondo culturale australiano nella sua complessità e diversità possono essere colti nel sentimento empatico con la natura e il paesaggio, e nel rapporto da una parte con gli Aborigeni, dall’altra con i modelli culturali europei, che da subordinato diventa costruttivamente dialettico.
La letteratura australiana all’inizio si configurò come un semplice trapianto di modi e tendenze della madrepatria. I grandi modelli del Settecento dominarono indiscussi, finché alla metà del sec. 19° Ch. Harpur e A.L. Gordon introdussero per primi nella loro opera gli elementi del paesaggio, della vita e del costume locali e segnarono così la nascita di una poesia australiana. La ballata fu una delle forme maggiormente coltivate dai primi poeti australiani, soprattutto da ‘Banjo’ Paterson e H. Lawson. Negli stessi decenni, la narrativa conta alcune opere di sicuro valore quali The recollections of Geoffrey Hamlyn (1859) di H.E. Kingsley, For the term of his natural life (1874) di M. Clarke e Robbery under arms (1888) di R. Boldrewood, mentre il già citato Lawson ha dato alcune pregevoli raccolte di novelle.
Nella prima metà del Novecento occupano una posizione di particolare rilievo J. Furphy, che con Such is life (1903) offrì un romanzo unico per la mescolanza di documenti, aneddoti e fantasia, M. Boyd (che scriveva sotto lo pseudonimo M. Mills) e H.H. Richardson (pseudonimo di E.F.L. Robertson; autrice di uno dei più importanti romanzi australiani: la trilogia The fortunes of Richard Mahony, 1917-29).
Nel secondo dopoguerra la conoscenza della letteratura australiana si è diffusa al di fuori dei confini nazionali, grazie alla risonanza ottenuta dall’opera di scrittori espatriati, come M. Boyd e soprattutto C. Stead, già celebre con The man who loved children (1940). Ancora più determinante è stata l’assegnazione del premio Nobel per la letteratura (1973) a P. White. Punto di riferimento obbligato per le nuove generazioni fin dal romanzo The aunt’s story (1948), White accoglie i grandi temi della tradizione, elaborandoli in una mescolanza di realismo e simbolismo che diventa il connotato più riconoscibile della letteratura australiana contemporanea. Nella fervida stagione narrativa inaugurata, insieme a White, da H. Porter con il suo The cats of Venice (1965), si distinguono X. Herbert, per il monumentale Poor fellow my country (1975), in cui rivisita le sopraffazioni del colonialismo; F. Hardy, autore di Legends from Benson’s Valley (1963); G.H. Johnston, con il romanzo autobiografico My brother Jack (1964); C. McCulloughs, autrice della più famosa saga australiana, The thorn birds (1977); il prolifico D. Ireland, che si vale di tecniche innovative per rappresentare la violenza della società industriale.
Uno spazio notevole occupa il romanzo femminile, che accentua l’assunzione di prospettive poco convenzionali, trasgressive e ‘dal basso’ (B. Hanrahan: Chelsea girl, 1989; E. Jolley: Palomino, 1987; My father’s moon, 1989). La realtà dei deboli e degli emarginati è osservata da T. Astley (It’s raining in Mango, 1987; Reaching tin river, 1990; Coda, 1994) e da H. Garner (The children’s Bach, 1984; Cosmo Cosmolino, 1992). B. Farmer (Place of birth, 1990) ricerca nuovi ritmi e motivi costruttivi mescolando i toni della commedia a quelli del gotico e dell’assurdo, mentre K. Grenville nei suoi racconti e romanzi dà voce ai desideri e alle frustrazioni di donne emarginate (Bearded ladies, 1984; Dark places, 1994).
La rivendicazione di centralità per quanto finora era stato tenuto ai margini trova la più diretta manifestazione nella fioritura di una letteratura aborigena, segnata dall’impegno politico e da una ricerca ritmico-formale che coinvolge fonti orali, musicali, mimiche. Tra gli autori più significativi figurano J. Davis (Jagardoo, 1977; John Pat and other poems, 1988; Black life, 1992); Oodgeroo Noonuccal, nome aborigeno assunto dalla scrittrice K. Walker (My people: a Kath Walker collection, 1970; Master of the ghost dreaming, 1991); C. Johnson, autore del primo romanzo scritto da un aborigeno (Wild cat falling, 1965), che adotterà in seguito il nome tribale di Mudrooroo Nyoongah per narrare la storia della conquista dal punto di vista dei nativi (Doctor Wooreddy’s prescriptions for enduring the ending of the world, 1983); K. Gilbert (The blackside, 1990), autore anche di un famoso testo di storia orale (Living black: blacks talk to Kevin Gilbert, 1984).
Al riemergere del patrimonio culturale autoctono corrisponde la progressiva assunzione, da parte della cultura anglosassone dominante, di una prospettiva ‘dai margini’, che viene considerata significativa sia in sé stessa sia in quanto capace di fornire un’ottica nuova all’intera nazione. Tale percorso è in vario modo rintracciabile nei romanzi di T. Keneally (The chant of Jimmie Blacksmith, 1972; Schindler’s ark, 1982, più noto con il successivo titolo Schindler’s list; Woman of the inner sea, 1992; A river town, 1995), o nei racconti di F. Moorhouse (Selected stories, 1982; Late shows, 1992). D. Malouf, autore anche di drammi e di poesie, prospetta un’ulteriore relativizzazione del senso della storia internazionale e locale (Fly away Peter, 1982; The great world, 1990; Remembering Babylon, 1992); P. Carey introduce nei suoi romanzi (War crimes, 1979; Oscar and Lucinda, 1988; Jack Maggs, 1997; True history of the Kelly gang, 2000) un elemento ossessivo e surreale che deforma la realtà e smitizza la storia, svelandola come finzione e gioco.
Il progressivo distacco dal mondo occidentale ha favorito una nuova percezione dell’Australia come ponte naturale, culturale e politico tra l’Asia, l’America e l’Europa, aprendola agli influssi culturali dei paesi appartenenti alla sfera pacifico-asiatica. Ad accogliere le nuove istanze sono scrittori come B. d’Alpuget (Turtle beach, 1981), attiva anche come giornalista; C.J. Koch (The year of living dangerously, 1978; Highways to war, 1995); R. Stow, che proietta nelle sue storie la dottrina taoista, e T. Maniaty (All over the shop, 1993). Parallelamente, l’emergere di problematiche legate all’industrializzazione rafforza l’antica ambivalenza nei confronti di una natura di cui non si vedono più soltanto l’esuberanza o la sfida, ma lo svuotamento e la perdita. Così nella narrativa più cupa e pessimista di J. McQueen (The clocks of death, 1990-92) e nei romanzi di T. Winton (An open swimmer, 1982; In the winter dark, 1988; The riders, 1993; Blueback, 1997).
Nella poesia è visibile il duplice rapporto con la tradizione (prima della lirica inglese, poi di quella americana), di cui si riutilizzano le forme chiuse (la strofa, la rima, il blank verse e i metri regolari), ma in cui si ricercano anche scansioni ritmiche e simboliche diverse, richiamandosi da un lato a una rinnovata visionarietà romantica o a una metafisica modernista, dall’altro a un’estetica postmoderna dove convivono più linguaggi, da quello dell’oralità a quello dei media e dell’immagine. Tra le figure più autorevoli di una prima stagione poetica australiana spiccano A.D. Hope, la cui poesia è ricca di allusioni letterarie, bibliche e mitologiche, calate in ritmi e forme tradizionali; J. McAuley, che usa la mitologia greca per criticare la civiltà moderna; F. Webb, autore di poemi d’ispirazione storica e di liriche intimiste, e soprattutto J. Wright, poetessa, saggista, romanziera, tenacemente protesa a salvaguardare l’integrità fisica e morale del suo paese. All’ambiente australiano sono anche legati D. Stewart e D. Campbell. Fortemente segnata dai modelli statunitensi appare la poesia di V. Buckley e di M. Dransfield. Aperta agli influssi americani ed europei ma non meno sensibile alla lezione autoctona delle precedenti generazioni è la produzione poetica di Les A. Murray, che recupera il patrimonio aborigeno (The boys who stole the funeral, 1980), e di Malouf (Poems 1959-1989, 1992), che elegge il mondo mediterraneo, e in particolare l’Italia, a luogo della sua ispirazione (anche come narratore).
Il teatro, soggetto alla cultura inglese dominante più a lungo di altri generi, ha espresso una sua vitalità a partire dagli anni 1960: mentre P. White e la poetessa D. Hewett portano sulla scena la loro ricerca tematica e formale, un gruppo di nuovi autori, la new wave, adotta il vernacolo per rivisitare i temi fondanti della cultura nazionale: particolarmente significativi sono J. Hibberd, uno dei fondatori della compagnia La Mama di Melbourne (1968), D. Williamson (Emerald city, 1987; Siren, 1990), A. Buzo e J. Romeril. Lontano dalla tradizione è il teatro di L. Nowra (Inner voices, 1977; The golden age, 1985), che usa maschere e tecniche della drammaturgia orientale, mentre M. Gow dinamizza il proprio linguaggio con citazioni metateatrali (Away, 1986; 1841, 1988) e S. Sewell si misura con i drammatici eventi storici verificatisi nell’Europa orientale.
Nell’ambito dell’architettura e dell’urbanistica, accanto agli avvenimenti più noti, quali i concorsi per il piano regolatore di Canberra (1911, vinto da W. Burley Griffin) e per l’Opera di Sydney (1956, vinto da J. Utzon) o la costruzione del nuovo parlamento a Canberra (1985, arch. Mitchell, Giurgola e Thorp), è da ricordare l’opera di H. Seidler (1923-2006, di origine austriaca, dal 1948 in Australia), di C. Madigan (n. 1921), K. Woolley (n. 1933), G. Murcutt (n. 1936), P. Corrigan (n. 1941). Con il superamento della dipendenza dalle tendenze di importazione occidentale, negli ultimi decenni del sec. 20° l’architettura in Australia si è fatta interprete di una interessante cultura progettuale e costruttiva autoctona. Accanto ai grattacieli e ai grandi complessi polifunzionali e specialistici delle città maggiori, che si confrontano con i linguaggi e le tecnologie delle metropoli occidentali, convivono espressioni architettoniche meno eclatanti sul piano dimensionale, ma significative per la tendenza al radicamento nelle specificità locali. Le realizzazioni di Murcutt, in particolare, pur segnate inizialmente dal razionalismo europeo, sembrano essere assurte negli anni a modello di una ‘forma architettonica australiana’ suggerita dalla tradizione coloniale locale (Casa Magney, 1982-84; Casa Meagher, 1988-92; Casa Marika-Alderton, 1991-94; Centro d’arte Riversdale, 1995-98). La lezione di Seidler, improntata a una rivisitazione dell’International Style, rimane invece viva fra personaggi di rilievo, come J. Andrews, e importanti studi (Archer, Mortlock, Murray & Wolley). Più vicini all’indirizzo high-tech sono lo studio Cox Sanderson Ness (National Sports Stadium e National Indoor Sports and Training Center a Bruce, Canberra, 1977-79; Cricket Ground a Sydney, 1988; centro espositivo per il bicentenario australiano Darling Harbour, 1988; Museo dell’identità nazionale a Ballart, 1998) e lo studio Denton Corker Marshall (ambasciata australiana a Tokyo, 1990; General Teaching Building per la Monash University a Melbourne, 1993; Governor Macquarie tower e Governor Philip tower a Sydney, 1993; centro fieristico di Melbourne, 1996; Melbourne Museum, 2000). Tra le opere influenzate dalla cultura pop dalle tendenze decostruzioniste si segnalano, rispettivamente: New National Museum of Australia a Canberra (Lell Studio Ashton Raggart McDougall, 2001) e la sistemazione di Federation Square a Melbourne (Lab Architecture Studio, 2002). Nel 2005 a Canberra si è svolta la prima edizione di una Biennale di architettura e design, istituita con l’intento di valorizzare le nuove tendenze del settore.
L’arte in Australia ha mantenuto a lungo un carattere conservatore: anche compiendo i propri studi a Parigi e a Londra, fino alla prima metà del 20° sec. gli artisti australiani si sono attenuti in genere a modi accademici e naturalisti. Così M. Meldrum (1875-1955), che attraverso la sua attività didattica ebbe una durevole influenza, imponendo un tonalismo naturalista, sostenuto da una ricerca razionale di formule predeterminate per definire e tradurre impressioni visive. Tra gli allievi di A. Dattilo Rubbo (1871-1955), che tenne a Sydney una scuola dal 1898 al 1941, fu invece coltivato l’interesse per le ricerche postimpressioniste, soprattutto a opera di R. Wakelin (1887-1971), G. Cossington Smith (1892-1984) e R. de Maistre (1894-1968). Nel 1939 la mostra Exhibition I a Sydney portò pubblicamente alla ribalta le ricerche, iniziate intorno al 1930, nell’ambito dell’astrattismo geometrico e le esperienze basate su luce, movimento, nuovi materiali, condotte da pittori e scultori quali G. Crowley (1895-1974), R. Fizelle (1891-1964), R. Balson (1890-1964), F. Hinder (1906-92) e sua moglie M. Haris (1906-1995, di origine statunitense), E. Lange (1893-1990).
Nel dopoguerra l’isolamento dell’Australia si è andato sempre più annullando e con la mostra Direction I (Sydney, 1950) si è imposto anche l’espressionismo astratto. Tra le personalità più significative emerse in quegli anni figurano gli scultori R. Klippel (1920-2001) e C. Meadmore (1929-2005); i pittori J. Dawson (n. 1935) e M. Johnson (n. 1938); K. Unsworth (n. 1931), che realizza opere con materiali poveri e performance nell’ambito della body art; J. Davies (n. 1936), che svolge ricerche nell’ambito della land art con particolare attenzione alla tradizione aborigena, e R. Owen (n. 1937) che si muove dal costruttivismo al minimalismo e all’arte concettuale.
Negli ultimi decenni del 20° sec. l’arte contemporanea in Australia ha seguito le principali tendenze internazionali, aprendosi alle nuove sperimentazioni e trovando, anche grazie a un recupero del proprio sostrato culturale, una personale identità. Si registrano dagli anni 1980 nuovi sviluppi, dovuti anche alle opportunità offerte dalle numerose mostre itineranti, da rassegne periodiche come la Biennale (dal 1973) di Sydney o la Asia-Pacific Triennial of Contemporary Art (dal 1993) di Brisbane, dalle pubblicazioni e riviste specializzate. Un rinnovato interesse per la figurazione emerge, in sintonia con le contemporanee esperienze internazionali, nell’opera di scultori come B. Armstrong (n. 1957), P. Juraszek (n. 1953), M. Snape (n. 1951). Il ritorno ai materiali tradizionali come il legno e il bronzo (R. Broad, n. 1947; T. Risley, n. 1947) convive con ricerche incentrate sull’uso di materiali diversi come acciaio corrugato e papier mâché in sculture o installazioni (V. Meertens, n. 1955; A. Wright-Smith, n. 1956). In pittura, accanto alle soluzioni neoespressioniste di P. Booth (n. 1940), alcuni artisti operano, secondo soluzioni diversificate, nel recupero di linguaggi del passato ricorrendo a mezzi quali collage, fotografia, video, come R. Dunn (n. 1944), che indaga la pervasività del potere nella società moderna, I. Tillers (n. 1950), che tratta la concezione di identità nazionale attraverso le immagini dell’arte internazionale, e il fotografo B. Henson (n. 1955), che esplora spazi di confine, tra giorno e notte, natura e civilizzazione, femminile e maschile. Complesse videoinstallazioni e performance sono realizzate da L. Jones (n. 1949). Nell’ambito non figurativo si svolgono le ricerche degli scultori R. Robertson-Swann (n. 1941), noto per le sue strutture lineari in acciaio saldato, G. Bartlett (n. 1952), T. Coleing (n. 1942), P. Cole (n. 1946) e M. Parr (n. 1945). Tra gli artisti più giovani, che hanno rappresentato l’Australia nelle maggiori rassegne tra fine 20° e 21° sec., sono P. Piccinini (n. 1965), australiana d’adozione, autrice di video e installazioni con figure iperrealistiche, sui principali temi della biogenetica; T. Moffat (n. 1960), di origine aborigena, che esplora in video e fotografie i conflitti razziali e lo sfruttamento sessuale dell’Australia postcoloniale. Dal 1992 il Museum of Contemporary Art di Sidney organizza serie di mostre itineranti dal titolo Primavera, dedicate ai giovani artisti emergenti.
Sempre maggiore importanza ha assunto, soprattutto dagli anni 1990, l’interesse per la cultura figurativa aborigena, affermatasi come una delle più originali espressioni dell’arte australiana; presente in esposizioni e in rassegne internazionali con artisti come M. Kubarkku (n. 1926), J. Angunguna (n. 1935), J. Mawandjul (n. 1952), M.N. Jagamara (n. 1949), J. Watson (n. 1959), è rappresentata nelle principali collezioni pubbliche tra cui, in particolare, la National Gallery of Australia, a Canberra (tra le opere più significative The aboriginal memorial, 1987-88, 200 stele lignee dipinte da 43 artisti, dedicate agli Aborigeni caduti durante l’insediamento europeo).
Grande Barriera Corallina (1981); Parco nazionale Kakadu (1981, 1987, 1992); regione dei laghi Willandra (1981); gruppo dell'Isola Lord Howe (1982); giungla della Tasmania (1982, 1989); riserva della Foresta pluviale centro-orientale (1986, 1994); Parco nazionale Uluru-Kata Tjuta (1987, 1994); Tropici del Queensland (1988); Baia degli squali, Australia occidentale (1991); Isola Fraser (1992); siti australiani dei mammiferi fossili (Riversleigh/Naracoorte) (1994); isole Heard e McDonald (1997); Isola Macquarie (1997); area delle Greater Blue Mountains (2000); Parco nazionale Purnululu (2003); Royal exhibition building e Carlton Gardens (2004); Sidney opera house (2007).