Vedi India dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Ex colonia inglese, indipendente dal 1947, a livello mondiale l’India rappresenta il secondo paese più popoloso – dietro la Cina – e la quinta economia per pil a parità di potere d’acquisto. Situata nell’Asia meridionale, l’India si trova al centro di una regione caratterizzata da relativa frammentazione e conflittualità, in parte eredità del periodo coloniale. Il principale quadro di cooperazione nell’area è l’Associazione dell’Asia meridionale per la cooperazione regionale (Saarc), composta dall’India, che ne è attivo promotore, e da Afghanistan, Bangladesh, Bhutan, Maldive, Nepal, Pakistan e Sri Lanka. Tali paesi temono l’eccessiva influenza dell’India ma, d’altro lato, essa rappresenta anche una garanzia per la loro sicurezza. Il rapporto con il Pakistan è peculiare: sebbene i due paesi siano tradizionalmente rivali, nel 2004 è iniziato un dialogo che sembrava potesse portare al raggiungimento di sviluppi significativi, salvo poi subire un arresto anche a seguito degli attacchi terroristici a Mumbai del 2008. Al centro della rivalità indo-pakistana, da oltre sessant’anni, è la contesa relativa alla regione del Kashmir. A questa si è poi aggiunto il legame del Pakistan con i talebani in Afghanistan, fonte di preoccupazione per l’India, che cerca di aumentare la propria influenza nel paese tanto al fine di bilanciare l’influenza pakistana nella regione, quanto per sviluppare i progetti di oleodotti che dovrebbero rispondere alla crescente domanda energetica indiana.
Oltre alle relazioni con i vicini dell’Asia meridionale, anche i rapporti con i paesi dell’Asia orientale rivestono un’importanza crescente nella politica estera indiana, come mostrano i sempre più stretti legami economici, energetici, infrastrutturali e relativi alla sicurezza. Tale linea diplomatica, avviata negli anni Novanta in parallelo alle riforme economiche, trova le sue origini nel collasso del tradizionale partner economico sovietico, nella crisi finanziaria dei primi anni Novanta e nell’attuale proliferazione di accordi regionali. Uno dei capisaldi della politica volta a consolidare i rapporti con i paesi dell’Asia orientale è la conclusione nel 2008 di un accordo di libero scambio con i membri dell’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico (Asean), che al momento dell’accordo contavano per il 10% del commercio estero indiano.
Cruciale è poi il rapporto con la Cina, consolidato nelle relazioni economiche e commerciali, ma delicato dal punto di vista politico. Tra le principali cause di tensione si annoverano le dispute territoriali, in quanto la Cina rivendica la propria sovranità sullo stato indiano Arunachal Pradesh, mentre l’India avanza pretese sulla regione Aksai Chin del Kashmir, non riconoscendo la legittimità della cessione di quel territorio fatta dal Pakistan negli anni Sessanta. Inoltre il fatto che l’India ospiti sul suo territorio il Dalai Lama, capo del governo in esilio del Tibet, rappresenta un’ulteriore fonte di frizione, così come la costruzione da parte della Cina del cosiddetto ‘filo di perle’, ovvero la politica volta a mettere in sicurezza le rotte degli approvvigionamenti che transitano nell’Oceano Indiano, che mina l’influenza indiana nella regione. Sempre in riferimento al continente asiatico, i rapporti con la Russia sono senz’altro mutati rispetto all’epoca dell’Unione Sovietica, quando i due paesi erano solidi alleati. Ciononostante, attualmente India e Russia cooperano in vari ambiti, in particolare quello energetico e militare, e hanno avviato un dialogo trilaterale con la Cina al fine di discutere questioni regionali e internazionali. Di rilievo è poi il recente avvicinamento agli Stati Uniti: nonostante le relazioni tradizionalmente fredde, a causa dei legami con l’Unione Sovietica e delle aspirazioni nucleari di Nuova Delhi, l’interesse statunitense al contenimento dell’influenza cinese in Asia e la paura per il vuoto di potere che si creerà in Afghanistan con il completo ritiro delle truppe Usa nel 2014 hanno portato a una maggiore collaborazione politica con l’India, evidenziata dalla conclusione nel 2008 di un trattato di cooperazione in materia di nucleare civile. Esso ha costituito una profonda evoluzione della politica estera indiana e della sua legittimazione internazionale, sancendo il riconoscimento dell’India come potenza nucleare, sebbene non firmataria del Trattato di non proliferazione nucleare (Npt). Peraltro, nello stesso anno, l’India ha firmato un accordo in materia di nucleare civile anche con la Francia e ha avviato negoziati per la firma di un accordo di cooperazione nucleare con l’Unione Europea, che però ad oggi rimane lettera morta. Potenza nucleare, membro del G20 ed esponente dei Bric, l’India è membro non permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nel biennio 2012-13 e ambisce a un seggio permanente nel quadro della riforma del Consiglio di sicurezza, con l’appoggio degli Stati Uniti.
Ordinamento istituzionale e politica interna
L’India è una repubblica parlamentare a struttura federale. Il Parlamento bicamerale è composto da una camera bassa, Lok Sabha (Camera del popolo), i cui membri sono eletti a suffragio universale ogni cinque anni, e da una camera alta ad elezione indiretta. Per la prima, la Costituzione prevede un massimo di 552 membri: fino a 530 rappresentano gli stati (28), fino a 20 rappresentano i territori dell’Unione (7), non più di due membri della comunità anglo-indiana sono nominati dal presidente se, ad avviso del medesimo, tale comunità non è adeguatamente rappresentata nella camera bassa. I rappresentanti della camera alta, Rajya Sabha (Camera degli stati), sono eletti dai legislativi dei rispettivi stati secondo quote basate sulla popolazione. Il primo ministro, che presiede l’esecutivo, è eletto dalla Lok Sabha mentre il presidente, attualmente Pranab Mukherjee, è eletto ogni cinque anni da entrambe le camere. Le due principali forze politiche sono l’Indian National Congress (Inc), partito laico di centro che ha presieduto il governo federale per i primi cinquant’anni di indipendenza, e il Bharatiya Janata Party (Bjp), partito nazionalista che ha governato dalla metà degli anni Novanta. L’Inc ha capeggiato la campagna per l’indipendenza del paese ed è rimasto forte, trascendendo le divisioni religiose, etniche e di casta. Esso è inoltre legato alla famiglia Nerhu-Gandhi che ha guidato il partito per lungo tempo: oggi Sonia Gandhi è a capo del partito e il figlio Rahul ha vinto un seggio alla Lok Sabha alle elezioni del 2009. A partire dalle elezioni del 2004 l’Indian National Congress è tornato a guidare il paese, ponendosi a capo di una coalizione di forze politiche di centro-sinistra – la United Progressive Alliance – che ha modificato alcune delle politiche intraprese dal precedente governo, tra le quali la controversa legislazione antiterrorismo e la diffusione dell’ideologia nazionalista hindu nelle scuole statali. La coalizione ha però risentito dell’opposizione interna dell’alleato Communist Party of India su alcuni aspetti economici, quali le privatizzazioni, e sull’accordo con gli Stati Uniti in materia di energia nucleare – che si riteneva avrebbe aumentato l’influenza statunitense sulla politica estera indiana. Le ultime elezioni, nell’aprile 2009, hanno confermato la coalizione United Progressive Alliance, trainata dall’Indian National Congress, alla guida del paese, con Manmohan Singh ancora nel ruolo di primo ministro. La coalizione di governo si è rivelata però estremamente fragile, principalmente a causa delle tensioni interne che portano le singole forze politiche a formare alleanze di convenienza piuttosto che ad impegnarsi in veri obiettivi di policy di lunga durata.
Popolazione e società
L’India, con più di 1,2 miliardi di abitanti, è il secondo paese più popoloso al mondo dopo la Cina. Nel 2030 gli abitanti del paese, metà dei quali hanno meno di 25 anni, potrebbero aumentare sino alla cifra di 1,5 miliardi: la stima tiene conto non solo dell’aumento dell’aspettativa di vita e dei flussi di manodopera che l’India attira grazie alla sua crescita economica, ma anche del global warming, che potrebbe causare disastri naturali e conseguenti fenomeni di migrazione. Già nel 2007 le inondazioni in Bangladesh hanno infatti indotto 5 milioni di profughi bengalesi a varcare irregolarmente il confine con l’India. Nel 2011 si è concluso il grande censimento nazionale avviato nell’anno precedente: esso ha coinvolto 2,5 milioni di ufficiali governativi e, per la prima volta dal 1931, ha tenuto conto anche della casta di appartenenza dei cittadini.
La popolazione indiana è decisamente eterogenea per lingua (sono 18 quelle ufficiali dell’Unione e degli stati), religione e classe. Circa il 70% di essa vive in zone rurali e solo il 30% in centri urbani. Quest’ultimi, però, contano un’alta densità abitativa. Sono più di 40 le città che superano il milione di abitanti, di cui sette contano tra i 2 e i 5 milioni di abitanti, tre tra i 5 e i 10 milioni e altre due megalopoli – Delhi e Mumbai – sono le due città più popolate al mondo, con una popolazione compresa tra i 15 e i 20 milioni di abitanti. Sono invece più di 150 milioni gli indiani che abitano negli slum (baracche alla periferia dei grandi agglomerati urbani) e 8 milioni i senza tetto. Il sistema sanitario indiano sta progressivamente migliorando; tuttavia la spesa pubblica destinata a tale comparto è pari a solo il 4,1% del pil nazionale. Non a caso la mortalità infantile è ancora alta, con 48 morti ogni 1000 nati, e il tasso di malnutrizione dei bambini di età inferiore ai cinque anni è intorno al 43%. La diffusione delle malattie dipende dalle inadeguate condizioni igieniche in cui verte buona parte della popolazione e dalla contaminazione dell’acqua; l’accesso all’acqua potabile non è infatti ancora garantito a tutta la popolazione. In India, oltre al metodo occidentale, esistono altri tre diversi approcci alla medicina: la medicina Siddah (nata nel sud del paese) e quella Unami (di origine islamica), che si basano su un approccio olistico, e l’Ayurveda, che è la più antica tradizione medica ed è fondata sull’utilizzo delle erbe. Anche il settore dell’istruzione sta sensibilmente migliorando, ma il 39% della popolazione adulta (sopra i 15 anni) è ancora analfabeta e il tasso di lavoro minorile è pari al 12%. Le università indiane, tuttavia, forniscono un’ottima preparazione e, in particolar modo, sono specializzate in materie ingegneristiche. In India si laurea un numero altissimo di ingegneri, con un tasso annuo pari a circa il doppio dei laureati statunitensi nella medesima disciplina.
Libertà e diritti
L’India è la più grande democrazia del mondo per numero di abitanti. In base all’indice di democraticità stilato dall’Economist, il sistema politico indiano si situa al 40° posto su 167 paesi. Questo grazie agli elevati valori nelle categorie ‘processo elettorale e pluralismo’ e ‘libertà civili’, mentre si registrano ancora alcune carenze in riferimento a ‘partecipazione politica’ e ‘cultura politica’. L’effettività dell’azione di governo è inoltre compromessa dalla corruzione diffusa e da intrecci tra criminalità e politica. Le elezioni del 2009, monitorate da una commissione elettorale indiana, sono state generalmente libere, sebbene vi siano stati rilevanti sospetti di compravendita dei voti. I media sono prevalentemente privati e la loro attività, libera e diversificata, è una componente fondamentale della democrazia indiana; l’India è il secondo mercato nel mondo per la vendita di giornali (dopo la Cina), con 99 milioni di copie vendute al giorno. La Costituzione tutela la libertà di espressione, ma i giornalisti sono a volte soggetti a intimidazioni e a restrizioni, in particolare con riguardo ai temi della sicurezza nazionale. L’accesso a internet è libero. Luogo di origine di religioni quali induismo, buddismo, giainismo, e sikhismo, l’India ospita numerose comunità religiose: gli hindu sono la maggioranza (80,5%), seguiti da musulmani (13,4%), cristiani (2,3%) e sikh (1,9%). Lo stato indiano è laico e la Costituzione prevede la libertà di culto; i cittadini appartenenti a diversi gruppi religiosi vivono generalmente una coesistenza pacifica anche se vi sono episodi di violenza e discriminazione che, in alcuni casi, rimangono impuniti. In India ogni anno migliaia di donne sono uccise o vittime di abusi nel contesto domestico e il Comitato per l’eliminazione della discriminazione nei confronti delle donne delle Nazioni Unite ha richiesto un maggiore impegno del governo indiano su questo fenomeno. Vi sono inoltre casi di aborti selettivi sulle figlie femmine per combattere i quali il governo ha adottato delle misure nel 2008.
Economia
A partire dal 2004 l’India ha registrato un tasso di crescita annuale del pil superiore o uguale all’8%. L’economia indiana ha tuttavia risentito degli effetti della crisi economica mondiale: nel 2008 la crescita è stata ‘solo’ del 5,1%. Già dal 2009 però l’economia ha ripreso a crescere, tanto che per il 2011 è stata registrata una crescita del 7,2%, che riporta l’India vicina ai livelli pre-crisi. La crescita costante e le ottime performance registrate dagli indicatori macroeco-nomici non si riverberano, però, sulla condizione di vita della maggioranza della popolazione, che versa in stato di povertà. Il 29% degli indiani vive infatti sotto la soglia di povertà, mentre il 45% della ricchezza nazionale è nelle mani del 10% della popolazione. Tale condizione economica accomuna in parte l’India ad altri giganti quali Brasile, Cina e Russia, i cosiddetti Bric, che secondo la banca Goldman Sachs nel 2050 saranno le maggiori potenze economiche del mondo.
La strada verso l’equilibrio e il consolidamento economico dell’India è tuttavia ancora lunga e passa necessariamente attraverso lo sviluppo delle infrastrutture, la riduzione della corruzione, il miglioramento del sistema burocratico, la formazione su ampia scala di lavoratori specializzati, il processo di privatizzazione, la riduzione dell’inflazione e del debito pubblico e il potenziamento del settore industriale. Quest’ultimo contribuisce solo per il 26,4% del pil nazionale, ma fornisce l’esempio più concreto delle potenzialità indiane: l’industria cinematografica è infatti l’emblema della crescita economica e culturale del paese. Conosciuta in tutto il mondo come Bollywood, dall’unione dei termini ‘Bombay’ e ‘Hollywood’, ma in realtà dislocata in varie città del paese, quella del cinema è l’industria indiana che negli ultimi anni ha registrato il tasso di crescita maggiore (17%) con un aumento delle esportazioni pari al 60%. Nel solo 2009 gli incassi totali dell’industria cinematografica sono stati più di due miliardi di dollari e nei prossimi anni sono previsti ulteriori incrementi. Simili cifre sono inferiori solo al business dell’Information and Communication Technology, di cui Bangalore è campione a livello mondiale. Questa città, che attrae le principali multinazionali della tecnologia e personale molto qualificato, è infatti considerata la Silicon Valley dell’India. Ad ogni modo è il settore terziario a costituire il maggiore traino economico dell’India, contribuendo al 56,4% del pil nazionale.
L’outsourcing è, in questo comparto, l’attività più importante. La delocalizzazione dei paesi occidentali, infatti, trova in India terreno fertile per mantenere alti i livelli di competitività, abbassando i costi di produzione: il paese controlla circa la metà dell’outsourcing mondiale. Nel 2010, per esempio, l’India ha registrato un aumento del 40% dell’outsourcing in materia di servizi legali (settore in forte espansione), attestandosi come protagonista mondiale del fenomeno: il salario medio annuo di un professionista che lavora in India nel settore legale, infatti, è di circa 8000 euro contro i 130.000 di un professionista statunitense. I principali partner commerciali indiani sono Stati Uniti e Cina. Il 10,9% delle importazioni dell’India provengono dalla potenza asiatica. Rilevante è anche il commercio con l’Eu, che ammonta al 13,4% delle importazioni e al 20,4% delle esportazioni indiane.
Energia e ambiente
I sostenuti livelli di crescita economica fatti registrare dall’India a partire dall’inizio del secolo sono stati affiancati da una crescita altrettanto rilevante dei consumi energetici del paese, raddoppiati nel corso dell’ultimo quindicennio. Con un livello pari al 4,6% dei consumi mondiali, l’India è stata nel 2011 il quarto consumatore mondiale di energia, dietro Cina, Stati Uniti e Federazione Russa. Sebbene anche la produzione di energia abbia fatto registrare un notevole incremento nel corso dell’ultimo quindicennio, essa non è stata tuttavia al passo con i consumi, aumentando progressivamente il livello di dipendenza dell’India dalle importazioni di materie prime.
La necessità di approvvigionamento all’estero riguarda in primo luogo il carbone, che domina il mix energetico nazionale e del quale l’India detiene una delle maggiori riserve su scala mondiale (7% del totale provato nel 2011) ed è tra i maggiori produttori (quarto, dopo Cina, Stati Uniti e Australia). Il livello di dipendenza dalle importazioni di petrolio e gas naturale si attesta rispettivamente al 75% e al 25%. Sebbene le importazioni di gas e petrolio siano piuttosto diversificate (l’India importa minori percentuali anche dalla Russia, da alcuni paesi africani, dal Venezuela e da altri stati), la dipendenza dal petrolio arabo sembra essere una caratteristica strutturale del sistema d’approvvigionamento indiano.
Recentemente però l’India ha cercato di ridurre le importazioni dall’Iran, che fornisce il 17% del petrolio importato ed è un partner strategico nella regione, allineandosi allo spirito delle sanzioni statunitensi ed europee che hanno colpito il settore energetico dell’Iran a causa dello sviluppo del programma nucleare. Di rilievo anche i rapporti con la Russia, tanto in termini di forniture quanto per la crescente cooperazione in ambito energetico, come dimostra la collaborazione nella costruzione dell’impianto nucleare di Kudankulam. Rilevanti sono inoltre i progetti nel settore del gas, risorsa che l’India importa oggi in forma liquefatta ed è destinata a guadagnare una quota crescente del mix energetico nazionale (attualmente al 7%). Progetto datato anni Novanta, ritornato in cima all’agenda regionale nella prospettiva di stabilizzazione del teatro afghano è il gasdotto che potrebbe giungere dal Turkmenistan attraverso Afghanistan e Pakistan. A questo si affianca il progetto di gasdotto che dal Myanmar arriverebbe in India passando dal Bangladesh. In entrambi i casi, tuttavia, è necessaria maggior stabilità regionale e il progressivo miglioramento delle relazioni con il Pakistan, con il Bangladesh, ricco di gas, e con il sud-est asiatico. Per garantire la propria sicurezza energetica nel lungo periodo, l’India sta inoltre sviluppando la produzione di energia nucleare. Oggi essa fornisce lo 0,7% dell’energia consumata e il 3% circa dell’elettricità, ma si stima che dovrebbe produrre il 25% dell’elettricità nel 2050. In quest’ottica, il paese ha concluso accordi bilaterali con numerosi paesi tra cui Stati Uniti, Francia, Russia, Kazakistan e Canada. La rapida crescita della popolazione e l’impetuoso sviluppo economico hanno avuto un impatto significativo sulle risorse naturali del paese: deforestazione, riduzione della biodiversità, degrado del suolo, inquinamento dell’acqua e dell’aria sono alcune delle sfide ambientali che l’India si trova ad affrontare. Il paese ha una legislazione ambientale avanzata che tuttavia non è adeguatamente attuata a livello federale e statale.
Difesa e sicurezza
L’esercito indiano, con 1.325.000 soldati attivi e 1.155.000 riservisti, è il terzo più grande al mondo, dopo quelli cinese e statunitense; tuttavia le forze armate sono male equipaggiate. La spesa per la difesa è pari al 2,5% del pil nazionale. I militari sono spesso impiegati in operazioni congiunte alle forze di polizia per contrastare i movimenti secessionisti, come quelli del nord-est del paese, e per monitorare i territori statali meno sicuri, come quelli del nord-ovest, lungo i confini pakistano e cinese. Il maggiore impegno militare indiano, infatti, è assorbito dal conflitto col Pakistan nella regione del Kashmir e dal terrorismo di matrice islamica proveniente dallo stesso paese confinante, dalle contese territoriali per l’Arunachal Pradesh e dalle rivolte interne dei maoisti naxalisti, che contano un gruppo armato di 6500 guerriglieri in vari stati indiani. A difesa delle frontiere esiste uno speciale corpo militare di confine, costituito da circa 210.000 soldati. L’esercito indiano è impiegato anche a supporto di numerose missioni internazionali. In particolare, sono 4249 i soldati facenti parte della missione Monuc nella Repubblica Democratica del Congo, 2600 nella missione Unmis in Sudan, 898 nella Unfil in Libano, 400 in Afghanistan, 195 nella Undof tra Siria e Israele. Sono invece una trentina gli osservatori internazionali impiegati nella missione Unmogip per monitorare il conflitto tra India e Pakistan. L’India è anche una grande potenza nucleare: si stima che possegga tra le 60 e le 80 testate atomiche e che produca missili nucleari di gittata di medio raggio. Nel 1974 è stato condotto il primo test nucleare indiano a cui ne sono seguiti molti altri. Il Pakistan, in risposta, ha avviato il proprio programma nucleare in corrispondenza del primo test atomico indiano e annuncia esercitazioni nucleari ogniqualvolta si svolgano degli esercizi militari indiani. L’ultima prova indiana risale al 22 dicembre 2010, giorno in cui è stato lanciato un missile terra-aria con gittata di 350 km, capace di trasportare testate nucleari. L’India non ha mai siglato il Trattato di non proliferazione nucleare né il Trattato di divieto dei test nucleari ed è prevedibile che non lo farà, se non a seguito dell’accettazione pakistana dei medesimi accordi. Tuttavia nel 2008 il paese ha firmato un accordo di cooperazione nucleare con gli Stati Uniti che, tra i vari punti, prevede anche la presenza di osservatori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Iaea) nei siti nucleari indiani e la fornitura, da parte statunitense, di tecnologia per la produzione nucleare civile.
L’Atto di indipendenza dell’India del 1947 sanciva che la regione del Kashmir fosse libera di decidere se rimanere indipendente o far parte di India o Pakistan. Il maharaja Hari Singh decise l’adesione alla prima in cambio di sostegno militare e della promessa di un successivo referendum popolare volto a ratificare tale scelta. Da allora il Kashmir è stato la causa di tre guerre tra India e Pakistan (nel 1947-48, nel 1965 e nel 1999), poiché entrambi gli stati ne rivendicano la sovranità: secondo Islamabad la regione doveva essere parte del Pakistan dal 1947, in quanto territorio a prevalenza musulmana, e i cittadini avrebbero avuto diritto al referendum. Nuova Delhi ribatte che l’Accordo di Simla del 1972 prevede una risoluzione del conflitto tramite un dialogo bilaterale e fa riferimento allo strumento di adesione firmato dal maharaja Singh nel 1947. La linea di demarcazione è oggi definita nei termini dell’Accordo di Simla seguito al secondo conflitto indo-pakistano e, dal luglio 1949, è controllata dal Gruppo degli osservatori militari delle Nazioni Unite (Unmogip), creato da una risoluzione del Consiglio di sicurezza. Essa divide la regione nello stato indiano di Jammu e Kashmir e nella zona dello ‘Azad’ Kashmir (‘libero’), amministrata dal Pakistan: il primo, nella parte sudorientale popolata da circa nove milioni di persone; il secondo, nella zona nord-occidentale, è popolato da circa tre milioni di persone. Una piccola parte del territorio è poi controllata dalla Cina, che gioca tuttavia un ruolo cruciale nella complessa rete degli equilibri regionali.
L’India, grande potenza in the making, guarda con attenzione diffidente alla Cina, cerca un’intesa con gli Usa purché questa non la condizioni troppo, rivisita i suoi vicini in chiave di rinnovata proiezione di potenza, riserva all’Europa uno spazio residuale, in cui la nostalgia dei sentimenti cede il passo alla percezione dell’irrilevanza. Per l’India la Cina rappresenta una sorta di vera ossessione. Due guerre perdute, problemi di frontiera irrisolti, uno sviluppo che tradisce ritardi cui l’attrattiva del ‘dividendo democratico’ pone solo in parte rimedio: tutto ciò aumenta la percezione in una parte significativa della dirigenza indiana che prima o poi la competizione dovrà cedere il passo a una nuova fase di scontro, per definire una volta per tutte le aree di rispettiva influenza. A tale atteggiamento corrisponde da parte cinese una forma di benevola indifferenza, quasi che l’altro gigante asiatico fosse sì un interlocutore necessario ma, tutto sommato, controllabile senza troppe difficoltà. Un mix del genere potrebbe apparire una ricetta sicura di instabilità, cui gli altri attori attuali e potenziali della regione – dal Giappone all’Australia, passando naturalmente per Mosca e Washington – avrebbero difficoltà a opporre alternative efficaci. Se non fosse per il fatto che ambedue sembrano avere deciso che – in questa fase almeno – la via della stabilità passi attraverso l’interrelazione economica. L’interscambio indo-cinese è passato in poco meno di un decennio da uno a 60 miliardi di dollari: si tratta di una relazione che – ancorché per ora squilibrata sul versante cinese – potrebbe mutare radicalmente qualità e termini del confronto e dare al concetto di stabilità un significato diverso. L’eredità della Conferenza di Bandung, il terzomondismo militante di Nehru, errori ed incomprensioni da ambo le parti hanno a lungo marcato i rapporti con gli Stati Uniti. Tuttavia, l’India ha ben presente che il suo sdoganamento definitivo come potenza di primo rango sulla scena mondiale non potrà avvenire che con il benestare di Washington e si è andata orientando di conseguenza. Gli Stati Uniti dal canto loro hanno corrisposto ritenendo – con un pizzico di ottimismo di troppo – che l’India possa diventare il perno di un diverso assetto multipolare nella regione in chiave di containment anti-cinese. Da qui prima la riammissione ad opera di Bush dell’India nel club dei paesi nucleari ‘responsabili’, togliendo gran parte del suo valore a quel Npt che era stato immaginato proprio come contromisura allo ‘strappo’ operato da Indira Gandhi con la scelta di dotarsi di un arsenale nucleare indipendente. Quindi l’impegno di Obama di appoggiare la candidatura indiana al posto di membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite: un impegno che fa compiere un salto di qualità a quella che rimane da sempre la stella polare della politica estera indiana, e la riprova della sua raggiunta grandezza (e che crea problemi seri ad alleati quali il Pakistan, così come al Coffee Club promosso dall’Italia). Gi Usa guardano all’India come a un nuovo importante alleato, cui proprio per questa ragione hanno fatto offerte importanti. L’India guarda agli Usa come a un partner, che con le sue aperture ha corretto delle ingiustizie prima perpetrate nei suoi confronti. È su questa ambiguità che il rapporto fra i due paesi continuerà a giocarsi nei prossimi anni, e non è detto che lo sarà con piena soddisfazione di Washington. L’India ha tradizionalmente rapporti problematici con tutti i suoi vicini. Non solo – certo – con il Pakistan, nei cui confronti la ferita richiederà almeno un’altra generazione perché possa rimarginarsi. Negli ultimi anni, la linea che aveva portato Nuova Delhi a trascurare i suoi interessi nell’area circostante è andata progressivamente mutando: si è avvicinata alle varie organizzazioni regionali esistenti ed avviato un negoziato con l’Asean. La ‘look East policy’ continua, con un vigore nuovo: la sua motivazione profonda è probabilmente sempre la Cina, ma le ricadute per il paese sono potenzialmente positive. L’Europa, infine. L’India ha difficoltà a capire, alla luce dei suoi condizionamenti storici, come un gruppo di paesi possa volontariamente rinunciare a quote crescenti della propria sovranità, in nome di un obiettivo comune diverso; soprattutto quando uno di questi sia l’antica potenza coloniale, che sotto molti aspetti esercita ancora un forte impatto psicologico sugli atteggiamenti del paese. L’Unione Europea appare quindi come un ircocervo incomprensibile, con il quale si deve convivere, ma che forse non deve essere preso troppo sul serio: l’India ha creato una ‘relazione strategica’ con l’Eu, ma preferisce di gran lunga trattare bilateralmente con i suoi membri. O almeno con quelli che ritiene utili ai suoi interessi. Un paese in forte crescita e convinto dei suoi mezzi. Un protagonista attivo della nuova trasversalità sud-sud del Bric. Un protagonista che si vuole porre sullo stesso piano delle grandi potenze esistenti, dando al termine ‘emergente’ la forza di obiettivo realizzato, e che vede nel seggio permanente delle Nazioni Unite la consacrazione di tale obiettivo raggiunto. Un paese che ha mezzi e, soprattutto, la forza trainante dell’ottimismo e della fiducia in sé stesso. Un limite? L’arroganza, che tante volte lo ha portato a sopravvalutare le proprie mosse e che potrebbe colpire ancora.
Il sistema delle caste ha origini antiche. Esso prevedeva che la società indiana fosse divisa in quattro gruppi: contadini, artigiani e mercanti, guerrieri, e infine bramini o sacerdoti; all’interno di tali categorie si sono poi formati numerosissimi sottogruppi. In fondo vi erano i senza casta o ‘intoccabili’ che generalmente svolgevano lavori considerati ‘impuri’. Nel tempo tale divisione divenne una rigida gerarchia ereditaria per cui ogni indiano nasceva e moriva all’interno di una certa casta. Tale sistema viene associato alla religione induista, sebbene le scritture vediche non sembrano contenere un riferimento esplicito a tale sistema discriminatorio. Oggi il sistema delle caste è formalmente abolito così come l’‘intoccabilità’ (art. 17 della Costituzione indiana) ma, secondo il Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione, i senza casta, che oggi sono spesso definiti come Dalit (‘oppressi’), sono di fatto ancora discriminati soprattutto nelle aree rurali e per quanto concerne l’accesso a luoghi di culto, ospedali, scuole e altri luoghi pubblici. Gandhi, padre dell’indipendenza indiana e sostenitore dell’emancipazione degli intoccabili, li chiamò harijan, ‘figli di Dio’.
Nel 2008 è stato approvato dal Congresso statunitense l’accordo in materia di cooperazione nucleare civile tra Stati Uniti e India. Esso prevede l’accesso per l’India alla tecnologia nucleare civile statunitense in cambio di ispezioni agli impianti nucleari civili indiani (non a quelli militari). L’accordo rappresenta una svolta decisiva della politica estera statunitense: se dopo i test nucleari indiani del 1974 gli Stati Uniti avevano ridotto la cooperazione con l’India in tale ambito, con il recente accordo essi permettono all’India di ampliare l’industria nucleare, sebbene essa non sia soggetta agli obblighi previsti dal Trattato di non proliferazione nucleare. Secondo i critici, tale aspetto può creare un pericoloso precedente per altri paesi che desiderino dotarsi di armamenti nucleari. Inoltre il Gruppo dei fornitori nucleari (Nsg), formato da un gruppo di paesi che possiedono la tecnologia nucleare e si sono posti dei vincoli circa l’esportazione di tale tecnologia, ha approvato la proposta statunitense per l’eliminazione delle restrizioni alle vendite in India.
Il 15 febbraio 2012, al largo della costa del Kerala, si verifica un incidente tra la petroliera italiana Enrica Lexie e il peschereccio indiano St. Antony. A bordo dell’Enrica Lexie viaggiano sei marò, incaricati di proteggere l’imbarcazione dagli assalti dei pirati. All’avvicinarsi del St. Antony, e convinti di trovarsi di fronte a un attacco pirata, i due marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre aprono il fuoco, uccidendo due membri dell’equipaggio del peschereccio, Ajesh Pinky e Selestian Valentine. Il 19 febbraio i due marò vengono arrestati in India con l’accusa di omicidio e trasferiti presso una guesthouse della polizia indiana in attesa di processo.
Da allora si è aperto un braccio di ferro diplomatico tra le cancellerie italiana e indiana, soprattutto sulla titolarità della giurisdizione. Secondo la diplomazia italiana, la petroliera si trovava a 33 miglia nautiche dalla costa, in acque internazionali, dando diritto ai due marò a un processo in Italia. Secondo l’accusa indiana, l’incidente si sarebbe invece verificato in acque indiane: il processo deve essere condotto in India. La perizia indiana ha provato, grazie ai dati del gps e alle immagini satellitari, che l’Enrica Lexie si trovava a 20,5 miglia nautiche dalla costa, in quella che il diritto marittimo internazionale definisce ‘zona contigua’, entro la quale è diritto di uno stato far valere la propria giurisdizione.
A complicare la situazione sono intervenute le espressioni di orgoglio nazionale che hanno risvegliato una mai sopita ‘paura colonialista’ nelle menti indiane e hanno prestato il fianco in Italia a un revival della retorica sull’onore nazionale. La vicenda rischia di turbare le proficue relazioni commerciali tra Roma e Nuova Delhi: nel 2011 gli scambi commerciali tra i due paesi hanno raggiunto i 7,5 miliardi di euro, con un incremento del 25% rispetto al 2010.