(arabo-persiano Kurd) Popolazione iranica la cui regione storica (➔ Kurdistan) è attualmente suddivisa fra Turchia, Iran, Iraq, Siria e Repubblica di Armenia. La consistenza numerica dei C., di difficile valutazione per la mancanza di dati ufficiali sufficientemente attendibili, si aggira sui 20-30 milioni di persone, distribuite soprattutto fra la Turchia sud-orientale, il Nord-Ovest dell’Iran e il Nord-Est dell’Iraq, mentre assai minore è la presenza curda nella fascia più settentrionale della Siria e nella regione transcaucasica (specialmente in Armenia). I C. erano suddivisi in numerose tribù patriarcali, dotate di un’organizzazione di tipo semifeudale. Elementi di tale assetto tradizionale sono tuttora presenti. La religione predominante è musulmana di rito sunnita. La lingua è indoeuropea della famiglia iranica, con tre grandi gruppi dialettali: l’orientale, il settentrionale e l’occidentale; il lessico è caratterizzato da numerosi prestiti dal persiano moderno e dall’arabo, questi ultimi quasi sempre per il tramite del persiano o del turco.
L’origine etnica dei C. appare discussa nei suoi termini generali, ritenendosi variamente che si tratti di una popolazione di provenienza iranica, o invece autoctona, e imparentata con Caldi, Georgiani, Armeni. Al momento della conquista araba (7° sec.) erano tribù iranizzate ma mescolate con elementi asiatici e semitici, e caratterizzate da un notevole spirito d’indipendenza, che si manifestava in frequenti rivolte. La regione di Shahrizor si affermò come regno indipendente dall’11° al 16° sec., altre tribù si sottomisero ai Selgiuchidi, il cui sultano Sangiar nel 12° sec. creò la provincia del Kurdistan, a cavallo dello Zagros. Soggetti dal 16° sec. alla sovranità dell’Impero persiano a E e di quello ottomano a O, i C. mantennero un notevole grado di autonomia, conservando, grazie anche al parziale isolamento, la propria fisionomia etnica e culturale. Sollevazioni antiottomane si ebbero a partire dai primi decenni dell’Ottocento, dapprima prevalentemente a carattere particolaristico e guidate dai signori locali, in seguito con maggiori connotati nazionalistici.
La Prima guerra mondiale e la crisi dell’Impero ottomano favorirono lo sviluppo della coscienza nazionale curda e la formazione di nuovi gruppi dirigenti, politici e intellettuali. Il Trattato di Sèvres fra la Turchia e le potenze vincitrici della guerra (1920) riconobbe i diritti nazionali dei C. prevedendo uno Stato curdo indipendente ma nel successivo Trattato di Losanna (1923) si contemplò solo la possibilità di creare «un governo autonomo amministrativamente nei dipartimenti curdi» del protettorato britannico in Iraq. I C. da allora non cessarono mai di contestare, anche con la guerra, il dominio del governo centrale di Baghdad. Tutte le rivolte vennero represse, prima dalle autorità britanniche e poi dall’Iraq indipendente. I C. non ebbero migliore fortuna negli altri Stati in cui era stata suddivisa la loro terra di stanziamento; in particolare la repressione nella Turchia fu spietata, specialmente fra il 1925 e il 1930.
Le vicende della Seconda guerra mondiale riportarono alla luce le rivendicazioni curde: mentre un’ennesima rivolta in Iraq veniva soffocata con durezza (1943-45), in Iran si costituì nel 1946 con l’aiuto militare dei Sovietici una repubblica «indipendente» (con capitale Mahābād), che però, venuto meno il sostegno sovietico, fu presto riconquistata dalle forze iraniane. Nell’epoca della decolonizzazione i C. non trovarono lo spazio per affermarsi come nazione, a causa anche della disomogeneità del movimento nazionalista, diviso fra un’élite politica orientata a sinistra, di formazione moderna e basata sulle città, e le forze tradizionali di estrazione tribale o religiosa e di obbedienza feudale. Nel dopoguerra vi fu una serie di rivolte in Iraq, in Iran e in Turchia. In Iraq, dopo il fallimento delle speranze suscitate dalla rivoluzione del 1958, i C. a partire dal 1961 diedero vita a una vera e propria guerra, proseguita attraverso pause e riprese delle ostilità fino agli accordi del 1970 con il governo di Baghdad, che prevedevano l’autonomia per il Kurdistan iracheno; ma la legge di autonomia varata nel 1974 lasciò insoddisfatte le forze della resistenza curda che ripresero a combattere con l’appoggio di Teheran. D’altra parte in Iran dopo il trionfo della rivoluzione khomeinista (1979), i C. rivendicarono l’autonomia, opponendosi, anche in quanto sunniti, all’integralismo sciita. Durante la guerra fra Iraq e Iran (1980-88) in entrambi gli Stati i C. intensificarono la lotta autonomistica, subendo, soprattutto in Iraq, sanguinose rappresaglie. Durante la Guerra del Golfo del 1991 contro l’Iraq, le forze indipendentiste del Kurdistan iracheno, contando sull’aiuto statunitense, tentarono l’insurrezione, cui seguì, dopo la partenza degli Americani, la durissima repressione da parte del regime di Baghdad, che fece ampio uso anche di armi chimiche e biologiche. Dopo la caduta di Ṣ. Ḥusain, il Kurdistan iracheno ha ottenuto un’ampia autonomia, confermata dalla Costituzione del 2006. Il governo regionale del Kurdistan, presieduto dal 2005 da M. Bārzānī, non si è però mostrato in grado di migliorare le condizioni economiche dell'area, né di costruire un solido sistema democratico; incrinatosi il rapporto fiduciario con il governo di Baghdad, l'uomo politico ha indetto un referendum sull'indipendenza, più volte rinviato e svoltosi infine nel settembre 2017, al quale il 92% dei C. ha espresso parere favorevole alla secessione. Il mese successivo, privo del sostegno internazionale e dopo avere proposto al premier iracheno al-ʿAbādī di annullare i risultati del referendum in cambio di un allentamento delle tensioni ai confini tra i domini curdi e quelli iracheni, Bārzānī ha rassegnato le dimissioni dalla carica presidenziale; il Partito democratico del Kurdistan (PDK) dell'uomo politico si è comunque confermato primo partito alle consultazioni svoltesi nel settembre 2018, alle quali ha ottenuto 45 seggi, seguito dall’Unione patriottica del Kurdistan (UPK) con 21 seggi, mentre si sono registrati un crollo delle opposizioni e una diminuzione dei consensi in favore dei partiti islamici. Nel giugno 2019 ha assunto la carica presidenziale N. Bārzānī, e dalla stessa data ricopre la carica di premier il figlio M. Bārzānī.
Dagli anni 1980 crebbe anche la mobilitazione dei C. della Turchia, che si espresse attraverso l’azione in Parlamento e nel paese di partiti legali (in primo luogo il Partito della democrazia del popolo), le sollecitazioni propagandistiche e informative promosse dal cosiddetto Parlamento curdo in esilio (costituito nel 1992) e le iniziative politiche e di lotta armata del PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan), operante sia nelle regioni della Turchia orientale, ad alta concentrazione curda, sia nei centri dell’emigrazione curda in Europa; sorto negli anni 1970, il PKK si orientò in senso rivoluzionario opponendosi ai gruppi curdi favorevoli a trovare forme di dialogo con il governo di Ankara. Nel 2002 la revoca dello stato di emergenza proclamato nel 1987 nelle province curde a causa dell’attività terroristica del PKK fu una delle condizioni poste per l’ingresso della Turchia nell’Unione Europea, pur proseguendo le tensioni e gli interventi turchi anche nel Kurdistan iracheno, dove sono situate le sue basi.
Nel 2012 l'opposizione curda della Siria, tradizionalmente divisa, ha riunito le sue forze per lottare contro il regime nella guerra civile in atto nel Paese, mentre la tensione è cresciuta dopo l’estensione del conflitto in Turchia e, dal 2014, il coinvolgimento della formazione jihadista Is, contro cui le milizie curde hanno combattuto al fianco dell’Occidente, respingendo gli attacchi dello Stato islamico nella città di Kobanê e giungendo a controllare il territorio autonomo de facto del Rojava (Siria nord-occidentale), osteggiati dal governo di Ankara che negli anni successivi ha organizzato varie operazioni militari contro le Unità curde di protezione popolare (YPG), ala militare del PKK. In tale contesto, il memorandum di intesa trilaterale sulle esportazioni di armi e la lotta al terrorismo approvato nel giugno 2022 – con il conflitto bellico russo-ucraino in corso – per la rimozione del veto posto dalla Turchia alla richiesta formale di adesione alla NATO di Svezia e Finlandia può essere interpretato come un ulteriore tentativo del governo di Ankara di impedire il riconoscimento dei diritti e dell’indipendenza della minoranza curda, figurando tra le condizioni poste dal Paese la cessazione del supporto offerto dagli Stati membri e la cooperazione di Svezia e Finlandia nella lotta contro il PKK/YPG. Nel novembre 2022 la ripresa delle ostilità ha avuto come esito un raid aereo lanciato dal governo di Ankara contro le regioni curde della Siria e del Nord dell'Iraq, interessando nuovamente anche la città di Kobanê.