La grande religione monoteistica fondata in Arabia nel 7° sec. da Maometto e, collettivamente, il sistema sociale, culturale e politico che ne assume i principi.
L’i. è l’ultima delle grandi religioni monoteistiche rivelate, dopo l’ebraismo e il cristianesimo. Suo fondamento è il Corano, testo rivelato in arabo a Maometto, attraverso l’arcangelo Gabriele, ritenuto «parola di dio» e come tale perfetto e immutabile. È una religione universale, aperta a tutta l’umanità: per appartenere alla comunità dei credenti (umma) al seguace è sufficiente formulare in presenza di testimoni e con sincerità di intenti la professione di fede (shahāda) «non c’è altro dio che Allāh e Maometto è il suo inviato».
Allāh è unico, onnipotente, onnisciente, con illimitata libertà di volere: unico creatore dal nulla, agisce su tutte le cose dell’universo, giudice supremo, retribuisce gli uomini con il paradiso o l’inferno. Dal Corano e dalla tradizione (sunna) si sono tratti 99 epiteti, da cui la corrente teologica maggioritaria ha desunto i 13 attributi (ṣifāt) di Dio: esistenza, eternità nel passato, eternità nel futuro, dissomiglianza da ogni cosa creata, indipendenza, unicità, vita, onniscienza, onnipotenza, volontà illimitata, udito, vista, parola. Ministri di dio sono gli angeli, e un angelo decaduto è il diavolo (Iblīs) che istiga gli uomini al male. Inferiori agli angeli ma superiori all’uomo sono i ginn, creature soprannaturali del paganesimo arabo, divisi in buoni e cattivi.
Manca nell’i. una chiesa gerarchicamente costituita. Appartengono a ciò che impropriamente è chiamato clero, oltre all’insieme degli addetti alle moschee, privi di carattere sacro, l’imām o guida della preghiera comune, il khaṭīb, che tiene la preghiera del venerdì, il mu’adhdhin, che dal minareto annuncia il momento delle preghiere, gli esperti di diritto canonico, e in generale i dotti (ulamā), conoscitori delle cosiddette scienze rivelate, Corano, sunna e loro esegesi.
Le pratiche cultuali obbligatorie, a cui ogni musulmano in possesso delle sue facoltà psicofisiche è tenuto, sono i cinque arkān («pilastri»): a) la shahāda, formulazione della professione di fede; b) la ṣalāt, preghiera canonica, da compiersi 5 volte al giorno (all’aurora, a mezzogiorno, a metà pomeriggio, al tramonto, alla sera), in stato di purità rituale ottenuta mediante abluzioni, in direzione (qibla) della Mecca, compiendo prosternazioni (rak’a) e recitando formule rigorosamente prescritte; particolarmente importante è la preghiera in comune del venerdì, tenuta poco prima di mezzogiorno e preceduta dalla khuṭba o predica rituale; c) il ṣaum, digiuno del mese di ramaḍān, cioè la completa astensione diurna da cibi, bevande, rapporti sessuali e fumo; d) la zakāt, o elemosina rituale esclusiva dei musulmani; e) il ḥaǵǵ, pellegrinaggio alla Mecca, cui ogni musulmano che ne abbia la possibilità è tenuto almeno una volta nella vita. Ai cinque arkān i musulmani sciiti ne fanno seguire un sesto, la «guerra santa» (jihād), equivalente al progressivo passaggio del mondo sotto la legge islamica.
Il Corano menziona il Pentateuco, o forse anche l’intero Antico Testamento, e il Vangelo; testi sacri che secondo Maometto differiscono dal Corano per la forma, non per la sostanza, salvo il caso in cui Dio abbia voluto abrogare con la definitiva rivelazione coranica precetti contenuti negli altri due. Ampliando spunti coranici, tuttavia, i musulmani ritengono l’Antico Testamento e il Vangelo nella loro forma attuale gravemente alterati.
Obbligatoria è la credenza nella missione divina dei profeti (rusul), inviati da Dio alle varie nazioni con testuali rivelazioni o messaggi divini: la serie coranica di tali inviati si apre con Adamo e termina con Maometto; profeta è anche Gesù, di cui il Corano ammette la nascita verginale, ma non che sia figlio di Dio e che sia stato realmente crocifisso.
In nome della bontà divina, l’uomo nasce buono, musulmano e senza peccato originale. Dopo la morte le anime dei profeti ascenderanno subito in paradiso, mentre quelle dei buoni vi saranno accolte solo dopo il giorno del giudizio. I musulmani malvagi e i non musulmani saranno assoggettati al «tormento della tomba», dovranno varcare il passaggio verso l’aldilà e subire un penoso interrogatorio a opera di due angeli inquisitori. Secondo alcuni musulmani c’è libertà di credere o meno all’eternità del castigo.
Un portato dell’ascetico-mistica musulmana (sufismo) è il culto dei santi (awliyā’), affermatosi nonostante le opposizioni teologiche, e diffuso specialmente nell’Africa del Nord. Al santo ancora vivo si attribuiscono uno speciale influsso salutare (baraka) e il compimento di atti miracolosi. Di particolare considerazione godono anche i sayyid, gli sceriffi, cioè i discendenti di ‛Alī e di Fāṭima figlia di Maometto, l’unica aristocrazia ammessa nell’Islam.
Non essendoci una dogmatica nel senso tecnico del termine, non si può parlare nell’i. né di eresie né di sette, ma solo di divisioni, che a loro volta si configurano come una maggioranza, i Sunniti, che si impongono come ortodossi, e alcune minoranze di cui le più importanti sono quella degli Sciiti e quella degli Ibaditi, sottogruppo della più ampia «corrente» dei Kharigiti, scomparsa come tale. Per tali minoranze è convenzione usare comunque il termine «sette» (firaq): queste nascono dopo la morte di Maometto, su discordanze politiche, riguardanti le prerogative e le caratteristiche di colui che è destinato a prendere il posto del Profeta alla guida della comunità. Su tale spaccatura si innestano differenze di ordine teologico, giuridico e cultuale. Accanto a questa divisione ne esistono altre assimilabili a correnti di pensiero, rientranti nel kalām, la teologia islamica.
L’i. postula la legge rivelata (sharī‛a), come la base del comportamento sia del singolo sia della comunità dei credenti. Essa si esprime attraverso la formulazione di una serie di principi derivati da quattro fonti (uṣūl): a) il Corano; b) la tradizione (sunna), costituita dal corpo di ḥadīth, ossia le tradizioni ritenute autentiche che riportano, oltre alla vita e ai detti del Profeta, quelli dei suoi compagni; c) il consenso (iǵmā‛) della comunità, in base all’affermazione di Maometto che la comunità dei credenti «non potrà mai essere concorde su un errore»; d) il principio analogico (qiyās), da usare quando non sia possibile trovare esplicito riferimento nelle tre fonti precedenti per la soluzione di una questione. Il diritto positivo (fiqh) comprende, oltre le leggi che riguardano le pratiche religiose rituali, tutte le leggi che regolano la vita sociale e dello Stato. Convenzionalmente caratterizza il fiqh la parte che riguarda lo statuto personale e il diritto di famiglia.
La piena capacità giuridica spetta al maschio libero, pubere, sano di mente e di corpo, di buona condotta; la donna invece non può fungere da giudice o fare da testimone per processi gravi; inoltre la testimonianza di due donne vale come quella di un uomo. L’estinzione della capacità giuridica avviene in caso di morte o di apostasia. Il matrimonio è poliginico (il Corano fissa il numero massimo delle mogli a quattro), non è un sacramento, ma un contratto consensuale tra lo sposo e il wālī, rappresentante legale della sposa (della quale è indispensabile il consenso) e due testimoni. Può essere sciolto per decesso di un coniuge, per apostasia, per ripudio della moglie da parte del marito, per riscatto della donna dall’obbligo coniugale contro un compenso di denaro, per dichiarazione di nullità da parte del giudice. Impedimenti al contratto sono uno stretto vincolo di sangue tra gli sposi e la diversità di religione: quasi tutte le scuole giuridiche ammettono il matrimonio di un musulmano con donne ebree o cristiane, ma non il contrario.
Il diritto penale ha anch’esso una base coranica e un’altra consuetudinaria. I delitti si distinguono in base alle pene, che possono essere di tre specie: a) il taglione per l’omicidio volontario o involontario e le lesioni; il taglione può essere sostituito da una compensazione, o «prezzo del sangue» , variabile da caso a caso; b) le pene fissate dal Corano per i reati di apostasia, ribellione all’autorità, rapporti sessuali illeciti, calunnia, furto, brigantaggio, uso di bevande inebrianti; c) la pena lasciata alla discrezionalità del giudice, che però deve essere sempre inferiore al minimo della corrispondente pena fissata nel Corano.
Gli insegnamenti del Corano, tratti per alcuni versi dal paganesimo arabo, dal giudaismo, dal cristianesimo oltre che dalle parole e dall’esempio del Profeta stesso, non rappresentavano di per sé un corpo dottrinale organico: questo è stato costituito dalle successive generazioni attraverso ricerche e dibattiti talora vivaci. Il corpus di referenza può dirsi fissato all’inizio del 2° secolo dell’egira (8° sec. d.C.); da allora, nonostante piccole discrepanze di scuole, è unitario. Dalla morte di Maometto alle prime figure storiche di giuristi musulmani vi è un intervallo (circa un secolo), in cui teorizzazione e applicazione permangono fluide. Nei due secoli successivi si ha un periodo di iǵtihād («sforzo») in cui la dottrina si costituisce in un ampio e completo sistema. In tale periodo si formano varie scuole e indirizzi (madhāhib) dottrinali, alcuni dei quali con il tempo scompaiono. L’esistenza di queste scuole non mette in discussione l’unità del sistema giuridico islamico, in quanto le divergenze fra le scuole e fra i singoli giuristi sono interpretate come un fatto positivo che nulla toglie al carattere rivelato del loro diritto.
Tre ordini di esperti sono collegati al sistema giuridico: gli ulamā’, che hanno la competenza per discriminare sull’autenticità delle fonti, il muftī, che esprime un parere giuridico in base alle fonti, il qāḁī, il giudice, che fa applicare la legge secondo il diritto positivo. Le tre prerogative possono essere concentrate in una sola persona.
La prima conquista arabo-islamica, che va dalla morte di Maometto (632) alla fine del califfato omayyade (661-750), permise l’espansione dell’i. fino all’Atlantico e all’Asia centrale. L’impero musulmano unitario raggiunse la sua massima espansione con gli Omayyadi. Successivamente, nel corso del califfato abbaside (750-1258), perduto il carattere puramente arabo, aumentarono gli influssi di altre culture (persiana e turca) e si accentuarono le tendenze autonomistiche in alcune regioni, cosicché il califfato abbaside perse la sua unità politica. Nell’11° sec., i Turchi (Selgiuchidi) delle steppe dell’Asia centrale, convertitisi a contatto con l’Iran, conquistarono l’Anatolia. Sempre dall’Asia centrale e per opera di altre popolazioni turche avvenne nell’11° sec. la conquista dell’India. Per via commerciale l’i. comparve nell’Africa sub-sahariana (11° sec.), nell’Africa orientale (12° sec.), nel Sud-Est asiatico, dove l’islamizzazione si propagò da Sumatra a partire dal 13° secolo. L’i. si diffuse successivamente anche in Africa meridionale (19° sec.).
All’inizio del 21° sec. l’i. appare in espansione, non soltanto a causa della crescita demografica nei paesi a maggioranza islamica, ma anche in altre zone come l’Africa sub-sahariana e in alcuni Stati asiatici un tempo appartenenti all’Unione Sovietica. A causa dei flussi migratori l’i. si sta diffondendo anche negli Stati Uniti e in diversi paesi dell’Europa occidentale. Secondo stime non accertate, il numero degli aderenti all’i. nel mondo supera i 1300 milioni.
Basandosi sul principio che i musulmani, se liberi, sono tutti uguali, senza distinzione di razza e di lingua, e che un infedele non può avere autorità su un musulmano, la concezione politica dell’i. raffigura il mondo diviso in due parti: paesi dell’i. (dār al-Islām) e paesi di guerra (dār al-ḥarb), abitati e governati da infedeli. L’i. è dunque anche il tratto unificante, la matrice comune di varie e differenti popolazioni e gruppi linguistici, un sistema di valori entro cui si sono strutturate le singole società musulmane; è innegabile il suo ruolo nel determinare i vari codici comportamentali dei musulmani (dal concetto di potere e di Stato al modo in cui si mangia e si prega), tanto che gli stessi musulmani tendono ad autodefinirsi un insieme organico e per molti versi omogeneo (umma islamiyya «nazione islamica»).
Quando Maometto iniziò nella Penisola Arabica la sua predicazione pubblica e postulò la creazione di una nuova comunità (umma), fondata sulla comune appartenenza politica e religiosa, diventò il capo religioso e militare del nuovo Stato islamico. Ma fu solo in questo primo periodo che i due ambiti, religioso e politico, coincisero. Il califfato (➔ califfo) dopo la conquista arabo-islamica del Medio Oriente stabilì la supremazia politica e geografica dell’i. nei territori conquistati e fornì la base istituzionale e politica dell’i. quale religione dominante. Ma già durante il califfato abbaside, con l’ampliarsi dello Stato e i problemi legati alla sua gestione, si verificò una sostanziale divisione tra potere religioso e potere politico. La creazione nell’11° sec. da parte dei Turchi selgiuchidi della figura del sultano (➔) sancì tale separazione e istituzionalizzò una dualità di poteri, pur riconoscendo il sultano, che gestisce e amministra l’Impero, l’autorità del califfo, sommo monarca dell’islam. Tale organizzazione diventò norma nei periodi successivi con i mamelucchi, con gli ottomani e con gli imperi safavidi e mōghul. In ogni caso, questa separazione non fu mai netta, rimanendo segnata da una certa ambiguità. I sultani ottomani e il mōghul, così come lo scià in Iran, si posero oltre che come ‘sovrani di fatto’ anche come paladini della fede: nel corso dei secoli gli Stati musulmani da un lato sono considerati strumenti del potere secolare, ma dall’altro sono visti come gli eredi del passato musulmano, in quanto viene loro attribuito un significato religioso che deriva dalla continuità storica con il califfato.
Come reazione all’impatto coloniale e alla dominazione commerciale dell’Occidente, le élite religiose musulmane tentarono, tra il 19° e il 20° sec., un movimento di riforma o modernizzazione delle società islamiche che potesse liberarle dal dominio europeo e ripristinare il loro legittimo potere e prestigio nel mondo. A tal fine si rendeva necessaria una reinterpretazione dell’i. che ne eliminasse i retaggi medievali e segnasse un ritorno ai principi del Corano. Nel Corano, i musulmani avrebbero trovato la razionalità che è alla base della scienza e della tecnologia moderne, oltre ai principi del patriottismo e del costituzionalismo che sono i fondamenti del potere degli Stati moderni e gli orientamenti etici che conducono alla responsabilità morale e all’attivismo sociale. L’esigenza di dare risposta all’Occidente coloniale si pose in primo luogo là dove la presenza europea era più consistente: con l’obiettivo di purificare l’i. da pratiche e credenze estranee che lo avevano allontanato dal messaggio iniziale e autentico, alterandone il dettato, sorse in Egitto a metà Ottocento il movimento noto come salafiyya, che si inseriva nella tradizione della concezione islamica di islah, rinnovamento ciclico, restaurazione cioè della primitiva purezza. Figura emblematica di questo periodo fu Giamāl ad-Dīn al-Afghānī, teorizzatore del panislamismo. In India, alla fine del secolo, apparvero le prime grandi figure di riformatori, tra cui Aḥmad Khān, Amīr ‛Alī, Muḥammad Iqbāl.
Nel 20° sec. il riformismo e il modernismo islamici hanno dato vita a nuove configurazioni ideologiche e religiose. La distruzione dell’Impero ottomano dopo la Prima guerra mondiale portò alla nascita di un nuovo sistema politico di Stati nazionali, che negli anni successivi al Secondo conflitto mondiale acquistarono l’indipendenza. Il nazionalismo è stato la dottrina quasi universale della lotta politica contro il dominio coloniale, la principale giustificazione dell’indipendenza e della costituzione in Stato. Quasi tutti i moderni Stati nazionali musulmani hanno anche, in varia misura, propugnato una forma laica di società moderna, di derivazione occidentale, ma con radici storiche anche nella differenziazione creatasi in epoca imperiale tra strutture politiche e comunità religiosa musulmana. Ciononostante l’i. resta base della società civile, costituendo implicitamente il reale fondamento dell’identità nazionale, riaffermando inoltre la sua importanza anche come base della cooperazione civile e comunitaria.
Il tratto più rilevante dell’i. moderno è il fatto di essere diventato il punto di riferimento di movimenti che propugnano il rovesciamento degli Stati laici e la loro sostituzione con Stati islamici. I primi di questi movimenti cosiddetti fondamentalisti o neoislamici – la Società dei Fratelli musulmani in Egitto (➔ Fratellanza musulmana), sotto la guida di Ḥasan al-Bannā’ e il Jamā’āt-i Islami in India sotto la guida di Mawlana al-Mawdūdī – si formarono negli anni 1930 e 1940 e con altri analoghi hanno conosciuto una considerevole rinascita fino a costituire una potente presenza sociale e politica nella maggior parte dei paesi musulmani. L’incapacità degli Stati nazionali di soddisfare le richieste popolari di una migliore qualità della vita e di una maggiore eguaglianza, il crollo dell’ideologia socialista, la corruzione e la militarizzazione di molti governi hanno favorito la rinascita di identità islamiche. I movimenti del revivalismo islamico propugnano un ritorno all’unione tra Stato e società realizzata da Maometto e invocano un ritorno ai principi del Corano e agli insegnamenti del Profeta, una riaffermazione della moralità personale sulla base di una rinnovata, intima adesione all’islam. L’intento è quello di una reislamizzazione globale della società e la creazione di un’economia, di una giustizia e di un’amministrazione islamiche. Loro caratteristica saliente è la spinta a rovesciare i governi esistenti (➔ fondamentalismo).
La rapida espansione della nuova fede che portò i musulmani a insediarsi nei territori dell’Impero sasanide a E e in quelli dell’Impero bizantino a O per giungere fino al Nordafrica, e da qui approdare in Spagna, spiega la presenza di numerosi influssi che hanno concorso alla creazione di un linguaggio artistico proprio. A questi si devono aggiungere anche elementi della tradizione araba preislamica. Nel repertorio decorativo, tipici gli ornati geometrici che rispecchiano il grande interesse del mondo orientale per le scienze esatte. Disegni basati sull’incrocio di poligoni derivano da tradizioni precedenti: intere superfici murarie e singoli oggetti sono arricchiti con forme che si ripetono creando complicati intrecci che hanno influenzato il repertorio occidentale dal Medioevo in poi. Caratteristici gli arabeschi, motivi di origine vegetale che già dall’8° sec. tendono a una sempre maggiore stilizzazione fino a perdere il loro significato naturalistico; anch’essi decorano sia le architetture sia, in numerose varianti, diverse suppellettili. L’elemento geometrico e quello vegetale vengono a volte proposti insieme.
Per il valore religioso connesso alla scrittura, mezzo con cui si è fissata la parola di Dio nel Corano, particolare importanza riveste la calligrafia. Gli stili fondamentali sono due: il cufico, che probabilmente prende nome dalla città di Kufa, in Iraq, con ductus angolare, e il corsivo, dall’andamento più rotondo. Sei le versioni canoniche del corsivo, di cui il naskhī e il thuluth sono le più usate per decorare oggetti. In architettura si preferisce invece, almeno fino al 12° sec., la monumentalità del cufico, cui saranno aggiunti particolari decorativi alle aste creando alfabeti intrecciati e fogliati. Ulteriore arricchimento registrano entrambe le grafie con l’inserimento di elementi zoomorfi o antropomorfi che danno luogo a vere e proprie scritture animate. Il valore simbolico attribuito alla scrittura ha favorito, dalla fine del 9° sec., anche la diffusione del cosiddetto pseudocufico, in cui parole o parti delle espressioni augurali più frequenti, sono ridotte a una cifra che diventa simbolica del ‘tutto’. Temi ricorrenti anche quelli legati all’astrologia: segni zodiacali e pianeti; alla religione: il mihrāb, la lampada, la brocca. Le figure non ammesse nei luoghi di culto furono rappresentate negli ambienti privati degli edifici secolari e compaiono su metalli, ceramiche, vetri, stucchi, marmi, pitture e, naturalmente, miniature.
Già nelle città più antiche si trovano gli edifici che caratterizzano la vita religiosa e civile: moschee, bagni, mercati e magazzini.
La moschea è un edificio costituito da una sala di preghiera affacciata su una corte che può essere porticata: ogni città ha almeno una grande moschea, masjid al-jamā‘a, in cui è precetto che si riunisca tutta la comunità maschile per la preghiera del venerdì, ma ve ne sono anche di più piccole. L’origine della moschea si fa risalire all’abitazione del profeta a Medina, dove i neomusulmani si riunivano per pregare rivolti verso la Mecca, qibla, e anche per amministrare la giustizia e per trattare affari. Con il tempo la moschea si arricchisce di vari elementi: il minareto, torre che rende visibile da lontano la presenza di un centro islamico e da dove il muezzin chiama i fedeli; il minbār, pulpito da cui l’imām, colui che guida la preghiera del venerdì, tiene un discorso, khuṭba; il miḥrāb, nicchia nella parete (qibla) che sottolinea la direzione della preghiera e richiama alla memoria la presenza ideale del Profeta. Connessa alla moschea è la scuola religiosa, madrasa, per l’insegnamento delle scienze religiose, specie il diritto. Il bagno, ḥammām, sconosciuto nell’Arabia preislamica, si ispira a modelli del mondo romano-bizantino, adattandoli alle esigenze connesse alla abluzione rituale. Grande importanza hanno anche tutti gli edifici legati al commercio, attività vista con favore dal Corano: il mercato, bazār, è suddiviso in settori, abitato ciascuno da coloro che esercitano un determinato mestiere; i caravanserragli, khān, distribuiti sia all’interno delle città che lungo le strade, offrono alloggi per i mercanti e magazzini per le merci. Nelle zone di confine sorgono i ribāṭ, conventi fortificati dove, in piccole celle, vivono i monaci guerrieri.
L’arte della prima dinastia mira alla celebrazione del principe. Nella Cupola della Roccia a Gerusalemme (691-692), sono visibili le fonti di ispirazione; la struttura ad ambulacri intorno alla zona cupolata ricorda i martirya cristiani; le tarsie marmoree e i mosaici sono di tradizione bizantina; le arcatelle su colonnine binate richiamano il mondo iranico. Vicino alla Cupola, la moschea di al-Aqsā ha una pianta di tipo basilicale con navate perpendicolari alla qibla, differente da quella adottata in genere in Siria, divenuta il fulcro del califfato con la scelta di Damasco come capitale. Qui la Grande Moschea (706-15) ha tre navate parallele alla qibla tagliate da un largo transetto che conduce al miḥrāb. La ricca decorazione in marmo e mosaici, in gran parte persa, si rifà alla tradizione bizantina, reinterpretata secondo un nuovo programma estetico e iconografico.
Per l’architettura civile, gli edifici più antichi che si conoscano sono le case del governo: quella di Kufa (670) ha una corte centrale su cui si aprono 4 ambienti coperti a volta, īwān, uno dei quali immette a una sala cupolata, come nella tradizione regale iranica. Di poco posteriori i cosiddetti Castelli del deserto (in Giordania: Khirbat al-Mafjar, secondo quarto, Mshatta, fine del 7° sec.; Siria, Qaṣr al-Hayr est e ovest, inizio 8° sec.), aziende agricole dell’aristocrazia in cui il tipo di residenza più comune ha un aspetto esterno fortificato con un unico ingresso fiancheggiato da torri, pianta quadrata con corte centrale attorno a cui si dispongono vari ambienti. Quasi sempre vi è un ḥammām che si rifà alla tipologia delle piccole terme romane della Siria ma con calidarium ridotto e tepidarium che tende a scomparire. Ricca la decorazione di questi complessi: mosaici pavimentali, dipinti parietali, statue in stucco. Le arti decorative rimangono legate nelle forme, tecniche e decorazioni ai prodotti bizantini, sasanidi e copti precedenti la conquista.
Con la fondazione della nuova capitale a Baghdad in Mesopotamia (762), il fulcro dell’impero si sposta verso Oriente. Le testimonianze letterarie tramandano una città a pianta circolare tagliata da due strade ortogonali: al centro il palazzo del governo connesso con la grande moschea, probabilmente di tipo ipostilo iracheno. In architettura si assiste a una serie di innovazioni: la porta monumentale di Raqqa tra Iraq e Siria ha un arco acuto con 4 centri e una decorazione con mattoni, brickwork, impiegata anche nella corte d’onore del palazzo di Ukhaidir (778 ca.) a O di Kufa. Tale complesso, inserito in un doppio recinto turrito, mostra nella zona d’udienza un īwān che precede una sala quadrata cupolata, secondo lo schema sasanide, e un tipo di unità abitativa anch’esso riferibile alla tradizione persiana, il cosiddetto bayt iranico con coppie di īwān, a volte precedute da portico traverso, affacciate su una corte centrale. Una grande ricchezza di soluzioni è offerta da tre palazzi (fine 9° sec. - primo quarto dell’11°) scavati a Raqqa, dal 796 residenza del califfo Harūn al-Rashīd (786-809), dove è stato rinvenuto un interessante apparato decorativo in stucco e marmo. La nuova capitale Samarra, fondata sulle rive del Tigri nell’836, rappresenta la pienezza del potere califfale: tutte le architetture, improntate alla grandiosità e al lusso, furono costruite rapidamente in mattone soprattutto crudo, arricchito con pitture e decorazioni in stucco e ceramica. La città ebbe vita breve: dopo circa 50 anni la corte si trasferì nuovamente a Baghdad. I diversi ‘palazzi’, che non hanno un aspetto unitario, si compongono di numerose corti ed edifici distribuiti in modo vario entro recinti quadrangolari dominati dall’asse dell’area destinata al califfo, e presentano una ricchezza negli impianti e nella decorazione che non doveva trapelare all’esterno. Porte monumentali introducevano a corti interne; la zona cerimoniale era costituita da un’ampia sala cupolata su cui si aprivano 4 īwān, comunicanti con altrettante corti esterne. Gli spazi abitativi presentano bayt del tipo iranico, o a ‘T rovesciata’, che ricorre anche nelle case private, e spesso sono provvisti di freschi ambienti sotterranei, serdāb, di bacini con giochi d’acqua e di giardini. Due le moschee attribuibili al califfo al-Mutawakkil (847-861): la Grande Moschea ha mura esterne scandite da torrioni semicircolari, sala di preghiera ipostila, copertura piana sostenuta da pilastri e corte interna; il minareto a spirale, forse ispirato a modelli precedenti, è posto all’esterno del santuario, in asse con il miḥrāb; nella moschea di Abū Dulaf, di dimensioni più contenute, la sala di preghiera ha due navate parallele alla qibla, creando un dispositivo a T che verrà evidenziato, soprattutto in Nordafrica, con l’inserimento di una cupola all’incrocio dei bracci. Tipica delle architetture civili di Samarra è la decorazione in stucco intagliato o modellato a stampo e dipinto. Essa presenta tre stili probabilmente contemporanei: nel primo, in cui i motivi sono generalmente inseriti in pannelli geometrici, caratteristica è la foglia di vite; nel secondo vi è una maggiore fantasia sia negli ornati sia nelle lastre; nel terzo, forse il primo esempio di ‘arabesco’, disegni astratti e a volute, a volte arricchiti da perle, decorano intere superfici.
Un’analoga commistione di elementi dell’Asia Centrale e sasanidi presentano le decorazioni pittoriche dell’harem del palazzo di Jawsāq al-Khaqāni, tra le rare testimonianze pervenute di quest’arte nell’islam. Impianti planimetrici e partiti decorativi simili si ritrovano in palazzi contemporanei di fondazione califfale costruiti nelle immediate vicinanze di Samarra (Qaṣr al-Giss e palazzo di al-Iṣṭabulāt). Nella ceramica si affermano la classe con motivi in blu e verde su bianco-crema e quella con macchie e colature in verde, giallo e bruno sotto vetrina piombifera; databili tra 9° e 10° sec. i lustri ottenuti con ossidi d’argento o di rame. Ricca anche la tipologia degli oggetti in bronzo fuso con decorazione a rilievo, traforata, incisa, incrostata in rame e argento.
La Grande Moschea di Cordova è il simbolo degli omayyadi di Spagna che da emiri indipendenti da Baghdad, nel 929 si proclamano califfi. Iniziata nel 785 e ampliata fino al 987, ha un cortile porticato e una sala di preghiera rettangolare con profonde navate, definite da colonne che sostengono archi a ferro di cavallo su cui si impostano archi a tutto sesto, perpendicolari alla qibla, in cui il miḥrāb, a causa dei vari ampliamenti, risulta asimmetrico. L’architettura civile è testimoniata da Madīnat al-Zahrā (iniziata nel 936), città residenziale fondata da Abd al-Raḥmān III a NE di Cordova; gli edifici erano disposti su livelli digradanti e sono state identificate alcune ricche sale di udienza affacciate su giardini, unità residenziali e una grande moschea. Ben presto la città decadde con la fondazione di Madīnat al-Zahirā (978-80) a opera di al-Manṣūr. Con il crollo del califfato (1031) emersero numerosi piccoli principati, i Reyes de Tayfas, «re delle regioni», che promossero le arti: tra questi i Nasridi di Granada, gli Hammudidi di Malaga, gli Abbadidi di Siviglia. Il frazionamento dell’autorità favorì l’avanzata della riconquista cattolica, temporaneamente fermata dall’intervento degli Almoravidi del Maghreb nel 1086. Rarissimi i documenti a loro attribuibili in Spagna (Castillejo de Monteagudo, fuori Murcia, tipica residenza principesca di campagna).
La successiva dinastia almohade (1130-1212) edificò nel 1171 la Grande Moschea di Siviglia, probabilmente con 17 navate perpendicolari al muro qiblī, che fu in seguito demolita per erigere la cattedrale. Il periodo dei Nasridi (1230-1492), che riuscirono a mantenere l’autorità fino alla definitiva riconquista, è caratterizzato da una grande ricchezza ornamentale; i palazzi dell’Alhambra (seconda metà del 14° sec.), che si dispongono secondo uno schema irregolare intorno a cortili con specchi d’acqua, presentano una grande varietà di soluzioni architettoniche e una fitta decorazione scolpita o a stampo in stucco dipinto che non trapela dalla sobria cinta muraria. Grande fioritura ebbero le arti decorative: della ceramica, specie le maioliche a lustro metallico e le mattonelle a cuerda seca o a cuenca, dei tessuti di seta a schemi rotati o listati, dei cofanetti in avorio, dei metalli. In seguito, le complesse vicende storiche della penisola hanno favorito lo sviluppo di creazioni artistiche originali quali quella mudéjar e mozarabiche.
Nell’Egitto dei Tulunidi (868-906) la moschea di Ibn Ṭūlūn (876-79) pres;so il Cairo mostra evidenti ispirazioni da modelli iracheni (minareto a spirale, decorazioni a stucco negli stili samarrani). Nell’Ifriqiya, gli Aghlabidi (800-909) stabilirono la loro capitale a Qairawān e promossero la costruzione di bacini interrati con contrafforti che uniscono l’utilità idraulica al valore architettonico; la Grande Moschea (836-63), modello per quelle del Nordafrica, presenta un dispositivo a T, formato dall’incontro tra la navata della qibla e quella antistante il miḥrāb, sottolineato dalla presenza di una cupola; il minareto, a tre settori digradanti, deriva probabilmente dalla tipologia dei fari. L’impianto a T si ritrova nella Grande Moschea di Susa (850-51), dall’aspetto austero così come i numerosi ribāt, fortini quadrati con torri angolari rotonde, distribuiti sulle coste (Susa, 770-796; Monastir, 796). Due le città residenziali: al-Abbāsiya (801) e Raqqāda (876); qui il palazzo in crudo di tipo fortificato si presenta tripartito, con grandi corti interne e con sala di udienza di tipo basilicale, elementi che, insieme all’uso dello stucco per le decorazioni e dei mosaici pavimentali, richiamano elementi sia della Siria omayyade sia della prima architettura abbaside.
Dopo aver sconfitto gli Aghlabidi nel 909, la dinastia dei Fatimidi fondò nel 912 una nuova capitale ad al-Mahdiya: poco resta del palazzo in pietra tagliata, caratterizzato da un ingresso con avancorpo monumentale. Nel 945 Ṣabra al-Manṣūriya, a S di Qairawān, divenne la nuova sede del governo: mura turrite delimitano il perimetro circolare all’interno del quale il ‘palazzo’ presenta la zona cerimoniale costituita da un īwān affiancato da due ambienti oblunghi con i quali si affaccia sia avanti che dietro su sale traverse.
Nel 973 i Fatimidi si trasferirono in Egitto, dove restarono fino al 1171 lasciando gli Ziridi ad amministrare la Tunisia e gli Hammaditi l’Algeria. La dinastia ziride nel 947 stabilì la capitale ad Ashīr. Nel palazzo si identifica un nuovo tipo di unità abitativa: una sala con tre nicchie aperta su una corte, intorno alla quale si dispongono anche tre stanze quadrangolari; l’ingresso con avancorpo monumentale si rifà ad al-Mahdiya. Nell’Algeria orientale gli Hammaditi fondarono la Qalā («la fortezza», 1010-1152): in un grande recinto furono costruiti una moschea con minareto a più piani, un ḥammām, una serie di edifici residenziali, e tre complessi palatini del Lago, del Faro e del Saluto caratterizzati, nelle zone destinate al cerimoniale, da ambienti biabsidati, sale cruciformi cupolate o a tre alcove, e dalla presenza di immensi bacini d’acqua. L’architettura palatina del Nordafrica presenta numerosi punti di contatto con quella siciliana di epoca normanna (Cuba e Zisa di Palermo, Palazzo dell’Uscibene): la disposizione di padiglioni in giardini, i volumi squadrati e movimentati da avancorpi, la planimetria delle sale di rappresentanza, possono fornire delle ipotesi sull’architettura del periodo della dominazione musulmana in Sicilia, a cui attualmente non si può far risalire nessun monumento.
Nella seconda metà dell’11° sec. i berberi Almoravidi (1061-1147) conquistarono il Sud del Marocco stabilendo a Marrakesh la loro capitale; l’architettura, in pietra e pisé (terra cruda) ha un carattere austero più evidente nelle fortezze, qaṣba, che non nelle moschee (Algeri, 1061-1106; Tlemcen, 1136; Nedroma, ante 1145) in cui l’impianto a T e alcune soluzioni adottate per le cupole richiamano esempi di Qairawān e Cordova. Poco resta dell’architettura civile degli Almohadi (1130-1269) che si sostituirono agli Almoravidi; nelle moschee vengono ripresi, arricchendoli, i modelli precedenti come nella Kutubiyya di Marrakesh (1195), con transetto e cinque cupole, mentre una nuova planimetria con due corti presenta la colossale e incompiuta moschea di Hassan a Rabat (1196).
Alla produzione del Nordafrica si attribuiscono alcuni dei bacini ceramici con decorazione dipinta su smalto o sotto vetrina inseriti sui parati murari degli edifici medievali italiani, soprattutto pisani.
Nulla rimane dell’architettura secolare del Cairo, uno dei più grandi centri del mondo medievale. La città quadrangolare con otto porte era tagliata da una strada che si apriva su una piazza su cui si fronteggiavano due grandi palazzi, di cui quello orientale con la sala del trono. Nei giardini con fontane vi erano padiglioni destinati agli svaghi del principe o a scopi cerimoniali. La moschea di al-Azhar (969-973), la più antica, aveva navate parallele alla qibla e un transetto sopraelevato, con cupola davanti al miḥrāb; impianto simile nella moschea di al-Hākim (990-1013) che presenta due cupole alle estremità della navata della qibla; particolare risalto è dato alla facciata, con ingresso aggettante e due robusti minareti angolari decorati a bassorilievo con una tecnica che, importata dalla Siria del Nord e dell’alta Mesopotamia, si ritrova nelle porte urbiche Bab an-Naṣr, Bab al-Futūḥ e Bab Zuwayla (1087-1091). Numerosi i piccoli oratori, i santuari, i monumenti funerari, con piante a volte complesse (tomba-moschea di al-Juyushi, 1085), con elementi che richiamano esempi mesopotamici e selgiuchidi. I prodotti dell’arte fatimide furono apprezzati già dai contemporanei: cristalli di rocca, tessuti, maioliche a lustro metallico, avori, legni si trovano in collezioni occidentali dove sono pervenuti in epoca medievale.
La debolezza del califfato favorì nelle regioni iraniche il fiorire di varie dinastie: nelle province orientali i Tahiridi (821-873), i Samanidi (819-1005), i Saffaridi (873-903); nell’Iran centro-occidentale gli Ziyaridi (927-1090) e i Buidi (932-1055). I Samanidi, di origine turca, ebbero i loro centri più attivi a Samarcanda e Bukhara; le moschee non seguono un’unica tipologia: a Balkh (Afghanistan, 9° sec.) la sala di preghiera è aperta su tre lati e coperta da nove cupole, la moschea di Nīrīz (Fars, dal 973) si presenta come un grande īwān, la pianta della moschea di Hazāra (presso Bukhara, 10°-11° sec.) deriva dal chahar taq, il tempio del fuoco persiano. Alla stessa tipologia rimanda anche la tomba a qubba di Ismāīl a Bukhara (907 ca.) con decorazione di laterizi ed elementi in cotto scolpito, come il mausoleo di Arab Ata a Tim, area di Samarcanda, 978, il più antico edificio con raccordi ad alveoli, muqarnas. Abbondante la ceramica detta slip painted, con decorazione a ingobbi.
I Turchi Gasnavidi tra 10° e 12° sec. governarono in Iran orientale, Afghanistan e India occiden;tale. Le moschee annesse ai palazzi di Maḥmūd a Lashkari Bazar e Masūd III a Ghazni sono del tradizionale tipo ipostilo, ma quella più grande del primo sito ha due navate longitudinali coperte da cupolette e una zona quadrata cupolata antistante il miḥrāb, elemento che si svilupperà con i Selgiuchidi. L’architettura di entrambi i palazzi ripropone lo schema, di ascendenza antico-iranica, della corte centrale con 4 īwān: quello in asse con l’ingresso immette in una sala cupolata. Molto ricca la decorazione architettonica con mattoni, pannelli in cotto, stucco e marmo. I minareti di Masūd III e Bahram Shāh a Ghazni (primo ventennio del 12° sec.) presentano la sommità a fusti cilindrici e le parti inferiori a sezione stellare, forse su ispirazione delle torri funerarie iraniche come il Gunbad-i Qābūs nel Gurgan a SE del Caspio (1006-7) edificato sotto gli Ziyaridi.
Con i Selgiuchidi (1038-1194), di origine turca, si afferma e si diffonde la tipologia dall’impianto a quattro īwān su corte sia nell’architettura civile (Robat Sharaf, caravanserraglio tra Nishapur e Merv, metà 12° sec.) sia in quella religiosa (Grande Moschea di Esfahan, ricostruita nel 1120-21 su una moschea ipostila abbaside; moschea di Zaware, 1135-1136) e si crea il tipo di moschea-madrasa destinata sia alla preghiera sia all’insegnamento. Varia la tipologia dei monumenti sepolcrali tra cui quelli a torre (Gunbād-i ‛Ali ad Abarqūh, 1058) e a qubba (Sultān Sanjār a Merv, 1157). Molta cura è data alla decorazione dei parati: la tessitura è evidenziata, grandi pannelli di stucco dipinto sono destinati soprattutto agli interni, si diffonde l’uso di inserire ceramiche invetriate. La ceramica conosce un grande rigoglio di tecniche: incisione, sgraffiato, champlevé, lustro, mina’ì che danno un’idea delle miniature e delle pitture scomparse; il vasellame è modellato anche con impasto siliceo, per imitare le raffinate porcellane dell’estremo oriente. La stessa varietà presentano i metalli, per la maggior parte provenienti dal Khorasān, incisi, traforati e incrostati in rame, argento, oro.
Conquistata nell’11° sec. da popolazioni turche, l’Anatolia fu sede di vari principati tra i quali il più importante è quello dei Selgiuchidi, che promosse un’architettura con spunti iranici, armeni, bizantini e siriaci; nelle moschee la corte tende a scomparire e la zona del miḥrāb, enfatizzata da cupole, può essere preceduta da un imponente īwān (Grande Moschea di Malātya 1224; Moschea di Khawānd Khatūn a Kayseri, 1238); a Konia, nelle madrase di Karatay, 1251, e Injḥ Minareli, 1258, si utilizza il modello persiano quadripartito nel suo adattamento anatolico, cioè con corte coperta da una grande cupola con oculo centrale: gli elementi triangolari di raccordo alle pareti saranno caratteristici della successiva epoca ottomana. A prototipi iranici si rifanno anche i minareti con fusto a semicilindri sovrapposti, a volte binati. La ripresa dei commerci incentivò la costruzione di caravanserragli con aspetto di fortilizio, di ispirazione centroasiatica. Caratteristici i rivestimenti parietali con ceramiche a lustro o policrome.
Sotto gli Ayyubidi avvenne la riunificazione dell’Egitto con la Siria; Damasco, Aleppo e il Cairo conobbero un momento di ripresa economica e di intensa attività edilizia, in cui si riproposero alcuni dei caratteri già visti nell’architettura fatimide: forme geometriche essenziali impreziosite da muqarnas e da decorazioni in bicromia per gli esterni e policromia per gli interni. Accanto a opere a scopo difensivo, come la cittadella di Aleppo (1209-1212), strategica guarnigione militare e raffinata residenza del sovrano, numerose le madrase, sorte per diffondere l’unità dell’i. (madrasa al-Firdaus, Aleppo, 1235-1241); in area sia siriana sia egiziana i mausolei sono del tipo con corpo a cubo in pietra e cupola in mattoni, mentre per le moschee si predilige la pianta a sala larga.
I Mamelucchi, la guardia del corpo degli Ayyubidi, si sostituirono a essi dal 1250; nelle moschee non adottarono un’unica planimetria: quella di Baibars al Cairo, 1267-69, presenta la sala di preghiera con navate parallele alla qibla tagliate, in corrispondenza del miḥrāb, da un īwān tripartito che precede una sala cupolata, dispositivo di ispirazione iranica come la presenza di altri īwān sulla corte; i portali aggettanti richiamano invece prototipi maghrebini. Il tipico schema iranico a quattro īwān presenta invece il complesso di Sultan Hasan al Cairo (1356-62), con una madrasa, una moschea e il mausoleo del fondatore. Nel periodo successivo, gli īwān si ridussero a nicchie con coperture piane, mentre la corte centrale fu coperta (moschea di Qaitbay, Cairo, 1475). In epoca sia ayyubide sia mamelucca, fiorirono le arti decorative: vetri dorati e smaltati, ceramiche in blu e bianco a imitazione di quelle estremorientali e metalli incisi, traforati, ageminati, incrostati. Sorsero scuole di pittura e i manoscritti erano conservati in preziose rilegature.
Nel periodo ilkhanide (1256-1353) si approfondiscono i rapporti con l’Estremo Oriente, particolarmente evidenti nelle arti minori. Nelle moschee, oltre al modello a quattro īwān (Varamin, 1322-1326) vengono adottate altre planimetrie: a due (Forumād, 1320) e a un solo īwān (Tabriz, 1310-1320). Nei monumenti funerari continua la compresenza delle due tipologie: a torre, con pianta a volte poligonale, con copertura conica (Mil-i Radkhān, 1280-1300; Gumbād-i Sabz, 1330-1365), e a base quadrata o poligonale con cupola ovoide, tipo meno diffuso di cui esempio grandioso è il mausoleo di Oljaitu a Sultaniyya (1304-1313), una delle fonti di ispirazione della più tarda architettura persiana e indiana. Gli edifici hanno in genere una decisa verticalità permessa dall’alleggerimento delle coperture e delle strutture non portanti con finestrature e nicchie, mentre il carico è concentrato su pochi punti di forza. Le cupole continuano i tipi precedenti anche se con un profilo più a bulbo che anticipa quelle del successivo periodo timuride, e ha grande diffusione il tipo a doppio scafo. I raccordi a muqarnas hanno forme molto complesse. Ricchissima la decorazione sia interna, con stucchi lavorati con tecniche diverse e dipinti, sia esterna dove la ceramica invetriata policroma, le mattonelle e i mosaici sostituiranno i mattoni in facciavista caratteristici dei periodi precedenti. Numerosi capolavori testimoniano l’alto grado raggiunto dall’arte della miniatura, in cui sia singoli elementi sia il modo di rappresentare lo spazio derivano da modelli cinesi (Shah-namā Demotte, 1336 circa); motivi orientali decorano anche i metalli; nella ceramica, come prodotto di lusso si afferma la lajvardina in blu cobalto.
L’architettura timuride (terzo quarto 14° sec. - inizi 16°) ricalca quella del periodo precedente: particolare enfasi acquistano le cupole a doppio scafo, a bulbo e a costoloni su alti tamburi; il carattere monumentale, ottenuto con un sapiente sistema di distribuzione di pesi, dà agli edifici imponenza ma non pesantezza: a ciò contribuisce anche la decorazione con ceramiche o mattoni invetriati con motivi spesso epigrafici. Ancora adottato il tipo di moschea a quattro īwān (Bībī Khānum di Samarcanda, 1399), che si arricchisce di minareti e di un portale monumentale; molta attenzione è data all’urbanistica (Righistān di Samarcanda). I Timuridi incoraggiarono le arti del libro, che raggiunsero nella calligrafia, nelle miniature e nelle legature risultati eccellenti a Shirāz, Samarcanda, Herāt e Yazd. Caratteristica del periodo è la ceramica in bianco e blu di ispirazione cinese e la cosiddetta ‘Kubachi’ dal forte contrasto turchese e nero.
Esfahan, costruita secondo un preciso piano urbanistico, testimonia la raffinata arte safavide (1500-1722); nella grande piazza le funzioni di palazzo del governo erano svolte dal padiglione di ‘Ali Qapu; la moschea reale presenta uno schema con quattro grandi īwān che immettono in ambienti cupolati. Le superfici murarie sono rivestite di mattonelle invetriate o mosaici ceramici con ornati complessi in cui compare il giallo. Il vasellame avrà notevole impulso anche nell’imitazione dei bianchi e blu cinesi. La miniatura si mantiene ai livelli raggiunti sotto i timuridi; sia Esfahan sia Na’in hanno restituito pitture parietali. I tappeti si arricchiscono di sinuosi disegni spesso con medaglione centrale e i preziosi broccati e velluti presentano schemi ripetitivi ma liberi con motivi naturalistici e figure umane.
Al declino dei Safavidi succedette un periodo di disordini di cui approfittarono i Turchi Qajar, che nel 1794 estesero il loro potere a tutta la Persia. Lo stile è caratterizzato da un lato dalla continuità con la tradizione e dall’altro dall’apertura a suggestioni occidentali particolarmente evidenti nelle arti decorative.
La potenza ottomana, che sorse alla disgregazione dello Stato selgiuchide, estese il suo potere ben oltre l’Anatolia. L’architettura del periodo fu ricca e originale, le esperienze bizantine, armene e selgiuchidi costituiscono il nerbo di una costante ricerca che avrà il suo massimo rappresentante in Sinan. L’esempio di Santa Sofia di Costantinopoli viene da lui ripreso e arricchito nelle moschee a pianta centrale Shehzade (1548) e Süleymaniye a Istanbul (1550-1557), Selimiye a Edirne (1569-1575): una corte porticata coperta da cupolette precede la sala di preghiera in cui lo spazio unitario è dominato da una cupola centrale circondata da cupole, semicupole ed esedre alleggerite da finestrature, che conferiscono all’esterno un ritmo ascensionale accentuato anche dai caratteristici minareti ‘ad ago’. La fastosa residenza sultaniale del Topkapï Saray a Istanbul è un complesso molto articolato di edifici e giardini cinto da mura turrite secondo il modello a unità disaggregate tipico della cultura islamica.
Nel laboratorio di corte venivano elaborati i disegni per decorare le ceramiche, i tappeti, i tessuti prodotti in vari centri dell’impero. La produzione di vasellame e mattonelle raggiungerà l’apice a Iznik dalla metà del 16° sec., con manufatti caratterizzati da una grande varietà di forme e dall’uso del rosso, oggetti conosciuti e imitati in occidente, come anche i tessuti e i tappeti riprodotti in opere di artisti quali L. Lotto, G. Bellini, H. Holbein, H. Memling.
La diffusione dell’i. nel subcontinente indiano, testimoniato già in epoca omayyade (moschea di Banbhore, Pakistan, 8° sec.), continuò in periodo gasnavide (moschea sul monte Raja Gira, Udegram, Pakistan, primo decennio 11° sec.), fino a che il ghoride Muḥammad creò, in India, un sultanato con capitale Delhi (1206-1290); le dinastie successive Khalji e Tughlaq ampliarono i domini verso il Sud. L’invasione di Tamerlano, che nel 1398 mise a sacco Delhi, provocò tentativi di indipendenza da parte degli Stati limitrofi, mentre il trono fu occupato dapprima dai Sayyid (1414-1451), poi dai ;Lodi (1451-1526) e infine dai Moghūl (1526-1858) che tentarono di riunificare il subcontinente indiano.
Già dall’inizio l’architettura musulmana in India si differenzia sia da quella hindu, per la varietà degli edifici, sia da quella islamica per l’uso del materiale, arenaria e marmo; le fonti di ispirazione sono generalmente irano-afghane, e archi e cupole entrarono a far parte del linguaggio architettonico tradizionale. A Delhi il Qutb Minar, l’alto minareto (iniziato nel 1199) a fusti sovrapposti con speroni, si rifà alla tipologia di quelli gasnavidi e ghoridi, mentre alla prima Grande Moschea, la Quwwat al-Islam, cui è annesso, fu aggiunto un īwān monumentale. Non esiste un’unica tipologia di moschea, ma essa seguirà modelli diversi nei vari sultanati sensibili alle tradizioni indigene: così la Khirki Masjid (1375 circa) di Delhi, a pianta rettangolare con quattro piccole corti interne, appare all’esterno come una fortezza con portali aggettanti; le moschee del Bengala, generalmente in mattoni, hanno transetto e copertura a botte (Moschea Adina a Pandua, 1364) o presentano una sala senza corte e copertura a tetto a spioventi (Chota Sona Masjid di Gaur, 1493-1519); nel Gujarat lo stile dei templi hindu è evidente anche nell’uso delle cupole (Ahmadabad, 1423); nel Kashmir le moschee a quattro īwān hanno coperture digradanti come le pagode. Più legati ai tipi a qubba iranici, i mausolei, sconosciuti nell’India hindu, che in seguito verranno innalzati su alte piattaforme, e resi più leggeri mediante finestrature e chattri, cupolette sostenute da sottili pilastri (dal severo mausoleo di Iltutmish a Delhi, 1236, a quello più arioso di Jalāl ud-Dīn Muḥammad a Pandua, 1414-1431).
In epoca mōghul vi è il tentativo di fondere in maniera consapevole i nuovi apporti e gli spunti tradizionali: a Fatehpur Sikri, la capitale del sovrano Akbar, alla semplicità della planimetria di ispirazione iranica fa riscontro una notevole perizia tecnica nell’inserimento di archi, transenne, pilastri e una sovrabbondanza nella decorazione che richiamano la tradizione hindu. Caratteristico del periodo il gusto per i giardini, che introdotto da Babur, fondatore della dinastia, raggiunse con i successori pieno splendore (forti di Lahore Agra, Delhi, mausolei di Itimad ad-Daula, 1628, e il Tāj Mahall, 1630-1652, ad Agra); le costruzioni sono impreziosite dall’uso di materiali nobili. La stessa raffinatezza e cura dei dettagli si ritrova nelle arti decorative: nei laboratori di corte si producevano stoffe con fili d’oro e d’argento, tappeti, oggetti in cristallo di rocca, metalli incastonati con pietre e soprattutto miniature, la cui scuola era stata organizzata da due pittori della corte safavide.
Nel 19° sec. maggiori contatti con la cultura europea avevano portato all’accoglimento di modelli occidentali; nello stesso tempo l’Occidente si era aperto, dapprima solo per esotismo, a un generico Oriente che solo in un secondo tempo si era precisato. Le moderne moschee non prescindono da quelli che sono gli elementi costituitivi né dall’idea di testimoniare la presenza dell’i., ma si adattano alle diverse condizioni: se si trovano in paesi che da poco hanno raggiunto l’indipendenza (Giacarta, Moschea di Stato della Repubblica Indonesiana, 1955-1984) o in paesi di altra fede (Londra, Roma) in cui spesso sono annesse a centri culturali. Nei paesi musulmani la ripresa di elementi tradizionali dal preciso significato politico e culturale si unisce alla tendenza a usare tecniche e materiali nuovi (moschea di re Abdallah ad Amman, 1989, che richiama la Cupola della Roccia; moschea di re Faisal a Islamabad, 1966-86, semplice struttura a tenda con 4 minareti angolari).
Se per l’architettura è facile individuare caratteri specificatamente islamici, non altrettanto per la grande scultura tridimensionale, che avendo minori tradizioni è quella che più si è assoggetta alle tendenze moderniste internazionali. La pittura si accostò agli stili europei già dalla fine del 19° secolo per poi accogliere la bidimensionalità moderna, che ben si sposava con l’arte della miniatura. Nel 20° sec., accanto a una corrente che si rifà alla tradizione popolare, viene riproposta l’arte della calligrafia.