Vedi India dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
L’India, estesa sull’omonimo subcontinente asiatico, rappresenta la quinta economia mondiale per pil a parità di potere d’acquisto. Indipendente dal Regno Unito nel 1947, è una potenza a livello regionale e ha promosso l’associazione dell’Asia meridionale per la cooperazione regionale (Saarc), che comprende Afghanistan, Bangladesh, Bhutan, Maldive, Nepal, Pakistan e Sri Lanka. L’organizzazione si prefigge fini politici ed economici, ma ha anche un ruolo chiave nello stabilizzare l’area e, soprattutto, prevenire i contrasti con il Pakistan, storico avversario politico. I rapporti con Islamabad, segnati da conflitti che risalgono al periodo dell’indipendenza e legati anche alla contesa per il Kashmir, sono ripresi nel 2011 grazie all’intermediazione dell’allora Segretario di Stato statunitense Hillary Clinton. Gli incontri tra i rispettivi ministri degli Esteri, Somanahalli Mallaiah Krishna e Hina Rabbani Khar, non sono però riusciti ad approdare a soluzioni concrete. Nel 2013, l’elezione di Nawaz Sharif alla premiership pakistana potrebbe aprire la strada alla ripresa delle concertazioni.
In termini strategici, è cruciale il rapporto con la Cina e con l’Afghanistan. Se da una parte la frontiera fra India e Tibet è fonte di tensioni, la cooperazione fra la Cina e il Pakistan, che dipende dalla Cina per le forniture di armi e gli aiuti economico-militari, preoccupa Nuova Delhi. La presenza di truppe statunitensi in Afghanistan e la presenza talebana nel Pakistan costituiscono un deterrente per due paesi che si sono già scontrati tre volte dopo il 1947 (1965, 1971, 1999). La presenza in Afghanistan delle truppe di Nuova Delhi e Islamabad si rivela pertanto cruciale per questioni di sicurezza e di approvvigionamento energetico.
Nel 2008 è stato concluso un accordo di libero scambio con i membri dell’Associazione delle nazioni del Sudest asiatico (Asean), che al momento dell’accordo contavano per il 10% del commercio estero indiano. Di rilievo è poi il recente avvicinamento agli Usa. Le relazioni tra i due paesi sono state tradizionalmente fredde per i legami dell’India con l’Unione Sovietica. Ma l’interesse statunitense al contenimento dell’influenza cinese in Asia e il timore del vuoto di potere in Afghanistan successivo al completo ritiro delle truppe, hanno reso possibile un trattato di cooperazione in materia di nucleare civile nel 2008. L’accordo rappresenta una vittoria per la politica estera indiana in termini di legittimazione internazionale. Nello stesso anno, l’India ha firmato un’intesa simile anche con la Francia. Aderente al G20 ed esponente dei Bric, l’India è stata membro non permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nel biennio 2012-13 e ambisce a un seggio permanente nel quadro della riforma del Consiglio.
L’India è una repubblica parlamentare a struttura federale. Il parlamento bicamerale è composto da una camera bassa, Lok Sabha (Camera del popolo), i cui membri sono eletti a suffragio universale ogni cinque anni, e da una camera alta a elezione indiretta. Per la prima, la Costituzione prevede un massimo di 552 membri: fino a 530 rappresentano gli stati (28), fino a 20 rappresentano i territori dell’Unione (7), non più di due membri della comunità anglo-indiana sono nominati dal presidente se, a suo avviso, il gruppo non è adeguatamente rappresentato nella camera bassa. I rappresentanti della camera alta, Rajya Sabha (Camera degli stati), sono eletti dai legislativi dei rispettivi stati secondo quote basate sulla popolazione. Il primo ministro, che presiede l’esecutivo, è eletto dalla Lok Sabha mentre il presidente, che è a capo dello stato, è eletto ogni cinque anni da entrambe le camere. Le due principali forze politiche sono l’Indian national congress (Inc), partito laico di centro che ha presieduto il governo federale per i primi cinquant’anni di indipendenza, e il Bharatiya janata party (Bjp), partito nazionalista che ha governato dalla metà degli anni Novanta. L’Inc ha guidato la campagna per l’indipendenza del paese ed è rimasto forte, grazie alla capacità di superare le divisioni religiose, etniche e di casta. È legato alla famiglia Nerhu-Gandhi che mantiene la leadership del partito: oggi a capo vi è Sonia Gandhi. Il figlio, e designato erede politico, Rahul ha vinto un seggio alla Lok Sabha alle elezioni del 2009, ma, dopo il pessimo risultato elettorale alle parziali del dicembre 2013, il suo ruolo alle legislative del maggio 2014 sembra messo in discussione. A partire dalle elezioni del 2004 l’Indian national congress è tornato a guidare il paese, ponendosi a capo di una coalizione di forze politiche di centro-sinistra, la United progressive alliance, che ha modificato alcune politiche intraprese dal precedente governo, tra le quali la controversa legislazione antiterrorismo e la diffusione dell’ideologia nazionalista hindu nelle scuole statali. La coalizione ha però risentito dell’opposizione interna dell’alleato Communist party of India su alcuni aspetti economici, quali le privatizzazioni, e sull’accordo con gli Usa in materia di energia nucleare. I comunisti temevano che l’accordo avrebbe aumentato l’influenza statunitense sulla politica estera indiana. Le ultime elezioni, nell’aprile 2009, hanno confermato la coalizione United progressive alliance, trainata dall’Indian national congress, alla guida del paese, con Manmohan Singh ancora nel ruolo di primo ministro. Poiché l’età di 81 anni rende improbabile una riproposizione di Singh come premier, l’Inc ha bisogno di un nuovo candidato per le prossime elezioni. Ma la possibilità che Rahul Gandhi possa proporsi è ridotta, appunto, dai deludenti risultati politici e dalla mancanza di una personale convincente agenda politica. La continuità dinastica dei Gandhi, non scevra di lati oscuri, ha peraltro reso possibile il mantenimento di una struttura duale nella forza che guida la coalizione di governo: da un lato, il presidente del partito; dall’altro, il primo ministo. L’accordo fra le due parti è essenziale per i processi di policy making ad alto livello e, quindi, per l’intera struttura democratica indiana.
L’India, con più di 1,2 miliardi di abitanti, è il secondo paese più popoloso al mondo dopo la Cina. Nel 2030 gli abitanti del paese, metà dei quali hanno meno di 25 anni, potrebbero diventare 1,5 miliardi: la stima tiene conto non solo dell’aumento dell’aspettativa di vita e dei flussi di manodopera che l’India attira grazie alla sua crescita economica, ma anche del global warming, che potrebbe causare disastri naturali e conseguenti fenomeni di migrazione. Già nel 2007 le inondazioni in Bangladesh hanno costretto 5 milioni di profughi bengalesi a varcare irregolarmente il confine con l’India. Nel 2011 si è concluso il grande censimento nazionale avviato nell’anno precedente: ha coinvolto 2,5 milioni di ufficiali governativi e, per la prima volta dal 1931, ha tenuto conto anche della casta di appartenenza dei cittadini.
La popolazione indiana è decisamente eterogenea per lingua (sono 18 quelle ufficiali dell’unione e degli stati), religione e classe. Circa il 70% vive in zone rurali e solo il 30% in centri urbani. Le città sono caratterizzate da un’alta densità abitativa. Sono più di 40 quelle che superano il milione di abitanti: sette ne contano tra i 2 e i 5 milioni di abitanti, tre tra i 5 e i 10 milioni. Delhi e Mumbai sono le due città più popolose al mondo, con una popolazione compresa tra i 15 e i 20 milioni di abitanti. Sono inoltre più di 150 milioni gli indiani che abitano negli slum (baracche alla periferia dei grandi agglomerati urbani) e 8 milioni i senza tetto. Il sistema sanitario indiano sta progressivamente migliorando; tuttavia la spesa pubblica destinata a tale comparto è pari a solo il 4,1% del pil nazionale. Non a caso, la mortalità infantile è ancora alta. La diffusione delle malattie dipende dalle inadeguate condizioni igieniche in cui vive buona parte della popolazione e dalla contaminazione dell’acqua. L’istruzione sta sensibilmente migliorando, ma il 37% della popolazione adulta (sopra i 15 anni) è ancora analfabeta. Le università indiane, tuttavia, forniscono una preparazione riconosciuta a livello internazionale e, in particolare, sono specializzate nelle materie ingegneristiche. In questo campo, l’India registra ogni anno un alto numero di laureati: il tasso annuo è circa il doppio di quello dei laureati statunitensi nelle medesime discipline.
In base all’indice di democraticità stilato dall’Economist, il sistema politico indiano si situa al 38° posto su 167 paesi. Questo grazie agli elevati valori nelle categorie ‘processo elettorale e pluralismo’ e ‘libertà civili’, mentre si registrano ancora alcune carenze in riferimento a ‘partecipazione politica’ e ‘cultura politica’. L’efficienza dell’azione di governo è compromessa dalla corruzione diffusa e da intrecci tra criminalità e politica. Le elezioni del 2009, monitorate da una commissione elettorale indiana, sono state generalmente libere, sebbene si sospetti una sostanziosa compravendita di voti. I media sono prevalentemente privati. La Costituzione tutela la libertà di espressione, ma i giornalisti sono a volte vittime di intimidazioni e restrizioni, in particolare se affrontano i temi considerati di sicurezza nazionale. L’accesso a Internet è libero. Luogo di origine di religioni quali induismo, buddismo, giainismo, e sikhismo, l’India ospita numerose comunità religiose: secondo il censimento del 2001, gli hindu sono la maggioranza (80,5%), seguiti da musulmani (13,4%), cristiani (2,3%) e sikh (1,9%). Il successivo censimento del 2011, tuttavia, non riporta indicatori relativi al credo. Lo stato indiano si professa laico e la Costituzione prevede la libertà di culto; tuttavia, si sono verificati episodi di violenza e discriminazione che, in alcuni casi, rimangono impuniti. In India ogni anno migliaia di donne sono uccise o sono vittime di abusi domestici; si registrano numerosi casi di aborti selettivi per scartare le figlie femmine. Il governo ha adottato misure per combattere il fenomeno nel 2008. Il precario equilibrio tra laicità e tradizioni ancestrali risulta chiaro nella diatriba aperta sull’articolo 377 del codice penale indiano, che prevedeva l’ergastolo per relazioni fisiche fra due adulti del medesimo sesso. Nel 2009, l’alta corte di Nuova Delhi aveva depenalizzato il reato, ma la corte suprema ha annullato la sentenza nel 2013, rendendo nuovamente l’omosessualità un reato.
Secondo la Banca mondiale, l’India ha registrato tra il 2004 e il 2007 un tasso di crescita annuale del pil superiore o uguale al 7%. L’economia indiana ha tuttavia risentito degli effetti della crisi economica mondiale: nel 2008 la crescita è stata del 3,9%. Già dal 2009 ha però ripreso a crescere, tanto che per il 2010 è stato registrato un balzo in avanti del 10,5%. Il dato sembrava riportare l’India vicina ai livelli pre-crisi, ma il 2011 e il 2012 hanno registrato tassi ben più modesti: il 6,3% e il 3,2%. Nel 2013 la contrazione del settore manifatturiero ed estrattivo hanno ulteriormente rallentato la crescita. Nel 2012, i principali partner nelle esportazioni sono stati gli Usa (13,8%) e gli Emirati Arabi (9,9%) mentre, per le importazioni, la Cina (12,8%) ha preceduto ampiamente Washington (8,1%).
Le fasi alterne dell’economia indiana registrate da questi indicatori non costituiscono però uno specchio delle condizioni di vita della maggioranza della popolazione, ancora nella morsa della povertà. Questa situazione accomuna in parte l’India ad altri giganti quali Brasile, Cina e Russia, i cosiddetti Bric, che secondo la banca Goldman Sachs, nel 2050 saranno le maggiori potenze economiche.
La strada verso l’equilibrio e il consolidamento economico dell’India è dunque ancora lunga e passa attraverso lo sviluppo delle infrastrutture, la riduzione della corruzione, il miglioramento del sistema burocratico, la formazione in massa di lavoratori specializzati, il processo di privatizzazione, la riduzione dell’inflazione e del debito pubblico e il potenziamento del settore industriale. Quest’ultimo contribuisce solo per un quarto al pil nazionale, ma fornisce l’esempio più concreto delle potenzialità indiane con l’industria cinematografica, conosciuta in tutto il mondo come Bollywood, e con i centri informatici di cui Bangalore è campione a livello mondiale.
È tuttavia il settore terziario a costituire il maggiore traino per l’economia ed è l’outsourcing straniero a svolgere un ruolo di primo piano, poiché l’India detiene circa la metà del mercato mondiale con i suoi bassi costi di produzione. Il salario medio annuo di un professionista che lavora in India nel settore legale, per esempio, è di circa 8000 euro contro i 130.000 di un professionista statunitense.
La crescita del paese è legata agli investimenti esteri e, quindi, alla disponibilità globale di capitale. Il governo sostiene questo meccanismo stabilizzando la moneta, la rupia, attraverso una politica di acquisto di titoli del governo statunitense. I conseguenti problemi di inflazione interni vengono gestiti con una politica di sussidi mirati. L’insieme di questi fattori ha un impatto determinante per l’economia indiana e il governo ha un ruolo centrale nella loro gestione. Il controllo del debito nazionale è abbastanza differente per quel che riguarda le grandi corporation indiane, il cui tasso di indebitamento è esposto ai crescenti alti interessi del mercato globale.
Con un 5,9% dei consumi mondiali, l’India è stata nel 2012 il terzo utilizzatore mondiale di energia, dietro Cina e Usa. Sebbene anche la produzione di energia abbia fatto registrare un notevole incremento nel corso dell’ultimo quindicennio, non è riuscita però a tenere il passo con i consumi. Il livello di dipendenza dell’India dalle importazioni di materie prime è così progressivamente cresciuto.
Il mix energetico dell’India è dominato dal carbone, il cui utilizzo è in costante aumento dal 2000, assieme a quello della lignite. Si prevede che il trend si mantenga e ciò fa sì che le riserve indiane di combustibili fossili, pur essendo fra le maggiori su scala mondiale (7% nel 2011), potrebbero non soddisfare la domanda sul lungo periodo. Il problema dell’energia è tra i più importanti nel panorama politico. Attualmente, le proposte più quotate prevedono la concessione di condizioni più favorevoli per le aziende petrolifere, che negli anni si sono allontanate dal paese, e sostegni alla ricerca petrolifera, che sembra costituire l’unica alternativa valida per sostenere l’economia. Il greggio e il gas naturale provengono principalmente dall’importazione (rispettivamente, circa il 75% e il 25% del totale nel 2011), una dipendenza che negli anni si è fatta sempre più marcata.
Per garantirsi sul lungo periodo, l’India sta inoltre sviluppando la produzione di energia nucleare. Oggi l’atomo fornisce lo 0,7% dell’energia consumata e il 3% circa dell’elettricità, ma si stima che dovrebbe produrre il 25% dell’elettricità nel 2050. In quest’ottica, il paese ha concluso accordi bilaterali con numerosi paesi come Stati Uniti, Francia, Russia, Kazakistan e Canada. La rapida crescita della popolazione e l’impetuoso sviluppo economico hanno avuto un impatto significativo sulle risorse naturali del paese: deforestazione, riduzione della biodiversità, degrado del suolo, inquinamento dell’acqua e dell’aria costituiscono ormai vere emergenze. Il paese ha una legislazione ambientale avanzata che tuttavia non è adeguatamente attuata a livello federale e statale.
Con la Russia, già partner di forniture energetiche, è stata avviata una crescente cooperazione. I russi partecipano, per esempio, alla costruzione dell’impianto nucleare di Kudankulam. L’impianto, iniziato nel 2002, ha subito numerosi ritardi, dovuti anche ai movimenti di protesta contro l’energia nucleare, ed è stato completato soltanto nel luglio 2013.
Recentemente,l’India ha cercato di ridurre le importazioni dall’Iran, che è un partner strategico nella regione, allineandosi allo spirito delle sanzioni statunitensi ed europee. Teheran era il secondo fornitore petrolifero dell’India nel 2009 (14,9%) ed è passato ad essere il settimo nel 2012 (7,3%).
Rilevanti sono i progetti nel settore del gas, risorsa che l’India importa oggi in forma liquefatta ed è destinata a guadagnare una quota crescente del mix energetico nazionale. Progetto datato anni Novanta, ritornato prioritario nell’agenda regionale, nella prospettiva di stabilizzazione del teatro afghano, è il gasdotto che dal Turkmenistan dovrebbe attraversare Afghanistan e Pakistan. Tuttavia, le discussioni relative alle tasse di transito hanno bloccato il progetto per tutto il 2012 e la geopolitica della regione, segnata da problematiche irrisolte, sembra porre un serio veto. La parallela pipeline Iran-Pakistan-India affronta difficoltà simili. Il gasdotto che dal Myanmar arriverebbe in India passando dal Bangladesh, viene mantenuto vivo nelle concertazioni commerciali fra i paesi interessati. Ma l’accordo non sembra vicino. Per questi motivi, l’India ha optato nel 2003 per l’utilizzo di rigassificatori e per l’importazione di gas naturale liquefatto, principalmente dal Qatar. Tale situazione potrebbe mutare soltanto con una maggior stabilità regionale e il progressivo miglioramento delle relazioni con il Pakistan, con il Bangladesh, ricco di gas, e con il Sud-Est asiatico.
L’esercito indiano è il terzo più grande al mondo dopo quelli cinese e statunitense. La mancanza di potenze vicine che dispongano di una tale flotta da impiegare nell’Oceano Indiano, si associa a 5000 km di scudo missilistico a media gittata. Tuttavia, le carenze in termini di equipaggiamento ad alta tecnologia e il carattere obsoleto di alcuni sistemi chiave evidenziano punti deboli che non paiono sanabili nel breve periodo, anche perché il ministero della difesa intende ridurre progressivamente il budget della difesa.
D’altro canto, l’India deve affrontare una serie di minacce sui fronti esterno e interno. I militari sono spesso impiegati in operazioni congiunte alle forze di polizia per contrastare i movimenti secessionisti, come quelli del nordest del paese, oltre a monitorare i territori statali meno sicuri, come quelli del nord-ovest, lungo i confini pakistano e cinese. Uno tra i maggiori impegni militari indiani è affrontare il terrorismo di matrice islamica che ha le sue basi in Pakistan. A ciò si aggiungono le conte-se territoriali per l’Arunachal Pradesh e le rivolte interne dei maoisti naxalisti, che possono contare su un gruppo armato di 6500 guerriglieri in vari stati indiani.
A difesa delle frontiere esiste uno speciale corpo militare di confine, costituito da circa 210.000 soldati. L’India è anche una grande potenza nucleare: il primo test nucleare indiano è stato condotto nel 1974. Il Pakistan, la principale minaccia per l’India al di fuori dei suoi confini, ha avviato, come risposta, un proprio programma in corrispondenza di quello indiano e annuncia esercitazioni nucleari ogni volta che si svolgono esercitazioni in India. Nuova Delhi non ha mai siglato il trattato di non proliferazione nucleare né il trattato di divieto dei test nucleari ed è prevedibile che non lo farà, se non dopo l’accettazione pakistana dei medesimi accordi. Tuttavia nel 2008 il paese ha firmato un accordo di cooperazione nucleare con gli Stati Uniti che, tra i vari punti, prevede anche l’accoglimento di osservatori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Iaea) nei siti nucleari indiani e la fornitura, da parte statunitense, di tecnologia per la produzione nucleare civile. In questo senso, un fattore decisivo sembra essere sempre più la Cina, non soltanto per il conflitto in Tibet, occupato dalle truppe cinesi nel 1950, ma anche per la collaborazione militare che Pechino intrattiene con Islamabad.
L’Atto di indipendenza dell’India del 1947 sanciva che la regione del Kashmir fosse libera di decidere se rimanere indipendente o far parte di India o Pakistan. Il maharaja Hari Singh scelse l’adesione all’India in cambio di sostegno militare e della promessa di un successivo referendum popolare volto a ratificare tale scelta. Da allora il Kashmir ha provocato tre guerre tra India e Pakistan (nel 1947-48, nel 1965 e nel 1999), poiché entrambi gli stati ne rivendicano la sovranità. Secondo Islamabad la regione doveva essere parte del Pakistan dal 1947, in quanto territorio a prevalenza musulmana, e i cittadini avrebbero avuto diritto al referendum. Nuova Delhi è del parere che l’accordo di Simla del 1972 prevede una risoluzione del conflitto tramite un dialogo bilaterale e fa riferimento allo strumento di adesione firmato dal maharaja Singh nel 1947. La linea di demarcazione è oggi definita nei termini dell’accordo di Simla, seguito al secondo conflitto indo-pakistano. Dal luglio 1949, è controllata dal gruppo degli osservatori militari delle Nazioni Unite (UNMOGIP), creato da una risoluzione del Consiglio di sicurezza. La linea divide la regione nello stato indiano di Jammu e Kashmir e nella zona dello ‘Azad’ Kashmir (libero), amministrata dal Pakistan. Il primo, nella parte sudorientale, è popolato da circa nove milioni di persone; il secondo, nella zona nordoccidentale, è abitato da circa tre milioni di persone. Una piccola parte del territorio è poi controllata dalla Cina.
Il sistema delle caste ha origini antiche. Prevedeva che la società indiana fosse divisa in quattro gruppi: contadini, artigiani e mercanti, guerrieri, e infine bramini o sacerdoti. All’interno di tali categorie si sono poi formati numerosissimi sottogruppi. Alla base della piramide vi erano i senza casta o ‘intoccabili’ che generalmente svolgevano lavori considerati ‘impuri’. Nel tempo tale divisione divenne una rigida gerarchia ereditaria per cui ogni indiano nasceva e moriva all’interno di una certa casta. Tale sistema viene associato alla religione induista, sebbene le scritture vediche non sembrino contenere un riferimento esplicito a tale organizzazione sociale. Oggi il sistema delle caste è formalmente abolito così come l’‘intoccabilità’ (art. 17 della Costituzione indiana) ma, secondo il comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione, i senza casta, che oggi sono spesso definiti dalit (oppressi), sono di fatto ancora discriminati soprattutto nelle aree rurali e per quanto concerne l’accesso a luoghi di culto, ospedali, scuole e altri luoghi pubblici. Gandhi, padre dell’indipendenza indiana e sostenitore dell’emancipazione degli intoccabili, li chiamò harijan, ‘figli di Dio’.
Nell’ottobre 2013, India e Cina hanno firmato un accordo di cooperazione per la difesa frontaliera, che prevede misure standard per la prevenzione di escalation militari. La firma congiunta di Singh e Xi Jinping sanciscono le rispettive routine militari, come la possibilità di pattugliare apertamente la propria area di confine, e creano una linea diretta per permettere il dialogo in caso di incidenti. Il confine con il Tibet, regione sensibile per la Cina che la riconquistò nel 1950 strappandola al protettorato indiano, rappresenta un problema parallelo alla cooperazione militare e nucleare sino-pakistana. Il giorno della firma dell’accordo, le truppe di frontiera del Pakistan hanno aperto il fuoco ferendo alcuni militari indiani. Se Islamabad si serve di Pechino per rifornire la propria difesa, Nuova Delhi è invece legata a Mosca. Il negoziato indo-cinese è ancora lontano dal costituire un punto di svolta nell’area, ma indica la volontà di entrambi i paesi di evitare un deterioramento dei rapporti, specie per gli ottimi legami commerciali. Il cambiamento che si verrebbe a creare se si risolvessero le questioni tibetana e sino-pakistana, potrebbe mutare significativamente gli equilibri regionali.
Il 15 febbraio 2012, al largo della costa del Kerala, si è verificato un incidente tra la petroliera italiana Enrica Lexie e il peschereccio indiano St. Antony. A bordo dell’Enrica Lexie viaggiavano sei marò, incaricati di proteggere l’imbarcazione dagli assalti dei pirati. All’avvicinarsi del St. Antony, convinti di trovarsi di fronte a un attacco pirata, i due marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre aprirono il fuoco, uccidendo due uomini del peschereccio, Ajesh Pinky e Selestian Valentine. Il 19 febbraio i due marò furono arrestati in India con l’accusa di omicidio e trasferiti presso una guesthouse della polizia indiana. Secondo la diplomazia italiana, la petroliera si trovava a 33 miglia nautiche dalla costa, in acque internazionali, e ciò dà diritto ai due marò a un processo in Italia. Secondo l’accusa indiana, l’incidente si sarebbe invece verificato in acque indiane: il processo dev’essere per questo condotto in India. La perizia indiana ha provato, grazie ai dati del GPS e alle immagini satellitari, che l’Enrica Lexie si trovava a 20,5 miglia nautiche dalla costa, in quella che il diritto marittimo internazionale definisce ‘zona contigua’, entro la quale è diritto di uno stato far valere la propria giurisdizione. A complicare la situazione sono intervenute le espressioni di orgoglio nazionale che hanno risvegliato una mai sopita ‘paura colonialista’ in India e suscitato un revival della retorica sull’onore nazionale in Italia. Il ritorno a casa dei due marò per il Natale del 2012 prevedeva un ritorno entro il 10 gennaio, ma il ministro degli esteri, Giulio Terzi, annunciò nel marzo 2013 la decisione di giudicare in Italia i due militari conformemente al diritto internazionale. L’accusa di ‘tradimento’ da parte di Sonia Gandhi ha indotto il governo indiano a vietare l’uscita dal paese all’ambasciatore italiano. Pochi giorni dopo, il governo Monti ha ribaltato la decisione e, per fine mese, i due soldati sono rientrati in India. Il ministro Terzi si è dimesso per protesta .L’inchiesta indiana, da allora, procede a rilento e l’Italia non si rende disponibile a inviare altri militari in India in qualità di testimoni. Ha scelto viceversa la soluzione di una videoconferenza per le audizioni. Da parte indiana si è ribadito che i marò non verranno processati per pirateria e non rischieranno dunque la pena di morte.
La morte di una studentessa dell’Università di Nuova Delhi avvenuta a seguito di uno stupro di gruppo nel dicembre 2012, ha provocato sdegno e ira tra la società civile indiana. Nel paese del miracolo economico’ vigono ancora molte norme sociali, comportamenti e attitudini che contribuiscono al mantenimento di una cultura della violenza perpetuata contro le donne. Tale atteggiamento misogino affonda le radici nell’India feudale e patriarcale che ha sublimato come modelli femminili figure della mitologia hindu (quali Sitra e Savitri), le cui qualità consistono nell‘assoluta e cieca devozione ai propri mariti, alla morte dei quali esse dovrebbero immolarsi bruciando sulla pira (sati), rituale abolito ufficialmente da circa due secoli, ma che in qualche seppur raro contesto ha continuato ad essere praticato. D’altro canto, la comunità musulmana, che, seppure cospicua, si sente schiacciata numericamente dalla maggioranza hindu, rafforza la propria identità rendendo le donne veri e propri marcatori culturali, al punto da isolarle dalla sfera sociale (purdah) pur di preservarle da possibili ‘scandali’. Tale divisione etnico-religiosa tra le due principali comunità del paese comporta, tra l’altro, la mancata unione d’intenti tra i due rispettivi movimenti femminili, il cui sforzo verso obiettivi comuni è spesso vanificato da preoccupazioni di lealtà verso il gruppo d’appartenenza anziché verso l’acquisizione di diritti in quanto donne. La violenza contro le indiane inizia prima ancora della loro nascita: com’è noto, infatti, l’amniocentesi e altri esami concepiti per effettuare diagnosi prenatali vengono usati per disfarsi di feti femminili, riducendo in modo drastico la percentuale di neonate. Così le famiglie si liberano alla radice dell’onere di dover provvedere alla dote matrimoniale delle figlie. La dote, peraltro, divine ennesimo pretesto di violenza contro le spose, le quali sono vittime di ‘incidenti’ domestici, spesso architettati da mariti e suocere che intendono così ricattare la famiglia d’origine della donna onde ottenere una dote più cospicua; oppure, che vogliono liberarsi della sposa per impalmarne un’altra dotata di maggiori mezzi economici. Ad aggravare questa situazione si aggiunge la lenta e riluttante risposta delle autorità al problema della violenza; basti pensare che, nonostante il movimento femminista abbia posto la violenza come obiettivo primario di lotta fin dagli anni Settanta, solo nel 2005 il governo indiano ha promulgato una legge (Protection of women from domestic violence act) che finalmente prende una decisa posizione nei confronti delle violenze domestiche, tanto fisiche quanto psicologiche. E ciò, dopo che nel 2001 aveva emanato un altro provvedimento legislativo in cui, tra l’altro, si esprimeva a favore della donna maltrattata solo nei casi di ‘violenza prolungata’, concedendo al marito l’immunità qualora questi avesse reagito a ‘minacce nei propri confronti’. Tuttavia, la legge del 2005 è ancora insufficientemente implementata, per vari motivi, tra i quali spiccano l’insensibilità delle autorità di polizia cui le donne si recano per sporgere denuncia, e la complicità patriarcale dei medici addetti a riscontrare le prove di violenza fisica, i quali spesso si rifiutano di redigere il rapporto. Inoltre, la stragrande maggioranza delle donne, dopo il matrimonio, si reca a vivere nella casa maritale assieme ai suoceri; pertanto, anche nel caso in cui la donna trovi il coraggio di denunciare il marito e il tribunale lo allontani, la vittima rimane comunque esposta alla vendetta dei familiari acquisiti. Nel caso, invece, che sia lei ad andarsene, superando la paura dello stigma sociale per l’ ‘abbandono’ del tetto coniugale tornando a quello d’origine, si trova spesso esposta al biasimo della propria famiglia, perché la violenza domestica continua ad essere considerata un affare privato, da non denunciarsi in pubblico in quanto, paradossalmente, discredita e arreca disonore alla vittima e alla sua famiglia. Gli stessi limiti e contraddizioni sono ben presenti pure nella legislazione tesa a punire e arginare lo stupro, che non criminalizza, però, quello coniugale. Nonostante, infatti, le pressioni della società civile a seguito del luttuoso evento del dicembre 2012 abbiano portato a una revisione degli articoli del Codice penale riguardati lo stupro, l’Anti rape bill in vigore dall’aprile 2013, pur introducendo alcune importanti novità (quale, ad esempio, l’aumento di pena per alcuni reati a sfondo sessuale, per gli attacchi con acidi, per lo stalking e il voyeurismo) non penalizza il sesso non consensuale imposto alla moglie. Il giudizio critico con cui le associazioni per i diritti delle donne hanno accolto la nuova legge sembra purtroppo confermato da una raffica di stupri avvenuti in India proprio dopo la sua approvazione. Ciò conferma che, oltre alle leggi, deve radicalmente cambiare l’attitudine patriarcale nei confronti delle donne; al contempo, il governo indiano deve mantenere le proprie promesse realizzando il piano di aiuti economici e sociali per le vittime e le possibili vittime di odiosi crimini sessuali, promesso nel febbraio 2013 e mai avviato.