Il periodo più recente della storia geologica della Terra, caratterizzato dalle modificazioni climatiche e dalle connesse e alterne fasi di espansione e ritiro dei ghiacci che ha subito il pianeta. Durante tale periodo, inoltre, si è andata delineando la linea evolutiva che ha portato allo sviluppo dell’uomo moderno. Le vicende geologiche, climatiche e biologiche del Q. sono diverse da regione a regione e interessano non solo geologi e paleontologi, ma anche geografi, biologi e antropologi.
Il termine Q. fu introdotto per primo dal francese S. Desnoyers nel 1829 e da allora numerose questioni sono rimaste ancora aperte, da quella della stessa terminologia a quella della sua pertinenza al Cenozoico o a un’era distinta (il Neozoico), e alla sua suddivisione in due periodi, il Pleistocene e l’Olocene, che per alcuni non è giustificata.
Sull’età complessiva del Q. sono stati indicati, a più riprese, valori diversi, anche se sembra ormai accettato che il limite Pliocene-Pleistocene sia posto a 1,65 milioni di anni e che lo stratotipo di riferimento sia la sezione di Vrica in Calabria. Lungo questo limite è stato riconosciuto un raffreddamento climatico e si è riscontrato un arricchimento dell’O18 in alcune carote prelevate nei fondali oceanici. Da un punto di vista magnetometrico il limite Pliocene-Pleistocene coincide con il tetto dell’evento di Olduvai, datato a 1,66 milioni di anni. Resta tuttavia ancora la definizione ufficiale dei piani del Pleistocene e dei loro limiti, non ancora formalmente definiti dalla International Commission on Stratigraphy.
Nel Mediterraneo, sulla base degli sviluppi della biostratigrafia e della biocronologia dei Foraminiferi e del nannoplancton calcareo, è stato proposto uno schema cronostratigrafico (v. fig.) che prevede un piano, il Selinuntiano, con tre sottopiani, Santerniano (Calabriano Auctt.), Emiliano, Siciliano, per il Pleistocene inferire; un piano, Crotoniano, per il Pleistocene medio; un piano, Tirreniano, per il Pleistocene superiore e un piano, Versiliano (Flandriano), per l’Olocene.
I mutamenti climatici rimangono il tema di maggior interesse del Q., poiché hanno provocato da una parte fasi di espansione e ritiro dei ghiacci e dall’altra fasi di abbassamento e sollevamento del livello marino. Inoltre faune, flore e ambienti a tutte le latitudini hanno subito profonde trasformazioni in conseguenza di tali mutamenti, per cui il volto odierno della superficie terrestre è in parte un’eredità delle vicende del Pleistocene. I dati ricavati dai sedimenti carotati negli oceani e dagli studi sui loess europei e asiatici, indicano non meno di 17 cicli glaciali negli ultimi 1,6 milioni di anni, molti di più delle 4 (in seguito ne sono state riconosciute 6) glaciazioni del classico modello alpino di Penck e Brückner. Le datazioni radiometriche dimostrano una sostanziale contemporaneità dell’ultima glaciazione, con acme a 18.000-20.000 anni fa, nell’emisfero settentrionale (Wurm, nelle Alpi; Weichsel, Nord Europa; Devesian, Isole Britanniche; Valdai, Russia; Wisconsin, Nord America), ma è ancora un problema aperto quello della simultaneità degli eventi glaciali nei due emisferi e nelle zone di montagna.
Il limite dell’Olocene, 10.000 anni fa, si colloca fra il massimo freddo dell’ultima glaciazione e l’optimum post glaciale, posto a circa 7000 anni fa. Le principali fasi climatiche riconosciute nell’Olocene sono: un periodo caldo dal 4000 al 2000 a.C.; un periodo freddo dal 1000 o 900 al 300 a.C.; un periodo caldo medievale tra l’800 e il 1200 d.C.; un periodo freddo (Piccola età glaciale) tra il 1400 e il 1850; un periodo caldo a partire dal 1850 con un raffreddamento tra il 1962 e il 1985 circa. Riguardo alle cause dei cambiamenti climatici è stato ormai provato ampiamente, partendo dall’ipotesi iniziale formulata da M. Milankovič negli anni 1920-30, che esse dipendono da fattori astronomici e in particolare dalle variazioni dell’eccentricità dell’orbita terrestre e dell’inclinazione e orientazione del suo asse di rotazione. La concomitante azione di questi processi ha fatto sì che il volume dei ghiacci negli ultimi 800.000 anni raggiungesse un massimo ogni 100.000 anni circa, diminuendo poi bruscamente e passando, nel giro di qualche migliaio di anni, da una fase glaciale a una interglaciale.
Gli studi hanno comunque messo in evidenza che a determinare le oscillazioni climatiche concorrono anche altri sistemi, quali quelli oceanico e atmosferico. A riprova di ciò, basti considerare l’influenza del mare e più in generale della circolazione oceanica sul clima, iniziando dalla fine dell’ultima glaciazione, influenza che sicuramente si è ripetuta più volte durante le fasi glaciali e interglaciali precedenti. A partire da 18.000 anni fa, il mare è risalito da 120 m circa, massimo abbassamento raggiunto durante l’ultima glaciazione, fino al livello odierno, con tassi di sollevamento che sono stati superiori ai 10 mm/anno tra 18.000 e 10.000 anni fa; tra 5 e 10 mm/anno tra 10.000 e 7000 anni fa; intorno ai 2,5 mm/anno tra 7000 e 3000 anni fa e meno di 1 mm/anno negli ultimi 3000 anni. Questa tendenza alla diminuzione sembra essersi attualmente invertita, essendo stati calcolati tassi di sollevamento compresi tra 1 e 1,5 mm/anno. Questo processo ha influito decisamente sul clima, sull’evoluzione e sulla migrazione delle flore e delle faune e sull’uomo e ha costituito il livello di riferimento per la costruzione degli attuali paesaggi morfologici e per la delimitazione degli attuali bordi dei continenti, in precedenza collegati e ora separati da estesi bracci di mare.
Fauna e flora, grazie appunto al breve lasso di tempo geologico trascorso, sono ben conservate, numerose e complete rispetto alle ere precedenti. Nei Molluschi continentali si assiste alla sostituzione di parte delle forme già presenti nel Pliocene con nuovi organismi ambientati a condizioni climatiche più fredde; nei Molluschi marini dell’area mediterranea si assiste, nel Pleistocene inferiore, alla comparsa dei cosiddetti ospiti nordici, i quali scompaiono nel Pleistocene medio e ricompaiono con notevole frequenza nel Pleistocene superiore. A partire dal Tirreniano, nel Mediterraneo fanno la loro comparsa le faune calde senegalesi che hanno in Strombus bubonius il loro rappresentante classico. Per quanto riguarda le microfaune marine, fra i nannofossili assume importanza la comparsa di Gephyrocapsa oceanica, un ospite nordico, rinvenuto nel bacino mediterraneo, mentre tra i Foraminiferi planctonici diventano abbondanti le forme di acqua fredda. Le faune a Mammiferi, sempre in relazione ai cambiamenti climatici, hanno subito diversi mutamenti e con l’inizio del Pleistocene presentano un marcato rinnovamento, con la comparsa e la diffusione di molte nuove forme. Nel Pleistocene medio, tra le faune a Mammiferi se ne estinguono diverse e ne compaiono di nuove, spesso immigrate dall’Asia. Con la fine del Pleistocene medio e nel Pleistocene superiore, le mammalofaune diventano sempre più attuali; nuove forme si adattano al clima temperato e freddo e si assiste a uno spostamento sia latitudinale sia altitudinale di forme boreali o alpine.
Per quanto riguarda la flora, con il deterioramento climatico dell’inizio del Pleistocene si estingue un certo numero di generi terziari e nell’Europa si diffonde, durante le espansioni glaciali, una flora povera, prevalentemente erbacea, di ambiente di tundra o di steppa. Con l’inizio della deglaciazione le condizioni ambientali cambiano e si diffondono delle essenze di ambiente steppico, che indicano nel complesso l’instaurarsi di condizioni ambientali climatiche temperate.
In regioni di sollevamento recente come l’Italia, durante il Q. si sono manifestati fenomeni di neotettonica e vulcanici che rivestono una importanza fondamentale agli effetti della stabilità richiesta per l’insediamento e le attività dell’uomo. A questo c’è da aggiungere l’enorme importanza che i depositi pleistocenici rivestono per l’utilizzo del terreno agricolo, per lo sfruttamento delle risorse idriche e per la ricerca e coltivazione di cave di materiali utili all’industria edilizia e di giacimenti minerari.