India
Stato dell’Asia, nella sezione centromeridionale del subcontinente indiano. Dal punto di vista geografico l’I. è divisa in tre grandi regioni: l’area himalayana; la pianura solcata dai fiumi Indo, Gange e Brahmaputra; l’altopiano del Deccan, che occupa gran parte della penisola.
La civiltà dell’Indo fiorì tra il 2600 e il 1750 a.C. attorno alle città di Harappa, Mohenjo Daro e Chanhu Daro. Fu questa un’evoluta civiltà urbana e commerciale, dotata di una lingua scritta, in rapporto con la contemporanea civiltà mesopotamica. Attorno al 1500 la civiltà dell’Indo si estinse, travolta dall’invasione di tribù provenienti dall’Asia centrale, parlanti lingue del ceppo indoeuropeo, gli arya (ari), che introdussero in I. una nuova cultura e organizzazione sociale: popolazione originariamente seminomade, in seguito alla sedentarizzazione diede vita a una civiltà di tipo agricolo, basata su confederazioni di villaggi. La società era divisa in classi, che solo più tardi si irrigidirono nel tipico sistema castale (➔ casta). Il bacino del Gange e l’I. meridionale, invece, subirono solo indirettamente l’urto dell’invasione ariana: l’I. meridionale conservò lingue e culture di origine dravidica; l’I. centrosettentrionale elaborò una cultura composita, in cui elementi ariani e dravidici si stratificarono e confusero. Da questa elaborazione nacque l’induismo, complesso sistema di pensiero religioso-sociale.
La mancanza di una letteratura storiografica rende lacunosa la conoscenza della storia antica. Nel 6° sec. a.C. fiorirono le due dottrine del buddhismo e del jainismo, mentre acquistava importanza il regno del Magadha, che vide un rapido alternarsi di dinastie. Nel Nord-Ovest il processo di formazione di Stati regionali fu interrotto dalla conquista persiana a opera di Dario I (522-486 a.C.) e dalla spedizione di Alessandro Magno (326): il dominio si frammentò rapidamente, dando vita, nell’od. Pakistan, a piccoli regni detti indo-greci. Intorno al 322 il regno del Magadha passò alla dinastia Maurya che, sotto Ashoka (274-232), creò un forte impero centralizzato esteso su tutta l’I., a eccezione del Nord-Ovest indo-greco e dell’estremo Sud, diffondendovi il buddhismo. Dopo i Maurya, sulla media e bassa valle del Gange regnarono gli Shunga (187-60), favorevoli all’induismo, mentre i regni indo-greci, dominati dagli shaka-parti (85-55) accentuavano gli influssi culturali ellenistici. Verso la metà del 1° sec. d.C., l’I. settentrionale conobbe l’invasione dei kushana, una confederazione di tribù nomadi centro-asiatiche già stanziate da tempo in Transoxiana, dove era iniziato un processo di sedentarizzazione ed espansione territoriale con formazione di un vasto impero compreso fra il Syr Darya e il Gange. Fra il 1° e il 3° sec. d.C. l’impero kushana conobbe un intenso sviluppo, grazie ai traffici commerciali lungo la via della seta e agli scambi culturali. L’influsso indiano penetrò fino in Cina, nelle arti e nella religione, con la rapida espansione del buddhismo verso Oriente, mentre il commercio con l’impero romano era veicolo di influenze occidentali, elaborate dall’arte del Gandhara. Il declino dell’impero kushana fu segnato nel 3° sec. da una crisi politico-economica che investì anche il Mediterraneo e influì sui destini del regno degli Andhra, fiorito nell’I. centromeridionale, sotto il quale prosperò il commercio via mare con il mondo romano. L’impero dei Gupta (320-550 d.C.) ridiede unità politica all’I. settentrionale e inaugurò il periodo classico della cultura indiana, per lo sviluppo delle arti e delle scienze, e la rinascita dell’induismo sotto la spinta della bhakti, una mistica devozionale con forti tendenze sincretistiche. Con la fine dei Gupta l’impero si frammentò in principati. L’I. settentrionale si riunificò per breve tempo sotto Harsha (606-647), ultimo grande sovrano della tradizione classica indiana prima dell’invasione islamica. Seguì un periodo di vicende confuse, specie nell’I. settentrionale, teatro di invasioni e migrazioni (unni eftaliti, turchi, turco-mongoli) che portarono a rovesciamenti di regime e ricomposizioni di equilibri sociali e razziali. Il sistema castale si irrigidì, dopo aver integrato i nuovi gruppi sulla base di un compromesso sociale che garantiva la supremazia dei brahmani e assegnava posizioni di prestigio ai nobili integrati. Anche popolazioni indigene di ceppo dravidico centroccidentale, fino allora poco influenzate dall’induismo, presero parte a questo processo, da cui emersero i rajput, aristocrazia militare che dominò a lungo la scena politica del Centro-Nord, pur nella divisione in piccoli Stati spesso in discordia. Dopo l’eclisse dei Gupta e dell’unità statale da essi rappresentata, il frazionamento in vari centri di potere si disegnò su naturali divisioni geografiche ed economiche: nel Nord-Ovest gli Shahi (550-1021 ca.); nella piana gangetica centrale i Gurjara-Pratihara (861-1030 ca.); nel Bengala e nel Bihar i Pala (765-1180 ca.) e i Sena (1095-1200 ca.). Il Deccan, vasto altopiano dell’I. centrale, fu in questo periodo il centro politico più stabile; i Chalukya (540-753), i Rashtrakuta (753-953) e i Chalukya restaurati (973-1190) furono le grandi dinastie che si avvicendarono al potere. L’I. meridionale, più isolata e sfuggita a tentativi di conquista più volte mossi nella storia dai regni centrosettentrionali, attratti dalle pianure costiere e dal commercio marittimo, era divisa in tre Stati: sulla costa del Coromandel i Chola, i Chera (o Kerala) nel Malabar, i Pandya all’estremo Sud. I Cola divennero la principale potenza: sotto Rajaraja I (985-1014) e il figlio Rajendra (1018-44), il Golfo del Bengala divenne dominio incontrastato della marina Chola.
L’attiva espansione degli arabi interessò marginalmente anche l’I. ma la vera conquista musulmana fu opera dei turchi, cui l’islamismo aveva dato la forza di una coesione interna e di saldi legami con gli altri popoli islamici. Il centro propulsivo del loro potere fu Ghazni, in Afghanistan, capitale di un vasto impero che con Mahmud di Ghazni (998-1030) si estese da Lahore nel Panjab a Isfahan in Persia. In assenza di un principio regolatore nella successione dinastica, grande importanza politica assunsero gli schiavi turchi, che ricoprirono cariche amministrative di grande prestigio. Dalla lotta fra schiavi rivali emerse la figura di Iltumish (1210-36), fondatore del sultanato di Delhi; sotto la dinastia Khalgi (1290-1320) il sultanato si espanse su tutta l’I. settentrionale fino a Mathura. Muhammad ibn Tughlaq (1325-51), fondatore della dinastia Tughlaq (1325-1413), per consolidare il potere nella penisola spostò la capitale da Delhi a Dalautabad, ma l’onere finanziario che ne derivava per l’amministrazione produsse malcontenti e rivolte. Il Sud si rese indipendente con l’ascesa dello Stato di Vijayanagar (1336-1653), mentre il Deccan e altre entità territoriali si costituirono in regni musulmani indipendenti. La disgregazione dell’impero e le contese dinastiche aprirono la strada, nel 1398, all’invasione di Tamerlano, i cui eredi diedero vita alla dinastia Sayyid (1413-51), che tuttavia impose solo una indulgente sovranità. Il declino del sultanato di Delhi si arrestò con l’avvento della dinastia afghana dei Lodi (1451-1526), a cui pose fine Babur (1526-30), che fondò la dinastia mughal, sotto la quale fiorì una importante cultura artistica e letteraria. Nasceva intanto, come tentativo di sintesi tra l’induismo e l’islam, il sikhismo, movimento religioso riformatore e anticastale, che assunse con il tempo connotati militari e si radicò soprattutto nel Panjab. I Mughal svilupparono un’organizzazione amministrativa imperiale, integrando in essa le autorità e le istituzioni locali. Peculiare fu la figura del tollerante imperatore Akbar (1556-1605), che adottò un culto eclettico, ristretto a pochi fidati cortigiani, e promosse dibattiti fra esponenti di diverse religioni. L’ortodossia islamica fu restaurata da Aurangzeb (1658-1707), che completò la conquista del Deccan. Le successive guerre, la lotta contro il nascente Stato maratha, la politica repressiva contro indù e sikh, segnarono il declino dell’impero. Il commercio delle spezie attirò sulle coste indiane compagnie mercantili europee, che si avvicendarono nel dominio sulle acque dell’Asia. L’impero mughal si frammentò in una costellazione di piccoli Stati musulmani favorendo il consolidamento della potenza maratha, la cui politica di gravose esazioni, però, impedì la coesione degli Stati annessi o sottomessi e la disastrosa sconfitta subita a Panipat nel 1761 segnò il suo declino. La debolezza degli Stati indiani diede alle compagnie delle Indie europee la spinta per inserirsi nella scena politica. L’efficienza amministrativa e la forza economica di queste compagnie indussero i governi locali a chiederne l’appoggio. Nel 1757 la compagnia inglese (➔ East India company) assunse sul Bengala un controllo presto esteso sul resto dell’I. e, in cambio di un prestito da parte del governo inglese, accettò l’inizio del controllo di Stato (1773).
L’unica alleanza costituitasi fra potenze indiane contro gli inglesi, capeggiata dai Marathi, fu annullata nel 1782 e nel 1818 l’impero maratha fu annesso dagli inglesi. Nel 1849 furono annessi il Panjab e altri territori. Nel 1857 un ammutinamento di forze indiane della compagnia si trasformò in rivolta civile, repressa con fermezza. L’accaduto spinse il governo inglese ad appropriarsi nel 1858 della sovranità sull’I. a danno della Compagnia delle Indie. Mentre per iniziativa di quest’ultima si era fino ad allora cercato di incrementare la produzione e l’esportazione dei prodotti tessili indiani in Europa, alla fine del 18° sec. la Rivoluzione industriale rovesciò i rapporti; l’I. divenne un mercato per i prodotti finiti inglesi, trasformandosi in colonia fornitrice di materiali grezzi. Il dominio inglese introdusse l’educazione occidentale e come lingua di insegnamento fu scelto l’inglese, la cui diffusione era sollecitata dai bisogni delle ditte commerciali e dell’amministrazione civile e giudiziaria, che cominciò a servirsi di impiegati e consiglieri indiani, indispensabili specie per regolare la riscossione delle tasse fondiarie. I nativi, tuttavia, restarono completamente esclusi dal governo. Il sec. 19° vide un grande fermento intellettuale, che crebbe sull’onda del nascente nazionalismo. Nacquero il Brahma samaj e l’Arya samaj, movimenti riformatori indù con risvolti sociali: sul fronte musulmano, un ruolo di grande importanza intellettuale fu svolto dall’Aligarh college, fondato nel 1877 con lo scopo di promuovere un incontro fra islam e cultura occidentale. Nel 1885 nacque l’Indian national congress (INC), sostenitore di una politica di riforme con l’estensione delle istituzioni rappresentative, che sarebbe diventato il riferimento politico nazionale del movimento indipendentistico. Frange estremistiche, facenti capo a B.G. Tilak, adottarono metodi più aggressivi, come il boicottaggio delle merci di importazione e, sporadicamente, atti terroristici. Il governo britannico fu costretto a concedere l’autonomia interna delle province. Il movimento d’indipendenza passò a un’azione più decisa dopo la Prima guerra mondiale. Sotto la guida politica e morale di M.K. Gandhi, l’INC adottò i metodi della resistenza non violenta e della disobbedienza civile. A cavallo fra le due guerre si approfondì il divario fra indù e musulmani che, preoccupati di essere schiacciati dalla maggioranza indù, ottennero dapprima circoscrizioni elettorali separate, quindi una quota fissa di seggi musulmani nelle legislature. Nel 1930 il poeta Iqbal propose di formare nell’I. nordoccidentale, dove i musulmani rappresentavano la maggioranza, un’unità politica separata, per la quale fu coniato il nome Pakistan (Terra dei puri). In questi anni emersero le figure di J. Nehru, M.‛A. Ginnah, leader della Lega musulmana, S.C. Bose (che nel 1943 costituì a Singapore un governo dell’India libera). La lotta per l’indipendenza divenne più serrata dal 1939, dopo che la Gran Bretagna entrò in guerra senza avere consultato i governi autonomi provinciali. La minoranza musulmana premeva per la creazione del Pakistan e il clima di dissidio fra musulmani e indù culminò in una serie di tumulti in cui persero la vita migliaia di persone. L’indipendenza e la separazione erano processi inarrestabili: il 15 ag. 1947 l’ultimo viceré britannico, lord Mountbatten, trasferì i poteri alle autorità dei nuovi Stati dell’India e del Pakistan.
Nel genn. 1950, con la nuova Costituzione, divenne formalmente una Repubblica federale ed entrò a far parte del Commonwealth. Sulla riorganizzazione del sistema statale gravarono i problemi derivati dalla separazione dal Pakistan, che rimasero causa di perduranti tensioni e crisi nella successiva storia del Paese; il Bengala e il Panjab furono divisi fra i due Stati, con la conseguenza di anomalie e fratture: quasi 2000 km di territorio indiano interposti fra Pakistan occidentale e Pakistan orientale; i centri di produzione della iuta nel Bengala pakistano separati dai centri di lavorazione nel Bengala indiano; il controllo indiano dei fiumi che alimentavano la rete di irrigazione del Panjab pakistano; il rancore dei sikh per la divisione del Panjab; il conflitto delle minoranze indù e musulmane nei due Stati, che produsse esodi di massa nelle due direzioni, con epiloghi sanguinosi. Un altro grave problema derivò dalla posizione dei principi indiani, che l’Independence act lasciò liberi di restare indipendenti o di aderire a uno dei due Stati. I più aderirono all’I., ma, per es., il Kashmir, a maggioranza musulmana, ebbe un capo indù che optò per l’I., con conseguenti disordini, culminati in un conflitto risolto nel 1948 con l’intervento dell’ONU e una nuova demarcazione dei confini che assegnò all’I. tre quarti del territorio. Le pressioni locali indussero il governo a ridisegnare la geografia politica sulla base delle aree linguistiche maggiori, un processo che richiese decenni. L’adozione dell’hindi come lingua ufficiale fu vista in altre aree linguistiche come una minaccia ai propri interessi e la premessa di una condizione di inferiorità nell’amministrazione civile. Alla guida del governo rimase, dal 1947 al 1964, anno della morte, J. «Pandit» Nehru, pupillo di Gandhi. Suo oppositore nell’INC fu V. Patel, esponente dell’ala destra. L’assassinio di Gandhi (genn. 1948) scosse violentemente l’opinione pubblica e l’ala destra del partito, che aveva avversato la politica gandhiana della non violenza e della conciliazione tra indù e musulmani, subì un calo di popolarità che rafforzò per contro il carisma del premier. Nehru varò un programma di sviluppo controllato in ampia misura dallo Stato, attraverso l’avvio della riforma agraria e l’adozione di tre piani quinquennali incentrati sull’esigenza di industrializzare il Paese; abolì inoltre il sistema delle caste, che sarebbe tuttavia di fatto sopravvissuto, e affermò i principi laici nella vita pubblica. In politica estera, l’I. si pose alla testa dei Paesi non allineati, tentando una difficile equidistanza dai due blocchi. La politica di coesistenza pacifica nei confronti della Cina fallì, invece, nel 1962 in seguito alla crisi scoppiata fra i due Paesi sulla questione dei confini himalaiani. A Nehru successe L.B. Shastri, che dovette fronteggiare una grave crisi con il Pakistan, culminata con l’invasione indiana del Panjab pakistano (1965) e risoltasi con un accordo solo dopo l’intervento dell’ONU (Tashkent, genn. 1966).
Morto improvvisamente Shastri, un compromesso tra le ali di destra e di sinistra dell’INC portò alla guida del governo I. Gandhi, figlia di Nehru e presidente del partito (1966). Il nuovo premier riprese la politica di modernizzazione del Paese, varò la riforma agraria, siglò un trattato di cooperazione militare con l’URSS (1971) e fece fronte a un nuovo conflitto con il Pakistan per l’appoggio dato dall’I. alla secessione del Bangladesh. Nel 1974, l’I., che non aveva aderito al Trattato di non proliferazione (1968), fece esplodere la sua prima bomba atomica. Verso la metà degli anni Settanta il peggioramento della situazione economica e sociale favorì una crescita dell’opposizione, con largo consenso di opinione, cui il governo reagì con una serie di provvedimenti autoritari. Osteggiata anche dall’ala conservatrice del partito, la Gandhi, peraltro riconosciuta colpevole di brogli elettorali alle elezioni del 1971 e condannata all’interdizione dai pubblici uffici per sei anni, reagì con l’imposizione dello stato di emergenza (1975-77) e la limitazione delle libertà democratiche, adottando inoltre dure misure repressive nei confronti delle spinte autonomistiche. Il tentativo di sopprimere le garanzie costituzionali compiuto dalla Gandhi fu scontato dall’INC in sede elettorale nel 1977, quando il partito subì la sua prima sconfitta. Il Janata party, partito di centro-sinistra, nato quello stesso anno dalla confluenza di forze eterogenee di opposizione, costituì il nuovo governo, guidato da M.R. Desai. Nel 1980 la Gandhi, che due anni prima aveva fondato l’INC (I) (dall’iniziale del suo nome), tornò al governo in un quadro di agitazioni sociali, etniche e religiose fomentate dal rinfocolarsi di conflitti autonomistici e religiosi in Assam, Jammu e Kashmir, ma soprattutto in Panjab, dove i sikh chiedevano la creazione di uno Stato indipendente. La repressione governativa, che provocò centinaia di morti (1984), fu seguita da disordini, ammutinamenti militari e dimissioni di deputati sikh del Congress. Nell’ottobre dello stesso anno la premier morì assassinata da due delle sue guardie del corpo di etnia sikh.
Raccolse l’eredità di I. Gandhi, sia come primo ministro sia come presidente dell’INC (I), il figlio Rajiv (➔ Gandhi, Rajiv), che alle elezioni del 1984 ottenne una forte maggioranza parlamentare. Accompagnato all’inizio da grande favore popolare ma politicamente inesperto, andò incontro a una progressiva perdita di consensi. L’opposizione, cresciuta e organizzata politicamente, ridusse i margini della maggioranza in molti Stati, dove si rafforzarono le tendenze autonomistiche cui il governo centrale rispose ancora una volta con misure repressive. R. Gandhi entrò in urto anche con l’apparato del partito e con la burocrazia statale per aver cercato di controllare entrambi tramite i suoi consiglieri di fiducia. Il processo di privatizzazione e di liberalizzazione del mercato da lui avviato tese a favorire la classe media, polo trainante di un’economia che avrebbe dovuto produrre in prospettiva anche il progresso delle classi più deboli. Ma l’aumento dei prezzi seguito alla liberalizzazione provocò forti scontenti e i conflitti religiosi, fomentati da movimenti fondamentalisti di opposte confessioni, resero più acuto il turbamento sociale. Travolto da gravi episodi di corruzione, alle elezioni del 1989 l’INC (I) subì una secca sconfitta, la seconda della sua storia. Il governo passò al National front, coalizione eterogenea unita solo dall’opposizione al partito di Gandhi, con l’appoggio esterno del Bharatiya janata party e dei due partiti comunisti. Il primo ministro V.P. Singh si fece promotore nel 1990 di un impopolare tentativo di riforma (approvata poi nel 1992, produsse violente reazioni nelle caste medio-alte della borghesia urbana), che prevedeva l’innalzamento della quota riservata nel pubblico impiego ai membri delle caste inferiori. Nell’autunno, dopo un’esplosione di violenza tra indù e musulmani, causata dalla disputa sul tempio di Ayodhya in Uttar Pradesh, la coalizione di governo si spaccò e Singh si dimise. La campagna elettorale del 1991 fu contrassegnata da nuove violenze e il 21 maggio R. Gandhi fu ucciso in un attentato attribuito all’organizzazione clandestina delle Tigri tamil. Gli successe alla guida del partito, vincitore alle elezioni, N. Rao, che formò un gabinetto di minoranza.
Gli anni Novanta del 20° sec. segnarono una profonda svolta nella vita del Paese; si assisté a un declino del partito dominante, a una progressiva frammentazione della rappresentanza politica e al conseguente affermarsi di governi di coalizione. La credibilità dell’INC (I) come garante della laicità dello Stato accusò i contraccolpi indotti dai conflitti tra le diverse comunità, dall’accentuarsi delle tendenze separatiste (Assam, Kashmir, Panjab, Tamil Nadu, Bengala occidentale) e dall’affacciarsi di gruppi terroristici. Quegli anni si caratterizzarono per la crescita di partiti regionali e formazioni con forti riferimenti etnici e religiosi, portatori questi ultimi di visioni integraliste, come il BJP, divenuto nello spazio di un decennio uno dei protagonisti della scena politica, fautore di un programma basato sull’affermazione della cultura indù e sulla rappresentanza di casta, con un forte radicamento negli Stati della fascia indù del Nord del Paese. Nelle elezioni politiche del 1996 l’INC (I) subì una secca sconfitta. Nei brevi governi di coalizione dei due anni successivi, si aggravarono i rapporti con il Pakistan, soprattutto a causa dell’irrisolta questione del Kashmir, dove il moltiplicarsi dei movimenti separatisti musulmani, dovuto anche all’afflusso di mercenari provenienti da Paesi islamici, portò a una sorta di internazionalizzazione del conflitto. Le elezioni anticipate del 1998 confermarono la crescita del BJP, che formò un governo guidato dal suo leader A.B. Vajpayee, mentre l’INC (I) non riuscì a tradurre in voti l’entusiasmo suscitato dalla discesa in campo di S. Maino Gandhi, vedova di Rajiv. L’ascesa al potere del BJP fu connotata da accenti nazionalistici e da una politica estera dai toni aggressivi, tesi a ribadire il ruolo dell’I. come potenza regionale. La tensione nell’area crebbe immediatamente e i rapporti con il Pakistan si inasprirono, mentre il confronto militare in Kashmir subì una violenta accelerazione. La ripresa, dopo 24 anni, degli esperimenti nucleari suscitò un’ondata di rinnovato nazionalismo indù, ma provocò anche la risposta, con altrettanti test nucleari, del Pakistan. Nel 2002 negli Stati occidentali e settentrionali riesplose il conflitto tra indù e musulmani, con decine di morti soprattutto tra questi ultimi. Nelle elezioni del 2004 si ebbe la sorprendente vittoria dell’INC (I) guidato da S. Gandhi e al centro di una rete di alleanze regionali, la cui affermazione era legata anche alla capacità di rappresentare i bisogni dell’I. rurale rimasta tagliata fuori dai progressi economici. Alla guida del Paese fu chiamato Mannohan Singh (la Gandhi aveva rinunciato all’incarico dopo una violenta campagna scatenata dalla destra nazionalista contro di lei in ragione delle sue origini italiane), il cui governo varò (2006) riforme economico-sociali volte allo sviluppo delle aree rurali. Le misure per allentare le tensioni interreligiose non hanno invece posto fine alla preoccupante attività terroristica. Nel 2007 alla presidenza della Repubblica è stata eletta Pratibha Patil, dell’INC (I). Nel 2009 le consultazioni per il rinnovo dei 543 seggi della Camera bassa hanno sancito la vittoria della coalizione raccolta intorno all’INC (I). In politica estera, l’I. ha proseguito sulla via del disgelo dei rapporti con il Pakistan, promuovendo ulteriormente il processo di pace intrapreso nel 2004. Il ruolo di potenza emergente è stato ribadito con la candidatura a un seggio permanente nel consiglio di sicurezza ONU.
Si veda anche India. Revisionismo storico e fondamentalismo religioso