Vedi India dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
L’India, estesa sull’omonimo subcontinente asiatico, è il secondo paese più popoloso al mondo dopo la Cina, con 1 miliardo e 252 milioni di abitanti, e rappresenta la quinta economia mondiale per pil a parità di potere d’acquisto. Questo gigante asiatico, dall’indi- pendenza dall’impero britannico ottenuta nel 1947, è anche la più popolosa democrazia del globo. Tra l’aprile e il maggio 2014, 834 milioni di elettori sono stati chiamati alle urne (i votanti sono stati 553,4 milioni). A vincere quelle che son state le più grandi elezioni democratiche della storia umana è stato Naren dra Modi, del conservatore Bharatiya Janata Party (Bjp), che è divenuto il 14° primo ministro dell’India, con una percentuale record del 31% dell’elettorato: il Bjp si è assicurato una solida maggioranza del 51,9% dei seggi totali in parlamento, che dovrebbe permettergli di imprimere una decisa svolta al governo del paese, che si preannuncia essere duraturo.
A livello internazionale, l’India ha progressivamente assunto il ruolo di potenza regionale, promovuendo l’associazione dell’Asia meridionale per la cooperazione regionale (Saarc), che comprende Afghanistan, Bangladesh, Bhutan, Maldive, Nepal, Pakistan e Sri Lanka. L’organizzazione si prefigge fini politici ed economici, ma ha anche un ruolo chiave nello stabilizzare l’area e, soprattutto, prevenire i contrasti con il Pakistan, storico avversario politico. I rapporti con Islamabad, segnati da conflitti che risalgono al periodo dell’indipendenza e legati anche alla contesa per il Kashmir, sono ripresi nel 2011 grazie all’intermediazione dell’allora Segretario di Stato statunitense Hillary Clinton. Gli incontri tra i rispettivi ministri degli esteri, Somanahalli Mallaiah Krishna e Hina Rabbani Khar, non sono però riusciti ad approdare a soluzioni concrete.
In termini strategici, è cruciale il rapporto con la Cina e con l’Afghanistan. Se da una parte la frontiera fra India e Tibet è fonte di tensioni, la cooperazione fra la Cina e il Pakistan, che dipende dalla Cina per le forniture di armi e gli aiuti economico-militari, preoccupa Nuova Delhi. La presenza di truppe statunitensi in Afghanistan e la presenza talebana nel Pakistan costituiscono un deterrente per due paesi che si sono già scontrati tre volte dopo il 1947 (1965, 1971, 1999). Nel 2008 è stato concluso un accordo di libero scambio con i membri dell’Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico (Asean), che al momento dell’accordo contavano per il 10% del commercio estero indiano. Sembra che Modi si stia inoltre avvicinando al Giappone dal punto di vista commerciale e della difesa (il che ha una certa influenza nelle relazioni con Pechino).
Di rilievo è poi il riavvicinamento agli Usa. Le relazioni tra i due paesi sono state tradizionalmente fredde per i legami dell’India con l’Unione Sovietica. L’interesse statunitense al contenimento dell’influenza cinese in Asia e il timore del vuoto di potere in Afghanistan successivo al completo ritiro delle truppe, hanno però reso possibile un trattato di cooperazione in materia di nucleare civile nel 2008. L’accordo rappresenta una vittoria per la politica estera indiana in termini di legittimazione internazionale. Nello stesso anno, l’India ha firmato un’intesa simile anche con la Francia. Aderente al G20 ed esponente dei Bric, l’India è stata membro non permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nel biennio 2012-13 e ambisce a un seggio permanente nel quadro della riforma del Consiglio.
L’India è una repubblica parlamentare a struttura federale. Il parlamento bicamerale è composto da una camera bassa, Lok Sabha (camera del popolo), i cui membri sono eletti a suffragio universale ogni cinque anni, e da una camera alta a elezione indiretta. Per la prima, la Costituzione prevede un massimo di 552 membri: fino a 530 rappresentano gli stati (28), fino a 20 rappresentano i territori dell’Unione (7), non più di due membri della comunità anglo-indiana sono nominati dal presidente se, a suo avviso, il gruppo non è adeguatamente rappresentato nella camera bassa. I rappresentanti della camera alta, Rajya Sabha (camera degli stati), sono eletti dai legislativi dei rispettivi stati secondo quote basate sulla popolazione. Il primo ministro, che presiede l’esecutivo, è eletto dalla Lok Sabha mentre il presidente, che è a capo dello stato, è eletto ogni cinque anni da entrambe le camere. Le due principali forze politiche sono il Bjp, il partito nazionalista che ha vinto le storiche elezioni generali del maggio 2014 con il 31% dei voti, corrispondente a una maggioranza di 280 seggi in parlamento – che si sommano ai 56 degli alleati nella National Democratic Alliance; e l’Indian National Congress (Inc), partito laico di centro che ha presieduto il governo federale per i primi cinquant’anni di indipendenza. Uscito sconfitto alle urne, l’Inc, che governava dal 2004, è riuscito a conservare solo 44 dei 218 seggi di cui disponeva in parlamento (la coalizione di governo di centro-sinistra giungeva sino a quota 262).
La débâcle dell’Inc è spiegabile in parte con l’esistenza di una struttura familistica invisa a molti nel paese, facente capo alla dinastia politica dei Gandhi, in parte con la mancanza di carisma del giovane Raul – epigone della famiglia e candidato dell’Inc alle ultime elezioni – ma soprattutto è determinata dalla deludente performance economica e politica del paese durante l’ultimo mandato del primo ministro Manmohan Singh. La continuità dinastica dei Gandhi, non scevra di lati oscuri, aveva peraltro reso possibile il mantenimento di una struttura duale nella forza che guida la coalizione di governo: da un lato, il presidente del partito; dall’altro, il primo ministro. L’accordo fra le due parti era essenziale per i processi di policy making ad alto livello e, quindi, per l’intera struttura democratica indiana. Sembra chiaro come tutto questo cambierà con Narendra Modi, noto per avere una gestione accentratrice e decisa del potere, come mostrato durante i dodici anni di governo dello stato del Gujarat. Desta preoccupazione il comportamento che il nuovo primo ministro terrà nei confronti della fazione estremista indu che lo supporta, il partito Rashtryia Swayamsevak Sangh (Rss) – dove peraltro Modi è cresciuto politicamente. L’Hindutva, la dottrina della supremazia induista, potenzialmente distruttiva per l’equilibrio religioso del paese, ha indubbiamente svolto un ruolo ideologico decisivo per la vittoria di Modi, così come determinante è stata la mobilitazione di massa del Rss nella campagna elettorale.
L’India, con più di 1,2 miliardi di abitanti, è il secondo paese più popoloso al mondo. Nel 2030 gli indiani, metà dei quali ha meno di 25 anni, potrebbero diventare 1,5 miliardi: la stima tiene conto dell’aumento dell’aspettativa di vita e dei flussi di manodopera attirati grazie alla crescita, ma anche del global warming, che potrebbe causare disastri naturali e fenomeni di migrazione dai paesi vicini. Già nel 2007 le inondazioni in Bangladesh hanno costretto 5 milioni di profughi a varcare irregolarmente il confine con l’India.
Nel 2011 si è concluso il grande censimento nazionale avviato l’anno precedente: ha coinvolto 2,5 milioni di ufficiali governativi e, per la prima volta dal 1931, ha tenuto conto anche della casta di appartenenza dei cittadini. La popolazione indiana è decisamente eterogenea per lingua (sono 18 quelle ufficiali dell’unione e degli stati), religione e classe. Circa il 68% vive in zone rurali e solo il 32% in centri urbani. Le città sono caratterizzate da un’alta densità abitativa. Sono più di 40 quelle che superano il milione di abitanti: sette ne contano tra i 2 e i 5 milioni, tre tra i 5 e i 10 milioni. Delhi e Mumbai sono le due città più popolose al mondo, con una popolazione compresa tra i 15 e i 20 milioni di abitanti. Sono inoltre più di 150 milioni gli indiani che abitano negli slum (baracche alla periferia dei grandi agglomerati urbani) e 8 milioni i senza tetto. Il sistema sanitario indiano sta progressivamente migliorando; tuttavia la spesa pubblica destinata a tale comparto è pari a solo il 1,3% del pil nazionale. Non a caso, la mortalità infantile è ancora alta. La diffusione delle malattie dipende dalle inadeguate condizioni igieniche in cui vive buona parte della popolazione e dalla contaminazione dell’acqua. L’istruzione sta sensibilmente migliorando, ma il 37% della popolazione adulta (sopra i 15 anni) è ancora analfabeta. Le università indiane, tuttavia, forniscono una preparazione riconosciuta a livello internazionale e, in particolare, sono specializzate nelle materie ingegneristiche. In questo campo, l’India registra un alto numero di laureati: il tasso annuo è circa il doppio di quello dei laureati statunitensi nelle medesime discipline.
In base all’indice di democraticità stilato dall’Economist, il sistema politico indiano si situa al 38° posto su 167 paesi. Questo grazie agli elevati valori nelle categorie ‘processo elettorale e pluralismo’ e ‘libertà civili’, mentre si registrano ancora alcune carenze in riferimento a ‘partecipazione politica’ e ‘cultura politica’. L’efficienza dell’azione di governo è compromessa dalla corruzione diffusa e da gli intrecci tra criminalità e politica. Le elezioni del 2009, monitorate da una commissione elettorale indiana, sono state generalmente libere, sebbene si sospetti una sostanziosa compravendita di voti. I media sono prevalentemente privati. La Costituzione tutela la libertà di espressione, ma i giornalisti sono a volte vittime di intimidazioni e restrizioni, in particolare se affrontano i temi considerati di sicurezza nazionale. L’accesso a Internet è libero. Luogo di origine di religioni quali induismo, buddismo, giainismo, e sikhismo, l’India ospita numerose comunità religiose: secondo il censimento del 2001, gli hindu sono la maggioranza (80,5%), seguiti da musulmani (13,4%), cristiani (2,3%) e sikh (1,9%). Il successivo censimento del 2011, tuttavia, non riporta indicatori relativi al credo. Lo stato indiano si professa laico e la Costituzione prevede la libertà di culto; tuttavia, si sono verificati episodi di violenza e discriminazione che, in alcuni casi, rimangono impuniti. In India ogni anno migliaia di donne sono uccise o sono vittime di abusi domestici; si registrano numerosi casi di aborti selettivi per scartare le figlie femmine. Il governo ha adottato misure per combattere il fenomeno nel 2008. Il precario equilibrio tra laicità e tradizioni ancestrali risulta chiaro nella diatriba aperta sull’articolo 377 del codice penale indiano, che prevedeva l’ergastolo per relazioni fisiche fra due adulti del medesimo sesso. Nel 2009, l’alta corte di Nuova Delhi aveva depenalizzato il reato, ma la corte suprema ha annullato la sentenza nel 2013, rendendo nuovamente l’omosessualità un reato.
Secondo la Banca mondiale, l’India ha registrato tra il 2004 e il 2007 un tasso di crescita annuale del pil superiore o uguale al 7%. L’economia indiana ha tuttavia risentito degli effetti della crisi economica mondiale: nel 2008 la crescita è stata del 3,9%. Già dal 2009 ha però ripreso a crescere, tanto che per il 2010 è stato registrato un balzo in avanti del 10,5%. Il dato sembrava riportare l’India vicina ai livelli pre-crisi, ma il 2011 e il 2012 hanno registrato tassi ben più modesti: il 6,3% e il 3,2%. Nel 2013 la contrazione del settore manifatturiero ed estrattivo hanno ulteriormente rallentato la crescita. Sempre nel 2013, i principali partner nelle esportazioni sono stati gli Usa (13%) e gli Emirati Arabi (10%) mentre, per le importazioni, la Cina (12%) ha preceduto ampiamente Washington (5%). Le fasi alterne dell’economia indiana registrate da questi indicatori non costituiscono però uno specchio delle condizioni di vita della maggioranza della popolazione, ancora nella morsa della povertà. Questa situazione accomuna in parte l’India ad altri giganti quali Brasile, Cina e Russia, i cosiddetti Bric, che secondo la banca Goldman Sachs, nel 2050 saranno le maggiori potenze economiche. La strada verso l’equilibrio e il consolidamento economico dell’India è dunque ancora lunga e passa attraverso lo sviluppo delle infrastrutture, la riduzione della corruzione, il miglioramento del sistema burocratico, la formazione in massa di lavoratori specializzati - e la loro regolamentazione, dal momento che il 90% del settore è informale - il processo di privatizzazione, la riduzione dell’inflazione e del debito pubblico e il potenziamento del settore industriale. Quest’ultimo contribuisce solo per un quarto al pil nazionale, ma fornisce l’esempio più concreto delle potenzialità indiane con l’industria cinematografica, conosciuta in tutto il mondo come Bollywood, e con i centri informatici di cui Bangalore è campione a livello mondiale.
È tuttavia il settore terziario a costituire il maggiore traino per l’economia ed è l’outsourcing straniero a svolgere un ruolo di primo piano, poiché l’India detiene circa la metà del mercato mondiale grazie ai suoi bassi costi di produzione. Il salario medio annuo di un professionista che lavora in India nel settore legale, per esempio, è di circa 8000 euro contro i 130.000 di un professionista statunitense.
La crescita del paese è legata agli investimenti esteri e, quindi, alla disponibilità globale di capitale. Il governo sostiene questo meccanismo stabilizzando la moneta, la rupia, attraverso una politica di acquisto di titoli del governo statunitense. I conseguenti problemi di inflazione interni vengono gestiti con una politica di sussidi mirati. L’insieme di questi fattori ha un impatto determinante per l’economia indiana e il governo ha un ruolo centrale nella loro gestione. Il controllo del debito nazionale è abbastanza differente per quel che riguarda le grandi corporation indiane, il cui tasso di indebitamento è esposto ai crescenti alti interessi del mercato globale.
Con un 5,9% dei consumi mondiali, l’India è stata nel 2012 il terzo utilizzatore mondiale di energia, dietro Cina e Usa. Sebbene anche la produzione di energia abbia fatto registrare un notevole incremento nel corso dell’ultimo quindicennio, non è riuscita però a tenere il passo con i consumi. Il livello di dipendenza dell’India dalle importazioni di materie prime è così progressivamente cresciuto. Il mix energetico dell’India è dominato dal carbone, il cui utilizzo è in costante aumento dal 2000, assieme a quello di lignite. Si prevede che il trend si mantenga e ciò fa sì che le riserve indiane di combustibili fossili, pur essendo fra le maggiori su scala mondiale (7% nel 2011), potrebbero non soddisfare la domanda sul lungo periodo. Il problema dell’energia è tra i più importanti nel panorama politico. Attualmente, le proposte più quotate prevedono la concessione di condizioni più favorevoli per le aziende petrolifere, che negli anni si sono allontanate dal paese, e sostegni alla ricerca petrolifera, che sembra costituire l’unica alternativa valida per sostenere l’economia. Il greggio e il gas naturale provengono principalmente dall’importazione (rispettivamente, circa il 75% e il 25% del totale nel 2011), una dipendenza che negli anni si è fatta sempre più marcata.
Per garantirsi sul lungo periodo, l’India sta inoltre sviluppando la produzione di energia nucleare. Oggi l’atomo fornisce lo 0,7% dell’energia consumata e il 3% circa dell’elettricità, ma si stima che dovrebbe produrre il 25% dell’elettricità nel 2050. In quest’ottica, il paese ha concluso accordi bilaterali con numerosi paesi come Stati Uniti, Francia, Russia, Kazakistan e Canada. La rapida crescita della popolazione e l’impetuoso sviluppo economico hanno avuto un impatto significativo sulle risorse naturali del paese: deforestazione, riduzione della biodiversità, degrado del suolo, inquinamento dell’acqua e dell’aria costituiscono ormai vere emergenze. Il paese ha una legislazione ambientale avanzata che tuttavia non è adeguatamente attuata a livello federale e statale.
Con la Russia, già partner di forniture energetiche, è stata avviata una crescente cooperazione. I russi partecipano, per esempio, alla costruzione dell’impianto nucleare di Kudankulam. L’impianto, iniziato nel 2002, ha subito numerosi ritardi, dovuti anche ai movimenti di protesta contro l’energia nucleare, ed è stato completato soltanto nel luglio 2013.
Nonostante l’embargo di Usa e Eu, l’Iran resta il secondo fornitore di greggio (dopo Arabia Saudita, copre il 17% delle importazioni), oltre che un importante partner strategico. Rilevanti sono i progetti nel settore del gas, risorsa che l’India importa oggi in forma liquefatta ed è destinata a guadagnare una quota crescente nel mix energetico nazionale. Un progetto elaborato negli anni Novanta, ma ritornato prioritario nell’agenda regionale in prospettiva di una stabilizzazione del teatro afghano, è il gasdotto che dal Turkmenistan dovrebbe attraversare Afghanistan e Pakistan. Tuttavia, le discussioni relative alle tasse di transito hanno bloccato il progetto per il biennio 2012-13 e la geopolitica della regione, segnata da diverse problematiche irrisolte, sembra porre un serio veto al piano. La parallela pipeline Iran-Pakistan-India affronta difficoltà simili. Il gasdotto che dal Myanmar arriverebbe in India passando dal Bangladesh viene mantenuto vivo nelle concertazioni commerciali fra i paesi interessati, ma l’accordo non sembra vicino. Per questi motivi, l’India ha optato nel 2003 per l’utilizzo di rigassificatori e per l’importazione di gas naturale liquefatto, principalmente dal Qatar. Tale situazione potrebbe mutare soltanto con una maggior stabilità regionale e il progressivo miglioramento delle relazioni con il Pakistan, con il Bangladesh, ricco di gas, e con il Sud-Est asiatico.
L’esercito indiano è il terzo più grande al mondo dopo le forze armate della Cina e degli Stati Uniti. La mancanza di potenze vicine che dispongano di una tale flotta da impiegare nell’Oceano Indiano, si associa a 5000 km di scudo missilistico a media gittata. Tuttavia le carenze in termini di equipaggiamento ad alta tecnologia e il carattere obsoleto di alcuni sistemi chiave evidenziano punti deboli che non paiono sanabili nel breve periodo, anche perché il ministero della difesa intende ridurre progressivamente il budget della difesa, che si aggira intorno al 2,45% del pil nazionale. Ciononostante, l’India è chiamata ad affrontare una serie di minacce sui fronti esterno e interno. I militari sono spesso impiegati in operazioni congiunte alle forze di polizia per contrastare i movimenti secessionisti, come quelli del nord-est del paese, oltre a monitorare i territori statali meno sicuri, come quelli del nord-ovest, lungo i confini con il Pakistan e e la Cina. Uno tra i maggiori impegni militari indiani è affrontare il terrorismo di matrice islamica che ha le sue basi in Pakistan. A ciò si aggiungono le contese territoriali per l’Arunachal Pradesh e le rivolte interne dei maoisti naxalisti, che possono contare su un gruppo armato di 6500 guerriglieri in vari stati indiani.
A difesa delle frontiere esiste uno speciale corpo militare di confine, costituito da circa 210.000 soldati. L’India detiene e ambisce a un rango di grande potenza anche in virtù delle testate nucleari di cui si è dotata a partire dal 1974, data del suo primo test. L’arsenale indiano ha innescato la risposta del Pakistan, percepito come la principale minaccia per Nuova Delhi al di fuori dei suoi confini. Islamabad ha avviato un proprio programma in corrispondenza di quello indiano e annuncia esercitazioni nucleari ogni volta che se ne svolgono in India.
Nuova Delhi non ha mai siglato il trattato di non proliferazione nucleare né il trattato di divieto dei test nucleari ed è prevedibile che non lo farà, se non dopo l’accettazione pachistana dei medesimi accordi. Tuttavia nel 2008 il paese ha firmato un accordo di cooperazione nucleare con gli Stati Uniti che, tra i vari punti, prevede anche l’accoglimento di osservatori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Iaea) nei siti nucleari indiani e la fornitura, da parte statunitense, di tecnologia per la produzione nucleare civile. In questo senso, un fattore decisivo sembra essere sempre più la Cina, non soltanto per il conflitto in Tibet, occupato dalle truppe cinesi nel 1950, ma anche per la collaborazione militare che Pechino intrattiene con Islamabad.
Un ulteriore problema per la sicurezza per l’India è la questione della pirateria internazionale. Proprio la diffusione di questo fenomeno anche nelle acque dell’Oceano Indiano è stato alla base della crisi diplomatica tra India e Italia in merito all’arresto da parte delle autorità di Nuova Delhi dei due fucilieri della marina italiana, che avrebbero ucciso erroneamente due pescatori indiani confusi per pirati.
L’Atto di indipendenza dell’India del 1947 sanciva che la regione del Kashmir fosse libera di decidere se rimanere indipendente o far parte di India o Pakistan. Il maharaja Hari Singh scelse l’adesione all’India in cambio di sostegno militare e della promessa di un successivo referendum popolare volto a ratificare tale scelta. Da allora il Kashmir ha provocato quattro guerre tra India e Pakistan (nel 1947-48, nel 1965, nel 1971 e nel 1999), poiché entrambi gli stati ne rivendicano la sovranità. Secondo Islamabad la regione doveva essere parte del Pakistan dal 1947, in quanto territorio a prevalenza musulmana, e i cittadini avrebbero avuto diritto al referendum. Nuova Delhi è del parere che l’accordo di Simla del 1972 preveda una risoluzione del conflitto tramite un dialogo bilaterale e fa riferimento allo strumento di adesione firmato dal maharaja Singh nel 1947. La linea di demarcazione è oggi definita nei termini dell’accordo di Simla, seguito al secondo conflitto indo-pakistano. Dal luglio 1949, è controllata dal gruppo degli osservatori militari delle Nazioni Unite (Unmogip), creato da una risoluzione del Consiglio di sicurezza.
La linea divide la regione nello stato indiano di Jammu e Kashmir e nella zona dello ‘Azad’ Kashmir (libero), amministrata dal Pakistan. Il primo, nella parte sudorientale, è popolato da circa nove milioni di persone; il secondo, nella zona nordoccidentale, è abitato da circa tre milioni di persone. Una piccola parte del territorio è poi controllata dalla Cina.
Il sistema delle caste ha origini antiche. Prevedeva che la società indiana fosse divisa in quattro gruppi: contadini, artigiani e mercanti, guerrieri, e infine bramini o sacerdoti. All’interno di tali categorie si sono poi formati numerosissimi sottogruppi. Alla base della piramide vi erano i senza casta o ‘intoccabili’ che generalmente svolgevano lavori considerati ‘impuri’. Nel tempo tale divisione divenne una rigida gerarchia ereditaria per cui ogni indiano nasceva e moriva all’interno di una certa casta. Il sistema viene associato alla religione induista, sebbene le scritture vediche non sembrino contenere un riferimento esplicito a tale organizzazione sociale. Oggi il sistema delle caste è formalmente abolito così come l’‘intoccabilità’ (art. 17 della Costituzione indiana) ma, secondo il comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione, i senza casta, che oggi sono spesso definiti dalit (oppressi), sono di fatto ancora discriminati soprattutto nelle aree rurali e per quanto concerne l’accesso a luoghi di culto, ospedali, scuole e altri luoghi pubblici. Gandhi, padre dell’indipendenza indiana e sostenitore dell’emancipazione degli intoccabili, li chiamò harijan, ‘figli di Dio’.
Il 15 febbraio 2012, al largo della costa del Kerala, si è verificato un incidente tra la pe;troliera italiana Enrica Lexie e il peschereccio indiano St. Antony. A bordo dell’Enrica Lexie viaggiavano sei marò, incaricati di proteggere l’imbarcazione dagli assalti dei pirati. All’av;vicinarsi del St. Antony, convinti di trovarsi di fronte a un attacco pirata, i due marò Salva;tore Girone e Massimiliano Latorre aprirono il fuoco uccidendo due uomini del peschereccio, Ajesh Pinky e Selestian Valentine. Il 19 febbraio i due marò furono arrestati in India con l’accu;sa di omicidio e trasferiti presso una guesthou;se della polizia indiana. Secondo la diplomazia italiana, la petroliera si trovava a 33 miglia nautiche dalla costa, in acque internaziona;li, e ciò dà diritto ai due marò a un processo in Italia. Secondo l’accusa indiana, l’incidente si sarebbe invece verificato in acque indiane: il processo dev’essere per questo condotto in India. La perizia indiana ha provato, grazie ai dati del GPS e alle immagini satellitari, che l’Enrica Lexie si trovava a 20,5 miglia nautiche dalla costa, in quella che il diritto marittimo internazionale definisce ‘zona contigua’, entro la quale è diritto di uno stato far valere la propria giurisdizione. A complicare la situazione sono intervenute le espressioni di orgoglio nazionale che hanno risvegliato una mai sopita ‘paura colonialista’ in India e suscitato un revival della retorica sull’onore nazionale in Italia. Il ritorno a casa dei due marò per il Natale del 2012 prevedeva un ritorno entro il 10 gennaio, ma il ministro degli esteri, Giulio Terzi, annunciò nel marzo 2013 la decisione di giudicare in Italia i due militari conformemente al diritto internazionale. L’accusa di ‘tradimento’ da parte di Sonia Gandhi ha indotto il governo indiano a vietare l’uscita dal paese all’ambasciatore italiano. Pochi giorni dopo, il governo Monti ha ribaltato la decisione e, per fine mese, i due soldati sono rientrati in India. Il ministro Terzi si è dimesso per protesta. L’inchiesta indiana, da allora, procede a rilento e l’Italia non si rende disponibile a inviare altri militari in India in qualità di testimoni. Ha scelto viceversa la soluzione della videoconferenza per le audizioni. Da parte indiana si è ribadito che i marò non verranno processati per pirateria e non rischieranno dunque la pena di morte.
Nell’ottobre 2013, India e Cina hanno firmato un accordo di cooperazione per la difesa frontaliera, che prevede misure standard per la prevenzione di escalation militari. La firma congiunta di Singh e Xi Jinping sanciscono le rispettive routine militari, come la possibilità di pattugliare apertamente la propria area di confine, e creano una linea diretta per permettere il dialogo in caso di incidenti. Il confine con il Tibet, regione sensibile per la Cina che la riconquistò nel 1950 strappandola al protettorato indiano, rappresenta un problema parallelo alla cooperazione militare e nucleare sino-pachistana. Il giorno della firma dell’accordo, le truppe di frontiera del Pakistan hanno aperto il fuoco ferendo alcuni militari indiani. Se Islamabad si serve di Pechino per rifornire la propria difesa, Nuova Delhi è invece legata a Mosca. Il negoziato indo-cinese è ancora lontano dal costituire un punto di svolta nell’area, ma indica la volontà di entrambi i paesi di evitare un deterioramento dei rapporti, specie per gli ottimi legami commerciali. Il cambiamento che si verrebbe a creare se si risolvessero le questioni tibetana e sino-pachistana, potrebbe mutare significativamente gli equilibri regionali.
di Antonio Armellini
Presentandosi come l’uomo nuovo chiamato a fare uscire l’India dalla stagnazione degli ultimi anni dei governi Manmohan Singh-Sonia Gandhi, Narendra Modi ha dato prova di un’abilità politica in cui spregiudicatezza tattica, capacità oratoria e attento utilizzo dei mezzi di comunicazione si sono saldati nel garantirgli un successo elettorale dalle proporzioni inattese. Ciò detto, sulla ‘novità’ di Modi e sulla sostenibilità del suo programma elettorale rimangono diversi interrogativi.
Modi proviene dal nazionalismo indiano più intransigente ed è stato uno dei principali esponenti del movimento Rashtryia Swayamsevak Sangh (Rss), un’organizzazione fondamentalista hindu ispirata al modello delle organizzazioni giovanili fasciste (il suo fondatore, Savarkar, era un ammiratore di Mussolini), che propugna l’hindutva (la supremazia dell’induismo nel paese), conta diverse centinaia di migliaia di aderenti e rappresenta il ‘lato oscuro’ del Bharatiya Janata Party (Bjp). Per quanto Modi abbia cercato di prendere le distanze dalle posizioni più estreme del movimento, non ha mai ostacolato l’inserimento di diversi suoi esponenti nelle strutture direttive del Bjp.
Pesa sulla sua immagine il ruolo svolto nel 2002 in occasione del massacro di musulmani avvenuto a Godhra, nel Gujerat di cui era Chief Minister, come ritorsione per la morte di molti pellegrini hindu in un incendio di cui erano stati ingiustamente accusati gruppi mussulmani. Il coinvolgimento diretto di Modi non è stato mai provato, ma la sua responsabilità morale nell’impedire che la polizia ponesse un freno ai massacri è apparsa a molti incontestabile. Allontanare il sospetto di intolleranza nei confronti delle minoranze non induiste è una sfida cui il nuovo primo ministro si è dedicato con impegno, dando fondo alla sua indubbia capacità retorica: ha fatto breccia in molti, ma non ha del tutto cancellato i dubbi.
Nel decennio del suo governo, il Gujarat ha vissuto una accelerazione degli investimenti industriali molto superiore al resto del paese. Gli incentivi concessi alle industrie hanno sollevato l’accusa che alla crescita non sia corrisposto un innalzamento significativo delle condizioni di vita della popolazione, mentre i diritti dei lavoratori sarebbero stati conculcati. Le critiche non hanno scalfito l’immagine di un Chief Minister non solo in grado di promuovere lo sviluppo in un paese dove questo è spesso solo declaratorio, ma impegnato con successo a migliorare l’efficienza della sua amministrazione e a combattere la corruzione in ogni forma. Nella realtà indiana, dove la corruzione è endemica, l’immagine di leader assolutamente ‘pulito’ si è rivelata un formidabile cavallo di battaglia, che gli ha consentito fra l’altro di rintuzzare l’offensiva del nuovo partito Aam Admi (‘l’uomo comune’) che della lotta alla corruzione aveva fatto il perno della sua campagna elettorale. Modi non ha perso tempo nel dare nuovo impeto a una politica estera da tempo ingessata. Ha invitato a sorpresa tutti i leader dei paesi vicini alla cerimonia della sua inaugurazione, cominciando dal primo ministro pachistano Nawaz Sharif; è stato in visita a Tokyo; ha ricevuto a Delhi il presidente cinese Xi Jinping; ha rilanciato l’impegno all’interno dei Brics e nelle organizzazioni regionali da cui l’India si era tenuta in posizione defilata; ha compiuto una visita trionfale all’Assemblea Generale dell’Un coronata da un incontro cordiale con Obama. Resta da vedere quanto di questo movimento si tradurrà in passi concreti (soprattutto nei confronti del nemico di sempre, il Pakistan) ma il mood dell’approccio indiano al mondo appare cambiato.
La liberalizzazione dell’economia e l’apertura al mercato hanno rappresentato un punto di forza tanto agli occhi di quella borghesia urbana che aveva scommesso su di lui disertando il Congresso, quanto dell’industria e della finanza internazionali, che da tempo attendono la possibilità di un più diretto inserimento in questo mercato. Rompere il coacervo burocratico-finanziario che si oppone a una vera apertura dell’economia indiana non appare una missione semplice; nei suoi primi mesi di governo Modi lo ha già sperimentato, nonostante sia riuscito a mettere alla frusta un apparato statale abituato all’inerzia. Non minori sono le contrarietà di quei ceti mercantili e del piccolo commercio, che rappresentano la base tradizionale di consenso per il Bjp: la loro opposizione, in quanto diffusa, potrà essere ancora più insidiosa. Alle prime dichiarazioni baldanzose sono seguite piccole marce indietro, che hanno destato perplessità, lasciando intravedere come il cammino potrebbe rivelarsi assai più accidentato di quanto immaginato e promesso da Modi.
La luna di miele con il paese continua, ma il tempo delle scelte non potrà aspettare indefinitamente. Saprà dimostrarsi un leader capace di parlare all’intera nazione, o finirà per essere risucchiato nel cono oscuro dell’intolleranza induista? Si confermerà il continuatore delle riforme economiche da troppo tempo in stallo, o finirà per rassegnarsi a una politica di piccoli passi? Molto dipenderà dall’economia; senza progressi capaci di soddisfare le aspettative della popolazione, rispolverare l’arma dell’intolleranza potrebbe essere un modo facile (e pericoloso) per controllare la situazione. Modi appare un politico troppo abile e intellettualmente spregiudicato, per rinunciare all’opportunità di guidare nel prossimo decennio il paese verso traguardi importanti di crescita. Il primo giudizio è tutto sommato positivo; qualche contraddizione si intravede e, come dicono gli inglesi, the jury is still out.