Stato dell’Asia meridionale, per estensione il terzo dell’Asia e il settimo del mondo. Il confine terrestre, a NO col Pakistan, a NE con Cina, Nepal e Bhutan, a E con Myanmar e Bangladesh, si sviluppa per circa 14.100 km (in contestazione sono il controllo del Kashmir, ripartito con una linea provvisoria tra Pakistan, India e Cina, e di aree lungo la frontiera di NE con la Cina); quello marittimo misura 7000 km. Tra gli estremi N e S e tra gli estremi O ed E intercorrono, rispettivamente, 3200 e 3000 km. Comprende anche gli arcipelaghi delle Laccadive, nel Mare Arabico, e delle Andamane e delle Nicobare, al largo del Golfo del Bengala.
L’orlo montuoso a N e a NE del territorio indiano è formato dai versanti meridionali della catena himalaiana propriamente detta e interessa, a O del Nepal, gli Stati federati di Himachal Pradesh e Uttar Pradesh, e a E il Sikkim e l’Arunachal Pradesh (ex territorio della Frontiera di NE). Con il Jammu e Kashmir l’I. si addentra nel sistema montuoso fino a raggiungere le pendici meridionali del Karakoram, comprendendo i Monti Ladakh e parte dell’alta valle dell’Indo, che, con quella del Tsang-po (Brahmaputra), costituisce il limite settentrionale convenzionale della catena. La sezione occidentale del Himalaya comprende la catena dello Zaskar, l’Alto Himalaya (che prosegue nel Nepal con vette oltre 8000 m) e il Basso Himalaya con catene meno elevate. Le altezze aumentano da O a E e da S a N, raggiungendo le massime quote, in territorio indiano, con il Kamet (m 7756) e il Nanda Devi (m 7816). Di orogenesi cenozoica, le catene himalaiane sono incise da valli profonde e da passi numerosi ed elevati. Il Basso Himalaya, dalla struttura asimmetrica, costituito da rocce sedimentarie precambriane e paleozoiche, assai alterate, è solcato sul bordo inferiore da lunghe valli a fondo pianeggiante (dun), fittamente coltivate e popolate, come il Dehra Dun, a 900 metri. L’Alto Himalaya, anch’esso fortemente asimmetrico, presenta forme più aspre per l’affiorare di rocce granitiche del Paleozoico, alternate a metamorfiti più antiche (gneiss, scisti) e formazioni intrusive recenti. Numerosi sono i ghiacciai, residuo di una più vasta glaciazione pleistocenica che ha modellato i rilievi al di sopra dei 2000-3000 m.
Le catene cristalline sono separate dalla pianura dai Siwalik, una serie di rilievi pedemontani tra i 450 e i 2000 m, costituiti da spessi depositi plio-pleistocenici accumulati alla base delle montagne e corrugati o interrotti da faglie durante gli ultimi movimenti orogenici (Sub-Himalaya). A questi movimenti si deve la sismicità delle regioni subhimalaiane, teatro di eventi a volte gravissimi, come il terremoto di magnitudo 7,9 della scala Richter che nel gennaio 2001 ha colpito la sezione nord-occidentale del paese e in particolare il Gujarat, provocando circa 100.000 vittime e distruggendo città e insediamenti rurali, con danni gravissimi alle infrastrutture e all’apparato produttivo, in una delle regioni-chiave dell’economia del paese.
Le pendici montuose sono ricche di foreste e pascoli grazie all’abbondanza di acque, che confluiscono nei numerosi affluenti dell’Indo e del Gange, oltre che nel Gange stesso. La sezione orientale del Himalaya, convenzionalmente segnata a E dal solco del Brahmaputra, presenta la stessa serie di formazioni geologiche e attraversa gli Stati federati di Nagaland e Manipur. Meno elevata in genere del Himalaya occidentale e centrale, tale sezione ha forme aspre, emerge bruscamente dalla pianura ed è meno conosciuta e abitata, anche perché coperta da fitta vegetazione.
All’orlo montuoso settentrionale fa seguito la Pianura Gangetica, che insieme con quella dell’Indo occupa oltre 700.000 km2, per lo più in territorio indiano (la media e la bassa valle dell’Indo spettano al Pakistan; la maggior parte dell’area deltizia del Brahmaputra al Bangladesh); le altezze variano fra 320 m nell’alta pianura del Gange e meno di 150 m nel Bengala. La pianura gangetica è costituita da materiale alluvionale depositato dai fiumi in una fossa di colmamento (bacino di avampaese) compresa tra il tavolato del Deccan e i rilievi himalaiani. A essa si collegano, in territorio indiano, una parte della pianura del Punjab, costituita dalle alluvioni dei fiumi tributari dell’Indo, e, verso E, la pianura dell’Assam, percorsa dal Brahmaputra tra le pendici del Himalaya e i monti al confine con la Birmania. Nella fascia pedemontana, larga al massimo una cinquantina di chilometri, prevalgono materiali grossolani, permeabili, per cui le acque riaffiorano più a valle sotto forma di risorgive, costituendo una zona paludosa e malsana, con densa vegetazione di tipo tropicale e fauna caratteristica (Terai). Verso valle il reticolo fluviale delimita ripiani interfluviali più o meno ampi, con terrazzamenti pleistocenici, fittamente popolati (perché più elevati e al sicuro dalle alluvioni), e altri più recenti (khadar) spesso inondati; questi ultimi, diffusi nel Bengala e in genere nelle regioni orientali, sono abitati solo temporaneamente.
La grande pianura termina a S con gli altipiani centrali (Malwa e Bundelkhand), lembi settentrionali del tavolato del Deccan. Questo, convenzionalmente delimitato dalla linea Tapti-Mahanadi, è un’ampia regione (1,6 milioni di km2) peninsulare a forma di cuspide triangolare, che con alcune propaggini si estende in realtà fin quasi a Delhi. Residuo di un antico continente australe (Terra di Gondwana), il Deccan ha subito corrugamenti e peneplanazioni che hanno dato luogo a forme tabulari complesse, diverse per tipo di roccia e forma di erosione, spesso ringiovanite, orlate da rilievi asimmetrici e interrotte da faglie; l’altezza media è sui 600-700 m. Alla base prevalgono masse granito-gneissiche, con intrusione di rocce antiche e sedimenti deformati da corrugamenti precambriani e paleozoici. Le formazioni cristalline affiorano a S e a E, mentre sul lato nord-occidentale sono ricoperte da estese coltri basaltiche (500.000 km2) fuoriuscite in concomitanza dell’orogenesi himalaiana. Dall’alterazione di queste lave hanno avuto origine le terre nere (regur), particolarmente adatte alla coltura del cotone, mentre dagli gneiss e dai graniti derivano suoli rossastri lateritici non molto fertili.
Gli altipiani centrali terminano a O con i Monti Aravalli, relitto di un sistema montuoso precambriano; a S sono troncati dai Monti Vindhya e Kaimur, che si susseguono da O a E dominando la fossa lunga 880 km nella quale scorrono, con direzione opposta, il Narmada, tributario del Mare Arabico, e il Son, affluente del Gange. A O degli Aravalli si estende, fino all’Indo, il bacino desertico del Thar, e a S una bassa regione costiera che raccoglie le acque provenienti dagli Aravalli in conche salmastre e periodicamente impaludate, talvolta molto vaste. Tra il Golfo di Kutch e la Baia di Cambay, classica via di penetrazione degli Europei verso l’interno, si sviluppa la tozza penisola di Kathiawar, il cui rilievo tabulare può essere considerato la continuazione dei Monti Satpura.
Mentre a nord della linea Tapti-Mahanadi prevalgono formazioni più o meno parallele e con direzione O-E, la penisola del Deccan si compone di una serie di altipiani interni orlati verso il mare da rilievi longitudinali (i Ghati) convergenti nel S della penisola nel nodo dei Monti Nilgiri. Dalla fossa di Tapti a Capo Comorin i Ghati Occidentali, di struttura granito-gneissica, formano una dorsale lunga 1500 km che precipita verso il mare con gradini di 500-600 m, incisi da burroni e forre. Alti in media sui 1000 m, i Ghati Occidentali raggiungono altezze maggiori nei Monti Nilgiri e nella catena del Cardamomo (Monti Anaimudi, m 2695, la vetta più alta a sud del Himalaya). Verso l’interno il rilievo degrada in una piattaforma ricoperta di lave e con forme ancora aspre e a gradini, e più a S nell’altopiano di Karnataka, sui 700 m, scavato in formazioni arcaiche (gneiss, scisti) con cupole di granito (drug) e valli larghe, senili, interrotte da cascate. Continuando verso E, le forme diventano più dolci nella piana di Chhattisgarh e in quella di Tamoul. In alcuni tratti queste piane si affacciano direttamente sul Golfo del Bengala, in altri ne sono separate dai Ghati Orientali, poco elevati (in media sui 600 m) e frammentati in massicci isolati. La fascia costiera orientale è molto più ampia, discontinua e varia di quella occidentale, orlata da cordoni litoranei che delimitano laghi e stagni costieri, e in continua evoluzione.
Quanto al clima, le condizioni locali nell’I. sono molto varie per la grande estensione in latitudine (dagli 8°4′ ai 37°6′ lat. N), per la posizione rispetto all’Oceano Indiano e per la disposizione del rilievo; si tratta però sempre di un clima della fascia tropicale monsonica: se la temperatura è variabile, le precipitazioni periodiche restano il fattore fondamentale della differenziazione stagionale. Si hanno infatti due stagioni ben definite e contrapposte, una invernale asciutta e una estiva piovosa. Solo nelle aree himalaiane interne, escluse dall’influsso dei monsoni (Kashmir), si hanno piogge invernali. Le temperature medie sono in genere superiori ai 20 °C, con escursioni termiche poco marcate nelle regioni meridionali e nella fascia costiera e più accentuate man mano che si procede verso N e verso l’interno (Delhi, 14,2 e 31,4 °C). Nel Punjab, nel Rajasthan e in poche altre regioni le temperature invernali scendono non di rado sotto lo zero. La periodicità delle piogge dipende dalla relativa regolarità dei monsoni, che all’inizio di giugno spirano da SO verso la fascia costiera occidentale (Kerala), carichi di umidità, e si diffondono lentamente in tutto il paese. La quantità delle piogge e la durata del periodo piovoso sono legate alle condizioni locali dei rilievi: valori massimi si hanno lungo le pendici esterne dei Ghati Occidentali (oltre 2000 mm, con stagione umida di 4-5 mesi), ai piedi del Himalaya e nell’Assam; valori più bassi si hanno nelle aree interne, come l’altopiano di Karnataka (800 mm annui e stagione piovosa di 2-3 mesi), il Rajasthan e soprattutto il deserto di Thar (100-250 mm e stagione piovosa inferiore a un mese). Si tratta in genere di precipitazioni violente, temporalesche, che hanno inizio in maggio-giugno e diminuiscono in settembre, per poi cessare del tutto con l’inversione del monsone.
Il reticolo idrografico della regione indiana, tributario del Mare Arabico e del Golfo del Bengala, è fortemente asimmetrico per la disposizione del rilievo e l’inclinazione generale del tavolato del Deccan verso NE. Lo spartiacque corre lungo i Ghati Occidentali, i bordi delle fosse del Tapti e del Narmada, i Monti Aravalli e la bassa soglia (270 m) interposta tra il Sutlej e il Jumna, a tutto vantaggio dei bacini orientali. Il bacino più ampio è quello del Gange, anch’esso asimmetrico per il maggiore sviluppo degli affluenti himalaiani, che, dotati di forte potere erosivo, spingono, con i depositi alluvionali, il fiume maggiore verso SE. Più modesti gli apporti degli altipiani centrali e del Deccan, che giungono attraverso il Chambal e il Bet-wa (affluenti del Jumna) e il Son. Il grande fiume entra in pianura a 320 m nei pressi di Hardwar, dopo circa 300 km di corso montano, e aumenta gradualmente di portata, finché si divide in più rami nel vasto e articolato delta di cui è stata assegnata all’I. la sezione occidentale, ormai abbandonata dal corso principale del fiume che si sposta via via verso oriente; l’Hugli, lungo il quale si sviluppa la conurbazione di Calcutta, ne è un ramo canalizzato. Nel Bengala confluiscono anche le acque del Brahmaputra (di cui l’I. comprende solo la media valle), più ricco di acque per la grande piovosità delle regioni attraversate. Ambedue i fiumi hanno grandi portate e regime a forti piene primaverili ed estive e magre in inverno, sufficienti tuttavia a irrigare le colture invernali di grano e di orzo. Del bacino dell’Indo solo un terzo circa appartiene all’I., e precisamente, oltre al ricordato tratto di corso montano, il corso superiore degli affluenti himalaiani che hanno dato nome al Punjab (Cinque fiumi) e vaste aree comprese tra il Punjab e il Gujarat, di scarso interesse idrografico perché in genere aride, non prive però di falde freatiche che alimentano le oasi del deserto di Thar. I fiumi del Deccan, più o meno paralleli da O a E, sfociano nel Golfo del Bengala con ampi delta (Mahanadi, Godavari, Krishna) e sono meno ricchi di acque e più irregolari perché alimentati solo dalle piogge. Frequenti sono, in particolare nell’Orissa, le esondazioni del Mahanadi. Gli apporti fluviali al Mare Arabico sono molto più modesti, perché nel Malabar hanno corso breve e torrenziale e nel Gujarat mancano del tutto. Discreto sviluppo hanno solo il Narmada e il Tapti, che sfociano nel Golfo di Cambay.
L’I. accoglie, su una superficie pari al 2,2% delle terre emerse, oltre il 17% della popolazione mondiale e, dopo la Repubblica Popolare di Cina, è lo Stato più popoloso; dato l’intenso rallentamento della crescita demografica in Cina, si prevede che nel giro di 20 anni circa l’I. (che ha un tasso di crescita quasi triplo) diventi il paese più popoloso della Terra. L’incremento medio annuo, molto forte nel periodo 1958-64 (2,3%), e diminuito gradualmente dai primi anni 1970, anche in conseguenza di mirate campagne antidemografiche, è ancora piuttosto elevato (1,54% nel 2009), benché registri forti variazioni non solo tra popolazione urbana e popolazione rurale, ma anche tra i diversi Stati federati. L’esplosione demografica indiana, non accompagnata da un corrispondente aumento di produzione, è un fatto relativamente recente: le migliorate condizioni igienico-sanitarie hanno fatto calare il tasso di mortalità, altissimo (48‰) fino ai primi decenni del 20° sec. per le frequenti carestie ed epidemie (nel periodo 1911-21 la popolazione indiana addirittura diminuì), al 6,4‰ nel 2008; la durata media della vita, da 20 anni, è salita a 69,25, mentre circa metà della popolazione indiana ha meno di 25 anni. Il tasso di natalità fino agli anni 1950 rimase invece praticamente invariato, con la conseguenza di un costante aumento dell’incremento naturale; ancor oggi è tra i più alti al mondo (21,76‰), anche se il quoziente di fecondità è passato da 5 nei primi anni 1980 a 2,72 nel 2009; la transizione demografica sembra tuttavia lontana dal suo completamento. I dati demografici a partire dal primo censimento ufficiale (1901) sono significativi: 238 milioni di ab. nel 1901; 279 nel 1931; 318,5 nel 1941; 360 nel 1951; 439 nel 1961; 548 nel 1971; 685 nel 1981; 844 nel 1991; 1028 nel 2001, 1198 nel 2009. Le migrazioni verso l’estero, benché consistenti, non hanno mai avuto carattere di massa (se si esclude lo scambio di popolazione con il Pakistan, subito dopo l’indipendenza, che ha portato 10-12 milioni di profughi induisti in India e 5-7 milioni di musulmani in Pakistan); le migrazioni interne sono molto più rilevanti e hanno promosso la crescita di enormi agglomerazioni urbane.
La densità media della popolazione, di circa 403 ab./km2, presenta forti differenze regionali. Valori più bassi si hanno nelle regioni himalaiane, montane o desertiche, con un minimo di 14 ab./km2 nell’Arunachal Pradesh; massime concentrazioni si hanno nella pianura gangetica, e in particolare nel Bengala Occidentale con poco meno di 1000, nel Kerala e sulle coste meridionali; le massime concentrazioni si rilevano ovviamente nelle aree urbane e in alcune delle isole Laccadive. Data la prevalenza di attività rurali, la maggior parte della popolazione (71%) vive nelle campagne, per lo più in villaggi di 200-400 persone con organizzazione comunitaria e attività regolate dal consiglio di villaggio. Popolazione sparsa in senso stretto è presente solo nelle aree risicole del Bengala e del Malabar.
Benché l’I. abbia un’antichissima tradizione di vita urbana, la vera urbanizzazione è fenomeno recente (indotto dalla concentrazione produttiva e infrastrutturale del periodo coloniale), discontinuo, fortemente polarizzato e, nelle sue dimensioni, esasperato. Tra gli Stati più urbanizzati sono Maharashtra (con la conurbazione di Mumbai), Tamil Nadu, Gujarat, Bengala Occidentale, Karnataka, Punjab. Nelle città maggiori, sterminate distese di abitazioni precarie (spesso semplici ripari smontabili) occupano le aree periferiche, nonché piazze e giardini all’interno della città, con condizioni di vita disumane. Le agglomerazioni urbane più popolose, dopo Mumbai, sono quelle di Delhi, Kolkata (Calcutta), Chennai (Madras), Bengalooru (Bangalore), Hyderabad, Ahmadabad, con popolazione tra 5 e oltre 10 milioni di abitanti. Il trasferimento, nel 1911, del capoluogo coloniale da Calcutta a Delhi, già in precedenza più volte capitale, ha confermato a questa città la funzione amministrativa e culturale che tuttora conserva con Nuova Delhi, situata nel settore meridionale dell’agglomerazione urbana. Molte città mantengono la funzione di centri religiosi (oltre Benares, od. Varanasi, dalle origini antichissime, sono da ricordare Madura, nel Tamil Nadu, nota fin dall’età classica, Hardwar, nell’Uttar Pradesh, Agra e Hyderabad).
Sotto gli aspetti culturali e in particolare religiosi, la popolazione indiana ha una soltanto relativa unità e individualità, risalente al processo di arianizzazione in campo etnico, linguistico e culturale; processo che iniziò tra il 2000 e il 1500 a.C. con una penetrazione che modificò sostanzialmente l’assetto delle regioni settentrionali pianeggianti, abitate da genti dravidiche. Nel Deccan, le popolazioni originarie costituirono aree di conservazione e rifugio, mantenendo lingua, attività tradizionali di caccia e di raccolta e culti animisti; da tali gruppi derivano le popolazioni attuali dravidiche e di lingua munda. Gli ariani invece, in origine allevatori nomadi, s’insediarono nella piana gangetica in piccoli aggruppamenti (da cui deriverebbero i villaggi indiani), dedicandosi alla coltura invernale del grano e dell’orzo. Dalla sovrapposizione di elementi culturali ari con quelli delle popolazioni preesistenti derivano gli aspetti più salienti della civiltà indiana, ivi comprese le caste. Più modesti gruppi di lingua tibeto-birmana e con organizzazione tribale, si trovano al margine del Tibet e sui monti dell’Assam. La penetrazione musulmana, episodica fin verso il 1000 d.C., divenne più intensa con la costituzione del sultanato di Delhi e si allargò fino al Bengala. Con la penetrazione europea ebbe inizio la formazione di gruppi distinti per caratteri culturali e religiosi (cristianesimo); nel corso della lunga dominazione britannica si diffusero la lingua inglese i generi di vita occidentali, specie nella borghesia urbana e nelle classi dirigenti.
La scelta dell’hindī come lingua nazionale provocò reazioni da parte degli altri gruppi linguistici, in particolare bengalī e tamil, che ottennero nel 1956, non senza contrasti, una divisione politico-amministrativa basata in gran parte su caratteri etnico-linguistici e una larga autonomia; così accanto a Stati in cui l’hindī è la lingua prevalente (Uttar Pradesh, Bihar, Madhya Pradesh) se ne hanno altri con lingue neoindiane diverse, per es., kashmir (Jammu e Kashmir), panjābī o punjabi (Punjab), gujarāti (Gujarat), marāṭhi (Maharashtra), bengalī (Bengala Occidentale), oṛiyā (Orissa), assamese (Assam). Nel Deccan prevalgono lingue dravidiche, tra cui telugu (Andhra Pradesh), tamil, per letteratura la più ricca e antica (Tamil Nadu, già Madras), kannaḍa o canarese (Karnataka, già Mysore) e malayāḷam (Kerala). L’urdū, una forma di hindī con scrittura araba e forte percentuale di espressioni arabe e persiane, è parlato principalmente dai gruppi musulmani. Lingue tibeto-birmane sono in uso nel Nagaland e nel Meghalaya. L’hindī è parlato come prima lingua da una maggioranza relativa (pari, tuttavia, a solo circa il 25% della popolazione, peraltro distribuita tra molte varietà linguistiche interne al ceppo hindī), seguito da telugu, bengalī, marāṭhī e tamil e poi urdū, gujarāti, kannaḍa, malayāḷam, oṛiyā, panjābī e molti altri idiomi (complessivamente, in I. sono state segnalate 1600 varietà linguistiche). L’inglese (lingua ufficiale con l’hindī) è largamente in uso come lingua di relazione. Tanta varietà culturale, insieme con gli spiccati squilibri di ordine socioeconomico, produce notevoli difficoltà nel realizzare una piena convivenza tra i vari gruppi, malgrado gli indubitabili progressi che si sono verificati anche in questa direzione, parallelamente con la contrazione della povertà assoluta, che tuttavia incide ancora in maniera grave, e con la diffusione della scolarizzazione (ma il 39% della popolazione è ancora analfabeta). A proposito del sistema scolastico, peraltro, va ricordato che l’istruzione superiore in I. può contare su un sistema molto ben organizzato ed efficace, che forma personale di alta qualificazione (circostanza che chiaramente contrasta con la difficoltà di garantire una scolarizzazione minima all’insieme della popolazione).
L’80,5% della popolazione si dichiara induista; seguono, a distanza, musulmani (13,4%) e sikh (1,9%), di grande rilievo per cultura e intraprendenza, come anche i cristiani (2,3%, equamente divisi tra cattolici e protestanti). Il buddhismo (0,8%) sopravvive nelle valli himalaiane orientali, cui conferisce un particolare aspetto (templi, monasteri). Le comunità cristiane risalgono alla presenza portoghese, ma alcune sono di origine molto più antica (siro-malankaresi). Sono infine da ricordare i parsi, nel Gujarat e in particolare a Mumbay, e i jain (0,4%), seguaci della religione jaina (➔ jainismo), sorta più o meno contemporaneamente al buddhismo.
La storia economica indiana fu segnata a lungo dal rapporto di scambio ineguale stabilitosi tra l’I. e la Gran Bretagna a partire dall’età coloniale, e conseguentemente da rilevanti squilibri e da una scarsa corrispondenza alle esigenze della realtà territoriale del paese. I piani di sviluppo quinquennali redatti dopo l’indipendenza, anche a fini di riequilibrio, si contraddistinsero per la previsione di ampi interventi statali sia diretti sia a controllo del settore privato. Nei primi tre piani quinquennali (1951-66) si pose l’accento sulle riforme sociali, l’impostazione di un settore industriale di base e il miglioramento dell’agricoltura. Gli obiettivi proposti (raddoppiare il reddito pro capite per il 1971-72) furono raggiunti solo in parte a causa delle emergenze agricole del 1966 e del 1967, che produssero una più generale crisi economica e politica. Si rese pertanto necessario concentrare gli interventi in alcuni settori fondamentali e nelle aree più favorevoli, il che accentuò gli squilibri regionali, ma produsse progressi notevoli sia pure a costo di un’aumentata incidenza dei capitali e delle tecnologie estere. Negli anni 1970, la guerra con il Pakistan per l’indipendenza del Bangladesh, nuove crisi agricole (1973-74 e 1975-76) e meteorologiche, il deterioramento della congiuntura mondiale e la continua incertezza politica (con ripercussioni sui rapporti internazionali: per es., la sospensione, nel 1971, degli aiuti statunitensi) frenavano il processo di sviluppo. Con il piano quinquennale 1975-79, si puntò sull’intensificazione produttiva più che sul miglioramento delle condizioni socioculturali, assai depresse nonostante un ulteriore tentativo di riforma fondiaria operato, nelle campagne, a favore delle classi più povere. Il successivo piano 1980-85 si pose invece l’obiettivo di un miglioramento del livello di vita nelle aree rurali, destinando risorse ai servizi sociali, accanto al potenziamento della produzione energetica, delle comunicazioni e del settore secondario. In seguito, accanto agli interventi destinati al riequilibrio del quadro sociale interno e al contenimento della crescita demografica, si è privilegiato l’incremento degli investimenti privati in campo produttivo. Negli investimenti emerge il peso dei capitali stranieri (specie nella forma di joint ventures) e statali, con interventi fortemente concentrati dal punto di vista della localizzazione e dell’assetto aziendale; ad attrarre gli investimenti è in primo luogo il costo del lavoro, che mediamente può essere stimato a circa un quinto del costo del lavoro nei paesi avanzati. L’industrializzazione, da almeno un ventennio, registra tassi medi di incremento di poco inferiori al 10% annuo, con impiego crescente di capitale e decrescente di manodopera. L’aumento di ricchezza che ne è conseguito è fuori discussione, benché l’industria appaia slegata dalla domanda alimentare e dalla realtà agricola della maggior parte della popolazione: di fatto, la produzione di beni di consumo è destinata al mercato estero, agli 80-100 milioni di Indiani dotati di un reddito paragonabile a quello occidentale e ad altrettanti cittadini con un reddito comunque sensibilmente superiore alla media; la presenza di questo mercato interno (modesto in termini percentuali, rilevantissimo in termini assoluti) ha garantito la collocazione della produzione industriale e la realizzazione di economie di scala. La crescita dell’occupazione nel settore secondario è complessivamente modesta, e poco ha inciso sull’innalzamento dei redditi più bassi, confermando lo scarso potere d’acquisto di gran parte della popolazione, come emerge chiaramente dal fatto che oltre un terzo della popolazione indiana dispone di meno di un dollaro al giorno, e che il prodotto interno pro capite (a parità di potere d’acquisto) si attesta ancora appena sui 2700 dollari annui.
Base dell’economia indiana rimane l’agricoltura, che però ormai partecipa per meno del 18% al prodotto interno, mentre occupa ancora circa il 60% della popolazione attiva, la cui produttività per addetto rimane tuttavia bassissima: è stato calcolato che la ricchezza prodotta dai 600 milioni circa di Indiani che vivono di agricoltura equivalga alla ricchezza prodotta dai circa 1,5 milioni di concittadini coinvolti nel settore dell’information technology. L’organizzazione agricola e in particolare l’irrigazione si sono affermate nel paese, annullandone la vulnerabilità alimentare, anche grazie all’introduzione di varietà colturali particolarmente produttive e al ricorso sempre più ampio a fertilizzanti di sintesi e a fitofarmaci; ne sono derivati, peraltro, una consistente dipendenza degli agricoltori dal mercato e dal circuito monetario e, in altro senso, un improvviso aumento dei livelli di inquinamento dei suoli e delle falde idriche, con ripercussioni particolarmente evidenti nelle aree deltizie e in generale nei bassi corsi dei fiumi. Nel campo dell’irrigazione sono state realizzate grandiose opere di sbarramento, specie ai piedi del Himalaya e nei Ghati: fra le altre, la gigantesca diga di Bhakra-Nangal, sul Sutlej, gli impianti della valle del Damodar, lo sbarramento di Hirakud, sul Mahanadi, e il complesso di Ramganga-Kosi, nell’Uttar Pradesh. Ancora estesi sono i latifondi, malgrado le successive riforme fondiarie, cui fa riscontro un fortissimo frazionamento della piccola proprietà; i salari agricoli sono molto bassi e i contadini sono generalmente costretti a pesanti indebitamenti. La disponibilità di energia, grazie alle centrali idroelettriche connesse con le opere di sbarramento, ha permesso il diffondersi del pompaggio meccanico d’acqua da pozzi profondi e l’elettrificazione dei villaggi. Circa un terzo della superficie del paese è raggiunto da opere di irrigazione adeguate, con massimi nel Punjab. Si hanno due cicli colturali, uno estivo, o kharif, che interessa in genere cereali (grano escluso), cotone, iuta, arachidi, e uno invernale, o rabi (grano e orzo, leguminose, piante oleaginose, in particolare sesamo); la possibilità di alternare sullo stesso campo i due cicli dipende dalle condizioni di irrigazione e dalla disponibilità di fertilizzanti. Negli Stati settentrionali, dove le temperature invernali lo consentono, prevalgono grano e leguminose in coltura rabi, associati a coltivazioni estive di cotone, miglio e, nella media valle del Gange, anche al riso. Le regioni occidentali e gli altipiani interni, più aridi, sono coltivati in prevalenza a miglio, alternato, a seconda dei tipi di suolo, a sorgo, arachidi e cotone. Nelle regioni più umide, infine, domina il riso, in coltura esclusiva o associata, nel Deccan, a piantagioni di cocco, tè, caffè e caucciù, e nel Bengala alla iuta: è il cereale più diffuso (circa 43 milioni di ha, seguito dal frumento, con circa 26 milioni di ha); nelle regioni più umide (Kerala), si possono ottenere anche tre raccolti in un anno.
Sia il riso sia soprattutto il grano, attraverso varietà opportunamente selezionate, hanno raggiunto produttività molto elevate. Terzo cereale è il miglio, tipica coltura dei terreni poveri e secchi, la cui coltivazione si va però restringendo. È in aumento la produzione di mais, sorgo, patate e patate dolci, legumi e, soprattutto, oleaginose. Grande diffusione ha raggiunto la canna da zucchero che dalla media valle del Gange si è estesa, grazie all’irrigazione, nel Bihar e nell’Uttar Pradesh (oltre 3,7 milioni di ha); il prodotto in parte alimenta i numerosi zuccherifici (14 milioni di t di zucchero) e in parte è fatto fermentare (gur). Di rilievo, nel sud, la produzione di banane e di noci di cocco (fibra e copra). Si è ridotta la superficie destinata al cotone, ma la produzione è comunque molto aumentata e migliorata. Altre produzioni tradizionali rilevanti sono quella del tè, diffusa nell’Assam, nel Bengala Occidentale e nell’area di Chennai; il caffè, nel sud del paese; e poi spezie, tabacco, caucciù cacao.
L’allevamento bovino è molto consistente (185 milioni di capi), ma poco curato e redditizio; forte la presenza di bufali (98 milioni), più resistenti al lavoro nelle risaie, e di ovini e caprini (182 milioni), allevati per lo più nelle regioni musulmane del NO per pelli, carne, latte e lana (pregiata quella del Kashmir). La pesca è attiva solo a livello locale, ma comporta un prodotto consistente (circa 6,3 milioni di t). Le foreste rivestono circa il 23% del territorio; il legname (quasi 328 milioni di m3), prevalentemente di pregio, viene in buona misura esportato.
Le risorse minerarie (fig.), ancora sfruttate solo in parte, sono concentrate nelle coltri precambriane del Bihar e dell’Orissa, negli altipiani centrali e nel Bengala Occidentale. Il carbone è abbondante e la produzione tende a espandersi (oltre 447 milioni di t); così è pure per i minerali ferrosi, le cui riserve sono straordinariamente abbondanti (con una produzione annua di 150 milioni di t di ferro contenuto); bauxite, cromo, zinco, manganese, minerali radioattivi, pietre preziose, mica, salgemma completano il quadro delle principali produzioni minerarie. La produzione di petrolio, malgrado la scoperta di giacimenti off-shore discretamente produttivi, rimane del tutto insufficiente (34 milioni di t), come pure quella di gas naturale (32 milioni di m3), a meno che i giacimenti di più recente individuazione non si rivelino più produttivi di quanto appaia al momento; ne derivano una dipendenza marcata dagli approvvigionamenti esteri, un ruolo crescente del paese nella competizione per la realizzazione di condotte e, per altro verso, la scelta di incrementare l’estrazione di carbone da destinare soprattutto alla produzione di energia elettrica. Questa ammonta a oltre 630 milioni di kWh, per il 13% di origine idrica e per oltre l’84% di origine termica (compresi i 15 milioni di kWh di nucleare).
L’industria partecipa per circa il 27% alla formazione del prodotto lordo nazionale e occupa circa il 15% della popolazione attiva. Benché alcune aree industriali consolidate si siano progressivamente rafforzate, l’industrializzazione si è discretamente diffusa nel paese, anche grazie alla recente istituzione di regioni economiche speciali, dove il trattamento fiscale delle imprese attira investimenti stranieri e nazionali, e grazie a specifici sforzi di infrastrutturazione che mirano a connettere fra loro le regioni che compongono il ‘quadrilatero d’oro’ (Delhi, Calcutta, Chennai e Mumbai), avvalorando anche le aree intermedie.
Nel suo insieme, l’industria indiana produce quasi il 30% della ricchezza del paese, occupando appena il 12% della popolazione attiva. Fin dagli anni 1950 si affermò una regione industriale intorno a Calcutta (tessile, metalmeccanica, cartaria, chimica); in particolare nella valle del Damodar è molto vivace la siderurgia (26 milioni di t di ghisa e ferroleghe e oltre 43 di acciaio). Altro distretto industriale, superiore a quello di Calcutta per il settore tessile e di poco inferiore per alcuni altri (meccanica, chimica e gomma) gravita intorno a Mumbai, che è anche il centro di una fiorentissima industria cinematografica e del suo indotto. Un’altra regione industriale consolidata è nel Deccan meridionale (siderurgia, chimica, materiale ferroviario, costruzioni aeronautiche e automobilistiche, lavorazione dell’alluminio, tessili). A Chennai l’industria si è sviluppata in maniera più differenziata (materiale ferroviario, biciclette, petrolchimica, concerie, lavorazione del tabacco ecc.).
Per molto tempo i tre distretti maggiori hanno concentrato il 90% degli addetti alle industrie, ma in seguito agli incentivi, al miglioramento della produzione agricola e all’aumento dei consumi si è manifestato anche nelle aree rurali uno sviluppo di tipo moderno delle antiche attività di trasformazione (lavorazione della canna da zucchero, del caffè e soprattutto del tè, del riso e dei semi oleosi, preparazione di conserve di frutta, industria lattiero-casearia ecc.) e un potenziamento dell’artigianato (ricami, lavorazione del vetro, del cuoio e dei metalli, della seta e della lana ecc.).
In linea generale, tuttavia, le produzioni artigianali diffuse hanno carattere informale, scarsamente capitalizzato, con fortissimo apporto di manodopera (femminile e anche infantile); evidentemente questa produzione concorre alla formazione di reddito, ma non viene computata agevolmente; si ritiene che se il settore informale potesse essere valutato adeguatamente, l’economia indiana risulterebbe nel suo insieme assai più rilevante. Non poche città della piana gangetica e del Punjab si sono specializzate nelle produzioni destinate al consumo locale o all’immissione nei mercati internazionali sotto marchio estero (Agra, Kanpur, Lucknow, Ludhiana, Jullundur, Amritsar, e anche Delhi e Varanasi); analogo processo di industrializzazione hanno registrato alcune città del Deccan, come Gwalior, Indore e Bhopal. Diffusa un po’ dappertutto in seguito allo sviluppo degli aggregati urbani è l’industria del cemento, che ha superato i 155 milioni di tonnellate.
Tra Hyderabad e Bangalore ha preso rapido sviluppo un insieme di attività, sia industriali in senso proprio sia di servizio, legate a elettronica e informatica (in particolare, sviluppo di software e gestione di banche dati), che a loro volta hanno dato avvio alla costituzione di vivaci centri di formazione e di ricerca. Va segnalato inoltre il notevole sviluppo della ricerca e della produzione in campo aerospaziale.
Il settore terziario, che comprende sia alcuni ambiti di attività molto sofisticati e collegati con i precedenti sia attività banali e pochissimo produttive come il commercio al minuto tradizionale e simili, comporta ormai circa il 53% del PIL e occupa circa il 28% della forza lavoro; l’apporto del settore alla formazione della ricchezza nazionale è andato rapidamente crescendo negli ultimi anni, soprattutto grazie alle attività più moderne.
Gli scambi con l’estero sono intensi e interessano un gran numero di paesi (Stati Uniti, Cina, Emirati Arabi Uniti, numerosi Stati europei), senza una prevalenza netta di partner privilegiati; rispetto a un passato anche recente, il peso della Russia e del Giappone nell’interscambio commerciale si è sensibilmente ridimensionato. La bilancia commerciale è quasi costantemente in passivo, soprattutto per l’incidenza di petrolio e macchinari; l’esportazione si basa su prodotti tessili, chimici, metalmeccanici, elettronici. La bilancia dei pagamenti è in qualche misura equilibrata dalle rimesse degli emigranti e da altre partite invisibili: non va dimenticato che alcune grandi imprese indiane operano investimenti anche rilevanti su mercati esteri.
Dotata di una buona rete ferroviaria anche se con scartamenti diversi (63.000 km, per il 90% realizzata dall’amministrazione britannica e per circa un quarto elettrificata), l’I. ha curato in particolare il settore stradale, ivi compresa la viabilità minore tra i villaggi e ultimamente anche una rete autostradale di grande portata; l’obiettivo di raggiungere con una strada rotabile almeno tutti i centri con più di 10.000 ab. non è però ancora stato raggiunto. Con 8,6 milioni di autovetture, il traffico privato è tuttavia in costante e rapidissimo aumento, sostenendo un’industria automobilistica (e motociclistica) tra le più vivaci al mondo. Strade e ferrovie, con massima densità nella pianura gangetica e nella fascia costiera, convergono verso Delhi e i principali porti: tra questi ultimi, Calcutta, Mumbai (con porto ausiliario a Kandla), Marmagao e Visakhapatnam (di recente sviluppo e specializzati nel traffico di minerali), Chennai. Buono sviluppo ha anche la navigazione interna.
Intensissimo il traffico aereo (oltre 27,5 milioni di passeggeri/km); Calcutta, Mumbai, Delhi, Trivandrum e Chennai hanno scali internazionali. Gli ingressi turistici sono in continuo e consistente aumento (oltre 4 milioni).
L’unità monetaria (rupia indiana) è divisa in 100 paisa.
L’I., dal 19° sec. dominio britannico, ottenne l’indipendenza il 15 agosto 1947. Nel gennaio 1950, con la nuova Costituzione, divenne formalmente una repubblica federale ed entrò a far parte del Commonwealth. Sulla riorganizzazione del sistema statale gravarono i problemi derivati dalla separazione dal Pakistan, che rimasero causa di perduranti tensioni e crisi nella successiva storia del paese; il Bengala e il Punjab furono divisi fra i due Stati, con la conseguenza di anomalie e fratture: quasi 2000 km di territorio indiano interposti fra Pakistan occidentale e Pakistan orientale; i centri di produzione della iuta nel Bengala pakistano separati dai centri di lavorazione nel Bengala indiano; il controllo indiano dei fiumi che alimentavano la rete di irrigazione del Punjab pakistano; il rancore dei Sikh per la divisione del Punjab; il conflitto delle minoranze indù e musulmane nei due Stati, che produsse esodi di massa nelle due direzioni, con epiloghi sanguinosi. Un altro grave problema derivò dalla posizione dei principi indiani, che l’Independence act lasciò liberi di restare indipendenti o di aderire a uno dei due Stati. I più aderirono all’I., ma, per es., il Kashmir, a maggioranza musulmana, ebbe un capo indù che optò per l’I., con conseguenti disordini, culminati in un conflitto risolto nel 1948 con l’intervento dell’ONU e una nuova demarcazione dei confini che assegnò all’I. tre quarti del territorio.
Le pressioni locali indussero il governo a ridisegnare la geografia politica sulla base delle aree linguistiche maggiori, un processo che richiese decenni. L’adozione dell’hindī come lingua ufficiale fu vista in altre aree linguistiche come una minaccia ai propri interessi, e la premessa di una condizione di inferiorità nell’amministrazione civile.
Alla guida del governo rimase, dal 1947 al 1964, anno della morte, J. Nehru, pupillo di Gandhi. Suo oppositore nell’Indian National Congress (INC; la formazione politica protagonista della lotta per l’indipendenza) fu V. Patel, esponente dell’ala destra. L’assassinio di Gandhi (gennaio 1948) scosse violentemente l’opinione pubblica e l’ala destra del partito, che aveva avversato la politica gandhiana della non-violenza e della conciliazione tra indù e musulmani, subì un calo di popolarità che rafforzò per contro il carisma del premier. Nehru varò un programma di sviluppo controllato in ampia misura dallo Stato, attraverso l’avvio della riforma agraria e l’adozione di tre piani quinquennali incentrati sull’esigenza di industrializzare il paese; abolì inoltre il sistema delle caste, che sarebbe tuttavia di fatto sopravvissuto, e affermò i principi laici nella vita pubblica.
In politica estera, l’I. si pose alla testa dei paesi non-allineati, tentando una difficile equidistanza dai due blocchi. La politica di coesistenza pacifica nei confronti della Cina fallì, invece, nel 1962 in seguito alla crisi scoppiata fra i due paesi sulla questione dei confini himalayani.
A Nehru, morto nel maggio 1964, successe L.B. Shastri, che dovette fronteggiare una grave crisi con il Pakistan, culminata con l’invasione indiana del Punjab pakistano (1965) e risoltasi con un accordo solo dopo l’intervento dell’ONU (Taškent, gennaio 1966).
Morto improvvisamente Shastri, un compromesso tra le ali di destra e di sinistra dell’INC portò alla guida del governo I. Gandhi, figlia di Nehru e presidente del partito (1966). Il nuovo premier riprese la politica di modernizzazione del paese, varò la riforma agraria, siglò un trattato di cooperazione militare con l’URSS (1971) e fece fronte a un nuovo conflitto con il Pakistan per l’appoggio dato dall’I. alla secessione del Bangladesh. Nel 1974, l’I., che non aveva aderito al trattato di non proliferazione (1968), fece esplodere la sua prima bomba atomica. Verso la metà degli anni 1970 il peggioramento della situazione economica e sociale favorì una crescita dell’opposizione, con largo consenso di opinione, cui il governo reagì con una serie di provvedimenti autoritari. Osteggiata anche dall’ala conservatrice del partito, la Gandhi, peraltro riconosciuta colpevole di brogli elettorali alle elezioni del 1971 e condannata all’interdizione dai pubblici uffici per sei anni, reagì con l’imposizione dello stato di emergenza (1975-77) e la limitazione delle libertà democratiche, adottando inoltre dure misure repressive nei confronti delle spinte autonomistiche. Il tentativo di sopprimere le garanzie costituzionali compiuto dalla Gandhi fu scontato dall’INC in sede elettorale nel 1977, quando il partito subì la sua prima sconfitta.
Il Janata Dal, partito di centro-sinistra nato quello stesso anno dalla confluenza di forze eterogenee di opposizione, costituì il nuovo governo, guidato da M.R. Desai. Nel 1980 la Gandhi, che due anni prima aveva fondato l’INC (I) (dall’iniziale del suo nome), tornò al governo in un quadro di agitazioni sociali, etniche e religiose fomentate dal rinfocolarsi di conflitti autonomistici e religiosi in Assam, Jammu e Kashmir, ma soprattutto in Punjab, dove i Sikh chiedevano la creazione di uno Stato indipendente. La repressione governativa, che provocò centinaia di morti (1984), fu seguita da disordini, ammutinamenti militari e dimissioni di deputati sikh del Congresso. Nell’ottobre dello stesso anno la premier morì assassinata da due delle sue guardie del corpo di etnia sikh.
Raccolse l’eredità di I. Gandhi, come primo ministro e come presidente dell’INC (I), il figlio Rajiv, che alle elezioni del 1984 ottenne una forte maggioranza parlamentare. Accompagnato all’inizio da grande favore popolare ma politicamente inesperto, andò incontro a una progressiva perdita di consensi. L’opposizione, cresciuta e organizzata politicamente, ridusse i margini della maggioranza in molti Stati, dove si rafforzarono le tendenze autonomistiche cui il governo centrale rispose ancora una volta con misure repressive. R. Gandhi entrò in urto anche con l’apparato del partito e con la burocrazia statale per aver cercato di controllare entrambi tramite suoi consiglieri di fiducia. Il processo di privatizzazione e di liberalizzazione del mercato da lui avviato tese a favorire la classe media, polo trainante di un’economia che avrebbe dovuto produrre in prospettiva anche il progresso delle classi più deboli. Ma l’aumento dei prezzi seguito alla liberalizzazione provocò forti scontenti e i conflitti religiosi, fomentati da movimenti fondamentalisti di opposte confessioni, resero più acuto il turbamento sociale.
Travolto da gravi episodi di corruzione, alle elezioni del 1989 l’INC (I) subì una secca sconfitta, la seconda della sua storia. Il governo passò al National front, coalizione eterogenea unita solo dalla opposizione al partito di Gandhi, con l’appoggio esterno del Bharatiya Janata Party (BJP, estrema destra indù in forte crescita al nord) e dei due partiti comunisti. Il primo ministro V.P. Singh si fece promotore nel 1990 di un impopolare tentativo di riforma (approvata poi nel 1992, produsse violente reazioni nelle caste medio-alte della borghesia urbana), che prevedeva l’innalzamento della quota riservata nel pubblico impiego ai membri delle caste inferiori. Nell’autunno, dopo un’esplosione di violenza tra indù e musulmani, causata dalla disputa sul tempio di Ayodhya in Uttar Pradesh, la coalizione di governo si spaccò e Singh si dimise. La campagna elettorale del 1991 fu contrassegnata da nuove violenze e il 21 maggio R. Gandhi fu ucciso in un attentato attribuito all’organizzazione clandestina delle Tigri Tamil. Gli successe alla guida del partito, vincitore alle elezioni, N. Rao, che formò un gabinetto di minoranza.
Gli anni 1990 segnarono una profonda svolta nella vita del paese; si assisté a un declino del partito dominante, a una progressiva frammentazione della rappresentanza politica e al conseguente affermarsi di governi di coalizione. La credibilità dell’INC (I) come garante della laicità dello Stato accusò i contraccolpi indotti dai conflitti tra le diverse comunità, dall’accentuarsi delle tendenze separatiste (Assam, Kashmir, Punjab, Tamil Nadu, Bengala Occidentale) e dall’affacciarsi di gruppi terroristici. Quegli anni si caratterizzarono per la crescita di partiti regionali e formazioni con forti riferimenti etnici e religiosi, portatori questi ultimi di visioni integraliste, come il BJP, divenuto nello spazio di un decennio uno dei protagonisti della scena politica, fautore di un programma basato sull’affermazione della cultura indù e sulla rappresentanza di casta, con un forte radicamento negli Stati della fascia indù del nord del paese. Nelle elezioni politiche del 1996 l’INC (I) subì una secca sconfitta. Nei brevi governi di coalizioni dei due anni successivi, si aggravarono i rapporti con il Pakistan, soprattutto a causa dell’irrisolta questione del Kashmir, dove il moltiplicarsi dei movimenti separatisti musulmani, dovuto anche all’afflusso di mercenari provenienti da paesi islamici, portò a una sorta di internazionalizzazione del conflitto.
Le elezioni anticipate del 1998 confermarono la crescita del BJP, che formò un governo guidato dal suo leader A.B. Vajpayee, mentre l’INC (I) non riuscì a tradurre in voti l’entusiasmo suscitato dalla discesa in campo di S. Maino Gandhi, vedova di Rajiv. L’ascesa al potere del BJP fu connotata da accenti nazionalistici e da una politica estera dai toni aggressivi, tesi a ribadire il ruolo dell’I. come potenza regionale. La tensione nell’area crebbe immediatamente e i rapporti con il Pakistan si inasprirono, mentre il confronto militare in Kashmir subì una violenta accelerazione. La ripresa, dopo 24 anni, degli esperimenti nucleari suscitò un’ondata di rinnovato nazionalismo indù, ma provocò anche la risposta, con altrettanti test nucleari, del Pakistan. Nel 2002 negli Stati occidentali e settentrionali riesplose il conflitto tra indù e musulmani, con decine di morti soprattutto tra questi ultimi.
Nelle elezioni del 2004 si ebbe la sorprendente vittoria dell’INC (I) guidato da S. Gandhi e al centro di una rete di alleanze regionali, la cui affermazione era legata anche alla capacità di rappresentare i bisogni dell’India rurale rimasta tagliata fuori dai progressi economici. Alla guida del governo fu chiamato M. Singh (la Gandhi aveva rinunciato all’incarico dopo una violenta campagna scatenata dalla destra nazionalista contro di lei in ragione delle sue origini italiane), il cui governo varò (2006) riforme economico-sociali volte allo sviluppo delle aree rurali. Le misure per allentare le tensioni interreligiose non hanno invece posto fine alla preoccupante attività terroristica. Nel 2007 alla presidenza della Repubblica è stata eletta Pratibha Patil, dell’INC (I) a cui è succeduto nel 2012 Pranab Mukherjee, il candidato della United Progressive Alliance (Upa, coalizione di governo) che ha battuto P.A. Sangma, appoggiato dal BJP. Nel 2009 le consultazioni per il rinnovo dei 543 seggi della Camera bassa hanno confermato la coalizione United Progressive Alliance, trainata dall’Indian National Congress, alla guida del paese, con M. Singh ancora nel ruolo di primo ministro, mentre le elezioni legislative tenutesi tra l’aprile e il maggio 2014 con un’affluenza record alle urne (66,3%) hanno registrato la netta vittoria della coalizione di centrodestra National Democratic Alliance (NDA) guidata dal partito nazionalista indù BJP di N. Modi, che ha ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento riportando la destra al potere dopo dieci anni di opposizione. Leader popolare, in grado di sollecitare il consenso emotivo del suo elettorato con un programma politico centrato sull'eradicazione della povertà e su politiche economiche espansive che hanno visto il consolidamento delle relazioni con il Giappone e gli Stati Uniti, nonostante l'acuirsi di alcune tensioni settarie che potrebbero minare la stabilità del Paese alimentando i conflitti politici e sociali interni, alle elezioni svoltesi tra l'aprile e il maggio 2019 Modi ha ottenuto una netta affermazione, essendosi il suo partito aggiudicato 341 seggi e la maggioranza assoluta nella Camera bassa. Nel luglio 2022 è stata eletta alla presidenza D. Murmu del BJP, prima donna di origine tribale alla guida del Paese, nella quale è subentrata al presidente uscente R.N. Kovind, in carica dal giugno 2017.
In politica estera, l’I. ha proseguito sulla via del disgelo dei rapporti con il Pakistan, promuovendo ulteriormente il processo di pace intrapreso nel 2004. Nel decennio successivo, la diffusione del fenomeno della pirateria internazionale nelle acque dell’Oceano Indiano è stata alla base della crisi diplomatica tra I. e Italia in merito all’arresto nel febbraio 2012 di due fucilieri della Marina italiana accusati di aver ucciso due pescatori indiani, scambiati per pirati, su un peschereccio al largo della costa del Kerala. Nel 2015 i due paesi hanno accettato di rivolgersi alla Corte Internazionale di Giustizia per risolvere la disputa, e nel luglio 2019 il Tribunale arbitrale si riunirà per decidere sulla giurisdizione del caso.