Imponente sistema montuoso, il più elevato della Terra con numerose cime oltre i 6000 m e alcune superiori agli 8000. Si sviluppa per 2400 km, con una larghezza media di 200-250 km, tra l’Indo a O e il Brahmaputra a E. Esteso per 600.000 km2, è politicamente diviso tra Pakistan, India, Cina, Nepal e Bhutan, mentre dal punto di vista fisico si distingue in Punjab H. (tra l’Indo e il Sutlej), Kumaun H. (tra il Sutlej e il Kali), Nepal H. (tra il Kali e il Tista) e Assam H. (tra il Tista e il Brahmaputra).
Secondo la teoria della tettonica a zolle, l’H. è il risultato della collisione di due placche continentali: quella indo-australiana e quella eurasiatica. A partire da un centinaio di milioni di anni fa, l’India si separò dal supercontinente di Gondwana, iniziando una migrazione verso N di circa 5000 km e portando alla progressiva chiusura della Tetide, mare compreso tra India ed Eurasia, e alla nascita dell’Oceano Indiano. Consumata tutta la litosfera oceanica, intorno ai 53 milioni di anni or sono, l’India entrò in collisione con l’arco magmatico formatosi lungo il bordo meridionale dell’Eurasia, mentre il contatto diretto tra le due masse continentali si ebbe a partire da 39 milioni di anni fa. Le tracce della chiusura della Tetide e dello scontro tra le due masse si ritrovano nelle alte valli dell’Indo e del Brahmaputra, lungo un allineamento di lembi ofiolitici denominato sutura Indo-Tsangpo; più a nord si estende il Transhimalaya, costituito dai relitti dell’arco vulcanico eurasiatico. Con la chiusura della Tetide iniziò il corrugamento delle rocce comprese tra i due continenti, costituite da litotipi sedimentari marini deposti sui margini continentali in un tempo compreso tra il Cambriano e l’Eocene inferiore. Si formarono, quindi, grandi superfici di sovrascorrimento con notevole trasporto tettonico verso S. I due principali accavallamenti sono detti rispettivamente Grande sovrascorrimento centrale e Grande sovrascorrimento marginale: il primo divide l’Alto H., a N, dal Basso H., a S; il secondo divide il Basso H. dalle colline del Subhimalaya, digradanti verso il Bassopiano Gangetico.
La fascia dell’Alto H. comprende, a S, una zona cristallina centrale costituita da rocce metamorfiche, su cui poggia, verso N, una zona sedimentaria detta Thetys H. in cui si trovano le maggiori cime: essa è costituita da formazioni sedimentarie fortemente piegate originatesi in mari poco profondi che, dal Cambriano all’Eocene medio orlavano verso N il continente indiano e nelle quali, durante il Terziario, si sono intruse masse magmatiche granitiche.
Il Basso H. è organizzato secondo una struttura a falde di ricoprimento: vi si distinguono una fascia di rocce metamorfiche e, sopra di queste, una serie di rocce sedimentarie (argille, arenarie, conglomerati) con intercalazioni calcareo-dolomitiche. Verso S il Basso H. è accavallato sulle colline subhimalaiane, costituite da depositi alluvionali ricchi di fauna fossilifera (‘molasse dei Siwalik’). L’accavallamento del Basso H. sul Subhimalaya è tuttora in corso, come testimoniano i frequenti terremoti. Le molasse dei Siwalik, invece, si starebbero accavallando sui depositi alluvionali del Quaternario ubicati ancora più a S, lungo il Grande sovrascorrimento frontale, così definito perché segna il limite meridionale del corrugamento himalaiano attraverso l’avampaese indiano. La spinta della massa indiana contro quella eurasiatica procede ancor oggi verso N alla velocità di 5 mm all’anno, provocando l’ulteriore sollevamento della catena e la deformazione dei retrostanti altipiani.
L’H. è caratterizzato da una morfologia fortemente asimmetrica, con ripidi versanti lungo il bordo meridionale e pendii più dolci verso N. Le masse montuose sono interrotte da ampie e lunghe valli contrassegnate da profonde gole e tronchi ripidi (con frequenti salti d’acqua). Al suo interno, procedendo da N a S, si riconoscono tre catene parallele principali: la zona dei Siwalik (o Subhimalaya), con altitudine media di 1300 m, il Basso H., con cime che raggiungono i 4000-5000 m (Pir Panjal, 4743), e il Grande H., alto in media 6000 m, nel quale si trovano le vette più elevate della terra: Everest (8950 m), Kanchenjunga (8586), Lhotse (8501), Makalu (8481), Dhaulagiri (8172), Nanga Parbat (8126), Manaslu (8156), Annapurna (8091).
L’H. esercita una forte influenza sul clima dell’India e del Tibet, poiché impedisce al monsone invernale freddo e secco proveniente dalla Siberia di raggiungere l’India e, nel contempo, forma una barriera nei confronti del monsone estivo caldo e umido che spira verso N dal Golfo del Bengala; inoltre, arresta le perturbazioni provenienti da O in modo da scaricare l’umidità sulle catene iraniane e afghane, nel Kashmir, nel Punjab e in altre aree indiane, ma non nel Tibet e nell’Asia centrale in genere. Ne consegue che le precipitazioni sono più abbondanti sui versanti meridionali (dai 1000-1500 mm del Nepal occidentale ai 2000-2500 di quello orientale e fino ai 5000-6000 del Bhutan), mentre nei fondovalle e sui versanti settentrionali il clima diviene più asciutto, per lo più con piogge scarsissime. Ciò influenza pure il limite delle nevi persistenti, che è più basso (4200-5500 m) nei versanti esposti a S e più elevato (5400-5800 m) in quelli rivolti a N. La vegetazione varia da O a E ed è distribuita secondo la piovosità e la quota in fasce ben definite: fino a 1000 m prevale un clima di tipo tropicale, con piante xerofile, che lasciano il posto, nelle aree più umide, alle foreste caducifoglie di Shorea robusta; dai 1000 ai 2500 m il clima è temperato fresco e prevalgono le foreste di conifere (prevalentemente Pinus longifolia) e, nei versanti più umidi, di castagni (Castanopsis indica), querce, noci ed epifite; a quote superiori (fino a 3300-3500 m) il clima è di tipo subnivale e predominano le conifere (abeti, cedri dell’H., pini), spesso sostituite da betulle; fra i 3000 e i 5000 m il clima assume caratteri alpini e la vegetazione è rappresentata soprattutto da Juniperus wallichiana e Carangana spinosa, che si spingono fino al limite delle nevi persistenti.
I caratteri morfologici e l’elevata altitudine dell’H. consentono, nonostante la latitudine tropicale, l’esistenza di numerosi ed estesi ghiacciai, che si spingono a valle fino a 2500 m s.l.m., molto al di sotto del limite delle nevi persistenti: tra i maggiori, lo Zemu (lungo 27 km) e il Kanchenjunga (22 km) nel Sikkim; il Gangotri (da cui nasce il Gange, 26 km) nel Kumaon; il Durung nel Kashmir, il Khumbu nella regione dell’Everest. Il sistema glaciale alimenta una fitta rete di corsi d’acqua che si articola in due sistemi idrografici: quello occidentale, formato dai numerosi fiumi che costituiscono l’ampio bacino dell’Indo (tra cui il Jhelum e il Sutlej), e quello orientale e meridionale, che convoglia le acque delle valli del Gange e del Brahmaputra. L’innalzamento della temperatura registrato dagli ultimi decenni del Novecento ha portato allo scioglimento e al rapido arretramento dei ghiacci causando una diminuzione delle portate dei fiumi. I laghi sono numerosi, ma tutti di dimensioni modeste e situati quasi tutti a quote inferiori ai 5000 m; il maggiore è il Pangong tso, lungo 134 km e largo 8, ubicato a 4600 m s.l.m. lungo il confine tra India e Cina (Tibet).
In tutta la regione himalaiana la densità di popolazione è molto bassa e gli insediamenti sono costituiti da piccoli villaggi che nel versante meridionale arrivano all’altitudine di 4000 metri. L’agricoltura, assai povera, è praticata solo in esigue fasce di fondovalle e produce in prevalenza cereali, patate e frutta; l’allevamento dei caprini, degli ovini e dello yak può contare su pascoli, invero assai magri, soprattutto nel versante tibetano. Le risorse minerarie (carbone, ferro, rame, bauxite) sono diffusamente presenti, ma la difficoltà dei trasporti ne ha sempre limitato l’utilizzazione.
Tra i viaggiatori e missionari che ebbero notizia della regione himalaiana o ne visitarono alcune parti merita di essere ricordato il gesuita pistoiese I. Desideri, che negli anni 1715-21 compì un lungo viaggio dall’India al Tibet, lasciandone una interessante relazione. Poco dopo aveva inizio la moderna esplorazione, anche a scopo cartografico, con il francese J.-B. Bourguignon d’Arville; ma una sistematica ricognizione si ebbe solo dal secolo seguente, dapprima per opera di singoli viaggiatori britannici, poi grazie all’imponente attività del Servizio trigonometrico e del Servizio geologico dell’India, che portò a una conoscenza discretamente approfondita dei lineamenti geografici della regione.
Alla fine del 19° sec. ebbe inizio pure l’esplorazione alpinistica, volta a raggiungere le principali vette, cui parteciparono spesso anche scienziati. Dopo molti, e talora tragici, tentativi, ormai le cime più importanti sono state conquistate: il Nanda Devi fu scalato nel 1936 dalla spedizione anglo-americana di H.W. Tilman; l’Annapurna fu raggiunto nel 1950 dai francesi M. Herzog e L. Lachenal; nel 1953 il tirolese H. Bühl salì da solo alla cima del Nanga Parbat. A tali imprese seguì quella del neozelandese E. Hillary e della guida nepalese N. Tensing (membri della spedizione britannica diretta da J. Hunt), che per primi riuscirono, il 29 maggio 1953, a compiere l’ascensione dell’Everest (salendo dal versante meridionale). L’anno dopo una spedizione austriaca, guidata da H. Tichy, conquistò il Cho Oyu, mentre il Makalu e il Kanchenjunga furono raggiunti nel 1955, rispettivamente, da una spedizione britannica e da una francese; nel 1956 il Lhotse fu scalato da una spedizione svizzera guidata da A. Eggler, mentre, nello stesso anno, il Manaslu fu raggiunto dai giapponesi di una missione diretta da Y. Maki; nel 1960 il Dhaulagiri fu conquistato da due studenti che facevano parte di una spedizione svizzera guidata da M. Eiselin; nel 1964, infine, una spedizione cinese guidata da H. King conquistò il Gosainthan, ultima vetta superiore agli 8000 m rimasta fino allora inviolata.