Stato del Vicino Oriente; confina a E con l’Iran, a N con la Turchia, a O con la Siria e la Giordania, a S con l’Arabia Saudita e il Kuwait e, per un breve tratto, si affaccia al Golfo Persico.
Il nome, adattamento arabo del mediopersiano irak «persiano», nel Medioevo si riferiva solo al paese percorso dai due fiumi Tigri ed Eufrate, fra Baghdad e il Golfo Persico; mentre il paese a nord di questo, l’antica Mesopotamia, fu chiamato dagli Arabi al-Giazīra «l’isola». Nel 9° sec., avendo i Selgiuchidi ampliato la loro dominazione tra la Mesopotamia e la Persia, il nome I. fu dato pure alla Media (e di qui trae origine il nome ‛Irāq ‛Agiamī «Iraq persiano» per distinguerlo da ‛Irāq al-‛Arabī «Iraq arabo»). Dal 1920, quando ebbe la sua costituzione l’odierno Stato iracheno, assegnato come mandato dalla Società delle Nazioni alla Gran Bretagna, il nome di I. fu esteso alla valle dei due grandi fiumi, a sud dei monti anatolici.
Le frontiere con gli Stati confinanti delimitano, in complesso, una regione bene individuata, che corrisponde a una zona depressa in cui scorrono Tigri ed Eufrate, limitata a S dal Golfo Persico e a E e a N da rilievi. Solo a O il confine è incerto, attraversando il Deserto Siriaco. I due fiumi hanno colmato, con le alluvioni, il solco compreso nella piatta zolla precambriana della Penisola Arabica che si immerge al di sotto del margine esterno della catena montuosa degli Zagros. Alcune diramazioni di questi monti sono comprese nei confini settentrionali dello Stato (regioni di Mosul con la catena del Sinjar, Kurdistan) e sono profondamente intagliate dai fiumi che scendono al Tigri (Khabur, Grande Zab). La loro altezza supera in più luoghi i 3000 m e il paese ha in genere forme aspre, per cui il transito con le regioni confinanti turca e iranica si svolge solo per alcuni passi elevati. Questa fascia di montagne, data la prevalenza dei calcari, funziona come serbatoio idrico rispetto alle pianure adiacenti. Il resto del paese è piatto, ma in diverse regioni si può meglio descrivere come ondulato. Nel settore occidentale e sud-occidentale, il territorio iracheno comprende parte del deserto siriaco-arabico; questa zona, denominata al-Widyan, è solcata da numerosi e brevi corsi d’acqua, attivi solo durante brevi periodi di pioggia e completamente asciutti per la maggior parte dell’anno. In prossimità del luogo dove Tigri ed Eufrate si accostano, le ondulazioni scompaiono e si deprimono fino a confondersi a poco a poco con le piatte strisce di steppa o di deserto che bordano i fiumi. Poco per volta, il piano arido, nudo, senza alberi, si anima per l’apparire e l’affollarsi dei palmizi (irrigazioni).
Tra il deserto siriaco e arabico – dove il confine con gli Stati vicini è puramente convenzionale – e la zona pedemontana di transizione ai rilievi degli Zagros, lungo la quale si profila il confine orientale, giace la vasta pianura costruita dai due fiumi in età storica. Qui le loro alluvioni e quelle dei loro confluenti hanno isolato a poco a poco tutta una serie di specchi d’acqua lacustri di cui uno tra i più estesi, in prossimità del Golfo Persico, dove sorge la città di Bassora, è l’Hammar. In questa regione le condizioni più favorevoli all’insediamento si trovano sugli spalti naturali in prossimità dei fiumi, dove difatti sono dislocati i principali centri abitati. Inoltre in tali fasce l’irrigazione, fatto decisivo, ora e in passato, nella vita di questa regione, è stata ed è oggi più agevole.
Il clima dominante nella pianura è continentale; la temperatura media annua di Baghdad è di 22,4 °C (con scarti da 35,5 °C in luglio a 10,4 °C in gennaio). Queste condizioni si mantengono nel resto del paese, eccetto che nelle fasce montuose settentrionali dove l’altitudine mitiga gli eccessi della stagione estiva e l’abbondante piovosità dei mesi invernali ricorda il clima mediterraneo. Le piogge si manifestano da novembre ad aprile, ma non superano in complesso i 300 mm annui (a Baghdad 183 mm). Si comprende quindi facilmente come nel territorio iracheno le piene dei fiumi abbiano sempre ricoperto un ruolo determinante nel consentire condizioni di vita accettabili.
Le vicende del popolamento iniziarono in I. in epoca antichissima, legate allo sfruttamento delle fertili terre della Mesopotamia comprese fra il Tigri e l’Eufrate; nell’8° sec. d.C., nel punto in cui i fiumi si accostano maggiormente, venne fondata Baghdad, che divenne ben presto uno dei più grandiosi centri islamici. Iniziò poi in quei territori, probabilmente al tempo dell’invasione mongola, una fase di progressiva decadenza, durante la quale gli abitanti cominciarono ad abbandonare l’economia agricola a favore del nomadismo. Le condizioni generali di arretratezza economica condizionarono pesantemente anche i processi di crescita demografica e ancora negli anni in cui gli Inglesi mettevano in atto i propri interventi di modernizzazione dell’apparato economico iracheno, e fino alla Seconda guerra mondiale, l’incremento fu sempre modesto. Fra il 1940 e il 1950 si cominciò a registrare un progressivo aumento, che, nella seconda metà degli anni 1970, raggiunse il valore del 3,5%. Le vicende politiche che hanno interessato il paese nel corso degli anni 1980 e 1990 hanno alterato non poco il quadro demografico e insediativo. Nonostante ciò, e malgrado le incertezze e le difficoltà economiche che tuttora attanagliano l’I., la popolazione continua ad aumentare a ritmo sostenuto. Il tasso di natalità è ancora assai elevato (30‰ nel 2009), anche se controbilanciato da un’alta mortalità infantile. La popolazione urbana rappresenta il 67% di quella complessiva, ma le funzioni propriamente urbane sono svolte solo da poche città, tra le quali predominano Baghdad, Bassora, Mosul, Kirkuk e as-Sulaymaniyah. Numerosi sono i nomadi (forse 350.000; secondo l’ultima stima, risalente al 1957, erano 260.000), che vivono nelle regioni steppiche o desertiche, in prevalenza nella parte sud-occidentale del paese. Sotto il profilo etnico non esistono grosse differenze, poiché, rispetto alla componente araba dominante (65%), soltanto quella rappresentata dai Curdi (23%), che occupano la sezione più settentrionale del paese, costituisce un’entità rilevante (v. fig.) La lingua nazionale è l’arabo, ma le minoranze etniche parlano spesso lingue o dialetti propri, per esempio fra i Curdi si parla il curdo, lingua iranica. Si calcola che oltre il 90% della popolazione professi la religione islamica (sciiti 62,5%, sunniti 34,5%).
Dopo la proclamazione della repubblica, l’economia irachena aveva assunto uno spiccato carattere dirigistico ed ebbe inizio il processo di nazionalizzazione delle fonti di produzione, in mano ai proprietari terrieri legati alla monarchia. All’inizio degli anni 1980 l’I. poteva essere considerato il paese arabo con le maggiori potenzialità di sviluppo, grazie alle ingenti risorse petrolifere, alla popolazione relativamente numerosa rispetto a quella degli altri Stati della regione, alla disponibilità di forza lavoro e alle possibilità di crescita del settore agricolo. Tuttavia, ogni progetto e programma di sviluppo economico è stato spazzato via dai conflitti che si sono avvicendati nell’arco di pochi anni. In particolare, le conseguenze della prima guerra del Golfo sono state gravissime, in quanto il paese non solo ha subito la distruzione pressoché completa delle infrastrutture, ma è stato anche fatto oggetto di sanzioni internazionali applicate dall’ONU per il mancato rispetto, da parte del governo di Baghdad, degli accordi di pace. Al quadro già così gravemente compromesso si sono aggiunte le devastazioni della guerra del 2003. La successiva guerra civile ha reso molto difficile ogni prospettiva di ripresa.
Per quanto riguarda le diverse attività produttive, è difficile tracciarne un quadro, data la scarsa attendibilità delle statistiche. Malgrado le esigenze alimentari in crescita, la produzione agricola registra un lento ma costante declino (circa −2,3% annuo) e diminuisce anche il numero di capi d’allevamento, fatta eccezione per gli animali da cortile e per gli ovini, unica risorsa dei gruppi nomadi (6.200.000 capi nel 2005). Il settore secondario contribuisce per una modesta parte alla formazione del PIL e occupa meno di un quinto della forza lavoro; è rappresentato da industrie pesanti (tutte di proprietà dello Stato), produzioni militari e industrie leggere, per le quali si è registrata un’apertura al privato. La principale risorsa del paese rimane il petrolio, le cui riserve ammonterebbero, secondo una stima, a oltre un decimo delle riserve petrolifere mondiali e sarebbero pari a quelle dell’Arabia Saudita. Anche in questo caso, l’andamento della produzione ha risentito degli eventi bellici che hanno interessato l’I. negli anni 1980 e 1990: dai 168 milioni di t estratti nel 1979, infatti, la produzione è passata, nel 1991, a 13,4 milioni, per attestarsi poi intorno ai 30-35 milioni di t; tuttavia, nella seconda metà degli anni 1990 la produzione è tornata a salire e nel 2005 ha sfiorato i 100 milioni di t, a fronte di un consumo interno irrisorio. Tra le risorse minerarie dell’I. una discreta importanza hanno anche le ingenti riserve di gas naturale, la cui produzione però è ancora molto limitata (1,5 milioni di m3 nel 2005) e destinata al consumo interno.
Nel maggio 2001 è stato ripristinato, dopo vent’anni, il collegamento ferroviario con la Turchia. Il principale scalo portuale è Bassora sullo Shatt al-Arab.
Sede dapprima dell’antichissima civiltà sumero-accadica, poi, dal 6° al 4° sec. a.C., provincia persiana, l’I. fece parte dell’impero dei Seleucidi, degli Arsacidi e dei Sasanidi e, nel 7° sec., fu conquistato dagli Arabi. Sotto la dinastia dei califfi omayyadi, residenti in Siria, l’I. fu all’opposizione. La rivoluzione che nel 750 portò al trono califfale gli Abbasidi fece dell’I. il centro dell’impero e la fondazione di Baghdad dette alla civiltà musulmana classica la sua capitale. Il 9° e 10° sec. sono l’età aurea dell’I. abbaside; l’istituzione califfale, continuata sino alla metà del 13° sec., mantenne sempre all’I. una certa indipendenza politica e una fisionomia statale unitaria. L’una e l’altra andarono perdute dopo che i Mongoli, nel 1258, distrussero l’ultimo residuo del califfato di Baghdad. Ridotto al rango di provincia dello Stato mongolo degli Īlkhān e conteso fra dinastie locali di origine mongola e turca, l’I. subì una profonda decadenza economica e culturale; ai primi del Cinquecento fu conquistato dai persiani Safavidi e nel 1535 passò infine sotto il dominio ottomano, che si protrasse per quasi quattro secoli.
Il processo di modernizzazione avviato dalla Porta nell’Ottocento favorì la penetrazione degli interessi europei. Occupato dalle forze britanniche nella Prima guerra mondiale, l’I. fu affidato in mandato alla Gran Bretagna dalla Società delle Nazioni (1920); nel 1926 fu riconosciuta l’incorporazione nel suo territorio della regione settentrionale di Mosul, già rivendicata dalla Turchia e abitata prevalentemente da Curdi, le cui pretese indipendentistiche avrebbero dato luogo nei decenni successivi a ripetute rivolte contro il governo centrale di Baghdad. Eretto in regno nel 1921, sotto l’hashimita Faiṣal, avversato dalla componente maggioritaria sciita, nel 1924 l’I. divenne una monarchia costituzionale ereditaria: lo Stato iracheno nasceva subordinato al potere britannico e condizionato da due pesanti questioni nazionali: quella curda e quella sciita.
Il paese divenne indipendente nel 1932, con la cessazione del mandato, ma restò legato alla Gran Bretagna da un trattato venticinquennale di alleanza che consentiva la permanenza in I. di basi militari inglesi; inoltre, di fatto i Britannici controllavano gran parte delle risorse petrolifere attraverso la Iraqi Petroleum company. Morto Faiṣal nel 1933, gli successe il figlio Ghāzī, scomparso nel 1939, e quindi Faiṣal II, sotto la reggenza dello zio ‛Abd ul-Ilāq fino al 1953, quando raggiunse la maggiore età. I fermenti nazionalistici e antibritannici, manifestatisi fin dagli anni 1920 e cresciuti durante la Seconda guerra mondiale, quando l’I. fu costretto a entrare in guerra contro l’Asse nel 1943, si rafforzarono dopo il 1945, e furono in seguito favoriti dalla creazione (1955) della sezione irachena del Ba‛th, partito socialista panarabo. La monarchia mantenne comunque solidi legami con Londra e una politica filoccidentale (confermata anche dal ‘patto di Baghdad’, di mutua sicurezza in funzione antisovietica concluso nel 1955 con Turchia, Gran Bretagna, Pakistan e Iran). Un colpo di Stato guidato dal generale ‛Abd al-Karīm Qāsim e promosso da nazionalisti di varia ispirazione nel 1958 pose termine alla monarchia (Faiṣal II fu giustiziato) e all’effimera Federazione Araba tra I. e Giordania costituita nello stesso anno, instaurando la repubblica; nel 1959 l’I. uscì dal patto di Baghdad allineandosi con lo schieramento arabo radicale.
L’abbattimento della monarchia aprì una fase di instabilità, cui contribuirono sia i contrasti tra le forze nazionaliste e panarabe, sia la crescita dell’opposizione curda che diede vita dal 1961 a un’estesa guerriglia. Nel 1963 Qāsim fu rovesciato da un colpo di Stato: ‛Abd as-Salām Muḥammad ‛Ārif assunse la presidenza dell’I. con l’appoggio del Ba‛th (che nello stesso anno prese il potere in Siria), ma dopo pochi mesi lo estromise dal governo, adottando una linea filo-nasseriana; dopo la sua morte in un incidente aereo (1966), gli successe il fratello ‛Abd ar-Raḥmān Muḥammad ‛Ārif, a sua volta destituito nel 1968 da Aḥmed Ḥassān al-Bakr, leader del Ba‛th. Nel 1972 l’I. avviò la nazionalizzazione dell’industria petrolifera e rafforzò con un patto di amicizia i rapporti con l’URSS, mentre quelli con i paesi occidentali rimasero difficili e nei confronti d’Israele e dei paesi arabi moderati fu perseguita una politica d’intransigenza. L’annosa controversia territoriale con l’Iran sullo Shatt al-Arab fu composta nel 1975 (accordo di Algeri) con la ridefinizione dei confini in cambio di una cessazione del sostegno di Teheran alla guerriglia curda. Nello stesso anno, la rivolta dei Curdi fu soffocata nel sangue e città e villaggi rasi al suolo.
Dopo la rivoluzione islamica in Iran, i rapporti tra i due Stati subirono un nuovo deterioramento e l’I. rimise in discussione l’accordo di Algeri, riavvicinandosi al contempo ai paesi arabi moderati e a quelli occidentali. Sul piano interno, al-Bakr fu sostituito (luglio 1979), nella direzione del Ba‛th e dello Stato, con Ṣaddām Ḥusain. Mentre le elezioni del 1980 evidenziavano il largo controllo di Ḥusain sul paese, il rilancio dei rapporti economici con l’Occidente e con gli Stati Uniti rappresentò un altro tassello per garantire all’I. un retroterra di appoggi in vista dell’attacco all’Iran, lanciato a settembre con l’invasione della sponda orientale dello Shatt al-Arab. La guerra si concluse con un cessate il fuoco solo nel 1988, dopo otto anni di conflitto costati a Iran e I. centinaia di migliaia di morti, ma i negoziati di pace rimasero bloccati fino al 1990, quando l’I. accettò il ristabilimento della frontiera del 1975.
Il 2 agosto 1990 l’I. occupò e annetté con la forza il Kuwait. Già nel 1961 ne aveva rivendicato il territorio, in quanto appartenente alla provincia di Bassora in epoca ottomana, ma nel 1963 ne aveva riconosciuto l’indipendenza; controversi erano tuttavia rimasti alcuni tratti di confine. Dopo la fine della guerra con l’Iran, si era avuto un peggioramento delle relazioni fra i due paesi per la politica di sovrapproduzione di petrolio condotta dal Kuwait (come dagli Emirati Arabi Uniti), che danneggiava pesantemente l’I., impegnato nella ricostruzione e fortemente indebitato. Obiettivi di Baghdad, oltre alla tradizionale ricerca di uno sbocco sul Golfo Persico, erano il patrimonio finanziario del Kuwait e le sue risorse petrolifere. Le reazioni internazionali furono di immediata condanna e si verificò anche una spaccatura nello schieramento dei paesi arabi. Il Consiglio di sicurezza dell’ONU impose un rigido sistema di sanzioni economiche contro l’I. e autorizzò l’uso della forza per costringerlo a ritirarsi dai territori occupati. L’azione degli Stati Uniti e dei loro alleati (una coalizione internazionale formata da 28 paesi, compresi 9 arabi), dopo una preparazione fondata in particolare sull’intesa con l’Arabia Saudita, che mise a disposizione il suo territorio come base per le azioni belliche, culminò in un’offensiva militare di vasto respiro nel gennaio-febbraio 1991. Questa portò alla liberazione del Kuwait e alla completa sconfitta dell’I., cui furono inflitti gravi danni materiali e perdite umane. Pure molto pesanti quelli prodotti dall’azione militare irachena nel territorio del Kuwait, con ripercussioni irreparabili sull’ambiente, e a grande durezza fu anche improntata la repressione irachena dei moti indipendentisti sciiti e curdi sviluppatisi durante la guerra.
Sottoposto alla prosecuzione dell’embargo a causa degli ostacoli posti alle verifiche degli ispettori dell’ONU sul rispetto delle misure di disarmo e costretto a pesanti condizioni d’armistizio, l’I. attraversò un difficile dopoguerra, segnato anche dal protrarsi degli attacchi militari statunitensi e britannici e dalle reiterate minacce, da parte degli Stati Uniti, di ripresa delle ostilità. Dovette inoltre concedere larga autonomia ai distretti curdi e accettare una sfavorevole revisione dei confini con il Kuwait. Per far fronte al drammatico peggioramento delle condizioni di vita della popolazione, il Consiglio di sicurezza dell’ONU consentì all’I. (1995) di esportare limitate quantità di petrolio e di utilizzare i proventi per acquistare cibo e medicine (programma Oil for food).
Ḥusain era riuscito a rimanere al potere, forte anche del suo apparato di polizia pronto a stroncare ogni forma di dissenso interno, nonostante l’aggravamento delle tensioni che attraversavano il paese e la crescente spaccatura (nel corso del 1995 ripetuti tentativi di colpo di Stato palesarono la crescente opposizione di parte delle forze armate, di potenti clan tradizionalmente vicini al presidente e di membri della sua stessa famiglia) tra il regime e le minoranze, traendo vantaggio dalle divergenze presenti nella comunità internazionale e alternando atteggiamenti di apertura e repentina chiusura alle richieste di ispezione degli arsenali militari. Mentre un referendum (2002) dall’esito plebiscitario confermava il presidente per altri sette anni, gli Stati Uniti, con l’appoggio della Gran Bretagna, sostenevano con crescente determinazione la necessità di un intervento militare per rovesciare Ḥusain. Scaduto il termine per completare il disarmo, a marzo 2003 ebbe inizio l’offensiva che in pochi giorni condusse all’occupazione di tutte le città irachene e alla fine del regime di Ḥusain (catturato a dicembre e giustiziato nel 2006).
Le forze della coalizione guidata dagli USA (di cui ha fatto parte, dopo la fine del conflitto, anche l’Italia) sono rimaste nel paese, precipitato in uno stato di anarchia e sconvolto da attentati terroristici e dallo scontro tra sciiti e sunniti. Dopo il trasferimento dei poteri a un governo provvisorio iracheno (2004), le prime elezioni legislative (2005) hanno registrato il successo degli sciiti e nel 2006 si è formato un governo presieduto dallo sciita Al-Mālikī. Alla presidenza della Repubblica è stato confermato il curdo J. Talabani, già presidente provvisorio. Ciò è avvenuto in uno dei periodi più sanguinosi della storia del paese, in un succedersi di atti terroristici diretti indiscriminatamente contro le forze governative, quelle della coalizione e la popolazione civile. L’affermarsi della struttura dello Stato e l’attenuarsi dell’attività terroristica consentirono nel 2007 il progressivo disimpegno di alcuni paesi dalla coalizione; nel 2008 i governi statunitense e iracheno si accordarono per il completo ritiro delle truppe americane dall’I. entro il 2011. Nel giugno 2009 tutte le città del paese ripassarono sotto l’esclusivo controllo delle forze irachene. Nel marzo 2010 si sono tenute le seconde elezioni generali, alle quali ha ottenuto la maggioranza relativa dei seggi il Movimento nazionale iracheno (o al-Iraqiyya, fondato dall’ex primo ministro Iyad Allawi), ma l’incapacità di ottenere una maggioranza parlamentare non ha permesso a questa forza politica di formare un nuovo governo, producendo uno stallo istituzionale durato otto mesi e conclusosi con la creazione di un esecutivo guidato da Al-Mālikī. Alle elezioni legislative tenutesi nell'aprile 2014 l'alleanza Stato di diritto del premier Al-Mālikī ha ottenuto il 24,1% dei consensi, mentre la coalizione Aharar si è affermata come seconda forza del Paese. Il premier uscente, non più appoggiato dalla sua maggioranza, è stato costretto a rinunciare al terzo mandato e gli è subentrato il vicepresidente del Parlamento H. Al-Abadi, che ha ricevuto dal neoeletto presidente della Repubblica, il curdo F. Masum, l'incarico di formare un nuovo governo. Non ricandidatosi per un secondo mandato, nell'ottobre 2018 Al-Abadi è stato sostituito alla guida del Paese dall'ex ministro arabo sciita A.A. Mahdi, nominato dal neoeletto presidente curdo B. Salih. Alle elezioni politiche svoltesi nel maggio 2018 si è inaspettatamente affermata la coalizione sciita al-Sairoon - composta da comunisti laici, da formazioni liberaldemocratiche e attivisti anticorruzione e guidata dall’imam sciita M. al-Sadr - che ha ottenuto 54 dei 328 seggi del Parlamento, seguita dalla coalizione ultraconservatrice Fatah, mentre terza forza politica del Paese si è attestata la coalizione Nasr del premier uscente Al-Abadi; netta affermazione della coalizione guidata da al-Sadr si è registrata anche alle elezioni dell'ottobre 2021, alle quali si è aggiudicata 73 seggi. Le proteste antigovernative verificatesi nei mesi successivi e duramente represse dalle forze dell'ordine, in un Paese stremato dalla crisi economica, afflitto dalla disoccupazione e dalla corruzione e privo dei servizi essenziali, hanno costretto nel novembre 2019 il premier Mahdi ha rimesso il mandato, ciò non ponendo comunque fine alle agitazioni di piazza; il mese successivo anche il presidente Salih ha rassegnato le dimissioni, poi ritirate, dopo aver rifiutato di approvare per l'incarico di primo ministro un candidato appartenente a un gruppo politico appoggiato dall'Iran. Nel marzo 2020 il premier designato M. Allawi ha rinunciato all'incarico, mentre il primo ministro ad interim Mahdi non si è dichiarato disposto a guidare un nuovo governo, subentrandogli nel mese successivo M.A. Al-Kazemi; sebbene le consultazioni anticipate svoltesi nell'ottobre 2021 abbiano assegnato alla coalizione guidata dal Movimento sadrista un'ampia maggioranza (73 seggi, contro i 38 aggiudicatisi dal sunnita Partito del congresso), nel giugno 2022, constatata l'impossibilità di formare un nuovo governo, al-Sadr ha disposto le dimissioni dei 73 parlamentari della sua formazione. Allo stallo politico hanno posto fine, nell'ottobre 2022, l'elezione del presidente del Paese, il curdo A.L. Rashid, che ha vinto al ballottaggio ottenendo 162 voti contro i 99 del capo di Stato uscente, e del premier sciita M.S. al-Sudani.
Mohammed Shia' al-Sudani Abdul Latif Rashid
Le latenti fratture interetniche sono esplose nel giugno 2014, quando il movimento radicale Is ha conquistato il secondo centro del Paese, Mosul, e ampie zone del centro-nord. Il conseguente sgretolamento dello Stato iracheno ha spinto gli Stati Uniti e la comunità internazionale a intervenire con raid aerei, permettendo a esercito regolare e milizie sciite di riconquistare parte del territorio perduto: a partire dal 2015, l'Is ha iniziato a perdere terreno, rimanendo sotto il suo controllo solo l'area di Mosul. Nell'ottobre 2016 è iniziata l'offensiva di militari iracheni e peshmerga curdi, sostenuti dalla coalizione anti-Is, per liberare la città, la gran parte del cui settore occidentale nel marzo 2017 è tornata sotto il controllo delle forze governative; nel giugno dello stesso anno l'Is, accerchiato e con il solo controllo della città vecchia, ha distrutto la moschea di Mūr ad-dīn, luogo simbolo del Califfato, che pochi giorni dopo è stata riconquistata dall'esercito iracheno insieme a circa metà del settore medievale della città. Nel luglio 2017, dopo nove mesi di scontri, Mosul è stata liberata, e nel dicembre successivo il presidente Al-Abadi ha annunciato la definitiva vittoria del Paese sull'organizzazione terroristica.
L’I., da provincia periferica della letteratura araba, ha assunto una posizione di rilievo grazie a numerosi scrittori e poeti che negli anni immediatamente successivi alla Seconda guerra mondiale hanno dato vita a una letteratura di rinnovamento rispetto ai modelli classici, esprimendo le problematiche sociali e politiche del loro paese. Esponenti di questa nuova espressione letteraria irachena sono in ugual modo la poetessa Nāziq al-Malā’iqa, i poeti Badr Shākir as-Sayyāb, ‛Abd ar-Raḥmān al Bayātī e i prosatori ‛Abd al-Maliq Nūrī e Fu’ād al-Takarlī, i quali, ognuno con un proprio stile, hanno espresso gli stessi sentimenti di patriottismo e di impegno politico. I temi della letteratura successiva non sono chiaramente distinguibili, poiché a volte in uno stesso autore convivono le tematiche più diverse: pessimismo e lirismo, realismo ed esistenzialismo, impegno politico e individualismo, alle quali spesso si aggiungono le problematiche legate alla questione palestinese; tra i letterati più noti possiamo ricordare: ‛Abd ar-Razzāq ‛Abd al-Waḥīd, Sa‛dī Yūsuf, poeta dell’esilio, ‛Abd ar-Raḥmān Magïd Rubay´ī, Muḥammad Khudayr e ‛Alī Gia‛far al-‛Allāq. Interessante il percorso dello scrittore Y. Tawfik, esule in Italia dal 1979, che ha pubblicato in italiano romanzi come La straniera (2001) e Il profugo (2006).
A Babilonia, Mosul, Nimrud, Ninive, Samarra, si trovano le ricche testimonianze archeologiche delle civiltà fiorite sul territorio dell’I. (da quelle mesopotamiche all’islamica), alla cui scoperta hanno collaborato numerose missioni straniere, oggi fortemente coinvolte nella salvaguardia e nel restauro dei monumenti danneggiati dalle guerre.
Dal periodo del protettorato inglese, l’I. si aprì alle correnti artistiche e architettoniche occidentali, vennero istituite un’accademia di belle arti e una scuola di architettura. Il processo di modernizzazione portò spesso a interventi urbanistici con demolizioni del tessuto urbano preesistente (Mosul, Arbil e soprattutto Baghdad). Dagli anni 1950, l’opera degli architetti M. Makyia e R. Chadirji si qualifica come espressione sia dell’esigenza di armonizzare l’architettura e l’urbanistica con l’ambiente storico, sia della ricerca di un linguaggio capace di trovare ispirazione nella tradizione islamica. Analoghe tendenze si sono riscontrate nelle arti figurative in artisti che si sollevano dalla celebrazione retorica per una originale ricerca. Tra i protagonisti: H. Muḥammad al-Baǵdādī, che opera nella pura tradizione, nell’ambito della calligrafia araba e della decorazione islamica; F. Hasan e J. Salim; Ḥ. Mas‛ūdī e Ḥ. Muḥammad Alī, che si rifanno alla calligrafia e alla decorazione islamica; Š. Ḥasan Sa‛īd; S. al-Ka‛bī, figurativo; Ismā‛īl Fattāḥ, autore di opere monumentali di respiro internazionale (monumento ai Martiri di Baghdad, 1981-83); Zyā’ al-‛Azzāwī; Sa‛ad Sakir; S. al-Dabbāǵ e S. Usāma, attivi nell’ambito dell’astrazione; ‛Alī al-Jābiri, che opera una sintesi tra astrazione e un figurativismo simbolico e allusivo tratto dalla cultura tradizionale.
La musica irachena si può far risalire all’antica civiltà mesopotamica, presso la quale si divideva in due correnti: la prima relativa alla tradizione, l’altra, prevalentemente in lingua sumera, alle celebrazioni. Le varie tradizioni musicali sviluppatesi nella zona dell’Eufrate avevano caratteristiche orientali con stili validi ancora oggi. L’I. è musicalmente conosciuto soprattutto per uno strumento chiamato ‛ūd (liuto) e per il rabāb (simile a un violino); i più noti musicisti che utilizzano questi strumenti sono rispettivamente Ahmad Mukhtār e l’assiro Munīr Bashīr.