Stato turco musulmano durato oltre sei secoli (ca. 1300-1922), il cui nucleo originario si sviluppò nell’Anatolia nord-occidentale dalla dissoluzione del sultanato selgiuchide.
Eponimo e fondatore dello Stato e della dinastia ottomana fu ‛Othman, che costituì in Bitinia un principato, estendendolo fino a conquistare Bursa nel 1326. Da Bursa, Orkhān (1326-59), figlio di ‛Othman, si affacciò al Mar di Marmara e passò in Europa nella penisola di Gallipoli (1354). La prima fase di vera espansione (fig. 1) si ebbe con Murad I che, sconfitta la Serbia (1389), assicurò l’egemonia ottomana sui Balcani: già dal 1361 Adrianopoli era successa a Bursa come capitale. Dopo un periodo di arresto sotto Bāyazīd I per la disfatta subita ad Ankara (1402) a opera di Tamerlano, la cattura del sultano stesso e la susseguente anarchia, la parabola ascendente riprese, per culminare, sotto Maometto II, nella presa di Costantinopoli (1453), che pose fine all’Impero romano d’Oriente. Seguì la conquista della Grecia (1458-60), delle colonie genovesi (1474-75).
Le conquiste continuarono con slancio nel secolo successivo, soprattutto grazie a due sultani: Selīm I, che sconfisse i Persiani e conquistò Armenia, Siria ed Egitto, distruggendovi lo Stato dei Mamelucchi, e Solimano il Magnifico, che estese il dominio nei Balcani e in Ungheria (giungendo fino alle porte di Vienna nel 1529), nella Penisola Arabica, a Baghdad e in Persia. Egli fece dell’impero o. una delle più grandi potenze mediterranee e rafforzò il sistema di potere accentrando il comando nelle mani del sultano, del gran visir (primo ministro) e del divano.
La morte di Solimano avviò la disgregazione del potere centrale e sotto i suoi successori ebbe inizio la lentissima decadenza dell’impero, che si accompagnò ancora, però, ad azioni aggressive e guerre contro gli Stati rivali (soprattutto Venezia e Impero asburgico); con l’appoggio delle flotte dei pirati barbareschi vennero minacciati i traffici in tutto il Mediterraneo e furono conquistate Rodi (1522) e Cipro (1570-71), e assediata invano Malta (1565). La sconfitta navale subita a Lepanto nel 1571 a opera di un’ampia coalizione europea mise fine al mito dell’imbattibilità dell’Impero o., di cui segnò insieme l’inizio della decadenza marittima; fu comunque compensata in quello stesso anno dalla conquista di Cipro e, poco dopo, dal possesso della Tunisia e dello Yemen. Nel 17° sec. Murad IV riprese le conquiste in Asia, mentre nel Mediterraneo la seconda metà del secolo fu segnata dalla lunga guerra di Candia, ultima roccaforte veneziana nell’Egeo, conquistata completamente dai Turchi nel 1669.
Già prima della fine del 17° sec. l’impero o. subì le prime perdite territoriali: dopo il vano assedio di Vienna (1683), i Turchi dovettero sgombrare l’Ungheria; nel 1697 la pace di Carlowitz sanzionò la perdita dell’Ungheria e della Transilvania, nonché quella temporanea della Morea, riconquistata a Venezia dalle campagne di F. Morosini, la prima grande guerra che si chiudesse in perdita per lo Stato ottomano. Vent’anni dopo il Trattato di Passarowitz (1718) comportò la perdita di parte della Serbia in favore dell’Austria, mentre la Russia cominciava a premere sulle frontiere dell’impero. Le guerre russo-turche del 1768-1774 e 1787-92 si conclusero con la perdita della Crimea e determinarono l’estensione dell’influenza russa sul Mar Nero e sui Balcani. La campagna napoleonica in Egitto (1798) disgregò l’autorità imperiale in Africa, fino alla concessione dell’autonomia all’Egitto (1805).
L’indebolirsi della grande compagine o. era ormai evidente e inarrestabile. Sultani energici come Selīm III (1789-1807) e soprattutto Maḥmūd II (1808-39) tentarono di porvi riparo con organiche riforme soprattutto militari (sterminio e soppressione nel 1826 dei turbolenti giannizzeri), ma non riuscirono a impedire l’ulteriore disintegrarsi dell’impero (insurrezione greca del 1821, con susseguente distacco della Grecia dopo l’intervento europeo a Navarino, 1827; indipendenza effettiva dell’Egitto sotto Muḥammad ‛Alī e campagne egiziane sin nel cuore dell’Anatolia; autonomia della Serbia sotto gli Obrenović, 1830). Fu tentato un radicale rinnovamento delle strutture statali, per adeguarne le basi agli Stati moderni europei con l’emanazione delle Tanẓīmāt («ordinamenti» o «riforme»), che abbandonando i principi del diritto canonico musulmano sancivano l’uguaglianza dei sudditi dinanzi alla legge, la libertà di coscienza e di culto, l’equa ripartizione delle imposte, mentre si istituivano tribunali civili e penali distinti da quelli religiosi. Ma niente valse ad arrestare la decadenza dell’impero o., nonostante l’interessato intervento in suo aiuto delle potenze europee (guerra di Crimea, 1853-56). Si fece allora più vivace il moto riformatore per ottenere una costituzione di tipo europeo, che fu infine concessa nel 1876 da ‛Abd ul-Ḥamī´d II (1876-1909), ma subito revocata dallo stesso sultano, che instaurò un regime reazionario e poliziesco. La guerra russo-turca del 1877-78 diede un colpo decisivo al dominio turco in Europa, con la creazione degli Stati indipendenti di Serbia e Romania e di quello autonomo di Bulgaria. Nel 1878 il Congresso di Berlino segnò la fine della presenza ottomana nei Balcani.
Il carattere dispotico del governo imperiale e la drammatica vicenda del massacro degli Armeni, iniziato alla fine del 19° sec., contribuirono a screditare l’impero agli occhi della comunità internazionale. Nel 1909 la rivoluzione dei Giovani Turchi depose ‛Abd ul-Ḥamī´d, inaugurando un regime costituzionale sotto Maometto V (1909-18), presto evolutosi in senso autoritario. Frattanto con la guerra italo-turca (1911-12) andò perduta la Libia e con le due guerre balcaniche (1912-13) la Macedonia, la Tracia occidentale, le ultime isole greche dell’Egeo, l’Albania. La Prima guerra mondiale aprì la fase finale della crisi dello Stato o., alleato con gli Imperi centrali. Dopo che tra 1916 e 1918 si furono staccati tutti i paesi arabi (Siria, Palestina, Mesopotamia, Arabia), il trattato di Sèvres (1920) mise in forse l’unità e l’indipendenza stessa dello Stato.
Questa fu salvata dal movimento di riscossa capitanato da M. Kemāl detto Atatürk che condusse all’espulsione degli invasori stranieri dall’Anatolia e alla restaurazione della sovranità nazionale. Tuttavia questi avvenimenti segnarono anche la fine dell’Impero o.: nel 1922 Kemal depose l’ultimo sultano ottomano, Maometto VI; la proclamazione della Repubblica turca (1923) diede inizio alla storia della moderna Turchia.
L’epoca o. vide un importante sviluppo dell’architettura, con ampia ma originale elaborazione della tradizione bizantina, armena e selgiuchide. I suoi primordi, nel 14° e 15° sec., vanno ricercati nella produzione dei Selgiuchidi di Rūm e in quella degli emirati formati da quel sultanato. In questa fase si accentuano le ricerche sulla cupola, elemento dominante della moschea; si riducono le proporzioni del portale, ridimensionandolo alla facciata, a sua volta finestrata.
Si afferma intanto il tipo di moschea costituito da un unico ambiente cupolato (Alauddin Giāmi‛ di Brussa, 1326; Yeshil Giāmi‛ Din di Iznik, 1378), preceduta da un portico a tre arcate coperte da cupolette o da volte di influenza bizantina. Dal modello della madrasa a quattro īwān di ascendenza iranica si sviluppa un tipo di edificio con pianta a T rovesciata, spesso organizzata su due piani, con un grande vano cupolato, una sala di preghiera (giāmi‛) che si configura a īwān, in posizione assiale, affiancata da vari vani con funzione di scuola, monastero (zāwiya), ospizio, refettorio, biblioteca. Questo tipo di edificio (moschee di Orkhān, 1340; di Murad I, 1363; e la Yeshil Giāmi‛ di Brussa, 1421) risponde a esigenze funzionali complesse, rappresentate volumetricamente all’esterno, secondo le caratteristiche del linguaggio architettonico ottomano. La tipologia della moschea di Brussa prosegue anche dopo la conquista di Costantinopoli (Maḥmūd Pasha Giāmi‛, 1464, e Murad Pasha, 1471, a İstanbul; Isḥaq Pasha, 1482, a Inagöl). Nella Dawut Pasha Giāmi‛ di İstanbul (1485) è evidente l’influenza bizantina nell’alloggiamento del miḥrāb in un’alta nicchia pentagonale semicupolata che aggetta sul muro della qibla di una sala di preghiera quadrata coperta da grande cupola.
La tendenza selgiuchide di coprire la sala di preghiera con un’unica cupola è ripresa dagli Ottomani per le grandi moschee, rendendo visibile da ogni punto il miḥrāb. Il partito della corte porticata davanti alla sala di preghiera è reintrodotto in scala monumentale (Uç Shefereli di Murad II, 1437-42, a Edirne). L’influenza di S. Sofia è evidente nella moschea di Bāyazīd II a İstanbul (1501-06) in cui la cupola centrale si prolunga in due semicupole secondo l’asse del miḥrāb.
Originale interprete della lezione architettonica di S. Sofia è Sinān, il cui magistero condizionò le generazioni di architetti a lui successive. Delle 360 opere a lui attribuite, importanti sono le moschee di Shāhzāde (1544-48), di Suleimaniye (1550-57) a İstanbul e di Selimiye (1569-75) a Edirne. Il modello cui si ispirarono gli epigoni di Sinān fu però soprattutto quello della Shāhzāde, caratterizzata da una grande cupola, di particolare leggerezza, che poggia su quattro arconi insistenti su pilastri ottagonali contraffortati da quattro semicupole estendentesi in due esedre, con quattro cupolette angolari.
La presenza dello Stato imperiale si manifestò nell’inserire queste moschee sultaniali in grandiosi complessi caritativi e culturali (kulliye), con madrase, ospedali, biblioteche, ospizi, refettori per poveri (innovazione propriamente ottomana), mercati, caravanserragli e la tomba del fondatore. Il mausoleo (türbe) continua il tipo selgiuchide, ma lasciando in evidenza la copertura a cupola.
Grande sviluppo ebbe il bagno pubblico (ḥammām), generalmente costituito da un’ampia sala spogliatoio, vestibolo, sala cruciforme per il bagno con alcove agli angoli: a İstanbul quello di Maḥmūd Pasha (1466), e quello di Haseki Hurrem (1556), attribuito a Sinān. Salvo il Topkapi di İstanbul, sono scomparsi i grandi palazzi imperiali. Particolare fortuna ebbe un tipo di padiglione, rappresentato dal Çinili Köshk (padiglione delle ceramiche), costruito sotto Mehmet Fātih nel 1466: è a pianta quadrata, preceduto da una veranda (talar); all’interno un corridoio cruciforme, sormontato al centro da una cupola, definisce quattro ambienti angolari. È un’antica tipologia centro asiatica-iranica adottata anche dalla casa di svago (yale), di cui restano esempi sul Bosforo, in legno, come era lignea gran parte dell’edilizia abitativa di İstanbul. Tipici elementi dell’arredo urbano ottomano sono le fontane, concepite secondo due tipologie: a parete (sebīl), e le çeşme, fontane indipendenti (İstanbul, fontana di Aḥmed III, 1728).
Nel periodo della decadenza dell’impero, sotto l’influenza del barocco e del rococò occidentali l’architettura o. mostra una notevole vivacità creativa, integrando spesso al suo originario linguaggio angolare la nuova geometria curvilinea. Se il barocco e il rococò influenzano soprattutto l’aspetto decorativo, non manca anche la tendenza a interpretare il linguaggio architettonico del Settecento francese nelle planimetrie (İstanbul, moschea di Nūr-i Osmaniye, 1755). Un gioiello barocco è il complesso di Küciük Effendi (1825) a İstanbul, con sala ovale per le danze rituali.
L’introduzione a Iznik (Nicea) dell’industria ceramica, fatta da Selīm I nei primi anni del 16° sec., oltre a produrre un’elegantissima ceramica ispirata dapprima alla porcellana blu su bianco cinese, presto sviluppò uno smagliante tipo invetriato policromo, dal caratteristico rosso brillante (bolo armeno), a motivi vegetali secondo la stilizzazione persiana, o a motivi floreali più realistici, con prestiti del repertorio decorativo cinese. Grande impulso ebbe la produzione di mattonelle ceramiche, usate nella decorazione parietale.
Per l’arte libraria, la scuola di İstanbul subì l’influsso di quella di Tabrīz. La copia dei poemi epici persiani portò all’uso di miniature e alla formazione di una scuola pittorica o. che si distingue da quella persiana per una maggiore forza espressiva e realismo; opera notevole il cosiddetto Album del Conquistatore (İstanbul, Biblioteca di Topkapi), illustrato da Ahmed Musa e Mehmet Siya Kalem.
Importante la produzione tessile (broccati di seta, velluti e broccati di velluto di Brussa; velluti di Scutari) e dei tappeti (sin dal 15° sec.): il tipo di Uşak con medaglione tondeggiante, carico di elementi persiani, ebbe massima importanza nel 16° e 17° sec.; il tappeto di preghiera ebbe diffusione in Anatolia. Va ricordata l’arte dei metalli, che accanto a forme e decorazioni tradizionali dell’islam si dimostra esposta, soprattutto nel periodo più tardo, a una pesante e non sempre felice influenza occidentale, e l’arte del gioiello, in cui larga parte ebbe il corallo con effetti di notevole pregio (anche ➔ islam).
Si chiama ottomana il tipo di divano all’uso turco, di forma rettangolare, con materasso e schienale costituito da uno o più cuscini mobili, tale da poter essere trasformato in letto (fig. 2). È detto anche letto alla turca o, con parola francese, sommier.