Palermo Comune della Sicilia (158,9 km2 con 657.561 ab. al censimento del 2011, divenuti 647.422 secondo gli ultimi rilevamenti ISTAT del 2020), città metropolitana e capoluogo di regione, situato sulla costa nord-occidentale dell’isola, all’interno dell’omonimo golfo; si estende nella breve pianura detta Conca d’Oro, dominata a N dal Monte Pellegrino.
Il nucleo originario di P. sorse sul debole rilievo ora occupato dal palazzo dei Normanni, un tempo lambito dal mare. La struttura attuale del centro storico andò delineandosi fra 16° e 17° sec. con l’apertura di nuove arterie che determinarono l’allineamento di palazzi pubblici e nobiliari lungo le strade principali, mentre alle spalle rimaneva l’intrico di vie strette e irregolari caratteristico della città araba. Il centro storico ha sempre conservato una grande importanza simbolica, ed era il luogo dove si concentravano le funzioni di direzione politica, economica e culturale. Dalla fine dell’Ottocento, tuttavia, esso fu a poco a poco abbandonato dalle famiglie della nobiltà più recente e da quelle borghesi, che si trasferirono nei nuovi quartieri creati nell’area di NE. Questa tendenza riprese e divenne ancora più forte dopo la Seconda guerra mondiale. Dai Quattro mandamenti, nei quali la città antica era divisa dal Seicento (la Loggia, il Capo, la Kalsa e l’Albergheria), se ne andarono tutte le famiglie più agiate, che potevano permetterselo. Così, nel 1981, una buona parte degli imprenditori, dei dirigenti e dei professionisti risiedevano fuori di esso, a Nord, nei quartieri Libertà e Politeama o addirittura a Mondello, che dalla piazza centrale dei Quattro canti dista ben 10 km. Nel 1981, il primo anno per il quale si dispone di dati precisi, nel centro storico erano sovrarappresentati sia gli operai dell’industria sia quelli dei servizi. Il processo di gentrification a P. è iniziato tardi, intorno agli anni 1990, ed è stato più lento che altrove. La giunta del sindaco Leoluca Orlando commissionò nel 1988 a tre prestigiosi urbanisti italiani, Leonardo Benevolo, Pierluigi Cervellati e Italo Insolera, l’elaborazione di un piano di recupero del centro storico, ma la Regione Sicilia lo approvò solo nel 1993. E l’anno dopo iniziarono vari interventi. Fu aperto al pubblico il complesso di S. Maria dello Spasimo, che dopo la Seconda guerra mondiale era stato sommerso di immondizia. Fu riaperto il Teatro Massimo. Gli interventi del comune furono detti di ‘fruizione a cantiere aperto’, perché attiravano i palermitani e i turisti a visitare i luoghi e gli edifici in corso di ristrutturazione, prima ancora che i lavori fossero terminati. Questi interventi, e quelli nel primo decennio del 2000, hanno rivitalizzato il centro storico, facendo nascere anche nuove attività commerciali e turistiche, e hanno messo in moto una moderata tendenza, da parte di strati giovani e istruiti della popolazione, ad andare a vivere in quella città vecchia abbandonata dall’aristocrazia e dalla borghesia molto tempo prima.
La ripresa demografica della seconda metà dell’Ottocento portò da un lato alla costruzione di nuovi quartieri, in direzione del mare, per il ceto borghese, dall’altro al sovraffollamento dei rioni interni, favorendo la speculazione edilizia. Nel secondo dopoguerra è stato avviato un piano di ricostruzione che ha interessato in modo particolare il porto, il vecchio Borgo e la zona centrale, aree danneggiate dagli eventi bellici e poi ulteriormente colpite dal terremoto del 1968. Dagli anni 1950 si è affermata quella che è divenuta la tendenza dominante nella crescita urbana di P.: l’espansione verso la pianura occidentale, in parte ‘a macchia d’olio’ e in parte radiocentrica. Le vie di collegamento dei quartieri satelliti al centro e le opere di infrastrutturazione, sia pure carenti, hanno progressivamente trasformato gran parte della Conca d’Oro in una sterminata agglomerazione, segnata da estesi fenomeni di abusivismo.
Il vivace movimento naturale e la massiccia immigrazione dalle campagne, pur compensata da una notevole emigrazione verso Roma, le regioni dell’Italia settentrionale e i paesi dell’Europa occidentale, hanno sostenuto a partire dagli anni 1950 l’incremento della popolazione: dai 490.000 ab. del 1951 ai quasi 590.000 ab. del 1961, fino alla punta massima di oltre 700.000 ab. nel 1981. Dagli anni 1990, invece, si è verificato un decremento demografico (696.556 ab. nel 1991, 679.290 nel 2001, 663.000 nel 2008, fino ai 657.561 del 2011), dovuto principalmente a una sensibile diminuzione della dimensione media delle famiglie, passata dai 3,17 componenti del 1991 ai 2,95 del 2001 e ai 2,3 del 2011.
L’economia della città si fonda sul settore terziario, inteso nella sua accezione più ampia (commercio, servizi destinati alla vendita, pubblica amministrazione e servizi sociali). Poco sviluppate le attività industriali: gli insediamenti produttivi si limitano infatti ai cantieri navali, da tempo in crisi, e a piccole e medie imprese, ubicate nelle zone industriali di Partanna-Tommaso Natale (a N) e Brancaccio (a S), che operano prevalentemente nei rami meccanico, alimentare, dell’abbigliamento e in genere dei beni di consumo. Il ruolo di capoluogo regionale è risultato per molti versi dominante, rappresentando il più spiccato fattore di attrazione nei confronti dell’intera isola. Complessivamente rilevanti i flussi turistici.
Per quanto riguarda le comunicazioni, P. è ben collegata alle reti stradale e aerea. L’aeroporto di Punta Raisi (a 31 km ONO della città) è il secondo dell’isola, dopo quello di Catania, per flussi di traffico. Il porto invece risente delle condizioni negative legate al ristagno dell’economia urbana e alla posizione stessa, interna all’agglomerazione; fra le categorie merceologiche prevalgono i prodotti petroliferi, i minerali, le macchine e le derrate agricole. Notevole anche il movimento dei passeggeri sulle linee di navigazione che collegano P. con Genova, Livorno, Napoli, Cagliari, Tunisi e con le isole siciliane.
Il nome antico di P. (gr. Πάνορμος, lat. Panormus) fu dato dai navigatori greci, ma la città è di origine fenicia e forse si chiamava in punico zīz ("fiore"). P. fu potente roccaforte fenicia nell'età greca: nel suo porto si raccolsero infatti flotte cartaginesi nel 480, 406, 391. Solo Pirro riuscì a espugnarla e mantenerla per breve tempo nel 276. Durante la prima guerra punica, con una operazione combinata terrestre e navale, i Romani riuscirono a penetrare in P. e a superare la resistenza dei cittadini che si erano asserragliati nella rocca (254-253). Nel 250 Asdrubale tentò di riconquistarla ma Cecilio Metello riuscì a cogliere di sorpresa le forze cartaginesi che si davano alla preda nella Conca d'Oro e a sbaragliarle completamente. Anche i tentativi di poco posteriori di Amilcare Barca per prendere la città d'assedio non approdarono a nulla. P., che aveva cominciato a subire l'influsso greco già agli inizi del sec. 5° a. C., continuò a prosperare in età romana quando la città fu dichiarata libera e immune e poi, sotto Augusto, vi fu dedotta una colonia.
Probabilmente il cristianesimo giunse presto a P. dall'Africa cartaginese, ma le prime testimonianze certe sono tarde (sec. 4°: ipogei della valletta del Maltempo e al Papireto); leggendaria è infatti la figura di un Teodoro vescovo di P. agli inizi del sec. 2° e il primo vescovo storicamente accertato è s. Mamiliano (sec. 5°). Assediata e conquistata successivamente da Genserico, Odoacre, Teodorico e nel 535 dai Greci di Belisario, Panormus romana andò quasi del tutto in rovina. Risorse sotto la plurisecolare dominazione bizantina, che ne plasmò le istituzioni politico-amministrative e, nonostante l'attiva opposizione del papa Gregorio I, quelle religiose; ma cadde senza lasciar tracce nell'831 dopo circa un anno di assedio (da cui P. uscì ancora una volta pressoché in rovina), travolta dalla irresistibile avanzata musulmana nell'isola. Della Sicilia araba P. fu il centro militare e amministrativo, e divenne, allorché gli emiri kalbiti acquistarono la piena indipendenza (948), la capitale di uno Stato fra i più fiorenti del tempo: dedita a intense attività commerciali, fu allora città pari in ricchezza e splendore artistico-culturale alle maggiori del mondo musulmano, celebrata dai poeti per la bellezza dei suoi giardini, la moschea sovrastante una folla pittoresca di altre moschee, il vastissimo palazzo dell'emiro, la poderosa fortezza costruita nel 938 a guardia del suo porto. Protetta da quest'ultima contro gli attacchi provenienti dal mare, e verso l'interno da ampia cerchia di mura, resistette a lungo agli eserciti normanni del conte Ruggero e di Roberto il Guiscardo venuti alla conquista della Sicilia: respinto il primo tentativo del 1064, cadde in potere dei due Altavilla solo il 10 genn. 1072, dopo oltre cinque mesi di assedio terrestre e navale.
Sotto i Normanni P. riprese la sua prevalente fisionomia di città cristiana: tornò l'arcivescovo da Monreale nel duomo che, già ridotto dagli Arabi a moschea, venne riconsacrato alla Croce; e la costruzione di sempre nuove chiese culminò ad opera di Guglielmo II nella erezione (1185) della nuova splendida cattedrale. Ma l'intelligente tolleranza dei suoi sovrani vi assicurò anche la feconda convivenza delle sue tre popolazioni, araba, greco-bizantina e latina e della minoranza ebraica. Ognuna delle principali, a tutela di una effettiva uguaglianza di diritti, mantenne le proprie tradizionali magistrature (il qāḍī gli Arabi, κριταί e ἄρχοντες i Greci e iudices i Latini), le quali, nel mancato riconoscimento dell'autonomia comunale che caratterizzò lo Stato normanno (come avverrà in seguito, per analoghe tendenze accentratrici, sotto il dominio svevo), esercitarono funzioni oltreché giurisdizionali, anche amministrative. Supremo moderatore di queste, il potere sovrano vi fu però rappresentato dal più alto magistrato cittadino, lo iudex civitatis Panhormi, mentre quale sedes regis et caput regni (dal 1130) P. fu anche residenza del viceré, del regio consiglio, del parlamento, di tutte le più alte cariche e degli uffici amministrativi centrali del regno. Ma fu soprattutto fiorente centro di commerci e d'industrie, queste ultime per la perfezione dei loro prodotti famose in tutta Europa (così le stoffe tessute in seta e oro da artefici arabi e greci nell'officina di corte, detta Ṭirāz, nei secc. 12° e 13°). Nella prima metà del sec. 13° con Federico II di Hohenstaufen P., favorita nei suoi traffici commerciali, divenne altresì uno dei maggiori centri di vita intellettuale europea, punto d'incontro della cultura araba e di quella latina (fioriscono a corte la scuola poetica siciliana e gli studi di scienze naturali). Con gli Angioini (dal 1266), l'asse politico e militare del regno si spostò sul continente, dove Napoli era la nuova capitale, e la città decadde; contro questa menomazione e le conseguenze economico-sociali del malgoverno francese i Palermitani insorsero con la rivolta dei Vespri siciliani (31 marzo 1282), favorendo la conquista del potere in Sicilia da parte degli Aragonesi.
Nacque, in seguito alla crisi del potere centrale, il comune: se fin dal 1278 il popolo aveva cominciato a eleggere gli iudices che erano prima nominati dal sovrano, dopo il Vespro esso conquistò di fatto la piena autonomia amministrativa e nel 1330 la universitas civium ottenne dai sovrani aragonesi piena sanzione giuridica, costituita nei suoi organi definitivi: Consiglio civico (con funzioni legislative) e Senato, che, formato dal pretore, da 12 giudici e giurati, per la sua composizione sociale e il modo dell'elezione assicurerà nei secoli successivi il prevalere assoluto della nobiltà feudale nella vita cittadina. Il sec. 14° vide tuttavia l'affermarsi, favorito dalle tendenze indipendentistiche e antiaragonesi del partito latino, del regime signorile con la potente famiglia dei Chiaramonte; questi, emersi dapprima in funzione di protettori (così con Giovanni, il vittorioso difensore di P. nell'assedio aragonese del 1325), assunsero poi il pieno controllo dell'amministrazione comunale con Manfredo III conte di Modica e vicario di P. e Val di Mazzara (1379), fino alla morte di Andrea, fatto giustiziare (1392) da re Martino il Giovane, per aver sostenuto con il popolo la regina Maria.
Quando la Sicilia, annessa direttamente da Ferdinando I alla corona di Aragona, perdette definitivamente la sua autonomia (1412), P. rimase il centro burocratico dell'isola, ma perse in gran parte la sua fiorente prosperità economica; tale situazione si protrasse durante tutta la dominazione spagnola, che la rese più grave sul piano economico e sociale con l'inurbamento dei baroni, sicché durante i secc. 16°-18° la città, povera di industrie e traffici commerciali, visse soprattutto a spese delle altre province siciliane. Contro il dominio spagnolo scoppiò la rivolta popolare del 15 ag. 1647, capeggiata da G. d'Alessi. Scarsa traccia lasciavano a P. il mite dominio sabaudo, fra il 1711 e il 1718, e la successiva dominazione austriaca durata fino alla instaurazione della dinastia borbonica, nel 1736.
Il perdurare a P. di un forte sentimento indipendentistico fece accogliere con entusiasmo nel 1799 e 1806 la venuta della corte borbonica, in fuga da Napoli dinanzi all'esercito francese, perché con quella la città riassumeva di fatto la sua antica dignità di capitale. Così, quando la soppressione (nel dic. 1816) della Costituzione concessa alla Sicilia nel 1812 restituì P. nuovamente alla condizione di città provinciale, essa divenne ostile alla causa dei Borboni, identificata con quella della rivale Napoli; aspirazioni separatiste operarono anche nella sommossa del 1820, che vide dapprima vittoriose sulle truppe borboniche le corporazioni artigiane (17 luglio) e, attraverso la successiva azione terroristica e antifeudale, la formazione della giunta provvisoria di governo, la quale dopo aspra lotta dovette infine capitolare, conniventi i baroni, dinanzi all'esercito costituzionale napoletano (22 sett.). Nel 1848, dopo il fallimento dell'insurrezione messinese del 1° sett. dell'anno precedente, la città assunse funzioni di guida della Sicilia contro la dominazione borbonica: insorti il 12 genn. sotto la guida di R. Pilo e G. La Masa, i Palermitani sconfiggevano il 24 le truppe napoletane e il 2 febbr. costituivano un governo provvisorio siciliano. Dopo il fallimento della 1ª guerra d'indipendenza essi furono gli ultimi a cedere dinanzi alle truppe borboniche del gen. C. Filangieri, il 15 maggio 1849. Il moto palermitano del 4 apr. 1860, che iniziò quando alcuni popolani suonarono a stormo le campane del convento della Gancia e che trovò il suo eroico capo nel mazziniano R. Pilo, fu presto represso nel sangue; ma da esso trasse origine quell'agitazione che, estesasi nell'isola, dette l'avvio alla vittoriosa spedizione dei Mille. Vinti i borbonici a Calatafimi, G. Garibaldi muoveva alla conquista di P., dove erano concentrati a difesa ben 24.000 uomini; nell'impossibilità di attaccare la piazza per la preponderanza nemica, ricorse allo stratagemma di fingere la ritirata verso Corleone, per attirare verso l'interno dell'isola il grosso delle truppe borboniche; la mossa riuscì e la città fu occupata dai garibaldini (27-29 maggio), che ottenevano il 6 giugno la capitolazione del presidio. Divenuta quindi sede del governo provvisorio siciliano di F. Crispi, P. votò anch'essa l'annessione al Regno d'Italia (5 nov. 1860). La delusione dopo l'unità si manifestò violentemente nel 1866: nei giorni dal 16 al 22 sett. alcune migliaia di insorti s'impadronirono di P., mentre le truppe e le autorità si asserragliavano negli edifici pubblici. Si verificava allora una collusione tra elementi repubblicani, autonomisti, e rappresentanti dell'aristocrazia legittimista; il clero, irritato per l'imminente applicazione della legge sulla soppressione dei conventi, non mancò di istigare le classi inferiori della popolazione. Più tardi il disagio popolare favorì l'eccezionale sviluppo del primo socialismo nella città e nella provincia. Nel maggio 1892 si svolse a P. il 18° congresso delle Società operaie affratellate, di origine mazziniana; esattamente un anno dopo, vi si tenne il congresso dei Fasci siciliani.
Durante la cosiddetta Belle époque la popolazione palermitana passò da 194.463 residenti del 1861 a 221.754 del 1871, 241.618 del 1881, 305.716 del 1901 e 336.148 del 1911, con un incremento del 73%, superiore rispetto al resto della Sicilia (+59 per cento). Tale incremento, tuttavia, diversamente da quello di altre città italiane, era dovuto prevalentemente al movimento naturale e non all'immigrazione, poiché se in quest'epoca le condizioni di vita e l'economia complessivamente migliorarono, non si ebbe a P. quel vasto processo di sviluppo che stava interessando altre realtà anche dello stesso Mezzogiorno. Stentava a emergere una borghesia imprenditoriale attiva e socialmente accreditata, e il ceto dominante continuava a essere costituito dalle famiglie aristocratiche, di vecchia e nuova acquisizione. Se negli anni 1910 il comparto industriale si mostrava più variegato rispetto a 40 anni prima, si trattava soprattutto di imprese che, a parte le maggiori (il Cantiere Navale, la R. Manifattura Tabacchi, la Società Anonima Ducrot), avevano ancora un carattere prettamente artigianale e impiegavano ciascuna un numero assai ridotto di addetti (con una media di nove l'una). Anche il movimento commerciale in questi anni ebbe un incremento modesto rispetto ad altri casi: tra il 1904 e il 1909-13, il 17,5% contro, per es., il 29% di Genova, il 37,5% di Catania, il 99% di Napoli. Le disperate condizioni di vita in cui versava la classe lavoratrice palermitana, emarginata e vessata (la città aveva allora e continuò ad avere in futuro tra i più alti livelli di segregazione urbana, molto più che Milano, Genova e le altre città che allora stavano vivendo cambiamenti radicali), fecero sì che il biennio rosso (1919-20) si presentasse in modo particolarmente drammatico nel capoluogo siciliano e in tutta la provincia: a scioperi, occupazioni e mobilitazioni operaie e contadine, si rispose con violenza efferata e stragi reiterate. Nel 1920 Nicolò Alongi, dirigente dei Fasci siciliani di Prizzi, e Giovanni Orcel, segretario della sezione palermitana della FIOM (Federazione Impiegati Operai Metallurgici), che stavano adoperandosi per un progetto comune di coordinamento dell'azione contadina con quella operaia, furono uccisi in due attentati mafiosi che adombravano finalità politiche. In quest'epoca la mafia si poneva infatti come intermediatrice e regolatrice parassitaria dei conflitti tra contadini, operai, latifondisti, padronato.
Del periodo fascista una delle figure preminenti fu quella di Cesare Mori, prefetto di P. dal 1925 al 1929. In quest'epoca il Regime fece il giro di vite contro le ultime reduci libertà democratiche, ma Mori si concentrò soprattutto sulla persecuzione della mafia, che dopo la Grande guerra e con l'intensificarsi dell'emigrazione oltreoceano, grazie ai contatti con quella americana, aveva assunto una struttura più complessa e organizzata. L'azione del prefetto si esplicò in una serie di retate e in migliaia di arresti, seguiti da grandi processi per associazione a delinquere, che almeno per un periodo scompaginarono le cosche, tanto che Mussolini, dopo aver improvvisamente destituito Mori, poté annunciare la vittoria definitiva del fascismo contro la mafia; tuttavia sul reale esito di questa campagna la storiografia non ha opinione univoca e se certamente alcune cosche furono sconfitte, altre rimasero in mero stato di latenza e ricominciarono ad agire già negli anni 1930, appoggiando poi lo sbarco alleato.
Durante la seconda guerra mondiale P. subì gravissimi danni dai bombardamenti aerei, specialmente dal gennaio al giugno 1943, che lasciarono sulla città un segno indelebile. Nel corso delle operazioni per l'occupazione della Sicilia, gli Anglo-Americani entrarono nella città il 24 luglio 1943.
Tra il 1943 e il 1946 crebbe in tutta l'isola il Movimento indipendentista siciliano (MIS), che a P. si diffuse soprattutto in seguito alla 'strage del pane' dell'ottobre 1944, quando una ventina di civili che protestavano per la fame furono uccisi dall'esercito regio. Suoi rappresentanti, dalle provenienze politiche più varie ma uniti nella convinzione che la Sicilia fosse capace di autonomia politica ed economica dall'Italia, a P. furono tra gli altri il barone Lucio Tasca Bordonaro, primo sindaco nel 1943 dell'epoca post fascista e tra gli indipendentisti più oltranzisti, l'avvocato antifascista Rosario Cacopardo, il barone Stefano La Motta. Nel MIS confluirono anche numerosi elementi mafiosi (come il corleonese Michele Navarra e i palermitani Francesco Paolo Bontate, Pippo Calò e Tommaso Buscetta, questi ultimi due ancora giovanissimi), che proprio da qui ripresero le fila organizzative e del coordinamento tra le cosche. Dal 1944-45 al 1946 il Movimento, su iniziativa anche dei membri sopracitati, era passato alla lotta armata costituendo l'Esercito volontario per la liberazione della Sicilia, che venne fiancheggiato dalle bande e guidato da banditi come Salvatore Giuliano, autore poi dell'atroce eccidio di lavoratori a Portella delle Ginestre nel 1947. Le forti spinte indipendentiste dell'isola si sarebbero però placate negli anni immediatamente successivi, quando lo Statuto speciale di autonomia della regione, istituito con decreto legislativo da Umberto II nel maggio 1946, venne tradotto in legge costituzionale nel 1948. Molti dei suoi membri confluirono poi nella Democrazia cristiana (DC).
L'istituzione della Regione siciliana a statuto speciale con capitale a P. fu un evento molto importante per la città. Salutata dai palermitani come l'atteso riconoscimento della loro primazia in Sicilia, avrebbe negli anni successivi condizionato fortemente la vita politica cittadina. Le nuove istituzioni regionali richiamarono inoltre a P. un buon numero di immigrati dal resto dell'isola, contribuendo al fenomeno dell'inurbamento, con la popolazione che passò dai 411.879 abitanti del 1936 ai 490.692 del 1951, ai 587.985 del 1961 e ai 642.814 del 1971. A tale crescita non corrisposero però affatto politiche economiche e urbanistiche adeguate e più che risolvere problemi la presenza della Regione a P. ne creò, concorrendo a formare un sistema tanto corrotto quanto inefficiente, che frenò l'intero sviluppo regionale. I criteri di reclutamento furono infatti sin dall'origine clientelari piuttosto che meritocratici e intorno ai suoi nuovi apparati si radicarono e si espansero le cosche locali. In quest'epoca le cosche a P. e nella sua provincia si stavano strutturando, anche per sollecitazione reiterata della mafia nord-americana, in 'cupola' (Cosa Nostra), avviavano il processo di controllo della criminalità organizzata e individuavano nuovi settori di profitto (edilizia, mercati generali, appalti), per configurarsi negli anni 1960 come mafia 'urbano-imprenditoriale'.
Al referendum istituzionale del 2 giugno 1948 i palermitani si espressero in massa a favore della monarchia (con il 61% dei voti), confermando la collocazione a destra delle prime amministrative del 1946, in cui erano prevalsi il Fronte dell'uomo qualunque con il 24,5% dei voti e il Partito nazionale monarchico con il 19,8%, seguiti al terzo posto dalla Democrazia cristiana (DC) con il 14,5%, e in cui era stato nominato sindaco il qualunquista Gennaro Patricolo. Già nelle successive elezioni comunali del 1952, e progressivamente in misura sempre crescente in quelle del 1956, 1960 e 1964, la DC si convalidò però come primo partito cittadino (con, rispettivamente, il 25%, il 35,7%, il 37,9% e il 44,4% dei voti). Il primo della lunga serie di sindaci democristiani fu nel 1948 Gaspare Cusenza, che avviò una serie d'importanti opere pubbliche, ma che già nel 1951 si dimise lasciando il posto all'ex monarchico passato alla DC, con tipico meccanismo trasformistico della classe politica palermitana che sarebbe perdurato per decenni, Guido Avolio. Queste prime giunte degli anni 1950 ebbero vita travagliata, lacerate dai conflitti interni alla DC, con frequenti commissariamenti e turnover di sindaci a forte discapito della città. Inoltre numerosi furono gli amministratori sospettati di avere legami mafiosi (come lo stesso Cusenza, che poi diventerà presidente della Cassa di Risparmio Vittorio Emanuele di P.) o di essere essi stessi 'uomini d'onore', a riprova che già allora la mafia riusciva a collocare propri esponenti all’interno delle istituzioni democratiche e a condizionarne l'operato.
Nella tornata elettorale del 1956 prevalse a P. la corrente democristiana fanfaniana, ed emerse una nuova giovane classe politica assai aggressiva che avrebbe dominato la vita amministrativa nel decennio successivo. Protagonisti di tale stagione furono l'andreottiano Salvatore (Salvo) Lima, che sarà prima assessore ai Lavori pubblici dal 1956, e poi sindaco dalla morte di Luciano Maugeri nel 1958 fino al 1963, e poi di nuovo nel 1965-66 e che verrà ucciso dalla mafia nel 1992; il corleonese Vito Ciancimino, che succederà a Lima all'assessorato ai Lavori pubblici e diverrà a sua volta sindaco nel 1970; Giovanni Gioia, leader a P. della corrente fanfaniana della DC. Sotto tali politici e amministratori, su cui gravavano sospetti di collusione con la mafia (emersi nel corso del processo Andreotti per Lima, accertati in via definitiva per Ciancimino, che fu arrestato nel 1984 e condannato nel 1992) e altre figure come quella del costruttore Francesco Vassallo, fu compiuta quella straordinaria opera di speculazione edilizia che meritò poi il nome di 'sacco di P.', producendo alla città danni incalcolabili. Nel 1962 si andava inoltre combattendo la cosiddetta 'prima guerra di mafia', che vide lo scontro sanguinoso tra i diversi clan palermitani e che si concluse con numerose condanne nel 1968 (vennero condannati tra gli altri Pietro Torretta e Angelo La Barbera e, in contumacia, Buscetta e Angelo Greco) e con ancora più numerose assoluzioni per insufficienza di prove. In questi anni fino al 1970 con Lima si alternarono alla guida della città Francesco Saverio Diliberto, Paolo Bevilacqua e Francesco Spagnolo.
Nel frattempo le sinistre vivevano una situazione di marginalità. Nonostante le reiterate denunce di collusione mafiosa e di irregolarità e illeciti amministrativi (denunciati nel 1963 anche nel Rapporto Bevivino), e il lavoro della commissione parlamentare antimafia istituita nel 1962, non riuscivano a captare e organizzare il pur vasto scontento popolare, che si andava ripetutamente esprimendo con manifestazioni di piazza, occupazioni delle case, blocchi delle strade, proteste per la mancanza delle aule scolastiche ecc., e che sfociò violentemente come in altre città italiane nel luglio 1960 durante gli scioperi contro il governo Tambroni, in cui a P. persero la vita quattro persone. Tale situazione di degrado si aggravò in seguito al terremoto del Belice del 1968, che lesionò numerosi edifici del già martoriato centro storico, in cui ancora svettavano i palazzi colpiti dai bombardamenti e dal quale sempre più popolazione fuggiva.
Anche P. a partire dal 1968 e negli anni successivi partecipò alle mobilitazioni studentesche, sebbene in misura non altrettanto ampia rispetto ad altre città: nacquero alcuni nuovi centri di aggregazione politica (come il Circolo Lenin, erede del Circolo Labriola fondato da Mario Mineo, che sarebbe poi a sua volta confluito nel gruppo del Manifesto) e la sinistra parlamentare riuscì a intercettare e incanalare maggiormente le proteste cittadine. Tra i temi prioritari vi furono quello della casa e, naturalmente, quello della comprensione del fenomeno mafioso e della sua lotta.
Le tornate elettorali degli anni 1970 e 1980 confermarono le propensioni politiche dei decenni precedenti, con la DC primo partito intorno al 40% (con il picco massimo nel 1980 del 46,7% e minimo nel 1985 del 37,3%) e il PCI al secondo posto, ma assai distanziato (i voti comunisti oscillarono tra il 13,5% del 1970 e il 18,4% del 1975). In questo ventennio si ebbe una crescita del PSI (Partito Socialista Italiano), che passò dal 6% del 1964 al 13,4% del 1985, e una presenza sostanzialmente costante del Movimento sociale italiano (MSI), al quarto posto nel 1970 dopo il PSI con il 9,5%, al terzo nel 1975 con il 10,3%, di nuovo al quarto nel 1980 con l'8,5%.
Quando però dopo le elezioni del 1970 venne nominato sindaco Ciancimino, considerato il principale responsabile in virtù del suo incarico ai Lavori pubblici del degrado urbanistico e sul quale, peraltro, già erano in corso indagini per appurare i suoi legami con la mafia, non solo il PCI presentò una mozione per chiederne la sospensione con l'appoggio di una parte della DC e il PRI (Partito Repubblicano Italiano) annunciò il ritiro dei suoi assessori, ma pure larga parte della cittadinanza manifestò il suo radicale dissenso al grido “fuori la mafia dal Comune”. Gli subentrò quindi il colonnello Giacomo Marchello, che non aveva mai avuto incarichi al Comune e che quindi veniva considerato al di sopra delle parti: la sua nomina di 'transizione' durò cinque anni, fino al 1976, a capo di giunte diverse. Seguì poi fino al 1985 un'altra lunga serie di giunte a prevalenza democristiana alla guida delle quali si succedettero sindaci diversi, costretti però in uno stato di quasi immobilismo, alcuni provenienti dalla politica e altri, in risposta alle accuse sempre più pressanti di collusione mafiosa, dalla società civile: Carmelo Scoma, Giovanni Lapi, Salvatore Mantione, Nello Martellucci, Elda Pucci, Giuseppe Insalaco, Stefano Camilleri, nuovamente Martellucci. Insalaco, sindaco per pochi mesi nel 1984, che aveva ripetutamente denunciato le ingerenze mafiose nella politica palermitana, fu ucciso in un agguato nel 1988.
Nel frattempo, infatti, si era assistito a una escalation parossistica della violenza mafiosa. La mafia palermitana aveva intrapreso già dagli anni 1960, sul modello di quella americana, un processo di estrema centralizzazione. Tale processo si era accentuato ulteriormente sotto la guida di Luciano Liggio prima e di Totò Riina poi, i cosiddetti corleonesi (cui si contrapponevano altre famiglie, come quelle di Gaetano Badalamenti e Stefano Bontate, scatenando così la 'seconda guerra di mafia'); si mirava ora a imporre la 'legge' non solo alle singole cosche, ma anche agli interlocutori della politica e degli affari, quasi ribaltando il tradizionale rapporto di asservimento. Mutuando i metodi del terrorismo politico, Cosa Nostra rivolse così le armi contro politici, poliziotti, imprenditori, magistrati. Si trattò di un grande mutamento rispetto al passato. Nel contempo però si riaccese la lotta contro di essa. Dal principio degli anni 1980, per contrastarla più efficacemente, era stato costituito il pool antimafia (un gruppo ristretto di persone che condividevano tutte le indagini senza farle trapelare all'esterno in modo che se una di loro fosse stata uccisa le altre non ne avrebbero smarrito l'eredità conoscitiva), ideato da Rocco Chinnici, con Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Giuseppe Di Lello e più tardi Antonino Caponnetto, e iniziò il fenomeno del pentitismo, cioè la collaborazione con la giustizia di alcuni mafiosi (il caso più eclatante fu Buscetta). Tra il 1979 e la prima metà degli anni 1980 vennero uccise centinaia di persone. Per citare soltanto i casi più celebri, nella sola P. e nella sua provincia furono ammazzati il vicequestore Boris Giuliano; il presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella; il capitano dei Carabinieri Emanuele Terranova; il deputato comunista Pio La Torre, che aveva avanzato una proposta di legge sulla confisca dei beni di mafia; il medico legale Paolo Giaccone; il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa assieme alla moglie; i giudici Cesare Terranova, Gaetano Costa e Chinnici. L'omicidio di Dalla Chiesa, che aveva lamentato pubblicamente e più volte lo scarso appoggio ricevuto dalla politica e il suo isolamento, provocò a P. e in tutta Italia un'ondata pubblica vastissima di sdegno; durante i funerali la figlia con gesto eclatante rifiutò la corona di fiori inviata dalla Regione e i rappresentanti della classe politica furono violentemente contestati dalla folla. Nel 1986 iniziò a P. il 'maxiprocesso' istruito da Falcone, che mostrò per la prima volta al Paese i volti, l'ampiezza delle attività e la potenza dell'organizzazione. Nel 1988 fu ucciso uno dei pochi magistrati che avevano accettato di presiedere il processo di appello, Antonino Saetta.
Nel 1985, a seguito delle nuove elezioni, venne incaricato di costituire la nuova giunta il giovane democristiano Leoluca Orlando, che si era già distinto per l'impegno contro la mafia. Tale scelta, anche a livello nazionale, fu percepita come una svolta, espressione di un nuovo corso intrapreso dalla città. Orlando dal 1987 ottenne anche l'appoggio esterno dei comunisti, che entrarono in giunta nel 1989, dando vita a un nuovo esperimento di governo basato su un accordo programmatico e non su logiche partitiche, in cui al primo posto c'era la questione della lotta alla mafia.
Al principio del nuovo decennio la strategia intimidatoria e lo stragismo mafioso raggiunsero il culmine. Nel 1991 fu ucciso l'imprenditore Libero Grassi, uno dei simboli della ribellione alla criminalità da parte della società civile, ma certamente ciò che colpì di più l'opinione pubblica e che rappresentò un momento cruciale nella storia della mafia, della lotta antimafia e di P. furono le stragi di Capaci nel maggio e di via Amelio nel luglio 1992, in cui morirono Falcone con la moglie e Borsellino con i rispettivi agenti della scorta. Seguiranno, sempre nella stessa cornice, attentati a Firenze, Milano e Roma. La reazione di P. a tali stragi fu fortissima. Sul fronte istituzionale, la lunga scia di sangue aveva già condotto all’introduzione del reato di associazione mafiosa, alla confisca dei beni e alla scelta di più efficaci metodi di contrasto e di cooperazione internazionale. Ma questi eventi generarono oltre a ciò un generale sussulto della società civile, da P. al Nord Italia, rafforzando e rivitalizzando anche il fronte movimentista. Negli anni 1990 e nel decennio successivo sono nate, non solo a P. e in Sicilia, a rappresentare ormai la consapevolezza che la mafia non è un problema meramente locale, associazioni antimafia come Libera di don Ciotti, Avviso pubblico, la Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI), il Comitato Addiopizzo, Libero futuro in memoria di Libero Grassi e molte altre. Una caratteristica che distinse questo genere di iniziative fu la loro indipendenza dalle forme tradizionali di politica e quindi il loro rigetto dei partiti.
Lo stesso Orlando, che doveva il suo consenso soprattutto alle battaglie contro la mafia più che a una riuscita amministrazione cittadina, nel 1991 uscì dalla DC – anche per le laceranti contraddizioni che questo partito rappresentava soprattutto a P. – e fondò La Rete, un nuovo soggetto politico che coniugava l'esaltazione della società civile, il sentimento antipartitico e la lotta alla mafia. Dopo di lui dal 1990 al 1993 furono sindaci Domenico Lo Vasco, il magistrato Aldo Rizzo della Sinistra indipendente – primo sindaco non democristiano dopo quasi 40 anni – e il socialista Manlio Orobello. Nel 1993 vi fu la prima elezione diretta del sindaco, e La Rete di Orlando ottenne il 32,6% dei voti, contro il 13,3% della DC. Orlando venne rieletto anche nelle consultazioni del 1997 e di nuovo nel 2012 e nel 2017, mentre nel 2001 e nel 2007 prevalsero i partiti di centrodestra e fu eletto sindaco per due mandati Diego Cammarata di Forza Italia. Anche alle elezioni amministrative del 2022 fu eletto un sindaco di centrodestra, Roberto Lagalla.
Dalla seconda metà degli anni 1990 Cosa Nostra ha abbandonato lo stragismo, che si era rivelato – sia per la reazione delle istituzioni, sia per quella della società civile – una scelta che l'aveva indebolita fortemente e le aveva fatto perdere terreno rispetto a Camorra e 'Ndrangheta, e ha ripiegato sulle strategie mimetiche tradizionali. Nel 2012 i beni sequestrati alla mafia grazie alla legge voluta da La Torre nel comune di P. erano 1.945.
Documentano l’epoca preistorica, tra l’altro, le grotte del Monte Pellegrino: sulle pareti della grotta Addaura presso il Monte Pellegrino sono stati scoperti (1951) graffiti con animali e figure umane di stile naturalistico quaternario e bovidi schematizzati riferibili al Paleolitico. Le figure umane sono rappresentate con una maturità artistica nuova nell’arte del Paleolitico superiore.
L’insediamento fenicio e punico è ubicato sotto la città moderna. Non si conosce il nome fenicio del sito: infatti la leggenda sys che compare sulle monete di emissione punica indica tutto il territorio siciliano. Sulla base dei più antichi corredi funebri si ritiene che P. sia stata fondata agli inizi del 6° sec. a.C. La fase più antica delle mura risale al 5° sec., quando sarebbe avvenuta una pianificazione regolare dell’intero insediamento, unificando la città che originariamente era divisa in due aree. Poco si conosce del periodo romano, ma certo non dovevano mancare notevoli edifici com’è provato dalle tracce di pavimentazione musiva rinvenute in piazza Bonanno.
La città presenta, nel complesso, aspetto barocco, per le molte chiese e palazzi dei sec. 17°-18° (molti distrutti dagli eventi bellici). Il centro è costituito dai cosiddetti Quattro Canti, piccola piazza ricavata smussando gli angoli dei quattro palazzi (1609-20, adorni di statue) all’incrocio di via Maqueda con corso Vittorio Emanuele. Ma i maggiori monumenti, spariti i resti della dominazione bizantina e araba, risalgono al periodo normanno, e mostrano una fusione di elementi bizantini, arabi e latini. L’edificio più antico è S. Giovanni dei Lebbrosi (1071). Dell’epoca di Ruggero II restano: nel palazzo dei Normanni (facciata del 18° sec.; sono del tempo arabo parti della Torre Pisana e della Greca) la Cappella Palatina (1132-40), rivestita di lastre marmoree e di splendidi mosaici bizantini, con soffitto realizzato da artisti musulmani, e la sala di re Ruggero, con mosaici di soggetto animale e vegetale; inoltre, S. Giovanni degli Eremiti (1132), di aspetto arabo, con chiostro del 13° sec.; la chiesa della Martorana (1143; mosaici del 12° sec.), la chiesa della Magione (1191, in parte ricostruita). Anteriore al 1161 è S. Cataldo, di aspetto arabo; al 1178 risale S. Spirito, detta del Vespro perché qui cominciò la rivolta. La grandiosa cattedrale, fondata nel 1185 dal vescovo Offamilio, ha conservato l’aspetto originario soprattutto nelle absidi; l’interno, con cupola, rifatto da F. Fuga (1781), conserva la cripta del 12° sec. e gli imponenti monumenti funebri dell’imperatrice Costanza, di Federico II, di Costanza d’Aragona, di Ruggero II. Tra gli altri edifici normanni, notevoli il Palazzo la Zisa (dal 1990 adibito a raccolta di arte islamica) e il castello la Cuba. Nel 2015 il quartiere arabo-normanno è stato inserito nella lista Unesco come Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Al 13° sec. risale la chiesa di S. Francesco (portale 1302), radicalmente restaurata (all’interno, sculture di F. Laurana). I maggiori monumenti del 14° sec. sono i Palazzi Chiaramonte («lo Steri») e Sclafani (donde proviene il grande affresco con il Trionfo della Morte, forse catalano del 15° sec., nella Galleria nazionale della Sicilia). Le forme gotiche catalane si svilupparono in originali costruzioni del 15° sec. (chiesa della Gancia; palazzi Abatellis e Aiutamicristo, di M. Carnelivari; la chiesa di S. Maria della Catena, attribuita allo stesso). Numerose le chiese rinascimentali: S. Maria dei Miracoli (1547), S. Giorgio dei Genovesi (1576), S. Caterina (1580, ricca decorazione settecentesca).
Nei sec. 17° e 18° P. fu centro di un profondo rinnovamento edilizio e di un’eccezionale fioritura di scenografiche decorazioni: chiesa del Gesù (iniziata nel 1564, completata a metà del 17° sec.) e di S. Giuseppe dei Teatini (1612); S. Teresa (1686) e chiesa della Pietà (1678) di G. Amato; S. Domenico (ricostruita nel 1640, facciata del 1726 e chiostro trecentesco); il Carmine (1626); S. Agostino (rifatta nel 1671, facciata gotica); S. Salvatore (1682, di P. Amato); la chiesa e il convento dei Filippini all’Olivella (17° sec.). In molte di queste chiese e in numerosi oratori (del Rosario, S. Zita, S. Lorenzo) sono le festose decorazioni in stucco di G. Serpotta. Notevoli inoltre il palazzo dei principi di Comitini (1766, N. Palma) e S. Croce o S. Elia (metà 18° sec.). Della fine del 18° sec. sono l’oratorio dei Filippini all’Olivella e palazzo Geraci del neoclassico V. Marvuglia. Sono da citare la fontana di piazza Pretoria (M. Naccherino e F. Camilliani, 1576) e la fontana del Garaffo (P. Amato, 1698). Tra le costruzioni successive, notevole il Teatro Massimo (G.B.F. ed E. Basile, 1875-97); il palazzo delle Poste (A. Mazzoni). Tra i nuovi sviluppi abitativi di edilizia popolare, il controverso quartiere Zen (V. Gregotti, 1970).
Numerose le ville storiche e i parchi, principale fra tutti il grandioso parco della Favorita, a NO della città, già proprietà di Ferdinando III di Borbone. Sul Monte Pellegrino, il santuario di S. Rosalia con interessante facciata seicentesca, addossata alla roccia.
Musei principali sono il Museo Nazionale con ricchissime raccolte archeologiche; nella Galleria nazionale della Sicilia, sistemata in palazzo Abatellis dall’architetto C. Scarpa, dipinti di Antonello da Messina, di A. Van Dyck e di scuola siciliana, sculture di F. Laurana ecc. Nella cosiddetta Palazzina Cinese della Favorita (1799, V. Marvuglia) ha sede il Museo etnografico G. Pitrè. Importante il tesoro della cattedrale. Altri musei: Museo Diocesano (nel Palazzo Arcivescovile); Galleria d’arte moderna (nel politeama Garibaldi; opere di artisti meridionali); Museo d’arte e archeologia Ignazio Mormino; Museo archeologico regionale.
La Biblioteca Nazionale di P. fu istituita nel palazzo del Collegio Massimo dei gesuiti con la biblioteca da essi lasciata nel 1767 e inaugurata nel 1782; si ampliò per successive accessioni, con i fondi del principe di Caramanico e del principe G.L. Castelli di Torremussa; fu amministrata dai gesuiti dal 1805 al 1860. Vi affluirono (1876) le biblioteche degli ordini religiosi soppressi. La Biblioteca Comunale, aperta nel 1760, è specializzata in storia e cultura siciliana. Altri spazi e complessi culturali: S. Maria dello Spasimo; palazzo Mirto; Reale albergo dei Poveri; Cantieri culturali della Zisa (già Cantieri Ducrot).
La città è stata designata capitale italiana della cultura per il 2018.
La storia musicale di P. può considerarsi iniziata con le innodie fiorite tra il 6° e l’11° sec.; al tempo di Federico II e di Manfredi furono coltivati generi come canzoni d’amore, strambotti, liriche provenzaleggianti, dal 14° sec. le laudi, dal 15° le sacre rappresentazioni. Il Cinquecento favorisce l’arte polifonica, in cui si segnalano il benedettino Mauro Chiala e, soprattutto, l’originalissimo Sigismondo d’India. Il teatro musicale invece ritarda: la prima opera rappresentata è infatti il Serse di P.F. Cavalli, dato dall’Accademia dei musici nel 1658. Sale teatrali si avevano però fin dal 16° sec.: il più antico teatro sorse nel 1582 presso la chiesa olivetana detta dello Spasimo. Particolare importanza ebbero i due teatri di S. Cecilia alla Ferravecchia, inaugurati nel 1693 a cura dell’Unione dei musici (associazione sorta nel 1674), e di S. Caterina (detto anche di S. Lucia), inaugurato verso il 1726. Il primo di essi era dedicato specialmente alle opere serie, il secondo – poi trasformato nel Teatro Reale Carolino (oggi Bellini) – alle comiche. Rare furono in principio le rappresentazioni di opere d’autore non palermitano di nascita o di residenza. Tra 17° e 18° sec. si svilupparono a P. anche l’oratorio e la cantata. I primi esempi d’oratorio si ebbero verso il 1650 e tendevano già allo stile operistico. Ogni ricorrenza religiosa e civile era celebrata con cantate a grande orchestra. Gli studi furono coltivati specialmente nel conservatorio di musica, fondato nel 1617 alla Ss. Annunziata di Porta S. Giorgio come «Pia casa degli spersi» e attivo come istituto musicale dal 1721; questo fu poi riformato nel 1830 dal barone Pisani e affidato alla direzione di P. Raimondi.
Oggi la vita musicale palermitana si accentra intorno al conservatorio (intitolato a V. Bellini), al Teatro Massimo e a varie istituzioni concertistiche (principale quella degli Amici della musica). Tra i molti musicisti palermitani si ricordano A. Scarlatti, E. Petrella, S. Donaudy, A. Favara, G. Mulè, F. Mannino, G. Arrigo, S. Sciarrino.
(5.009,28 km2 con 1.243.585 ab. nel 2011, divenuti 1.222.988 secondo rilevamenti ISTAT del 2020, ripartiti in 82 comuni).
Nel 2014, con la legge 7 aprile n. 56, entrata in vigore il 1°gennaio 2015, la città metropolitana di P. è subentrata all'omonima provincia, mantenendo la medesima estensione geografica.
Il territorio è in massima parte montuoso: a O una serie di rilievi, tra cui i Monti Palermitani e la Rocca Busambra, incisi da numerosi corsi d’acqua, tra i quali i fiumi Jato, Eleutero e San Leonardo, con i loro affluenti, appartengono al versante tirrenico, mentre la sezione meridionale costituisce il bacino medio e superiore del fiume Belice, pertinente al versante del Mar di Sicilia; a E si erge, con andamento parallelo alla costa, la catena delle Madonie, culminante nel Pizzo Carbonara (1979 m). Le zone pianeggianti si limitano alla cimosa litoranea settentrionale, slargata solo nella Conca d’Oro, alle spalle di P., nella piana di Partinico e nella bassa valle del fiume Torto. Il profilo costiero è interrotto da alcuni promontori, fra cui Capo Gallo e Capo Zafferano, che chiudono il Golfo di P., oltre a quello, assai pittoresco, su cui sorge il centro di Cefalù. Le condizioni climatiche, in un quadro complessivamente mediterraneo, variano alquanto fra le coste (inverni miti; estati calde ma ventilate) e l’interno, dove l’escursione termica stagionale si accentua di molto.
La popolazione è distribuita in centri compatti di modeste dimensioni, fra i 1500 e i 12.000 ab.; superano tale soglia appena una decina di comuni, e di questi (a parte il capoluogo) solo Bagheria, Partinico, Termini Imerese, Monreale, Carini Misilneri e Villabate contano oltre 20.000 abitanti. Il decremento demografico di P. ha portato, a partire dagli anni 1990, a una ridistribuzione del carico antropico che ha interessato soprattutto i comuni dell’agglomerato palermitano (Isola delle Femmine, Capaci, Carini, Monreale). Rilevante, anche se non facilmente quantificabile, l’immigrazione stagionale, spesso clandestina, soprattutto di nordafricani.
Nelle aree interne l’economia permane quasi esclusivamente rurale, fondata sulla cerealicoltura e l’allevamento; solo i fondovalle irrigui ospitano colture specializzate (agrumi, ortaggi, frutta), mentre la viticoltura è particolarmente diffusa nel bacino del Belice. Lungo la costa è intensamente praticata la pesca. L’apparato industriale locale si presenta complessivamente invecchiato e in permanente condizione di crisi. Le maggiori attività sono localizzate nei comuni adiacenti a P. (soprattutto a Carini). Nel 2011 è stato chiuso l'importante stabilimento automobilistico della FIAT di Termini Imerese. La provincia palermitana, d’altra parte, si segnala, su scala regionale, fra quelle a maggior vocazione turistica: il numero di presenze di visitatori è andato infatti crescendo in modo significativo dalla metà degli anni 1990, raggiungendo una media negli anni 2010 di circa 600.000 visite annue; un andamento positivo che ha interessato numerosi comuni, fra cui, in particolare, quello di Cefalù.