Massa d’acqua che circonda la terraferma e ricopre gran parte della superficie terrestre. In senso stretto, si indicano con il termine oceano gli spazi acquei più vasti e si chiamano m. distese acquee minori che, dipendendo da uno o più oceani, si differenziano da questi per caratteristiche proprie (morfologiche, batimetriche ecc.).
Il termine m. si accompagna con opportune determinazioni: Mare Caribico; Mar Giallo; Mar Mediterraneo, a sua volta suddiviso in più mari (Mare Adriatico, Mar Tirreno ecc.). La differenziazione di questi m. è più o meno marcata secondo l’estensione della zona di contatto con l’oceano da cui esso dipende. Se la zona di contatto è molto ampia, la differenziazione è poco netta: è il caso dei m. periferici (per es., il M. del Giappone), nei quali l’elemento di separazione è costituito da un cordone di isole, e dei m. marginali, caratterizzati dalla mancanza di un qualunque elemento di separazione con l’oceano aperto. I m. marginali del passato geologico (m. epicontinentali) erano molto estesi, occupavano vastissime aree e avevano scarsa profondità. Oggi m. di questo tipo si trovano solo in alcune aree geografiche: Mare del Nord, Mar Baltico, Golfo Persico, Mar Giallo, Mar della Sonda.
Spiccatissima è invece l’individualità dei m. che comunicano con l’oceano attraverso stretti passaggi (m. interni); tra questi particolare importanza hanno i quattro m. mediterranei (Mar Glaciale Artico, Mediterraneo, Mediterraneo americano, Mediterraneo australasiatico). Non si fa invece alcuna distinzione tra m. e oceano quando si studiano sia i caratteri fisico-chimici sia i caratteri biologici, e i fenomeni che hanno il loro svolgimento nell’ambiente marino in genere: di tali studi si occupa l’oceanografia.
Nell’uso comune, ma non in quello scientifico, si definiscono m. anche zone oceaniche senza caratteristiche proprie: si tratta in tali casi di pure denominazioni geografiche (per es. il Mare Arabico). Lo stesso si dica del Mar Caspio e del Mar Morto che, non comunicando con l’oceano, si dovrebbero chiamare più propriamente laghi.
Nel diritto internazionale classico, il m. era tradizionalmente suddiviso in un’area sottoposta alla sovranità dello Stato costiero (m. territoriale) e in un’area in cui vige il principio della libertà d’uso per tutti gli Stati (alto m.). Un regime giuridico più articolato è stabilito dalla Convenzione di Montego Bay sul diritto del m. del 10 dicembre 1982 (entrata in vigore nel 1994), che ha sostituito, nei rapporti fra gli Stati contraenti, le precedenti Convenzioni di Ginevra del 1958 sul m. territoriale e la zona contigua, sull’alto m., sulla piattaforma continentale e sulla pesca.
Nella Convenzione di Montego Bay, gli spazi marini oggetto di regolamentazione comprendono, oltre al m. territoriale e alle acque internazionali (o alto m.), la zona contigua, la piattaforma continentale, la zona economica esclusiva e i fondi marini internazionali (Patrimonio comune dell’umanità).
M. territoriale. - Il m. territoriale è definito come la striscia di m. adiacente le coste dello Stato. Esso include le baie e i golfi. Le isole (distese naturali di terra circondate dalle acque che restano scoperte ad alta marea) hanno un proprio m. territoriale. Il limite massimo di estensione (o limite esterno) del m. territoriale è di 12 miglia marine, misurate a partire da una linea di base che costituisce il cosiddetto limite interno. Le acque che si trovano fra la terraferma e il limite interno sono denominate acque interne.
La linea di base dalla quale si misura la larghezza del m. territoriale è normalmente la linea di bassa marea lungo la costa; a tale regola si può derogare in presenza di coste frastagliate, ricorrendo al sistema delle linee rette, che consiste nell’unire, mediante una linea retta, i punti di sporgenza della costa (inclusi gli scogli e le estremità delle isole adiacenti). Se due Stati si fronteggiano al di sotto del limite delle 12 miglia, la delimitazione del rispettivo m. territoriale avverrà sulla base di criteri di equidistanza, salvo contrario accordo tra le parti o l’esistenza di titoli storici o di altre circostanze speciali.
Sul m. territoriale si irradia la sovranità dello Stato (Territorio. Diritto internazionale); pertanto, nel m. territoriale lo Stato costiero esercita gli stessi poteri che esercita sul proprio territorio. Esso è però tenuto a consentire il passaggio nel proprio m. territoriale delle navi mercantili e da guerra straniere e dei sottomarini (che devono navigare in superficie), purché il loro passaggio non arrechi pregiudizio alla pace, al buon ordine e alla sicurezza dello Stato costiero (diritto di passaggio inoffensivo). Inoltre, lo Stato costiero non può esercitare la propria giurisdizione civile e penale per fatti commessi a bordo di navi straniere. In corrispondenza del m. territoriale, la sovranità dello Stato costiero si estende allo spazio aereo sovrastante, al fondo del m. e al relativo sottosuolo.
Alto mare. - Lo spazio marino che si estende oltre il m. territoriale, nonché le acque sovrastanti la piattaforma continentale e quelle della zona economica esclusiva, sono definiti alto m., o acque internazionali. In questa zona marina trova ancora applicazione il principio della libertà dei mari, che comporta il riconoscimento a ciascuno Stato, sia costiero sia privo di litorale, di un uguale diritto di compiere attività di navigazione, sorvolo, posa di cavi, costruzione di isole e installazioni artificiali, pesca, ricerca scientifica, a condizione che siano rispettati gli interessi degli altri Stati.
In caso di sinistro marittimo avvenuto in alto m., lo Stato direttamente e gravemente minacciato dal conseguente inquinamento ha il diritto di adottare le misure necessarie a fronteggiare l’evento. A questo diritto fa riscontro l’obbligo di tutelare e preservare in alto m. l’ambiente marino. L’alto m. deve essere riservato a scopi pacifici e nessuno Stato può pretendere di assoggettarne alcuna parte alla sua sovranità. Ogni Stato esercita la sua giurisdizione solo sulle navi battenti la propria bandiera. Tuttavia, uno Stato può abbordare ed eventualmente catturare navi straniere impegnate in atti di pirateria, tratta di schiavi o trasmissioni abusive, o inseguire e catturare navi sospettate di aver violato le proprie leggi e regolamenti negli spazi marini soggetti alla sua sovranità.
Le navi da guerra possono eseguire in alto m. attività operative (quali esercitazioni combinate con aeromobili, raccolta di informazioni, prove di armi, lancio di ordigni esplosivi da aeromobili in situazioni di necessità), nel rispetto dei diritti degli altri Stati.
L’esplorazione e lo sfruttamento delle risorse del m., per i quali la tecnologia produce strumenti sempre più efficaci, assumono caratteristiche diverse a seconda che riguardino il m. profondo o la fascia marina costiera. Il m. profondo assume, sotto tale punto di vista, un significato piuttosto lato: comprende spazi della piattaforma continentale e spazi esterni, fino a interessare l’alto mare. È uno spazio di esplorazione, di ricerca scientifica e di sfruttamento minerario: sede del cosiddetto offshore oceanico, cioè di una variegata coorte di impianti e di strutture di cui le piattaforme di estrazione del petrolio costituiscono le avanguardie.
Gli spazi marini costieri si prestano a sfruttamento soprattutto se protetti dagli ampi movimenti del m. e dai venti forti. Le piattaforme sorte innanzi a città litoranee giapponesi (per es. nelle baie di Kobe e di Yokohama) costituiscono casi significativi: vi sono accolte strutture portuali, impianti industriali, attività commerciali, residenze, che ne fanno una vera e propria sezione urbana edificata in mare. A mano a mano che le tecnologie progrediscono, questi modelli si affinano e si diffondono. In certe regioni litoranee si avanza verso il m., sfruttandolo integralmente (esemplare il caso di Dubai negli Emirati Arabi Uniti): residenze e impianti offshore sulla superficie; parchi sottomarini, piscicoltura e altre attività economico-ecologiche negli strati superficiali; cavi e condotte sul fondo; e così via. Si è costruita in tal modo la regione marittimo-litoranea, disposta su terra e m. e supportata da tecnologie molto avanzate.
Il m. offre tre campi fondamentali di risorse: minerarie, energetiche e biologiche.
Risorse minerarie. - Nello sfruttamento minerario dei m., del fondo e del sottofondo, si possono identificare tre fasi storiche. La prima è quella tradizionale, l’unica possibile fino agli anni 1960, caratterizzata dall’estrazione di materie prime contenute nelle acque marine: il cloruro di sodio, il magnesio e il bromo.
La seconda fase è caratterizzata dall’estrazione sistematica, su scala industriale, di idrocarburi dal sottofondo dell’oceano: questo tipo di attività (offshore) prese avvio nella piattaforma continentale, dunque in siti profondi non più di 200 m; a inizio anni 1970 ci si è spinti fino a 450 m; a metà del decennio fino a 1000 m nello spazio marino thailandese; all’inizio degli anni 1980 si sono sfiorati 1500 m al largo di Terranova. Nel 1980 soltanto due pozzi, presso la California e nel Golfo del Messico, erano operativi in punti profondi poco più di 200 m. Nel ventennio 1960-80 furono scoperti più di 200 giacimenti, lungo le coste americane, nel Mare del Nord, nel Mediterraneo, nel Golfo Persico e così via.
La terza fase (batimineraria) è costituita dallo sfruttamento del fondo dell’oceano e da quello sistematico del sottofondo, già avviato con l’estrazione degli idrocarburi. È noto che la piattaforma continentale è ricca di carbone, stagno, titanio, diamante ecc.; tali giacimenti sono sfruttati solo in un numero ristretto di casi. Superato il bordo esterno della piattaforma, nella scarpata continentale, sono presenti depositi di fosfati, non ancora sfruttati, ma che rappresentano una risorsa potenziale di grande interesse per l’industria dei fertilizzanti. Appena l’inclinazione si fa dolce e si perviene alla rampa continentale, si entra in un dominio (meno noto di quello delle fasce meno profonde) piuttosto diverso di risorse: idrocarburi, liquidi e gassosi, oltre ai solfuri. Dalla metà degli anni 1960 si è intravista l’esistenza di depositi di minerali sul fondo e di giacimenti nel sottofondo, al di là della piattaforma continentale: per es., tra il 1964 e il 1966 si constatò che sul fondo del Mar Rosso erano depositati, per sedimentazione, minerali di zinco, di oro, di piombo e di rame, per citare i più importanti. Subito dopo, le ricerche si moltiplicarono: i Sovietici trovarono cromite sul fondo dell’Oceano Indiano; al largo delle coste texane le ricerche statunitensi individuarono preziosi giacimenti di zirconio, di titanio e di altri metalli e così via. Nel frattempo si estendevano le ricerche di idrocarburi, focalizzate su aree oceaniche contraddistinte da intensa mineralizzazione e metallogenesi. Fra le ricerche, singolare rilievo hanno assunto quelle sui noduli polimetallici che, con dimensioni di alcuni centimetri e disposti in strati di qualche metro di spessore, contengono almeno 5 metalli: manganese, rame, nichel, cobalto e molibdeno; coprono circa il 15% dei fondi oceanici del pianeta; si trovano in estese formazioni, soprattutto nei fondali compresi tra 4000 e 6000 m; l’Oceano Pacifico ne è particolarmente ricco, soprattutto nella sezione boreale. Sono stati identificati anche depositi di solfuri polimetallici: si tratta di corpi contenenti rame e altri metalli in concentrazioni particolarmente elevate. Il primo di questi depositi è stato rilevato nel 1978 in acque profonde nel Pacifico orientale da un sottomarino di una spedizione statunitense-francese-messicana; altri depositi sono stati scoperti successivamente nelle Galápagos (oltre 25 milioni di t di polisolfuri contenenti il 10% di rame, oltre a concentrazioni minori di argento, zinco e vanadio), nella dorsale di Juan de Fuca al largo delle coste occidentali degli USA (polisolfuri molto ricchi di zinco) e nel Mar Rosso (sedimenti contenenti oltre 2 milioni di t di zinco). Questi depositi di solfuri polimetallici si sarebbero originati da acque calde, fortemente mineralizzate, uscenti da fratture del sottosuolo che a contatto con le acque fredde avrebbero dato origine alla formazione dei depositi riscontrati. Per raccogliere questi corpi, noduli e solfuri, sono state messe a punto le tecnologie di una forma di sfruttamento minerario, la deep-sea mining; tuttavia il diretto sfruttamento economico delle risorse minerarie del m. appare ancora una frontiera della scienza e della tecnologia più che un dominio pienamente acquisito. Gli entusiasmi suscitati dall’individuazione dei depositi si sono raffreddati a fronte delle difficoltà di prelievo e anche degli effetti attesi da prelievi sistematici e massicci (con relativo riversamento delle scorie) sugli habitat marini di profondità. Oltre alle difficoltà tecniche, vi è inoltre un problema di competitività in senso generale: sia il manganese sia il cobalto (i due metalli più appetibili) sono prodotti dai giacimenti terrestri in quantità sovrabbondanti rispetto alla domanda e in queste condizioni gli investitori non sono interessati ad applicare nuove tecnologie per rendere operativa la raccolta dei noduli.
Risorse energetiche. - Il sottofondo oceanico fornisce fonti primarie di energia: carbone, idrocarburi liquidi e gassosi. Dal m. si può ricavare anche energia secondaria – in pratica, energia elettrica – attraverso la conversione dell’energia cinetica e dell’energia termica contenute nella sua massa.
Lo sfruttamento dell’energia cinetica riguarda il moto ondoso, le maree e le correnti marine. Per mettere a frutto l’energia del moto ondoso e delle maree sono stati installati parecchi impianti sperimentali (zattere e ormeggi galleggianti, dighe a forma di atollo ecc.); al primo tipo di impianti sono interessati soprattutto il Giappone, la Gran Bretagna, la Norvegia per le condizioni particolarmente favorevoli lungo le loro coste; per il secondo tipo vi è invece un vivo interesse da parte di Canada, USA, Russia e Francia, che già nel 1966 realizzò nell’estuario della Rance un impianto della potenza di 10 MW. Malgrado quest’energia ecocompatibile e rinnovabile presenti interessanti risvolti economici, per la sua produzione non si è ancora veramente usciti dalla fase sperimentale. I tentativi di sfruttare il moto ondoso, le correnti, le maree continuano a essere praticati da vari paesi, con risultati sempre incoraggianti, ma mai competitivi, in termini di costo, con i combustibili fossili. Prospettive forse più concrete sembrano accreditarsi allo sfruttamento dell’energia termica della massa oceanica. Nella fascia intertropicale il 90% della superficie terrestre è costituita da acqua: qui tra la superficie e la profondità di 1,5-3 km la temperatura varia di circa 20 °C. Il problema consiste nell’utilizzare questo salto termico per produrre energia elettrica.
Grazie all’impiego sempre più vasto di strumentazione satellitare, si susseguono scoperte relative ai fondi oceanici che forniscono dati interessanti riguardo al m. quale fonte di energia: un esempio è quello delle fumarole idrotermali (hydrothermal vents; ma ne esistono anche a emissione fredda, cold vents) scoperte ed esplorate a partire dal 1977, fessure nel fondo marino da cui fuoriescono composti solforosi e intorno alle quali, a grande profondità, in assenza di luce e con fortissime pressioni, si sviluppano forme di vita vegetale e animale, unico caso noto di ecosistema basato esclusivamente su chemiosintesi (in grado di fare a meno dell’energia solare). Presso molte fumarole ancora in attività, o là dove presumibilmente in passato si svilupparono ‘campi’ di fumarole idrotermali, sono stati individuati estesi depositi metalliferi, probabile conseguenza della precipitazione di solfuri e ossidi emessi dalle fumarole. L’oceanografia ha consentito di accertare con precisione le caratteristiche delle correnti oceaniche, in ogni loro tratto; si posseggono, quindi, tutte le informazioni per valutare l’enorme quantità di energia elettrica che potrebbe ricavarsi da questi fiumi oceanici. I problemi hanno duplice natura: da un lato, si tratta di riprodurre nell’oceano ciò che avviene da tempo negli spazi continentali (masse d’acqua in movimento fanno ruotare una turbina, che a sua volta produce energia elettrica); in secondo luogo, occorre ottenere energia a costi competitivi. Di conseguenza, le difficoltà – tecniche ed economiche – sono piuttosto numerose e rilevanti.
Risorse biologiche. - Il ciclo vitale, nell’ambiente marino, è reso possibile dalle radiazioni solari che agiscono sulle piante verdi. Si calcola che, per ogni milione di fotoni di luce solare che raggiungono la superficie della Terra, circa 90 entrino nella produzione netta dell’alimento di base del m.; forse 50 di essi contribuiscono alla crescita di piante verdi marine unicellulari, il fitoplancton. Siamo in presenza, dunque, dell’anello iniziale della catena alimentare. A mano a mano che si procede in latitudine, la consistenza del fitoplancton subisce variazioni stagionali sempre più marcate, connesse alle variazioni del clima durante il corso dell’anno: tali variazioni sono nulle all’equatore, irrilevanti alle basse latitudini, notevoli alle latitudini elevate.
Le distese di cellule vegetali che compongono il fitoplancton sono consumate dallo zooplancton (➔ plancton), che a sua volta costituisce la base alimentare di altri organismi, come numerose specie di Pesci destinati ugualmente a nutrire altri predatori di maggiori dimensioni. Mentre si snoda la catena alimentare, masse di detriti discendono dagli strati superficiali del m. verso gli strati profondi: in parte la discesa avviene per gravità; in parte per il trasporto di organismi animali che si spostano in senso verticale. I detriti costituiscono l’alimento per la fauna bentonica che vive sopra il fondo e sul fondo del m., compresa quella che vive rintanata tra le sabbie, le rocce e gli anfratti. Gli animali che si muovono liberamente si cibano anche delle creature che vivono negli strati intermedi e delle carcasse che precipitano.
Le risorse biologiche del m. hanno assunto crescente importanza per l’alimentazione dell’umanità, a mano a mano che la popolazione mondiale ha manifestato elevati tassi di incremento; nello stesso tempo sono insorte esigenze di protezione di determinate specie e, in generale, si sono avvertite esigenze di razionalizzare lo sfruttamento dell’intero patrimonio biologico. In sostanza, da un lato occorre tutelare le risorse; dall’altro lato, occorre incrementarne il prelievo. Nel campo della tutela sono stati compiuti progressi soprattutto attraverso convenzioni internazionali sul divieto e sulle limitazioni della cattura di determinate specie, già decimate o quasi annientate; nel campo dello sfruttamento sono migliorate le tecniche della pesca, della maricoltura e della piscicoltura. Malgrado ciò, la domanda di risorse biologiche del m. sopravanza di gran lunga le disponibilità: a dispetto dell’alto livello di sfruttamento raggiunto, le zone di pesca del mondo soddisfano solo una piccola frazione del fabbisogno alimentare dell’umanità. D’altro canto, le risorse del m. sono ‘finite’ e incontrano evidenti limiti, malgrado i grandi risultati conseguiti nelle colture o nei vivai. Migliori prospettive sono accreditabili a interventi orientati a incidere sulla catena alimentare, a trasformarla in determinate aree oceaniche. La concentrazione di sostanze alimentari (composti di azoto e fosforo) raggiunge i tassi più elevati a profondità comprese tra 600 e 900 m; se le acque di questi strati risalissero alla superficie, il fitoplancton subirebbe una consistente crescita, la quale darebbe modo allo zooplancton di svilupparsi in uguale proporzione.
L’espressione indica il complesso delle conoscenze e delle attività finalizzate alla protezione dell’ambiente marino e alla prevenzione degli effetti dannosi provocati dall’inquinamento e, in generale, da interventi antropici invasivi sulle risorse del mare. Tra gli inquinanti, una parte di grande rilievo hanno gli idrocarburi, la cui quantità dispersa in m. ogni anno è stata stimata in circa 2,7 milioni di t, per oltre due terzi prodotti da scarichi industriali e civili. Ma si è valutato che l’inquinamento atmosferico è responsabile (tramite le precipitazioni) di almeno un terzo del totale di idrocarburi che raggiungono il mare. Oltre agli idrocarburi, vengono riversate in m. molte altre sostanze, talvolta di notevole tossicità e spesso non facilmente degradabili, originate da attività antropiche.
Fra i problemi più consistenti va ricordata la diffusione, spesso occasionale e sempre incontrollata, di forme di vita marine da un bacino marino (in cui sono endemiche) in altri dove l’arrivo di specie estranee produce sconvolgimenti ecologici molto rilevanti, con ricadute anche economiche degne di nota.
Il quadro sistematico degli interventi prevede il monitoraggio dello stato delle risorse biologiche e della qualità delle acque e dei sedimenti marini, la gestione delle risorse idriche, la creazione e la gestione di aree protette, il controllo del traffico marittimo, il controllo delle attività portuali, il controllo degli scarichi a m., la predisposizione di mezzi di pronto intervento per eventi accidentali.
In geomorfologia, m. di pietre le distese di pietre poste su un pendio montuoso soggette a un lento moto di discesa (anche fiumi di pietra o pietraie semoventi; il termine traduce quelli già prima usati internazionalmente di Blockströme o rockglaciers). Si distinguono due tipi morfologici: quelli che scorrono o si organizzano senza manifestare onde ordinate e quelli che presentano un susseguirsi di tali onde, che hanno nell’insieme l’aspetto delle cosiddette strutture ogivali dei ghiacciai.